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Riflessioni sull'Esoterismo

di Daniele Mansuino   indice articoli

 

L'Egitto prima delle sabbie

di D. M. e L. D. C.
- Seconda parte

Ottobre 2021


Abbiamo concluso l’articolo del mese scorso accennando al legame tra il mito di Osiride ed il Corpo di Gloria (o di Luce); è tempo ora di parlarne più in dettaglio.
Iside è il luogo dello spirito nel quale la divinità trova sede per generare Horus, il Corpo di Luce; e sappiamo che questa Luce dal meraviglioso potere di rendere l’uomo immortale è quadruplice - il che potremo spiegare guardando al processo di mummificazione, quando lo stomaco, i polmoni, il fegato e l’intestino estratti dal cadavere vengono sigillati in quattro vasi, simboleggianti i quattro figli di Horus che avevano presenziato alla mummificazione di Osiride - e questi quattro vasi-figli erano destinati a portare al defunto Quattro Luci: comunicazione, nutrizione, purificazione e protezione.
Possiamo ravvisare nel sistema dei quattro vasi canopi la più antica espressione del quaternario ermetico, del quale abbiamo segnalato in vari articoli il legame col simbolismo della materia e le sue numerose testimonianze in seno alla tradizione cristiana, come nel caso dei Quattro Evangelisti, o in quello della Croce di Cristo, nel quale viene evidenziato il senso del quinto elemento situato al centro: qui le correnti degli altri Quattro Elementi convergono per dare vita alla quintessenza che li trascende, ovvero appunto al corpo di luce.
Dopo l’avvento del cristianesimo in Egitto, il simbolismo dei vasi canopi si trasfuse in quello delle Quattro Luci, collegate ai Quattro Arcangeli; destinate poi a diventare, nell’Ermetismo europeo rinascimentale, un vero e proprio cardine della spiritualità rosacruciana.

La prima Luce è la Luce del Nord (Gabriele): polmoni.

La seconda Luce è la Luce dell’Est (Raffaele): stomaco.
La terza Luce è la Luce dell’Ovest (Uriel): intestino.
La quarta Luce è la Luce del Sud (Michele): fegato.

Si dice che la testa mummificata di Osiride venisse conservata ad Abydos, nell’alto Egitto. A questa reliquia erano riconosciuti poteri miracolosi, tutti collegati all’idea della rigenerazione: guariva le malattie, faceva germogliare le piante, eccetera.
Per questa ragione, colui che è passato attraverso l’iniziazione ai sacri misteri è tenuto a compiere un viaggio sul Nilo (considerato il riflesso sulla Terra della Via Lattea) per visitare i templi in cui si dice vengano conservate le quattordici parti del corpo di Osiride; ed una tappa importante di questo pellegrinaggio (sul quale ritorneremo) è tuttora il magnifico Tempio di Abydos, nel quale un tempo si poteva contemplare il volto del dio. Con questa visita, l’iniziato acquista il potere di diffondere le proprie facoltà all’intorno, come per una sorta di irradiazione.
La leggenda di Osiride reca in sé le tracce dell’antica usanza, ampiamente analizzata da James George Frazer nel Ramo d’Oro, di uccidere il re quando era diventato vecchio; perché, se non si fosse fatto, si credeva che anche il suo popolo sarebbe invecchiato e perito con lui.
Fu quindi forse, in origine, come una sorta di risarcimento che nacque l’idea di garantire ai re l’immortalità nel mondo invisibile, attraverso un processo analogo ad altre pratiche ermetiche ugualmente rivolte alla sacralizzazione della materia: vedi ad esempio le nozze alchemiche tra il Re-Sole e la Regina-Luna, culminanti nella rubedo.
Non è possibile sapere di preciso quando, in Egitto, l’usanza di uccidere fisicamente il sovrano venne abbandonata. Probabilmente accadde in parallelo al diffondersi dell’idea che non solo al Faraone, ma anche ai suoi fedeli sudditi fosse concesso di identificarsi dopo la morte con l’archetipo di Osiride, e di accedere in questo modo all’immortalità.
È da osservare che l’allargamento della credenza nella vita post mortem avvenne in due fasi: prima soltanto alle cerchie dei nobili e dei sacerdoti, poi anche al popolo, con procedure di mummificazione progressivamente semplificate.
Questo passaggio in tre tappe dall’immortalità di un singolo all’immortalità di tutti ci aiuta a comprendere il più grande segreto che l’Egitto prima delle sabbie tiene in serbo per lo studioso delle scienze ermetiche, ovvero la possibilità di realizzare il procedimento di rigenerazione su tre piani diversi - sul piano fisico, per mezzo della mummificazione; sul piano mentale, per mezzo degli edifici sacri che gli Egizi hanno edificato; sul piano spirituale, attraverso lo studio e l’assimilazione della loro civiltà nel suo complesso.
Vogliamo ora esaminare brevemente tutti e tre i piani.


1 - Mummificazione.


Il dio che presiede all’arte della mummificazione è Anubi, raffigurato con la testa di uno sciacallo per evidenziare la qualità ermetica di rendere la vita agli elementi degenerati e putrefatti; fu lui il primo a praticarla, imbalsamando per ordine di Ra il corpo di Osiride, e soltanto i suoi sacerdoti hanno il diritto di esercitarla.
Temibile quanto pietoso, il dio-sciacallo parla al cuore degli esseri umani, smarriti nel tentativo di riorganizzare il proprio corpo nella memoria del creato, suggerendogli il da farsi per riportare ordine nel loro involucro, e rendergli la vita.
Secondo le convinzioni degli Egizi, al fenomeno della morte fisica faceva seguito la separazione del ba (l’anima) dal ka (spirito vitale). Il distacco del ba dal ka è conseguenza della separazione degli elementi vitali che avviene con la putrefazione; per questo è necessario scongiurarla con procedure rivolte a mantenere il più a lungo possibile l’integrità del corpo.
Dapprima il cadavere veniva lavato con acqua salata, in un bacino sacro, per mondarlo dai residui della vita. Venivano poi estratti gli organi interni, dopodiché si procedeva ad un nuovo lavaggio con acqua e profumi ed all’immersione nel natron: era questa famosa polvere dai poteri magici, composta principalmente da carbonato di sodio, ad asciugarlo e disinfettarlo nell’arco di trentasei giorni.
Dopo di questo, la salma veniva imbottita di sabbia o lino e massaggiata con olio, per impedire che la pelle troppo asciutta si lacerasse; venivano introdotti degli amuleti destinati a favorire il buon esito del viaggio, e la si bendava strettamente per la durata di due settimane. Tutte queste operazioni erano scandite da preghiere.
Tra i compiti di Anubi - il cui nome significa Colui che apre il cammino - c’era anche la pesatura del cuore del defunto, nella Sala delle due Verità.
A questa solenne operazione partecipavano anche Thot e Maat, la Dea che simboleggiava l’ordine, l’equilibrio e la giustizia; veniva rappresentata come una donna (a volte alata) recante un copricapo attorno al quale, con un nastro, era legata una Piuma di Struzzo.
La Piuma era chiamata Shu, respiro, il che collega Maat a Shu, il dio del primo respiro, che in alcuni miti viene presentato come suo fratello; ma questa Dea era membro anche di un’altra dualità ancora più importante, perché legata alle origini dell’Ermetismo e della civiltà egizia stessa: quella tra Ankh e Maat, ovvero tra vita e l’armonia.
O meglio: si dice che il geroglifico dell’Ankh, la croce ansata, significhi vita; e questo è vero, ma solo se si intende il termine vita in un senso particolare, per cui è vivo qualcuno o qualcosa che svolge una funzione giusta, in accordo con l’economia della creazione.
Nell’antico Egitto, soltanto ciò che adempisse ad una tale funzione nel creato poteva essere considerato partecipe della vita reale; perché la vita come noi moderni la intendiamo è solo una piccola parte, un riflesso di questa vita eterna e vera.
Niente, nella cultura egizia, era astratto o simbolico: qualsiasi cosa - dall’architettura, ai riti, alle celebrazioni, svolgeva una funzione tendente a collegare ogni essere ad un altro, nell’armonia del tutto; ed era appunto nell’espletamento di questa funzione che l’Ankh esprimeva la sua vera valenza, quella del principio vivente, e Maat quella di materia o matrice destinata riflettere in terra l’ordine del cielo - un compito che implicava, tra l’altro, il diritto di dirigere e regolamentare la situazione terrestre, sulla base di un corpo di conoscenze segrete.
Per questo, Anubi diceva allo scomparso: dovunque tu ti possa ritrovare nel corso del tuo viaggio verso il mondo dei defunti, dovrai seguire il cammino di Maat, che qui è inscritto nella giusta misura, per poter sempre avere a disposizione un supporto adeguato alla costellazione-uomo che è raffigurata in te, fino ad incarnare Ankh, il Vivente; o perlomeno, ad incarnare una possibilità di condizione vivente.
Allora Maat poneva la sua Piuma su un piatto della bilancia; e soltanto se il cuore del defunto non superava il suo peso, egli era autorizzato a raggiungere i Campi della Beatitudine e a ricongiungersi a Osiride.
Se invece il cuore era troppo pesante, veniva dato in pasto all’orribile dio Ammit, dalla testa di coccodrillo; e la persona era destinata a rimanere per sempre nel Duat, il regno dei morti.
Di tutto questo abbiamo conoscenza tramite il testo funerario oggi noto come il Libro dei Morti, ma il cui nome originario era Peremheru: Uscire alla luce del giorno.
Allo scadere delle due settimane, si riteneva che il corpo fosse giunto felicemente a destinazione, e si poteva inserirlo nel sarcofago, circondato dagli oggetti che gli erano stati familiari nel corso della vita; anche quest’ultimo può essere considerato un espediente per prolungarne l’integrità, offrendo allo scomparso l’occasione di mantenere viva la consapevolezza.
Sul piano magico, una conseguenza della mummificazione è rallentare il distacco dal corpo da quella parte delle componenti sottili del ba che sono destinate a rimanere legate alla realtà oggettiva.
Stiamo parlando di un distacco idealmente raffigurabile come una nebbiolina o una sabbiolina che emana dal corpo, ovvero di un fenomeno che, nel caso di un cadavere in putrefazione, si esaurisce in breve tempo; invece nel caso delle mummie si prolunga lungo l’arco dei millenni, per cui è lecito supporre che con il costante aumento delle mummie riportate alla luce si stia verificando anche una crescita dell’influenza della civiltà egizia sulla coscienza collettiva (ed anzi, non manca chi ipotizzi che il trattamento riservato dagli Egizi ai loro morti avesse come scopo primario il prolungare l’influenza della loro civiltà nel lontano futuro).
Comunque sia, la nozione di dispersione del ba ci suggerisce un’interessante interpretazione alternativa della frase Egitto prima delle sabbie: potrebbe designare il periodo che precedette l’irradiazione delle influenze della civiltà egizia, quando i riti aventi il fine di suscitarla (come appunto la mummificazione) non venivano ancora messi in opera.
In verità, è curioso osservare come, nei documentari televisivi sull’antico Egitto (che ogni anno aumentano di numero, e spesso i riferimenti alla scienza ermetica in essi contenuti svelano come i loro autori non ne siano affatto digiuni), la dissolvenza di una scena per passare ad un’altra venga spesso raffigurata con il suo dissolversi in una miriade di piccoli punti.
È questo un espediente che nei documentari di altro genere non viene usato quasi mai, e che potrebbe costituire un riferimento intenzionale alla dispersione del ba, se non addirittura voler richiamare l’idea che, in seguito ai riti magici a suo tempo compiuti su di essi, il fenomeno di irradiazione non riguarda solo le mummie ma anche gli edifici.


2 - Edifici.


Nel suo libro Il tempio dell’uomo, René Adolphe Schwaller de Lubicz illustra le corrispondenze tra il Tempio di Luxor e l’essere umano. Alla luce dell’ortodossia del rapporto tra Ankh e Maat (matrice vera della legge di analogia che è alla base dell’Ermetismo), il tempio dell’uomo viene presentato come una costruzione armonica che riflette la volta celeste, esprimendo la corporeità di un cielo capovolto che cerca il suo riflesso.
Nel nostro secondo articolo sul Neomazdeismo, avevamo accennato alla possibilità di praticare gli esercizi suggeriti da Lubicz nel Tempio di Luxor; e dopo le numerose richieste che abbiamo ricevuto in proposito, ci sentiamo di fornire qualche ulteriore dettaglio perché chi voglia provarci abbia possibilità di successo.
Dopo raggiunto il Tempio, i praticanti hanno bisogno di tempo perché i loro corpi sottili possano adeguarsi, poco per volta, all’incommensurabile intensità del suo campo energetico. Per questo, la parte rituale vera e propria dovrà essere preceduta da una fase in cui il maestro illustra i simboli, le iscrizioni e le posizioni delle statue: una maratona di dati che, al di là della sua utilità nozionistica, avrà l’effetto di dare origine ad un effetto ipnotico di straniamento.
Potrà capitare, addirittura, di sentirsi trasportare da una forza misteriosa ai giorni degli Egizi, vedendo l’acqua che scorre all’interno dei canali oggi asciutti, i sacerdoti che celebrano i loro riti, e partecipando a quella vita.
L’utilità principale di queste visioni è far comprendere al praticante in quale parte del Tempio gli è richiesto di operare, al fine che il rito ottenga su di lui il migliore risultato; allora vi si reca, e individua il punto migliore in cui collocarsi, e quando tutti l’hanno fatto si può cominciare con l’esecuzione delle tecniche (che sono diverse a seconda degli orari in cui vengono eseguite).
L’esecuzione delle tecniche è di norma accompagnata da altri fenomeni, di varia natura: rombi di tuono - ronzii che partono dal ventre ed ascendono lungo il corpo, aumentando gradualmente di intensità - la percezione di forze che si applicano a varie parti del corpo (per esempio, al plesso solare o in mezzo alla fronte), aventi lo scopo di indurre a concentrare la vista su certi punti dello spazio, nei quali si manifesteranno allucinazioni.
Con il passare dei minuti (oppure, nel caso delle sessioni particolarmente riuscite, delle ore), gli input sensoriali si riordinano gradualmente. Avviene allora di percepire il tempio dell’uomo che si edifica a livello interiore - prima le ossa e poi i piedi, la testa, gli organi interni, la muscolatura che racchiude la costruzione, l’epitelio che gradualmente si forma per rivestirla; ed infine, le acque (corrispondenti ai fluidi corporei) iniziano d’improvviso il loro movimento, accompagnate dal lungo respiro di Shu.
La manifestazione dei fluidi (simbolicamente collegata al risveglio di Horo-Ra) riveste una particolare importanza ai fini del mantenimento, nell’arco del tempo, delle acquisizioni ricevute; accadrà dunque che a certi iniziati si risveglierà un talento verso l’arte della preparazione spagirica, il quale (almeno nel caso dei riti di Luxor eseguiti ai nostri giorni) congiungerà alla padronanza dei rimedi ermetici tradizionali (manganese, rame zinco) anche quella di sostanze diverse da quelle usate un tempo dagli Egizi - prodotti di sintesi usati nella preparazione degli integratori, come la melatonina o il germanio, o prodotti alimentari un tempo sconosciuti in occidente (radici e funghi asiatici).
Ma, bene al di là di questi particolari tecnici, sono indescrivibili ai profani le acquisizioni che si possono sperimentare a suggello dell’esperienza di Luxor, con le stelle della limpida notte egiziana che guidano l’iniziato e gli imprimono nella mente i loro segreti, in una con la sensazione che ogni passo da lui compiuto avvenga simultaneamente nel Tempio e all’interno di sé stesso.
Nel caso di riuscita del processo di rigenerazione, talvolta anche il regno animale verrà a partecipare della gioia dell’iniziato, con l’apparizione nel cielo di falchi che volteggiano in cerchio, stridendo.
Dopo un simile percorso, la magnetizzazione esercitata dal Tempio sull’iniziato è destinata a non avere fine: infatti l’immagine di Luxor è stata per sempre memorizzata ed interiorizzata, insieme alla consapevolezza del significato delle sue parti, creando una sorta di centro di gravità intorno al quale l’anima ha la possibilità di riorganizzarsi in una forma immortale.


3 - Assimilazione delle correnti energetiche lasciate dalla civiltà egizia.


L’Egitto dei Faraoni non è soltanto un luogo geografico, è piuttosto una preghiera-respiro lunga quarantamila anni, uno stato di coscienza raggiungibile attraverso il ricordo del cuore; ed il raccogliere le correnti energetiche da esso depositate, come una scia, nello spaziotempo, equivale al lavoro di trasmutazione interiore come viene prescritto dai canoni ermetici tradizionali.
La differenza più evidente tra questa terza versione del cammino e le due precedenti è che in questo caso non esiste un percorso lineare da seguire; anzi, per la precisione, i due soli punti immutabili sono la partenza e l’arrivo. Infatti il viaggio del bussante, dal mar Mediterraneo verso l’interno, prende le mosse dalla prima cataratta del Nilo e ha termine nella Camera del Re della Piramide di Cheope, dove avviene la resurrezione.
Nel tempo e nello spazio intercorrenti, il suo compito sarà di visitare i templi di ambo le rive del Nilo - quelli della sponda orientale ricolmi di pitture e di geroglifici, insomma di vita e di forma - quelli della sponda occidentale altrettanto imponenti e impressionanti, ma senza nessuna scrittura, in quanto appartenenti ad un mondo che non ha vita, ma forma in potenza.
In questo modo egli potrà comprendere come ogni tempio sia un essere vivente, anche se in realtà potremmo dire lo stesso di ogni costruzione sulla Terra, dal più babelico grattacielo alla più umile baracca: infatti, non differentemente dal Corpo di Luce, tutti gli edifici sono destinati ad essere testimoni del trascorrere di varie generazioni di esseri umani.
In certi casi, come nelle cattedrali gotiche, la consapevolezza di questa funzione da parte dei costruttori traspare chiaramente: è proprio questa la vera discriminante tra un edificio sacro e un edificio comune, come magnificamente viene espressa dal simbolismo massonico.
Ogni singolo tempio egizio ha una propria funzione, corrispondente ad una memoria specifica da attivare; per esempio, è stato scritto che si può comprendere il mistero della messa a Dendera, quello della resurrezione ad Abydos e quello della Trinità a Karnac.
Non diversamente dal ruolo della Madonna nel cristianesimo, la Dea-simbolo di questo processo di apprendimento (alla quale l’iniziato ha diritto di fare appello affinché possa attuarsi) non può essere che Iside; questa sua funzione è espressa anche dal geroglifico che la rappresenta, il Trono.
La convivenza del culto di Iside con le forme di ritualità dei Romani sarebbe andata avanti fino all’anno 535, quando l’Impero mise fuorilegge i culti egizi, creando in tal modo i presupposti per il connotarsi dell’Ermetismo come disciplina esoterica.

   D. M. e L. D. C.


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