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John Locke
John Locke, filosofo e pensatore politico inglese (Wrington 1632-Oates 1704). Figlio di un medio proprietario terriero, seguì gli studi universitari a Oxford, ma l'ambiente non gli riuscì congeniale; vi conobbe tuttavia alcune figure significative, tra cui il rettore Owen, un puritano abbastanza tollerante, che ebbe una qualche influenza sul suo pensiero politico. Del 1664 è il saggio Essay on the Law of Nature. Nel 1666 accaddero due eventi decisivi per la sua vita: iniziò lo studio della medicina, che gli avrebbe consentito di restare all'università senza prendere gli ordini religiosi, e conobbe Anthony Ashley Cooper, il futuro conte di Shaftesbury, che lo accolse in casa, dapprima come medico, poi come tutore del figlio, in seguito come consigliere su ogni questione pubblica e privata, e lo introdusse nel mondo dell'alta politica londinese, nominandolo successivamente segretario alle presentazioni e segretario per il commercio e le piantagioni (1673); ma soprattutto fu il braccio destro di Shaftesbury, incaricato di molte questioni politiche tra le più complesse. Alla caduta di Shaftesbury (1675), Locke partì per la Francia, dove rimase fino al 1679. Dopo la scoperta della congiura del duca di Monmouth, che Shaftesbury appoggiava come erede al trono contro il cattolico duca di York (poi re Giacomo II), Locke fu accusato di essere a parte della congiura e dovette rifugiarsi in Olanda (1683); vi rimase fino alla rivoluzione (1688). Durante il regno dello statolder d'Olanda, Locke fu sempre consigliere autorevole e ascoltato del partito whig; ma a partire dal 1691 visse quasi sempre in campagna, a Oates, a causa della precaria salute. Partecipò tuttavia ai dibattiti di politica economica, contribuì, anche finanziariamente, alla fondazione della Banca d'Inghilterra, tenendo vivi i contatti con i principali imprenditori dell'epoca. Negli ultimi anni, abbandonata la politica, si occupò quasi esclusivamente di religione commentando tre lettere di San Paolo (Paraphrases and Notes on the Epistoles of St. Paul). Oltre all'attività politica Locke svolse anche un'attività di medico, non limitandosi alla raccolta di notizie e documentazione sui progressi di quella scienza in Europa, ma esercitando con impegno la professione. Questi due dati sono essenziali per comprendere l'atteggiamento specifico che Locke ebbe costantemente nei confronti della filosofia e della cultura in generale: alla cultura della tradizione, e in particolare alla filosofia, Locke muove il rimprovero di aver perso ogni contatto con le attività pratiche dell'uomo e anzi di intralciare il loro libero svolgimento: l'aristotelismo della scuola non comprende né spiega i concreti procedimenti delle scienze, anzi li ostacola con concetti privi di applicabilità; la cultura politica si rifiuta di prendere in considerazione il modo in cui le comunità umane effettivamente si costituiscono e si governano; la teologia, poi, ha reso irriconoscibili le semplici norme etiche dei Vangeli e le non meno semplici verità metafisiche su cui esse si fondano. Su queste premesse, l'attività filosofica di Locke si propose sempre di liberare la pratica, nei suoi vari aspetti etici, religiosi, politici, scientifici, dagli impedimenti cui essa era vincolata da una metafisica astratta, e di ricondurre ogni attività umana ai semplici principi teorici da cui effettivamente muove. Tradizionalmente, Locke è considerato il padre dell'empirismo; ma il concetto di esperienza che egli teorizza è tutto incluso nel più ampio concetto di ragione, quale fonte e contenuto di ogni attività conoscitiva fondata sul nostro concreto rapporto con la realtà sensibile in cui ci muoviamo; essa è la legge stessa della natura, che la vera conoscenza al tempo stesso segue e riproduce. La principale opera filosofica di Locke, An Essay Concerning Humane Understanding (1690; Saggio sull'intelletto umano), a cui fece seguito nel 1697 Of the Conduct of the Understanding (Del modo di condursi dell'intelletto umano), è il tentativo di ricostruire l'intero processo della conoscenza vera, a partire dai suoi costituenti più semplici, le idee di sensazione. Infatti, chi sostiene l'esistenza d'idee innate, indipendenti da ogni esperienza e a essa precedenti, si scontra con il dato obiettivo della varietà di principi etici e conoscitivi, che sono di fatto ammessi da comunità umane legate a contesti d'esperienza diversi; d'altra parte, a spiegare le nostre idee, anche le più elaborate, non occorrono concetti metafisici, ma è sufficiente l'analisi, che mostra come esse si formino, secondo semplici leggi, a partire da idee semplici. La stabilità delle leggi naturali secondo cui si costituisce la nostra conoscenza viene dunque a sostituire la stabilità dei principi ontologici cui la metafisica tradizionale sottoponeva la realtà. Nella sua analisi Locke tende a mostrare innanzitutto la possibilità di una diversa comprensione dei concetti e dei processi fondamentali della conoscenza, attraverso cui essa ritrovi la sua caratteristica di attività disponibile a tutti gli uomini dotati di ragione, e non solo ai depositari di una scienza particolare, la metafisica. Nel conoscere l'uomo attivo non usa il complicato armamentario della scuola, ma compie un'attività naturale, che muove da ciò che, per definizione, è immediatamente e universalmente disponibile: la sensazione. Nell'Essay on the Reasonableness of Christianity (1695; Saggio sulla ragionevolezza del cristianesimo), Locke fa vedere come anche la religione, sebbene rivelata, possegga gli stessi caratteri d'intrinsecità rispetto all'esperienza comune e alle sue regole di convivenza, facendo decadere buona parte della teologia senza negarne la verità, essendo sufficiente affermare l'identità del cristianesimo con un piccolo numero di verità teologiche ed etiche, perfettamente conformi a natura e a ragione. Nei Two Treatises of Government (1690; Due trattati sul governo), Locke, con compiti analoghi a quelli che si era proposto nella gnoseologia, ha respinto le teorie che, come quella della monarchia di diritto divino, mascheravano, nel pensiero e nei fatti, la vera natura dei rapporti politico-sociali per mostrare come la società politica derivi in modo naturale dall'esigenza di risolvere i conflitti che altrettanto naturalmente sono sorti dallo sviluppo delle condizioni materiali di esistenza degli uomini nei loro rapporti con la natura. Il lavoro, che è il modo in cui l'uomo determina in maniera vincente il proprio rapporto con la natura, origina la proprietà; e dall'esigenza di garantire la proprietà nasce la comunità politica organizzata, che è essenzialmente un sistema di garanzie contro le prevaricazioni di tutti contro tutti, compresi i corpi o le persone a cui venga delegata una quota direttamente maggiore di potere. Nei suoi scritti sulla tolleranza, dall'Essay Concerning Toleration del 1667 alle quattro lettere del 1685, 1690, 1692 e 1704 (incompiuta), Locke sostiene che le opinioni religiose devono essere libere, a condizione che esse non danneggino la società politica. Questo perché nessun uomo è leso nella sua persona o nei suoi averi dalle opinioni degli altri; e d'altra parte, nella varietà di opinioni esistente, chi può erigersi a giudice di quale sia la verità? A questo modo Locke è stato il primo teorico del principio della tollerabilità delle opinioni, sia per il potere sia per la proprietà su cui esso si fonda: ciascuno è libero di proporre le sue regole del gioco, purché non pretenda di imporle, finché esse si collochino nell'ambito delle regole effettive. Il pensiero di Locke ebbe una larghissima influenza anche nel campo pedagogico. A esso riconduce non solo l'opera Some Thoughts Concerning Education (1693; Alcuni pensieri sull'educazione), scritta con intenti esclusivamente pedagogici, ma tutti gli scritti politici o religiosi e lo stesso Saggio sull'intelletto umano. Le preoccupazioni pedagogiche di Locke sono quasi esclusivamente rivolte al nobile inglese, che metteva l'attività del commercio e dell'industria sullo stesso piano dell'arte di governo. A questo scopo occorre - dice Locke - un'educazione che metta in grado l'individuo di amministrare con abilità, fermezza e giustizia gli affari privati e pubblici, che sviluppi la formazione umanistica, ma non si limiti a essa e comprenda anche gli esercizi per conservare il corpo forte e vigoroso e per renderlo capace di obbedire agli ordini della mente; questa, da parte sua, dovrà prepararsi a saper discernere tra le molte azioni dell'uomo quelle conformi alla dignità ed eccellenza della sua natura ragionevole, all'amore riverente per Dio e alla sincerità e benevolenza nei riguardi degli uomini; alla saggezza come capacità di dirigere i propri affari, alla civiltà, alla cultura, abituandosi a trovare la concatenazione e l'ordine tra le varie idee; a mantenersi sereni tra le molte opinioni, dando il proprio assenso solo a quelle che ci convincono con prove irrefutabili. La cultura infine deve essere una guida, che conduce l'intelletto alla libertà, in quanto capacità di scegliere quelle cognizioni che sono di vero giovamento allo spirito e che nel materiale portano all'acquisto di vantaggi.
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