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Filosofia Quantistica e Spiritualità di Ulrich Warnke

FILOSOFIA QUANTISTICA e Spiritualità

La chiave per accedere ai segreti e all’essenza dell’essere. Di Ulrich Warnke
Traduzione a cura di Corrado S. Magro
In esclusiva assoluta per l'Italia, per gentile concessione dell’autore e dell’editrice Scorpio la traduzione del libro di Ulrich Warnke: Quantenphilosophie und Spiritualität.

 

 

Capitolo 4 - Gennaio 2015

Tutto trae origine dalla consapevolezza

 

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“La materia non esiste, esiste bensì un tessuto di energie a cui lo spirito intelligente diede la forma…”

Max Planck

 

Possiamo senz’altro osare affermare che noi su questa terra viviamo in un corpo per accumulare esperienze che non potremmo fare soltanto con le particelle elementari che lo compongono. Ed è proprio a causa di questo processo: “fare esperienze”, che necessitiamo di una consapevolezza.

Nel capitolo precedente abbiamo appreso che, con l’impiego della materia del nostro corpo, “dall’oceano delle infinite possibilità” riusciamo a fissare informazioni concrete di particelle (dai cosiddetti contenuti virtuali del vuoto), tramite le quali poi le forze agiscono sulla materia. La domanda che adesso si pone è: Chi esegue questa azione e chi sono “IO”? Anche la risposta a queste domande necessita di una consapevolezza. Ma cos’è, propriamente detto, questa consapevolezza che noi rendiamo responsabile della nostra esperienza? La consapevolezza è per noi talmente naturale che nessuno ormai si chiede cos’è. Essa per noi di solito non è conscia, pur restando in assoluto la cognizione più importante che possediamo.

In che cosa consiste dunque lo stato di “essere consapevole” proprio all’essere umano? La ricerca neurologica non ha ancora dato alcuna risposta valida a questa domanda.

Si è cercato di identificare in generale l’attività cerebrale con la consapevolezza, ma la prova è fallita. Una gran parte delle nostre aree cerebrali rimangono attive nel sonno profondo, sotto narcosi, in alcuni stati comatosi e negli attacchi epilettici, senza che si registrino stati consapevoli. Anche il cervelletto è sempre attivo, possiede una concentrazione più elevata di neuroni del cervello, eppure il suo contributo all’esperienza consapevole è irrilevante.

Dalla nascita della psicanalisi si parla sempre più di processi consapevoli e inconsapevoli, e riallacciandosi alla dottrina di Sigmund Freud si suppone l’esistenza della struttura di una rete molto vasta in grado di determinare le nostre funzioni vitali, senza che ciò ci sia consapevole. A partire da tale momento inizia anche la distinzione del conscio dall’inconscio. Nella letteratura vengono menzionati stati ulteriori di consapevolezza: della veglia, del sonno, del coma, dell’agonia, ma per nessuno di essi esiste una definizione inequivocabile.

Non possedendo quindi una definizione generalmente valida per consapevolezza conscia e/o inconscia, siamo costretti a cercarne una che stabilisca il significato da dare a questi termini, nel contesto di questo trattato. Le persone convinte che gli stati di consapevolezza cambiano a secondo delle situazioni, molto probabilmente sbagliano. La consapevolezza può infatti essere intesa come un modo unico e ben preciso non soggetto a cambiamenti. Quello che cambia è la finestra della percezione che viene aperta dal commutatore della ”consapevolezza”. Non ci troviamo in un altro stato di consapevolezza, ci troviamo solo in presenza di percezioni diverse: una percezione dell’IO, una percezione con caratteristiche di memoria che “fissa i ricordi”, una percezione del sogno, e perfino una della morte vicina. Di certo, sono attivi altri tipi di percezione come p.e. lo speciale sensorio nel sonno profondo.

Inoltre, la consapevolezza inconscia, o subcosciente, è sempre attiva e ci alimenta con informazioni dal mondo delle emozioni. Il subcosciente, che più avanti nel capitolo 7 identificheremo quale anima, riconosce l’immensità. Ciò è un’evidenza basata sulle emozioni primordiali (amore, odio, ecc.) che sono innate e sul fatto che la ragione non è in grado di cogliere, rilevare l’attimo emotivo. Se la ragione si sforza d’individuare l’emozione attiva dell’attuale momento, la stessa emozione sparisce e lascia il posto ad una nuova: “alla curiosità della ragione”. La ragione quindi non è mai in condizione di dirigere direttamente l’emozione. Però attraverso i pensieri scelti tramite la volontà è possibile dirigere stati d’animo. Anche la fede appartiene a questa categoria perché è piuttosto causa di una guida indiretta dell’attenzione.

Lo stato emotivo che noi definiamo “motivazione”, è decisivo per il nostro agire, tuttavia esso agisce in modo del tutto inconscio. Non c’è nulla che avvenga senza motivazione. Forme di motivazione dominanti sono cupidigia (volere avere tutto) e rifiuto (volere evitare). Per questo definiamo:

 

Consapevolezza conscia è un modo che apre l’accesso al discernimento e all’elaborazione dell’informazione che affluisce alla ragione. Consapevolezza inconscia è lo stesso modo che apre l’accesso al discernimento e all’elaborazione dell’informazione che affluisce all’emozione.

 

Questa definizione serve a rendere chiara l’esistenza di una sola consapevolezza che a seconda delle attività cerebrali fa ricorso a differenti possibilità e finestre di percezioni, suscitando l’impressione di avere davanti a sé diversi stati di consapevolezza.

Se il modo cosciente/subcosciente gioca un ruolo talmente  importante nella nostra vita, dovremmo brevemente elencare tutto quello che con ciò ci è possibile collegare.

La consapevolezza conscia/inconscia necessita ad esempio di percezione e intelligenza, memoria e ricordi. La consapevolezza organizza negli individui il totale dei pensieri, conoscenze ed esperienze, il sapere, la volontà, i desideri e le intuizioni, come anche tutti i modelli di emozioni e gli stati d’animo. Quando quindi incontreremo il termine “consapevolezza” nel testo seguente, la consapevolezza subcosciente fa sempre parte di esso.

La consapevolezza, aprendo l’accesso all’informazione selezionata, assume anche la funzione di motore dell’intelletto. L’intelletto condiziona il pensare, a cui seguono i pensieri. I pensieri del sistema nervoso centrale sono emozioni elaborate in informazioni dal sistema nervoso vegetativo. Il solo pensare non genera alcuna modifica della materia, ma pensieri combinati con le emozioni influenzano sempre la materia del corpo, cosa che per esempio si lascia leggere dalla mimica e dal lieve irrigidimento chiaro e palpabile della muscolatura se confrontati, p. es., con pensieri avversi. La consapevolezza assume quindi il ruolo d’interfaccia tra il campo dell’informazione e la materia.

Essa però va ben più avanti e, oltre ad aprire l’accesso all’informazione, comanda anche la percezione. I sensi vengono indirizzati e messi a fuoco su uno scopo specifico. Il che significa che essi vengono scelti dalla consapevolezza per un’attività ben definita. La percezione stessa è un atto dell’osservazione consapevole. Questo di nuovo contiene l’arte della ”omissione creativa” di innumerevoli possibilità, filtro anche delle caratteristiche sensate estratte dal coacervo generale. Possiamo quindi affermare che la consapevolezza è il modo mirato che porta a livello di percezione e ordina le caratteristiche di oggetti e processi secondo il principio “dell’identico che riconosce l’identico” e che noi abbiamo precedentemente conosciuto come risonanza. Il percepito viene interpretato dalle emozioni, corredato di significato e importanza e classificato dall’intelletto in uno schema. Così ha origine il mondo.

Le idee (visioni) sono figure consapevoli generate con significato e importanza. Esse guidano, come in un sogno, la materia fisica esattamente quasi si trattasse di una situazione reale.

Proprio per questo, rappresentandosi una luce accecante le pupille si restringono. È il significato di “accecante” che ha un ruolo determinante. Il solo pensiero di mordere in un limone ci produce salivazione, il cui detonatore è il termine “estremamente agro”. Guai a pensare intensamente di soffrire di tachicardia o di altri disturbi cardiaci. Un pensiero che con molta probabilità si trasformerà in realtà.

Per noi un mondo senza la nostra consapevolezza non può esistere. Anche le leggi naturali, considerate irrefutabili e obiettive, non esisterebbero senza consapevolezza, perché anch’esse traggono origine da essa. Tutto quello che gli individui sanno oggi e sapevano in passato, trae sempre origine dalla consapevolezza. Essa è il procacciatore di tutto lo scibile. Non esiste scienza e conoscenza che non sia passata attraversato il filtro della consapevolezza. Realtà che non possiamo ignorare, ma che noi non prendiamo mai abbastanza in considerazione.

Se riteniamo le nostre definizioni plausibili, esiste quindi un ordine gerarchico dei momenti di consapevolezza: così come la “consapevolezza delle cellule del corpo” costruisce gli organi con l’aiuto delle informazioni interscambiate, la consapevolezza degli organi costruisce organismi e gli organismi formano le società, allo stesso modo la struttura percettiva del fattore della consapevolezza assume un livello superiore con ogni nuova associazione, in quanto stanno sempre a disposizione nuove strutture d’informazione.

Se dunque la consapevolezza è talmente essenziale per tutto, la teoria secondo la quale lo spirito (vettore di consapevolezza) quale utente della consapevolezza si è sviluppato dalla materia, dovrebbe essere invalidata. Dovrebbe invece essere la materia a derivare dallo spirito, visto che ogni materia può essere riconosciuta sempre e solo attraverso la consapevolezza. L’essenza della natura è di conseguenza piuttosto spirituale che materiale.

 

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