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Cultura e Società - Problematiche sociali, culture diverse.
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Vecchio 31-05-2008, 15.24.06   #21
misterxy
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Riferimento: Violenza al maschile e al femminile

IL MITO DEL POTERE MASCHILE, di Warren Farrell.

Difesa per omicidi in appalto... Difendersi assaltando qualcuno
L'omicidio in appalto è un metodo prettamente femminile?


Quando per la prima volta consultai i miei archivi per preparare questa sezione sull'omicidio in appalto, rimasi colpito da alcuni modelli affascinanti. Innanzitutto, tutte queste donne assoldavano ragazzi o uomini. In secondo luogo, il loro bersaglio era di solito il marito, l'ex marito o il padre - uomini che un tempo avevano amato. Terzo, di solito l'uomo da colpire aveva una polizza assicurativa notevolmente più elevata del suo reddito negli ultimi cinque anni. Quarto, le donne spesso non venivano mai seriamente sospettate finché qualche coincidenza non smascherava il loro complotto. Quinto, per uccidere di solito la donna sceglieva uno di questi tre metodi: 1) convinceva il fidanzato a uccidere (in stile Svengali al contrario); 2) assoldava ragazzi sfavoriti dalla sorte per cifre modeste; 3) assumeva un killer professionista, usando così, per ucciderlo, il denaro guadagnato dal marito.
«Dixie Dyson rimboccò le coperte al marito prima della sua ultima notte di sonno. Aveva predisposto tutto: un vecchio amico e un amante avrebbero fatto finta di 'introdursi in casa scassinando la porta', di 'stuprarla', uccidere il marito e 'fuggire'. Lei avrebbe riscosso il denaro dell'assicurazione.
«All'ultimo momento il vecchio amico si ritirò, ma l'amante e Dixie riuscirono a uccidere il marito con ventisette pugnalate. Furono presi. Dixie riuscì a negoziare una riduzione della sua pena denunciando l'amante e l'amico. L'amico che si era rifiutato fu condannato a venticinque anni di carcere per complotto. »
«Deborah Ann Werner aveva diritto a un terzo delle proprietà paterne. Chiese alla figlia di trovare qualche ragazzo disposto a uccidere il padre piantandogli un coltello nel collo.»
«Diana Bogdanoff fece in modo di trovarsi con il marito in una zona appartata di una spiaggia nudista.
«Diana aveva assoldato due giovanotti che lo avrebbero ucciso mentre lei stava a guardare. Gli spararono alla testa e lei denunciò i killer, ma senza presentare giustificazioni per l'omicidio - non era stato rubato nulla e lei non aveva subito molestie sessuali.
«Diana diventò sospetta soltanto quando un anonimo si mise in contatto con la speciale linea telefonica che in tutto il territorio nazionale raccoglie denunce per fatti criminosi. Per puro caso quell'individuo aveva sentito parlare, alla radio, dell'omicidio e si era rammentato di un amico che gli aveva raccontato di essere stato contattato e di essersi rifiutato di uccidere un uomo... su una spiaggia isolata per nudisti, mentre una donna di nome Diana sarebbe stata a guardare. Senza questa segnalazione, Diana non sarebbe mai stata sospettata.»
«Roberta Pearce, insegnante, offrì 50.000 dollari a testa a due suoi studenti quindicenni - e anche sesso e una macchina - se avessero fatto una cosa sola: ucciso il marito. Roberta avrebbe ottenuto la casa per la cui proprietà lei e il marito stavano litigando, e 200.000 dollari di assicurazione.»
«Mary Kay Cassidy e il suo giovanissimo amante uccisero il marito di Mary Kay. Sebbene l'uomo avesse confidato ad amici il timore che la moglie tentasse di ucciderlo, sulla donna non furono fatte particolari indagini. Lei e il giovanissimo amante 'piansero' la morte del marito e per mesi continuarono la relazione, ottenendo tutta la comprensione e la simpatia degli abitanti di Monongahela, in Pennsylvania.
«Casualmente i parenti del marito, pulendo la casa, scoprirono un registratore collegato al telefono: sul nastro era incisa una conversazione tra Mary Kay e l'amante mentre stavano complottando per uccidere l'uomo. Evidentemente lui aveva cominciato a tenere sotto controllo il telefono soltanto alcune ore prima di essere ucciso, e non aveva neppure potuto ascoltare la conversazione. Soltanto quando fu messa a confronto con il nastro Mary Kay confessò.»
«Pamela Smart, un'insegnante del New Hampshire, convinse il giovanissimo amante a uccidere il marito. I due cercarono di coinvolgere nell'omicidio anche una ragazza. Quando quest'ultima consegnò alla polizia il nastro con la conversazione avuta con Pamela Smart, che stava preparando l'omicidio, la donna assunse un killer per ucciderla. Pamela non accusò mai il marito di violenze. II suo movente? Il marito era un agente delle assicurazioni. Eppure nessuno dei 500 articoli comparsi sui giornali citò come possibile movente il denaro dell' assicurazione.
«La reazione? Fu appoggiata da un club internazionale di fan chiamato Friends of Pamela Smart. Quando organizzarono una veglia davanti alla prigione in cui era rinchiusa, i funzionari le consentirono di rivolgersi a una folla di oltre 400 persone con un telefono collegato ad altoparlanti stereo.»
Personalmente non conosco nessun esempio di club di fan a favore di un uomo che ha ucciso una donna - soprattutto una donna che mai aveva commesso una violenza contro di lui.
Forse l'aspetto più spaventoso negli omicidi su commissione eseguiti da non professionisti è il ricorso, da parte di molte di queste donne, a ragazzi assai giovani - di solito poveri e sfortunati. Queste donne, oltre a commettere un omicidio, sono anche responsabili dello stupro psicologico di un ragazzo. Qualsiasi uomo adulto, se avesse assoldato una quindicenne per uccidere la moglie, sarebbe nella cella della morte, in attesa di esecuzione. Soprattutto se con quella ragazza avesse anche fatto del sesso.
Quando invece vengono assoldati dei killer di professione, le risorse economiche necessarie per pagare un professionista implicano un'appartenenza alla classe media. Le donne che assumono dei professionisti sono spesso donne della classe media che uccidono i mariti con il denaro guadagnato da questi ultimi. Per esempio, Constantina Branco ritirò dal conto in banca del marito la somma necessaria per assoldare un uomo che lo uccidesse.
La donna povera che cosa ha in comune con la donna della classe media? Tendenzialmente nessuna delle due uccide il marito il cui stipendio la protegge, a meno che l'ammontare dell'assicurazione non superi complessivamente lo stipendio degli ultimi anni. In sostanza, queste donne non uccidono la loro fonte di reddito, ma uccidono per crearsi un reddito.
L'omicidio su commissione offre uno spunto per analizzare a fondo la differenza tra lo stile femminile e lo stile maschile adottato per uccidere persone un tempo amate. L'uomo uccide di sua mano. La donna assume un altro uomo. In genere, quando un uomo ammazza una donna, lo fa in un accesso di collera. Egli «perde il controllo.» L'omicidio su commissione è premeditato. Quando un uomo ha premeditato un delitto, spesso uccide la moglie, i figli e poi se stesso. La donna di rado si uccide.
Capita qualche volta che degli uomini assoldino dei killer per uccidere delle donne? Capita, ma poi subentra qualche ostacolo. Il killer non se la sente di uccidere una donna e denuncia alla polizia l'uomo che l'ha assoldato per farlo! (Anche il killer pagato ha un istinto protettivo quando si tratta di una donna.) Pertanto, non è che gli uomini rifiutino del tutto di usare il metodo dell'omicidio su commissione, ma quando vi ricorrono quasi invariabilmente si ritorce contro di loro.

Se esistessero difese per soli uomini, come sarebbero?
Non esiste una difesa prettamente maschile per giustificare l'omicidio di una donna. Né deve esserci. Ma se ci fosse, l'equivalente maschile della «difesa al progesterone» delle donne sarebbe la «difesa al testosterone», l'equivalente della «difesa della donna innocente» sarebbe la «difesa dell'uomo razionale» - la concezione parimenti sessista che un uomo non commetterebbe un delitto se non avesse un motivo razionale per farlo; ci sarebbero difese per i padri, sindromi dell'uomo maltrattato, e speciali difese per gli oneri del ruolo maschile... per esempio, la «difesa delia guardia del corpo».
La difesa della guardia del corpo
Vi rammentate di quando il figlio di Marlon Brando, Christian, s'infuriò tanto con il ragazzo della sorellastra Cheyenne -schiaffeggiata e maltrattata - da prendere la rivoltella? Nel corpo a corpo che seguì, gli sparò e lo uccise. Disse che il colpo era partito accidentalmente.
Brando avrebbe potuto appellarsi alla «difesa della guardia del corpo»? Per quale motivo? Se una donna uccide un uomo che le ha fatto violenza e poi resta in libertà, perché mai un altro uomo non potrebbe uccidere un uomo che fa violenza a una donna e restare a sua volta in libertà?

Ecco come alle singole donne è dato più potere di uccidere che a tutto il governo degli Stati Uniti
Nel loro complesso, le dodici difese per sole donne permettono quasi a ogni donna di «eseguire una condanna a morte». Paradossalmente, consideriamo ora persino liberai favorire la donna che decreta la pena di morte e opporci al governo che ricorre alla pena capitale. Il governo non può assolutamente prima uccidere una persona e poi dichiararla colpevole di violenze: soltanto una donna può permetterselo... ai danni di un uomo. Ma forse è ancor più sorprendente il fatto che il rifiuto del giusto processo è detto «liberai» se è una donna che lo nega a un uomo, «totalitario» se qualcuno rifiuta il debito processo a una donna.
misterxy is offline  
Vecchio 31-05-2008, 15.35.53   #22
misterxy
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Riferimento: Violenza al maschile e al femminile

IL MITO DEL POTERE MASCHILE, di Warren Farrell.

Lo stupro coniugale

«In Australia, un marito e una moglie stavano facendo l'amore (o così pensava lui) quando lei gli disse di fermarsi. La mattina dopo chiamò la polizia e lo denunciò come stupratore, affermando che aveva impiegato trenta secondi per smetterla. Egli affermò di essersi fermato immediatamente. Fu condannato a quattro anni di carcere.»
Gli australiani reagirono celando, com'è tipico, le loro sensazioni (con barzellette e battute sullo «stupratore dei trenta secondi»), mentre le riviste femminili australiane continuarono a pubblicare articoli in cui si criticavano gli uomini per la loro paura di impegnarsi.
«Negli Stati Uniti, William Hetherington ha così formulato un appello per la riapertura del suo processo.
Mi chiamo William Hetherington. Sono un uomo accusato ingiustamente, dichiarato colpevole e condannato a quindici-trent'anni di detenzione per stupro coniugale. Chiedo solamente di avere la possibilità di essere debitamente ascoltato in tribunale...
Sono stato ingiustamente accusato e condannato per aver stuprato mia moglie, mentre si trattava di normali rapporti coniugali. Non ci fu ricorso alla forza o alla coercizione. Non ci furono lesioni di alcun tipo. La sua accusa è bastata a condannarmi e a mandarmi in galera.
Il movente dell'accusa di stupro era di guadagnare terreno nella causa di divorzio in corso e ottenere la custodia dei tre bambini. Nei tre mesi precedenti, quando mia moglie aveva abbandonato il tetto coniugale, me ne ero preso cura io.
Era la quarta volta che mia moglie mi accusava. Negli altri casi le accuse erano cadute.
Non ho potuto permettermi un avvocato o un investigatore scelti da me perché durante la causa di divorzio mia moglie ottenne il congelamento di tutti i miei beni. Il giudice del tribunale penale si rifiutò di nominare un avvocato difensore penalista per me, affermando che avevo dei beni, anche se non potevo usarli. Non ho mai avuto un appello perché devo essere ritenuto indigente per ottenere una copia degli atti.(La copia è necessaria per dimostrare le irregolarità del processo ed è pertanto indispensabile per ricorrere in appello.)
La mia vita è un incubo. Sono in prigione da quattro anni per il 'crimine' di aver avuto rapporti coniugali con mia moglie, dopo 16 anni di matrimonio, ed essere poi accusato di stupro.
Chiedo il diritto di avere un avvocato.
Chiedo di aver accesso ai miei beni per pagare le parcelle del mio legale.
Chiedo regolari visite dei miei figli.»
Ecco quanto nell'appello non era detto:
• La moglie di Hetherington aveva presentato le quattro accuse di stupro nel periodo in cui la coppia lottava per la custodia dei figli.
• La dinamica politica: la moglie di Hetherington voleva ritirare l'accusa, ma il pubblico ministero si era candidato per la rielezione e l'ACLU e i gruppi femministi esercitavano pressioni affinché l'uomo fosse condannato.
• Siccome Hetherington non aveva precedenti penali, le direttive statali raccomandavano una pena non superiore ai dieci anni. Il giudice condannò Hetherington a quindici-trenta anni.
Lo stupro coniugale, dopo migliaia di anni di matrimonio è diventato così un problema. Come è stato possibile? Le accuse di stupro coniugale sono frequenti là dove sono frequenti i divorzi, ovvero in paesi come l'Australia e il Canada. La legislazione sullo stupro coniugale fornisce alla donna un'arma potentissima. I mariti si rendono conto che l'accusa, nel caso diventi di pubblico dominio, può rovinargli la carriera. Nessun datore di lavoro vorrebbe mai leggere sui giornali: «Il Tal dei Tali è stato accusato di stupro.
Come abbiamo visto, tutti e due i sessi fanno del sesso anche quando non vogliono, persino al primo incontro. Ma ciò è soprattutto vero in un rapporto: i due sessi s'impegnano entrambi nel «sesso condiscendente». Ecco la differenza tra l'avere una relazione e non avere una relazione: tutte le buone relazioni richiedono che «si ceda», soprattutto se molto forte è il desiderio del partner. L'inchiesta di Ms. la definisce stupro; un consulente matrimoniale la definirebbe relazione.
La legislazione sullo stupro coniugale è un ricatto annunciato. Se un uomo sente il bisogno di chiedere il divorzio, la moglie può dirgli: «Provaci, e ti accuserò di stupro». La legislazione sullo stupro coniugale è peggio del governo-surrogato-del-marito: è come avere il governo in camera da letto.
misterxy is offline  
Vecchio 31-05-2008, 16.00.45   #23
misterxy
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IL MITO DEL POTERE MASCHILE, di Warren Farrell.

Non è il ruolo maschile che deve cambiare, visto che è l'uomo a stuprare?

Punto di vista prevalente. Negli incontri, il problema è costituito dal ruolo maschile, perché a violentare sono gli uomini e non le donne.
Il mio punto di vista. Il problema non è nei ruoli: i ruoli dei due sessi portano ai problemi dei due sessi - il problema della violenza per le donne e i problemi come il rifiuto, l'impari responsabilità, l'impostura e le menzogne dei primi incontri per gli uomini.
«Date rape»
Ecco come i ruoli maschile-femminile, e migliaia di anni di selezione sessuale, portano al problema del date rape per le donne. Il ruolo sociale:
• Rafforza nei ragazzi la dipendenza dal sesso con le ragazze, mentre mette in guardia le ragazze dal sesso con i ragazzi. A tutti dice che il sesso è sporco e pericoloso (herpes, AIDS) e poi...
• Dice ai ragazzi: «Sarete voi ad assumervi la responsabilità per queste 'porcherie'», il che fa sì che si diffidi dei ragazzi e si opponga loro un rifiuto.
• Invece di accettare a livello personale i rifiuti, un giovane impara a trasformare la donna in un oggetto sessuale: è meno doloroso essere rifiutati da un oggetto.
• L'oggettificazione la fa sentire alienata, il rifiuto lo fa sentire ferito, arrabbiato e impotente. Quando rifiuto e identità sessuale vanno di pari passo, seminiamo i semi della violenza, specie tra i ragazzi che non hanno nessuna fonte di potere. La violenza e l'oggettificazione rafforzano i presupposti iniziali: il sesso è sporco e pericoloso, e gli uomini non meritano fiducia.
Da tutto ciò consegue che un uomo viene rifiutato a livello sessuale finché non si dimostra degno di fiducia per «non aver corso dietro al sesso», ma viene sessualmente ignorato finché «corre dietro al sesso».
Notate bene che si tratta di un processo bisessuale, non unisex. Se vogliamo metter fine al date rape, dobbiamo anche metter fine alla «passività» delle donne. A questo punto, le donne conservano l'antica opzione di essere passive e prendere iniziative indirette, e intanto conquistano la nuova opzione di prendere inziative dirette. Non ci si aspetta comunque che siano le donne a cominciare. Né viene detto loro che c'è qualcosa che non va se non lo fanno. Così le donne conquistano opzioni nuove, ma senza nessuna aspettativa. Gli uomini conservano le antiche aspettative, ma senza opzioni nuove. Fatta eccezione per l'opzione della prigione se esercitano il loro vecchio ruolo in modo maldestro.
Se l'etichetta «stupro ai primi approcci» ha aiutato le donne a definire l'aspetto più traumatico di un incontro dal punto di vista femminile, gli uomini non possiedono etichette che li aiutino a definire gli aspetti più traumatici di un incontro dal loro punto di vista. Ovviamente, l'aspetto più traumatico è attualmente la possibilità di essere accusati di stupro da una donna con la quale pensavano di far l'amore. Se gli uomini volessero dare un nome agli aspetti peggiori del tradizionale ruolo maschile, potrebbero definirli «rapina», «rifiuto», «responsabilità», «impostura», «menzogne».
Rapina, rifiuto e responsabilità nei primi incontri
L'aspetto peggiore di un incontro dal punto di vista di parecchi uomini è quella sensazione di essere vittime di una rapina avallata dalle usanze: saranno loro a tirar fuori il portafogli, a dare il denaro a lei, e il tutto si chiamerà appuntamento sentimentale.
Per un giovane, gli incontri peggiori sono quelli in cui ha la sensazione di essere derubato e rifiutato. I ragazzi rischiano anche la morte per evitare un rifiuto (per esempio, entrando nell'esercito). Serate che costano denaro... e poi un rifiuto: ecco la versione maschile del date rape.
Molti cominciano a contestare l'aspettativa fuori discussione per cui gli uomini si devono assumere un'impari responsabilità per ricevere un impari rifiuto. Tuttora scoprono che, quando compare il conto, le donne scompaiono nella toilette. Gli uomini non hanno ancora spiegato al mondo quanto l'aspettativa che siano loro a pagare li spinge a mestieri e professioni che non amano ma che rendono di più, e che ciò provoca stress, infarti e suicidi. Sanno soltanto che le donne hanno la possibilità di chiedere e la possibilità di pagare, e che dagli uomini tuttora ci si aspetta che chiedano e che paghino.
Impostura e menzogne ai primi incontri
Se un uomo che ignora il «no» verbale di una donna si rende colpevole di stupro, allora una donna che dice «no» con il linguaggio verbale ma «sì» con il linguaggio del corpo si rende colpevole di impostura. E la donna che continua a mostrarsi pronta al sesso dopo aver detto «no» si rende colpevole di menzogne.
Le donne si comportano così? Secondo due femministe la risposta è affermativa. Circa il 40 per cento delle donne che studiano al college ha ammesso di aver detto «no» al sesso anche «quando intendevano dire sì». Anche nel mio lavoro con circa 150.000 persone tra uomini e donne - la metà circa single - la risposta è risultata positiva. Quasi tutte le single riconoscono di aver accettato di tornare nella camera di un ragazzo «solo per parlare», sensibili tuttavia già al primo bacio. E quasi tutte ammettono di aver di recente detto qualcosa di simile: «Ci stiamo spingendo troppo in là», mentre le labbra continuano a baciare.
Abbiamo dimenticato che quando non si parlava ancora di stupro e di impostura, sì diceva che era eccitante. Forse non a caso i romanzi rosa scritti dalle donne non si intitolano Si fermò quando dissi «no». S'intitolano Dolce amore selvaggio, con la donna che rifiuta la mano dell'amante gentile che la salva dallo stupratore e sposa l'uomo che ripetutamente e selvaggiamente la violenta. È proprio il tema del «matrimonio con il violentatore» che ha fatto di Dolce amore selvaggio un best seller. Ed è Rhett Butler, che porta sul letto la recalcitrante e urlante Rossella O'Hara, l'eroe delle donne - e non degli uomini - in Via col vento (il romanzo più venduto di tutti i tempi, alle donne). È importante che i «no» di una donna siano rispettati e che i «sì» di una donna siano rispettati. Ed è anche importante - quando i «sì» non verbali (le bocche ancora unite) sono in conflitto con i «no» verbali - che un uomo non sia messo in galera per aver ascoltato i «sì» e non i «no». Forse cercava soltanto di diventare la fantasia della sua donna. II pericolo è nel sottile confine tra fantasia e incubo.
Le differenze nelle esperienze dei due sessi sono talmente grandi a livello emotivo che si possono capire soltanto invertendo i ruoli: la donna invita l'uomo e scopre quali «no» dell'uomo significano «no» per sempre e quali «no» per la serata... e l'uomo si rende conto che effetto fa vedere che i propri «no» vengono ignorati.


http://www.warrenfarrell.com/

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P.S. Anch'io, al pari di Oberon, spero che il forum venga riattivato al più presto.
misterxy is offline  
Vecchio 01-06-2008, 11.29.14   #24
misterxy
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Riferimento: Violenza al maschile e al femminile

Questo, invece, è uno degli innumerevoli articoli di stampo femminista in cui si vuol far passare l'idea che la quasi totalità delle donne venga regolarmente picchiata e violentata dai propri compagni. Se così fosse in circolazione dovremmo vedere una infinità di donne con nasi rotti, occhi tumefatti, braccia spezzate e gambe rotte. Tra l'altro, "chissà perché, nessuna femminista evidenzia mai la violenza al femminile, che, per ovvi motivi, è soprattutto psicologica-verbale-emotiva; ma anche fisica, specie verso i minori.
Ad esempio, secondo il Ministero della Giustizia degli USA, il 70% dei casi di abuso infantile accertato e il 65% degli omicidi genitoriali a danno dei figli, vengono commessi dalle madri, non dai padri. Secondo poi i dati del Ministero della Sanità americano (elaborati tenendo conto del maggior numero di madri "singole" rispetto ai padri), la madre incaricata della custodia del bambino ha il quintuplo di probabilità di uccidere il bambino di quante ne abbia il padre affidatario. Nell'insieme i bambini statunitensi hanno l'88% delle probabilità in più di essere seriamente danneggiati per abuso o abbandono dalle loro madri che dai padri.
Certo, mi rendo conto che scrivere cose del genere in un Paese mammista come l'Italia può apparire scandaloso, giacché è notorio che dalle nostre parti "la mamma è sempre la mamma" e pertanto se lei uccide un figlio è "perché è sicuramente malata e depressa", mentre se lo uccide un padre è "perché è sicuramente violento e malvagio". Della serie: due pesi e due misure.

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Secondo l´Istat nel 92,5% dei casi le donne non denunciano
Tre milioni di vittime tra vergogna e silenzio

CINZIA SASSO
Sono quasi tre milioni in Italia le donne che hanno subito violenze in famiglia. Donne che hanno studiato, che hanno un lavoro, che hanno figli, genitori, amici: non emarginate, povere, disperate. Donne che al mattino vanno in ufficio e al pomeriggio accompagnano i bambini ai giardini, le maniche lunghe a nascondere i lividi, il sorriso stampato per forza. Donne che nel silenzio hanno subito stupri nel letto coniugale, botte, minacce, ma anche violenza più sottile: la firma negata sul conto, i soldi con il contagocce, le offese, l´annullamento della personalità «sei uno zero, non sai fare nulla». Donne che - spiega l´Istat - nel 92, 5 per cento dei casi non denunciano quello che accade; che se chiedono giustizia alla fine l´ottengono solo nell´1 per cento dei casi e che forse anche per questo nel 33,9 per cento subiscono in silenzio, senza parlarne neppure con i familiari; che nell´80 per cento pensano che la violenza subita dal partner non sia un reato; che per il 44, 5 si sentono solo impotenti. Donne che non hanno paura ad uscire di casa, ma che la sera, dopo il lavoro, hanno il terrore a rientrarci. Donne invisibili, vittime di uomini al di sopra di ogni sospetto.
Carla è una di loro. Ha 42 anni, una laurea triennale, un lavoro da insegnante, due figli.

Racconta: «La prima volta che mi ha picchiata avevamo parlato di un amico comune. Lui diceva che facevo la sciantosa. Mi ha trascinata giù dalla macchina tirandomi per i capelli, mi ha spinta su in casa, mi ha sbattuta davanti allo specchio. Ecco, guardala, la vedi la tua bella faccia, diceva. Io adesso te la rovino». Carla dice che non si ricorda quanto è passato: ricorda solo i calci, i pugni alla pancia, le sberle. Non ricorda le lacrime: «No, non so nemmeno se ho pianto. È che quando succede sei così annichilita che resti paralizzata, hai talmente tanta paura che accada qualcosa di peggio che tenti solo di limitare i danni». Poi lui ha finito. E si è seduto davanti alla televisione.
Carla e le altre. Quasi il ritratto in carne ed ossa di quello che statistiche raccontano coi numeri: aveva un uomo che ha amato più di se stessa, vivevano insieme in una bella casa; lui faceva l´imprenditore, era un tipo seducente, intelligente, generoso. Capitava che dopo i pestaggi le recapitasse in ufficio dei fiori e un biglietto «sai che sei l´unica donna per me». Il censimento dell´Istat fotografa proprio questo, la violenza domestica, ed ha portato alla luce una realtà che si nasconde dietro le mura protette di casa. Di quel lavoro Linda Laura Sabbadini, direttore generale, ha parlato anche all´Onu: perché l´Italia, in quanto a ricerca, su questo terreno è più avanti di tutti gli altri Paesi. Dice: «È un´indagine difficilissima perché va a rompere un impenetrabile muro di silenzio. L´immagine che passa è che il pericolo venga dal branco, dal bruto che incontri per caso, invece il 69 per cento degli stupri sono opera del partner, avvengono dentro il luogo più "sicuro", quello della "pace" domestica». Laura Da Rui è un avvocato: «I media danno un´eco spropositata a quello che succede per strada e chiudono gli occhi sul dentro. Su duecento casi di violenza che ho seguito, solo quindici sono avvenuti fuori, tutti gli altri in casa. E avvengono in una solitudine pazzesca: sono fatti privati, non li riconoscono i parenti, i vicini, gli amici. Ecco perché i pacchetti sicurezza non servono a niente: perché torni a casa e il problema lo hai lì, dove il maltrattamento è mischiato all´amore, dove il groviglio dei sentimenti rende tutto più opaco e ancora più terribile». Ancora Carla: «Bastava poco. Stupidaggini. Tipo che io metto un pizzico di zucchero nel sugo di pomodoro e lui si arrabbiava, cretina, "non sai fare niente", mi urlava. O una volta che ho tirato fuori dal freezer il pezzo di carne sbagliata: mi ha lanciato addosso una bottiglia, "tu non hai il cervello, adesso la paghi". Via via ho cominciato a vivere con la paura. E più tu hai paura, più lui ha potere. Avevo sempre le antenne, stavo in guardia, mi sentivo sul filo, in qualsiasi momento poteva scattare la furia».
Dappertutto, negli ultimi anni, sono nati dei centri anti-violenza. Solo in Lombardia sono quindici, ma ce ne sono dal Friuli alla Sardegna. Alcuni hanno nomi fantasiosi: «Iotunoivoi», «Zero tolerance», «Centro Lilith». Il primo è stato, a Milano, nell´´88, la Casa delle Donne maltrattate; da allora ha seguito 20mila casi. E vent´anni dopo Marisa Guarneri, la fondatrice, non si dà pace: «È ancora sbagliato l´approccio: ci si chiede perché le donne accettano di essere picchiate, ma bisognerebbe chiedersi perché gli uomini hanno bisogno di picchiare. Da noi passa un mondo assolutamente trasversale. E quando le donne sono autonome, quando hanno un lavoro e possono allontanarsi, allora gli uomini sono più incazzati e diventano più cattivi». Uomini che Guarneri chiama «gli insospettabili». Quelli che «all´esterno sembra che sia tutto normale, ma la normalità accade che sia questa: soprusi, distruzione della personalità. La violenza in famiglia ha tante facce e il dramma è che non suscita clamore. Sui giornali finisce solo il caso di quella ammazzata».
Tutto è un problema. Per Carla anche il successo sul lavoro: «Mi diceva, per forza sei brava, basta che mostri le tette». E i figli: «Hai cresciuto dei selvaggi, sei una madre di merda». La seconda volta, per lei, le botte arrivano in macchina: «Trenta chilometri di pestaggio, non mi ricordo nemmeno il perché. Poi mi ha detto sistemati, che andiamo a prendere l´aperitivo. La terza è perché non avevo dato da mangiare ai cani. E lui: "ma perché devo massacrarti?" Era in mutande, aveva appena fatto la doccia, mi aveva appena detto che aveva fatto sesso da solo. Bastarda, sei una porca, ti mangio le budella, perché mi costringi a fare così? Io in un angolo, e lui calci, pugni, schiaffoni. Quella è stata anche l´ultima volta». Storie così arrivano ogni giorno a Cerchi d´acqua, una cooperativa sociale fondata da Daniela Lagormasini che accoglie tra le 6 e le 700 donne l´anno: «Il primo stereotipo da confutare è che questa condizione riguardi solo le emarginate, quelle povere e ignoranti. Si parla tanto di salvaguardia della famiglia, ma quello che vedo dal mio osservatorio è che spesso nella famiglia c´è la cultura della prevaricazione, del non rispetto dell´altra». I numeri confermano le sue parole: quasi il 20 per cento delle vittime sono laureate; il 17, 3 ha un diploma superiore; il 23, 5 per cento è fatto di dirigenti, libere professioniste, imprenditrici.
Guarneri, sconvolta dalle reazioni di «punizione etnica» sollevate dai clamorosi casi di cronaca recente, ha lanciato un appello agli uomini: «Sono abituata a vedere giovani donne diventare il capro espiatorio dei problemi della propria famiglia, abusate in silenzio. E intanto si parla di esercito nelle città. E mi chiedo: dove sono gli uomini contro la violenza? Perché non mettono alla gogna tutti gli uomini che terrorizzano, umiliano, perseguitano, donne colpevoli solo di cercare la propria libertà?». Uomini che stanno nelle nostre comode case più spesso che nelle roulotte.
C´è stata, ricorda Alessandra Kustermann, ginecologa, fondatrice di SVD, soccorso violenza domestica della Mangiagalli, una campagna di pubblicità progresso che era perfetta: «Quella donna piena di lividi, che diceva "è stato un tappo di champagne". Ecco, quella è la realtà quotidiana. Quella familiare è la violenza più infida perché viene pervicacemente negata, anche a se stesse. Tante di quelle che finiscono qui arrivano a pensare: se mi picchia perché è geloso, allora mi ama. E per rendersi conto hanno bisogno di anni». Carla, a capire, ci ha messo tre anni: «Resta l´uomo che ho amato di più al mondo. Ma è l´uomo che ha rischiato di distruggermi. Adesso, solo adesso che ho avuto il coraggio di uscirne, mi sento di nuovo una persona».
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