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Giambattista Vico
Giambattista Vico, filosofo italiano (Napoli 1668-1744). Contribuì, sia pure indirettamente, alla formazione della teoria kantiana della conoscenza opponendosi a quella di Descartes, e soprattutto con la sua filosofia della storia anticipò concezioni successivamente sviluppate dalla cultura preromantica, romantica e idealistica tedesca e in particolare da Herder e da Hegel. Tormentato per tutta la vita da una disagiata situazione economica, da una salute malferma e da una vita familiare non sempre felice, Giambattista Vico, dopo aver studiato giurisprudenza, filologia e filosofia, esercitò per breve tempo la professione di avvocato, fu precettore e insegnante privato presso diverse famiglie napoletane, e nel 1699 venne infine nominato professore di retorica all'Università di Napoli.
Le sue opere principali sono: De nostri temporis studiorum ratione (1709), De antiquissima Italorum sapientia (1710), De universi juris uno principio et fine uno (1720), De mente heroica (1732). Ma il suo capolavoro è La Scienza nuova (1725). Di rilevante interesse è la sua Autobiografia (1728). Secondo il pensiero del filosofo napoletano, il sapere umano è limitato, perciò a ogni nuova estensione del sapere va premessa una critica che vagli la natura, le possibilità e i limiti del suo conoscere, condizione necessaria per acquisire la verità. Sviluppando questa premessa Vico arriva alla convinzione che le scienze umane sono avvantaggiate rispetto a quelle naturali, perché l'uomo può conoscere fino in fondo soltanto ciò che egli stesso ha prodotto: si sa ciò che si fa. Nelle scienze naturali invece l'uomo raggiunge al massimo la verosimiglianza, mai la certezza e l'evidenza ultima: se si potessero dimostrare i fenomeni fisici, si sarebbe capaci anche di produrli. La natura e i fenomeni fisici non sono prodotti, ma trovati dall'uomo e in questo caso il suo conoscere non ne penetra tutta l'essenza. Solo Dio, che ne è il creatore, può conoscere con la certezza della dimostrazione la natura. Il mondo della storia si offre invece all'uomo come un ambito in cui è possibile una conoscenza adeguata, giacché l'uomo stesso ne è l'artefice. Che la scienza quindi scandagli la natura e i suoi fenomeni anziché indagare nella storia umana per riscoprire e riconoscere in essa la spiritualità dell'uomo è un paradosso. La certezza che può offrirci la storia non è minore di quella offerta dalla geometria: entrambe infatti sono opera dell'uomo. Della storia l'uomo può avere una comprensione integrale: compito e fine del sapere è dunque quello di studiarne e portarne alla luce le leggi, i ritmi che la governano e di svelarne così il vero volto. In tal modo Vico poneva le basi di una nuova metodologia della storiografia e delle scienze umane. Nella Scienza nuova Vico si propone di scoprire l'intima struttura dello sviluppo delle cose umane, cioè della storia; quali sono le leggi e i principi che reggono e governano questo sviluppo; quali sono le fasi e i gradi successivi attraverso i quali l'uomo è passato partendo da una condizione selvaggia e quasi animalesca per arrivare alla cultura e alla civiltà più progredita. La storia palesa, secondo Vico, una legge che ne guida lo svolgersi secondo uno schema triadico: l'età degli dei, l'età degli eroi e l'età degli uomini, in continua successione dell'una nell'altra, sì che il cammino della storia appare come un tracciato circolare, sul quale il continuo e ininterrotto ripetersi di quelle tre età o stadi finisce per ritornare sui propri passi e ricominciare così il ciclo nuovamente dall'inizio. Nei miti, nelle saghe e nel linguaggio dei popoli e delle stirpi Vico ricerca le testimonianze e le tracce dei primi tempi della storia umana. Ai geroglifici che costituiscono un linguaggio ancor impacciato segue la lingua eroico-poetica e a questa segue infine la lingua umana e prosaica: la lingua della civiltà e della scienza moderna, che riproduce nell'ordine delle idee l'ordine delle cose, aderendo il più strettamente possibile alla realtà e non lasciando più spazio all'invenzione e alla fantasia. Lo studio delle lingue e delle etimologie diventa così d'importanza capitale perché possa realizzarsi un'autentica e approfondita conoscenza storica. Da questo appare evidente come l'interpretazione vichiana della storia muova da una condizione primitiva e selvaggia, dalla quale solo gradualmente l'uomo si libera. In questa prima età l'uomo, preda di mille paure e timori, subisce passivamente la cieca e imprevedibile volontà degli dei che egli supinamente adora. Passa poi all'età degli eroi, caratterizzata da un regime oligarchico e aristocratico nel quale il potere si esprime nell'arbitrio di pochi. Al culto degli dei si sostituisce ora quello degli eroi, gli stessi che detengono il potere. Nella terza e ultima età, infine, subentrano la coscienza, la ragione e il dovere: gli uomini sono ora capaci d'intendere e di volere autonomamente, sono cioè padroni di sé. Culmine e manifestazione estrema di questa età è, secondo il Vico, il prosaico mondo della moderna civiltà borghese, unicamente preoccupato di garantirsi sicurezza e benessere. Essa perciò entra in crisi e ne inizia il processo di disfacimento e di decadenza, prospettando il ritorno a una nuova barbarie. In una vera e propria catastrofe planetaria la civiltà stessa si disgrega riconsegnando l'uomo alla sua situazione originaria e consentendo così alla storia di ricominciare da capo il proprio ciclo. Vico ebbe la sua piena valutazione solo dallo storicismo ottocentesco e soprattutto da B. Croce, che ne studiò a fondo l'opera e mise in luce la grande attualità e la profondità speculativa delle sue dottrine.
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