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Vecchio 16-06-2013, 11.19.13   #61
paul11
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Data registrazione: 17-12-2011
Messaggi: 899
Riferimento: Suicidio, extrema ratio o languore?

Mi viene in mente….l’ilomorfismo, la filogenesi e l’ontogenesi.
Il rapporto fra osservato/osservatore e atto dell’osservare nno rientra più in una dualità da cui culturalmente deriviamo, da quando la forma(essenza) fu divisa dalla realtà. Il meccanicismo allora indagò la materia , ma non poteva più con lo stesso modo con lo stesso approccio indagare la forma e di questo se ne’accorsero i pensatori..
A quel punto la divisione fra forma (mente) e realtà che con l’ilomorfismo già ai tempi di Aristotele era stata discussa come unione di forma e materia che porterà a discutere fra le altre cose anche dell’anima fino all’averroismo, alla Scolastica al tomismo, diventa almeno nel pensiero di alcuni nella contemporaneità non più divisione di “categorie” , ma unione in un processo.Perché prima era staticità oggi è relazione in termini di “movimento”
Una parte della realtà crea un evento , ma è la mio filogenesi intendendola come mia storia genetica e la mia ontogenesi intendendola come mia storia personale(identificativa) nel mondo, il mio esistere nel mondo, a osservare l’evento, ma senza il mio osservare quel processo non esiste, è il mondo che mi comunica e mi informa e senza di me quell’evento non esiste, e a mia volta per comunicarlo costruisco i linguaggio ,come codice relazionato.Solo intendendolo come processo e non più come divisione categoriale alla base posso unire il mio mondo al mondo e in quanto tale la comunicazione di ciò che informa di me al mondo e viceversa diventa il”focus”.
Forse, per tornare all’argomento del topic, è proprio lo iato, la contraddizione, il collasso comunicativo fra me e il mondo che ovviamente si ripercuote nel mio “sentire”, nel mio darmi un“senso”, a portare all’estremo gesto perché si ripercuote nella mia ontogenesi in quello che io ho costruito e informato del mondo e viceversa e che è dentro di me.
Ma allora ancor più quel perimetro, quel limite di orizzonte di cui una cultura rappresenta un mondo diventa condizione della mia ontogenesi,del mio stesso limite di essere nel mondo.
Perché è dentro in quella stessa cultura che costituisce l’eredità della mia ontogenesi e la mia filogenesi per certi aspetti, che a mia volta costruisco il rapporto la relazione per processo, per movimento, fra me e il mondo.
paul11 is offline  
Vecchio 18-06-2013, 08.17.48   #62
CVC
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Messaggi: 747
Riferimento: Suicidio, extrema ratio o languore?

Citazione:
Originalmente inviato da gyta
Brevemente..

Il termine <programma/re> di ispirazione cibernetica lo trovo fuorviante
(e per certi versi pure pericoloso) quando parliamo della mente umana.
L'evoluzione informatica ha portato alcune branche della psicologia a servirsi del paradigma del computer per studiare la mente umana. Non va preso ovviamente alla lettera, ne si deve perdere di vista la diversità fra cervello elettronico e cervello umano.
Nella metafora fra uomo e computer le abitudini, i comportamenti assimilati, possono essere paragonati ai programmi degli elaboratori.


Citazione:
Non comprendo come ci possano essere due differenti visioni dall’interno all’esterno e viceversa, essendo la medesima persona a vedere attraverso la propria mente-esperienza. Posso comprendere se mi dici che in ognuno di noi coesistono differenti possibilità nel valutare come rispondere alle circostanze ma il sentire è unitario, ciò che proviamo se ci ascoltiamo senza ipocrisie è unitario. La differenza è frutto di calcolo prospettico non di naturalezza di ciò che siamo interiormente (la nostra maturità interiore, la nostra comprensione interiore, la nostra visione interiore, il nostro sentire interiore autentico ).
Ciò che rimane uguale è la percezione della nostra identità, nel senso che abbiamo una serie di ricordi dell'io che inseriamo in una medesima categoria.
Mi pare evidente che esiste una differenza fra senso esterno e senso interno. Il primo ha connotazioni spaziali-quantitative (un suono più o meno basso o acuto, una immagine più o meno grande, una sensazione di caldo o freddo, ecc.), il senso interno ha connotazioni psicologiche che stanno al di fuori dello spazio. La psicologia distingue fra l'io che riflette e l'io che osserva, il fatto è che non possiamo fare le due cose contemporaneamente, dobbiamo dividerci. Ciò che ci mantiene uniti è quell'inserire tutta una serie di ricordi di noi stessi in uno scompartimento unico.
Almeno credo sia così

Citazione:
Il sentire muta quando muta la qualità dell’ascolto alle voci interiori. Allora la nebbia delle visioni limitate
man mano può diradarsi lasciando spazio ad una visione più profonda accompagnata da un sentire corrispondente.
Non so a cosa ti riferisci precisamente con "voci interiori". Se intendi la coscienza, non credo dipenda tanto dalla qualità dell'ascolto, essa riflette ciò che facciamo. E' buona coscienza quando si compiace delle nostre azioni, è cattiva quando è in disaccordo, quando i nostri pensieri e le nostre azioni sono in contrasto fra loro.
Citazione:
La passione, a mio avviso, non è moto passivo frutto dell’irrazionalità
ma risposta naturale al nostro porci non passivo ma creativo verso la vita.
La passione in un certo senso si impara attraverso il coltivare una linea diretta al sentire profondo.
Per come la vedo io la passione è un sentimento passivo che spinge l'essere umano al di fuori della sua possibilità di controllo delle cose. La passione è qualcosa di travolgente che una volta raggiunto il culmine, inibisce ogni possibilità di controllo razionale su di essa.
Per questo, credo, bisogna riflettere costantemente su ciò che bene e su ciò che è male, perchè esistono vortici cui non bisogna avvicinarsi, cose che "sono sotto il nostro controllo all'inizio, ma poi la loro forza ci sottrae il seguito, impedendoci un ripensamento"

Citazione:
La violenza, sempre a mio avviso, è risposta ad un senso profondo di impotenza,
frutto della mancanza di ascolto profondo al nostro essere.
Alcune ricerche scientifiche sembrano avere individuato la causa del comportamento violento nella mancanza di empatia

Ultima modifica di CVC : 18-06-2013 alle ore 10.00.15.
CVC is offline  
Vecchio 18-06-2013, 08.20.30   #63
CVC
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Data registrazione: 30-01-2011
Messaggi: 747
Riferimento: Suicidio, extrema ratio o languore?

Citazione:
Originalmente inviato da paul11
Forse, per tornare all’argomento del topic, è proprio lo iato, la contraddizione, il collasso comunicativo fra me e il mondo che ovviamente si ripercuote nel mio “sentire”, nel mio darmi un“senso”, a portare all’estremo gesto perché si ripercuote nella mia ontogenesi in quello che io ho costruito e informato del mondo e viceversa e che è dentro di me.

Forse è semplicemente il cedere alla suggestione data dal senso di potenza che deriva dalla forza della disperazione. Nel contesto di uno stile di vita dove il concetto di morale è sempre ambiguo e polivalente, dove il senso comune riguardo all'etica è sempre più minato da individualismi e interpretazioni di comodo, non si riesce più a distinguere fra ciò che è desiderabile e ciò che è da evitare.
In questo contesto di debolezza spirituale, l'illusione di sicurezza che è data dalla forza della disperazione sembra la soluzione di tutti i mali, si cerca un gesto estremo ed eclatante per dare un senso a ciò che pare incomprensibile. Ma l'incomprensibile si presenta tale perchè manca il discernimento, perchè i distruttori della morale e agitatori dell'inconscio hanno liberato le forze dionisiache, che ci danno un compiacimento estetico dell'esistenza solo in presenza di esperienze spericolate e dissennate. Papa Francesco dice che siamo di fronte ad una nuova Babele.
Il nostro desiderio estetico è sempre più spinto verso il compiacimento pulsionale e disordinato. La liberazione dai freni inibitori, caldeggiata dalla religione psicoanalitica, ci mette nell'impossibilità di sopprimere gli impulsi più primitivi e selvaggi.
Questo gusto del selvaggio, reso evidente dalla passione per piercing, tatuaggi, jeans strappati, film violenti, influenza poi la nostra morale. Perchè, credo, la morale esige anch'essa soddisfare un certo gusto estetico. Così, provando un piacere estetico per talune cose, si finisce per influenzare in tale direzione anche il nostro concetto morale. La passione estetica per ciò che è selvaggio conduce a istinti selvaggi. Ma in fondo a noi che importa? L'importante è far girare l'economia, quindi qualsiasi cosa va bene purchè si venda, siamo atei ma adoriamo il Dio mercato.
CVC is offline  
Vecchio 18-06-2013, 11.26.43   #64
Soren
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Riferimento: Suicidio, extrema ratio o languore?

Citazione:
Forse, per tornare all’argomento del topic, è proprio lo iato, la contraddizione, il collasso comunicativo fra me e il mondo che ovviamente si ripercuote nel mio “sentire”, nel mio darmi un“senso”, a portare all’estremo gesto perché si ripercuote nella mia ontogenesi in quello che io ho costruito e informato del mondo e viceversa e che è dentro di me.
Ma allora ancor più quel perimetro, quel limite di orizzonte di cui una cultura rappresenta un mondo diventa condizione della mia ontogenesi,del mio stesso limite di essere nel mondo.

Ritornando a ciò che si era detto sulla discussione se è più importante il senso della vita o la vita stessa... Il collasso di cui parli è certamente avvenuto da un secolo e mezzo buono, da quando ci si è ammassati in città per prosperare come formiche: Nessuno ha più il suo "mondo" se non nella fantasia, non esiste più una terra privata su cui esercitare il proprio potere/proprietà: la rimozione della proprietà "spaziale" per dedicarsi ad una eminentemente economica priva la vita di un aspetto reale di base, la concezione di territorio, spazio proprio su cui esercitare controllo, in un certo senso "diritto di scelta", cioè in quello che non abbiamo altri che noi stessi a cui rendere conto delle nostre azioni al suo interno ( concetto estendibile anche alla famiglia, all'interno del quale l'io è/dovrebbe essere condiviso, almeno nelle proprietà ): Ora le nostre azioni fanno sempre capo a qualcuno, l'emancipazione totale, l'indipendenza è quasi impossibile, apparte per qualche fortunato libero professionista magari... Insomma l'appartenenza ad un territorio o ad una cultura si è fatta sempre più passiva, non è più un vivere e venire vissuti ma un semplice lasciarsi consumare: l'agire soggettivo deriva nella mera spinta d'inerzia del sistema in cui poggia e che in questo modo lo porta inevitabilmente alla deriva da sé stesso. Ritraggo questo "paesaggio" perché anche se nel farlo sono forse troppo pessimista e la situazione non è del tutto così, ma ancora l'interazione tra sistema ed individuo è attiva, trovo che il trend generale spinga in questa direzione, per cui chi non agisce secondo istinto, come dice cvc
Citazione:
cede alla suggestione data dal senso di potenza che deriva dalla forza della disperazione. Nel contesto di uno stile di vita dove il concetto di morale è sempre ambiguo e polivalente, dove il senso comune riguardo all'etica è sempre più minato da individualismi e interpretazioni di comodo, non si riesce più a distinguere fra ciò che è desiderabile e ciò che è da evitare
( l'ho adattato un po' ) insomma è portato poi non incanalando questi stimoli di controllo "territoriale", che metto tra parentesi perché trovo sia espandibile al proprio intero spaziotempo vitale, a farli implodere, perché la loro espressione all'esterno è inammissibile se non che direzionandoli verso sé stessi: istinti che di primo respiro magari avrebbero potuto tradursi in un azione non aggressiva-non violenta se fosse stato - non tanto possibile perché secondo me lo è - quanto ammissibile sfogarli, fuorviandosi dai binari della società, tornando al tempo naturale, un sistema animato da un tempo unitario anziché da milioni diversi. è martoriare il proprio tempo rapportandolo per cui comprimendolo o tirandolo secondo i canoni di diversi altri che sono liberi di esercitare il loro controllo lasciandoci poca libertà di scelta che rende impossibile la vita: tempi che in quanto non sono stati scelti dall'individuo non possono essere sentiti come propri. In fondo la questione si gioca nella dimensione soggettiva del "ho scelto io questo, o questo ha scelto me ?" che rimane una percezione, ed in realtà a mio parere sempre un gioco a due, per quanto mi pare ultimamente si tenda ad arrendersi a fare il gioco del sistema di cui si fa parte senza attivarsi per adattarlo al proprio sé, per non dovere schierarsi. Non è questa resa del sé che nel lungo tempo genera la disperazione, alla sensazione di perdita irrimediabile, perché è proprio alla lotta che si è rinunciato ? del resto questa resa non sarebbe problematica se il rapporto col sistema venisse vissuto in modo non conflittuale, cioè se non fosse di tipo economico ovvero competitivo. Alla fine mi pare di tornare sempre al punto di partenza nella mia comprensione del problema: Si fa finta di integrare gli individui quando in realtà li si mette tutti l'uno contro l'altro, senza però avvertirli: quando la natura dello scontro si fa poi inevitabile; si reprime l'istinto aggressivo pensando che così si matureranno percorsi migliori per tutti, ma alla fine la natura competitiva della società ci fa rendere conto che senza quell'istinto la relazione è assolutamente unidirezionale. Per cui ognuno deve trovare una propria regola per integrarlo, e chi non ce la fa soccombe. La questione posta da CVC sull'istinto mi parrebbe ragionevole se s'intendesse quello di predominio: ma credo che quando si parla di suicidio, il problema riguarda quello di sopravvivenza, di libertà, di avere un proprio spazio all'interno del quale poterla esercitare. Senza l'integrazione dell'aggressività mi pare che questo spazio finisca in pasto a chi ha effettuato con successo questa integrazione. Una norma amorale che però è implicita nell'economia ( e di conseguenza in tutta la strutturazione di una società basata sul capitalismo ).
Soren is offline  
Vecchio 22-08-2013, 23.22.51   #65
Parva
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Riferimento: Suicidio, extrema ratio o languore?

Citazione:
Originalmente inviato da CVC
Credo sia di estrema attualità il tema del suicidio, soprattutto perchè a fronte dell'incredibile numero di persone che si tolgono la vita in conseguenza a rovesci finanziari, io non ho sentito, non se so per mia sordità, alcuna presa di posizione dell'opinione pubblica. Viste le dimensioni che sta assumendo il fenomeno forse ci si sarebbe potuta attendere una certa esortazione alla riflessione da parte di qualche figura istituzionale, invece niente. Ne il presidente della repubblica, ne la chiesa e nemmeno un qualche santone dei talk show
Ma aldilà del gelo dell'indifferenza con cui è accolta questa realtà, come giudichiamo moralmente il suicidio?
Personalmente ritengo che se è comprensibile che una persona condannata da una malattia terminale o tenuta in vita artificialmente abbia il diritto di dire basta, non credo invece che i problemi economici, per quanto possano essere gravi o avvilenti, debbano determinare un tale gesto.
Spesso mi chiedo come mai tanta gente che ha vissuto periodi difficili, come la guerra ed il dopoguerra, abbia trovato sempre la forza di andare avanti e si sia fatta forza di fronte alle difficoltà, mentre oggi la povertà appare un male intollerabile, tanto che le viene preferita la morte.
Forse si è diffusa, nella società dei nostri tempi, l'idea che la povertà sia una malattia, e non una condizione che possa avere anche dei risvolti positivi. Basti pensare agli asceti, che scelgono volutamente la povertà perchè per loro è condizione per una vita spiritualmente migliore.
Questo papa mi sembra che abbia dato segnali incoraggianti in questo senso, ma riguardo alla questione dei suicidi mi sarei aspettato una presa di posizione più perentoria da parte della chiesa.
Credo sia il momento di restituire un pò di dignità alla condizione della povertà, che da molti è stata considerata la cura per un animo tranquillo.
Forse dovrebbe tornare in voga qualche antica usanza, come quella di vivere ogni tanto qualche giornata da poveri, così da non temere quella condizione conosciuta in precedenza.

Per capire il suicidio per ragioni finanziarie dovresti pensare che domani ti tolgono la casa e andrai a dormire sotto i ponti, dove una notte al freddo ti rovina, dovresti aggiungerci nessuna speranza di trovare lavoro e sai che morirai così di inedia e disperazione. Se poi hai dei figli che devi sbattere in mezzo a una strada è ancora peggio.

Certamente c'entra molto quanto ti sei rafforzato dentro, perchè una mente libera in genere sa prevedere le cose e sa trovare alternative. Ma quante menti libere esistono?

Non è paragonabile alla situazione della guerra, lì la miseria era comune e la gente si aiutava, perchè il nemico era fuori, per cui il calore umano circolava ed è tanto per l'umore. Poi c'era la speranza che finita la guerra sarebbe iniziata un'Italia migliore, pia illusione. Chi va al potere è spesso una mente che manca dell'anima e deve riempirsi di tutto per sentirsi esistere, dai soldi al sesso al gioco d'azzardo...

giudichiamo quando non capiamo..
Parva is offline  

 



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