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Vecchio 13-07-2014, 19.26.41   #1
maral
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Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana

Esprimo qui un dubbio che vorrei proporre alla vostra competente riflessione, indipendentemente dalla vostra posizione su Severino, ma accettandone i presupposti base che sono 1) la valenza assoluta dei principi di identità e di non contraddizione implicanti l’eternità dell’ente come totalità e 2) il suo darsi fenomenologico che necessariamente sempre rimanda l'apparire di questa totalità.
Il punto su cui invece invito a riflettere è legato al significato della fenomenologia dell’ente che mi sembra ambiguo.
Consideriamo il famoso legno dell’esempio di Severino che al mattino è nel bosco(A) e alla sera, dopo essere stato raccolto arde nel camino(B) e diventa cenere(C). Severino ci dice che questo divenire è per logica impossibile e sono d’accordo (assumetelo anche voi per favore), (A), (B) e (C) non possono essere e che (A), (B) e (C) ossia 3 enti a sé stanti apparentemente legati da una assunzione astratta che consiste nella loro parte comune presa falsamente in termini definitori per poter parlare di una successione diveniente. L’obiezione che mi sento di porre è però che anche l’ente (A) o (B) o (C) è una successione astratta di enti, per ogni infinitesimo istante abbiamo infatti un ente diverso ed eterno di cui (A), (B) e (C) non sono che momenti astrattamente presi (cos'è infatti un legno nel bosco, quando in quel bosco ogni attimo il legno si trova a essere diverso?), ma allora dove è l’ente di questo infinitesimo istante, l’unico per Severino effettivamente concreto? Non rischia di essere ancora una volta ridotto a un assurdo essere nulla di un nulla istantaneo?
C’è invece forse una soluzione diversa che a mio avviso trapela dal secondo Severino (quello della Gloria e di Oltrepassare) i cui l’ente non risiede nella totalità eterna di un infinitesimo istante dell’apparire, ma è tutto il suo apparire che mano a mano si dispiega passando da un istante all’altro e da un cerchio dell'apparire all’altro, l’ente è quindi una storia fenomenologica infinita il cui compimento è nel principio di identità logica che ne sta all’origine. A questo punto però non è più vero il legno (A) che non è (B) che non è (C), ma è vero che (A), (B) e (C) (e tutto quello che succederà a (C), ossia alla cenere, e tutto quello che ha preceduto (A)) sono l'unico vero ente rappresentato fenomenologicamente da una narrazione infinita che continuamente si oltrepassa di cerchio in cerchio. Ma allora l’essere questo legno è essere questa storia che continuamente oltrepassa ogni singolo istante, l’essere questo legno è anche apparire come cenere di questo legno e come ciò a cui la cenere darà luogo in altri cerchi dell’apparire a questo fenomenologicamente inaccessibili.

Alla luce dei presupposti 1) e 2) che vi ho indicato e che vi chiedo di non mettere qui in discussione rispettando l’impianto teoretico severiniano come riferimento vi chiedo, su un piano squisitamente logico, quale delle 2 costruzioni dell’ente vi pare ad essi più coerente e positivamente significativa e ovviamente perché.

Scusate la verbosità, ma mi sembrava necessaria per chiarezza
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Vecchio 14-07-2014, 23.02.15   #2
green&grey pocket
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana

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Esprimo qui un dubbio che vorrei proporre alla vostra competente riflessione, indipendentemente dalla vostra posizione su Severino, ma accettandone i presupposti base che sono 1) la valenza assoluta dei principi di identità e di non contraddizione implicanti l’eternità dell’ente come totalità e 2) il suo darsi fenomenologico che necessariamente sempre rimanda l'apparire di questa totalità.
Il punto su cui invece invito a riflettere è legato al significato della fenomenologia dell’ente che mi sembra ambiguo.
Consideriamo il famoso legno dell’esempio di Severino che al mattino è nel bosco(A) e alla sera, dopo essere stato raccolto arde nel camino(B) e diventa cenere(C). Severino ci dice che questo divenire è per logica impossibile e sono d’accordo (assumetelo anche voi per favore), (A), (B) e (C) non possono essere e che (A), (B) e (C) ossia 3 enti a sé stanti apparentemente legati da una assunzione astratta che consiste nella loro parte comune presa falsamente in termini definitori per poter parlare di una successione diveniente. L’obiezione che mi sento di porre è però che anche l’ente (A) o (B) o (C) è una successione astratta di enti, per ogni infinitesimo istante abbiamo infatti un ente diverso ed eterno di cui (A), (B) e (C) non sono che momenti astrattamente presi (cos'è infatti un legno nel bosco, quando in quel bosco ogni attimo il legno si trova a essere diverso?), ma allora dove è l’ente di questo infinitesimo istante, l’unico per Severino effettivamente concreto? Non rischia di essere ancora una volta ridotto a un assurdo essere nulla di un nulla istantaneo?
C’è invece forse una soluzione diversa che a mio avviso trapela dal secondo Severino (quello della Gloria e di Oltrepassare) i cui l’ente non risiede nella totalità eterna di un infinitesimo istante dell’apparire, ma è tutto il suo apparire che mano a mano si dispiega passando da un istante all’altro e da un cerchio dell'apparire all’altro, l’ente è quindi una storia fenomenologica infinita il cui compimento è nel principio di identità logica che ne sta all’origine. A questo punto però non è più vero il legno (A) che non è (B) che non è (C), ma è vero che (A), (B) e (C) (e tutto quello che succederà a (C), ossia alla cenere, e tutto quello che ha preceduto (A)) sono l'unico vero ente rappresentato fenomenologicamente da una narrazione infinita che continuamente si oltrepassa di cerchio in cerchio. Ma allora l’essere questo legno è essere questa storia che continuamente oltrepassa ogni singolo istante, l’essere questo legno è anche apparire come cenere di questo legno e come ciò a cui la cenere darà luogo in altri cerchi dell’apparire a questo fenomenologicamente inaccessibili.

Alla luce dei presupposti 1) e 2) che vi ho indicato e che vi chiedo di non mettere qui in discussione rispettando l’impianto teoretico severiniano come riferimento vi chiedo, su un piano squisitamente logico, quale delle 2 costruzioni dell’ente vi pare ad essi più coerente e positivamente significativa e ovviamente perché.

Scusate la verbosità, ma mi sembrava necessaria per chiarezza

Recentemente ascoltando Severino che spiegava Heidegger, ho cambiato idea su quale solco egli si ponga.
Dando per scontato che non è un neo-parmeneideo, credo non si possa assumere nemmeno come post-hegeliano.
Credo appunto che invece sia sulla stessa onda di Heidegger, ma portando, il discorso del tedesco alla sua ultima istanza: istanza formale è vero, già detto mille volte, ma nello stesso tempo che con la tradizione formalista non ha nulla a che fare.
E' ovvio c'è un aporia immensa nel PNDC, come fa ad esistere a se stante?

Eravamo rimasti alla descrizione della contraddizione c, come l'eterno apparire degli infiniti A,B,C,D del legno.

Quello che rimane da indagare è il rapporto di questa apparire con la totalità.

Mentre per Hegel l'apparire, non è un apparire ma una realtà, colta per intuito abduttivo a partire dall'esistenza dell'intelletto, che prevede una Ragione Storica, per Severino la Storia è esattamente il problema.

La Storia è il sottosuolo dell'occidente che si rivela come Pazzia.

La Pazzia consiste nella trasformazione, che non può che essere illusione.
(pena la non esistenza del PNDC).

Per Heidegger non siamo tanto lontani: anche per lui l'apparire è storia, e come storia è tecnica, e la tecnica è il male.
Ma per il tedesco noi non possiamo superare la dimensione evenenziale in cui l'essente che partecipa dell'Ente originario, e che appare solo come qui e ora.
(non si da altro evento).(solo un dio ci può salvare)

Non lo conosco il secondo Severino Maral, ovviamente tutti parlano sempre del primo, che è piuttosto ostico.

Provo quindi a ripensare la domanda da te fatta, probabilmente non l'ho capita:

1) Se esiste un A e un B del legno, qui e ora, quel qui e ora sarebbe infinitesimamente un nulla.
Beh ma infatti per Severino lo stesso apparire di per sè è una illusione, non credo farebbe fatica a distinguere questo insieme vuoto, come un ennesimo prodotto della funzione (o eccezione c) originaria.
L'insieme vuoto come apparizione a questo punto sarebbe il codominio del suo contrario, ossia la totalità.
Il fatto è che per Severino questa totalità, di conseguenza, sarebbe all'interno di una totalità (dominio e codominio stanno sempre in una totalità): ora non so se sposi l'idea cantoria dei transfiniti (che gli risolverebbe il problema), o se invece neghi l'insieme vuoto e supponga un mondo di infiniti enti a garanzia del loro contrario appunto la totalità.
Comunque per dire che il primo esempio secondo me non porta nessun problema "vero". Qualsiasi ipotesi abbia optato.

2) Proponi invece, tu, il contrario, ossia che A, B, C, siano come per Severino nulla, ma nel loro apparire continuo quella grande trasformazione che è la verità o gloria o checchesia.
Non sono d'accordo ovviamente, per quello detto, sopra.
Anzi quello che dici non sembrerebbe proprio la grande follia umana, quella della trasformazione? L'idea che la storia sia questo grande dispiegamento di tutto ciò che è nobile umanamente?
Non credo Maral! Heidegger stesso vedeva l'impossibilità di uscire dal nichilismo, e Severino forse dipinge uno scenario di grande serenità in cui mi sembra di sentire le solite eco dell'India o del Buddhismo (anche se ne so molto meno di quest'ultimo) in cui la gloria sia un affidarsi a questo mondo magico, o a questo mondo di enti apparenti. (ma dove è la vera differenza?)

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Vecchio 15-07-2014, 08.32.29   #3
paul11
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana

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Esprimo qui un dubbio che vorrei proporre alla vostra competente riflessione, indipendentemente dalla vostra posizione su Severino, ma accettandone i presupposti base che sono 1) la valenza assoluta dei principi di identità e di non contraddizione implicanti l’eternità dell’ente come totalità e 2) il suo darsi fenomenologico che necessariamente sempre rimanda l'apparire di questa totalità.
Il punto su cui invece invito a riflettere è legato al significato della fenomenologia dell’ente che mi sembra ambiguo.
Consideriamo il famoso legno dell’esempio di Severino che al mattino è nel bosco(A) e alla sera, dopo essere stato raccolto arde nel camino(B) e diventa cenere(C). Severino ci dice che questo divenire è per logica impossibile e sono d’accordo (assumetelo anche voi per favore), (A), (B) e (C) non possono essere e che (A), (B) e (C) ossia 3 enti a sé stanti apparentemente legati da una assunzione astratta che consiste nella loro parte comune presa falsamente in termini definitori per poter parlare di una successione diveniente. L’obiezione che mi sento di porre è però che anche l’ente (A) o (B) o (C) è una successione astratta di enti, per ogni infinitesimo istante abbiamo infatti un ente diverso ed eterno di cui (A), (B) e (C) non sono che momenti astrattamente presi (cos'è infatti un legno nel bosco, quando in quel bosco ogni attimo il legno si trova a essere diverso?), ma allora dove è l’ente di questo infinitesimo istante, l’unico per Severino effettivamente concreto? Non rischia di essere ancora una volta ridotto a un assurdo essere nulla di un nulla istantaneo?
C’è invece forse una soluzione diversa che a mio avviso trapela dal secondo Severino (quello della Gloria e di Oltrepassare) i cui l’ente non risiede nella totalità eterna di un infinitesimo istante dell’apparire, ma è tutto il suo apparire che mano a mano si dispiega passando da un istante all’altro e da un cerchio dell'apparire all’altro, l’ente è quindi una storia fenomenologica infinita il cui compimento è nel principio di identità logica che ne sta all’origine. A questo punto però non è più vero il legno (A) che non è (B) che non è (C), ma è vero che (A), (B) e (C) (e tutto quello che succederà a (C), ossia alla cenere, e tutto quello che ha preceduto (A)) sono l'unico vero ente rappresentato fenomenologicamente da una narrazione infinita che continuamente si oltrepassa di cerchio in cerchio. Ma allora l’essere questo legno è essere questa storia che continuamente oltrepassa ogni singolo istante, l’essere questo legno è anche apparire come cenere di questo legno e come ciò a cui la cenere darà luogo in altri cerchi dell’apparire a questo fenomenologicamente inaccessibili.

Alla luce dei presupposti 1) e 2) che vi ho indicato e che vi chiedo di non mettere qui in discussione rispettando l’impianto teoretico severiniano come riferimento vi chiedo, su un piano squisitamente logico, quale delle 2 costruzioni dell’ente vi pare ad essi più coerente e positivamente significativa e ovviamente perché.

Scusate la verbosità, ma mi sembrava necessaria per chiarezza


Per poter mantenere coerenti i principi logici e restare nell'eternità,quindi senza una temporalità in divenire, ogni istante è un eterno in cui appaiono gli enti. Quindi A,B,C sono ognuno enti eterni e la successione, la sequenzialità in cui accadono(vengono chiamati dalla cerchia a comparire) sono narrazione, storia.
Francamente mi pare solo una questione logico matematica se A,B,C sono "parte" di un ente per cui c'è l'insieme LEGNO negli eterni in cui A,B,C sono sequenze che fanno parte di quell'insieme.
Bisogna immaginarlo come fotogrammi di una pellicola analogica cinematografica, ogni fotogramma è un ente e la loro successione è un divenire che in realtà non lo è poichè quei fotogrammi già sono e il loro succedersi(il loro essere chiamati a comparire) ci appaiono come divenienti con una narrazione con una storia con un senso dinamico.Il titolo di tutti quei fotogrammi, l'insieme pellicola è il LEGNO(cioè l'insieme che contiene tutti quegli enti).
Se noi ritagliassimo quei singoli fotogrammi della pellicola e casualmente li pescassimo dagli eterni(o meglio li chiamassimo a comparire dalla cerchia) perdiamo la narrazione, il senso dinamico della storia.
Nell'esempio quindi invece di A,B,C, potrebbe comparire B,C,A, oppure C,B,A, ecc..)

Una delle critiche a Severino semmai è la proliferazione di questi enti.
Oppure, come mai la sequenzialità è per forza giusta?
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Vecchio 15-07-2014, 23.59.11   #4
maral
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana

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Originalmente inviato da green&grey pocket

1) Se esiste un A e un B del legno, qui e ora, quel qui e ora sarebbe infinitesimamente un nulla.
Beh ma infatti per Severino lo stesso apparire di per sè è una illusione, non credo farebbe fatica a distinguere questo insieme vuoto, come un ennesimo prodotto della funzione (o eccezione c) originaria.
L'insieme vuoto come apparizione a questo punto sarebbe il codominio del suo contrario, ossia la totalità.
Il fatto è che per Severino questa totalità, di conseguenza, sarebbe all'interno di una totalità (dominio e codominio stanno sempre in una totalità): ora non so se sposi l'idea cantoria dei transfiniti (che gli risolverebbe il problema), o se invece neghi l'insieme vuoto e supponga un mondo di infiniti enti a garanzia del loro contrario appunto la totalità.
Comunque per dire che il primo esempio secondo me non porta nessun problema "vero". Qualsiasi ipotesi abbia optato.

2) Proponi invece, tu, il contrario, ossia che A, B, C, siano come per Severino nulla, ma nel loro apparire continuo quella grande trasformazione che è la verità o gloria o checchesia.
Non sono d'accordo ovviamente, per quello detto, sopra.
Anzi quello che dici non sembrerebbe proprio la grande follia umana, quella della trasformazione? L'idea che la storia sia questo grande dispiegamento di tutto ciò che è nobile umanamente?
Non credo Maral! Heidegger stesso vedeva l'impossibilità di uscire dal nichilismo, e Severino forse dipinge uno scenario di grande serenità in cui mi sembra di sentire le solite eco dell'India o del Buddhismo (anche se ne so molto meno di quest'ultimo) in cui la gloria sia un affidarsi a questo mondo magico, o a questo mondo di enti apparenti. (ma dove è la vera differenza?)

Ma non è che per Severino (e nemmeno per me) A, B, C siano nulla, è nulla, ossia è contraddizione assoluta il divenire dell’ ente legno come A, B e C pur restando il medesimo legno e non è nulla nemmeno l'apparire di questo divenire, ossia di questo contraddirsi. L’apparire della contraddizione, ossia l’apparire di ciò che è nulla non è nulla, è un positivo che positivamente è e quindi si manifesta.
A, B e C sono (nell’ipotesi 1) 3 enti diversi ed eterni, in qualche modo legati fenomenologicamente tra loro da quanto hanno in comune, ciò che è falso è considerarli un unico ente (lo stesso pezzo di legno) annullando la specifica differenza che li rende per gli enti a sé stanti che sono, ossia lo si può fare solo per via astratta e considerare l'idea astratta paradossalmente come essenza concreta per poi negarla dicendo che comunque il legno alla fine diventa qualcos’altro.
L'apparire fenomenologico di A, B e C non è un'illusione, non è l’ingannevole velo di Maya che si frappone alla realtà del principio di identità che implica la non contraddizione logica, ma è l'apparire fenomenologico del principio di identità stesso, irriducibilmente diverso dall'apparire logico e per questo lo contraddice in perenne antitesi, ma senza autocontraddirsi. L'apparire logico vede infatti la necessaria totalità di ogni ente, quello fenomenologico ne vede l'altrettanto necessaria parziale limitazione (ogni apparir di per sé implica infatti un fenomenologico non apparire), ma non è che per questo inganni, non è che l'apparire fenomenologico che traduce il principio di identità come una storia sia una falsificazione illusoria del principio di identità, lo è solo se si esige una rigorosa separazione tra logica e fenomenologia. Il divenire è follia perché esige che ciò che è sia in quanto non è e viceversa, dunque e auto contraddizione, ma l'apparire del mutamento non è follia, è lo stesso principio di identità coniugato in modo fenomenologico (il buddista direbbe che il nirvana è lo stesso samsara, è la stessa realtà).
Ma proprio alla luce di quanto sopra detto mi pare che si sviluppi un diverso modo (B) di capire Severino, soprattutto a partire dalla Gloria e dai testi successivi. Ossia ...A... B...C ... non sono istantanei enti diversi, non sono più fotogrammi in sé di un film illusione, ma modalità diverse di apparire dello stesso ente sempre identico a se stesso, la loro successione è dovuta al fatto che tutti gli attributi dell’ente non possono apparire simultaneamente in tutte le modalità che al medesimo ente competono nella sua totale eterna identità, per cui- l'ente, dal punto di vista fenomenologico, non può che essere davvero la sua intera infinita storia. Questo non contraddice il primo Severino, ma esplicita ciò che nel primo era meno evidente. L’eternità dell’ente rimane la stessa e il divenire resta follia, ma la non follia si manifesta non come una sorta di istantanea dell’ente, ma esattamente come una storia infinita di tutte le modalità del suo apparire. In entrambi i casi ammetto che resta ancora incomprensibile cosa sia concretamente questo ente, ma questo è implicito nella sua fenomenologia che non è mai esaustiva.
Dopotutto anche il primo Severino e il secondo non sono 2 essenti Severini diversi, ma il medesimo essente di cui il primo e il secondo sono modalità diverse di apparire che sempre gli competono, ma che non posso apparire insieme in questo cerchio.
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Vecchio 16-07-2014, 10.25.45   #5
maral
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Originalmente inviato da paul11
Per poter mantenere coerenti i principi logici e restare nell'eternità,quindi senza una temporalità in divenire, ogni istante è un eterno in cui appaiono gli enti. Quindi A,B,C sono ognuno enti eterni e la successione, la sequenzialità in cui accadono(vengono chiamati dalla cerchia a comparire) sono narrazione, storia.
Francamente mi pare solo una questione logico matematica se A,B,C sono "parte" di un ente per cui c'è l'insieme LEGNO negli eterni in cui A,B,C sono sequenze che fanno parte di quell'insieme.
Bisogna immaginarlo come fotogrammi di una pellicola analogica cinematografica, ogni fotogramma è un ente e la loro successione è un divenire che in realtà non lo è poichè quei fotogrammi già sono e il loro succedersi(il loro essere chiamati a comparire) ci appaiono come divenienti con una narrazione con una storia con un senso dinamico.Il titolo di tutti quei fotogrammi, l'insieme pellicola è il LEGNO(cioè l'insieme che contiene tutti quegli enti).
E invece nella seconda ipotesi A, B, C non sono enti diversi, ma tre modi di apparire dell'intero ente, della sua intera fenomenologia, modi coesistenti in senso logico, ma successivi in senso fenomenologico dato che fenomenologicamente non possono apparire tutti insieme. E questa seconda ipotesi mi sembra sia coerente con Severino (salvo obiezioni che mi indichino come non lo è). In altre parole l'ente è proprio il film completo fatto di tutti i suoi infiniti fotogrammi che sono i suoi modi di apparire, allo stesso modo in cui potrei dire che quest'uomo è insieme il suo apparire fanciullo e il suo apparire vecchio, e questi due stati sono inseparabili da ciò che quest'uomo è e dunque tra loro inseparabili (non posso tagliare la pellicola per separare i fotogrammi in quanto essi sono tutti attributi della medesima unità, del medesimo ente, tagliati perderebbero il loro significato specifico), ma essendo il suo essere fanciullo fenomenologicamente incompatibile con il suo essere vecchio, questi 2 attributi logicamente coesistenti del suo apparire non possono apparire insieme.
Ora, come giustamente ti chiedi, perché di quest'uomo mi appare prima il suo essere fanciullo del suo essere vecchio? E la risposta può essere perché i fotogrammi che appaiono sono esattamente questi, ossia il fotogramma del fanciullo contiene in prospettiva il fotogramma del vecchio, mentre quello del vecchio allude alla memoria del fotogramma del fanciullo. Potrebbero apparire fotogrammi diversi che raccontano storie di senso opposto? Si potrebbe rispondere teoricamente sì, ma non su questo palcoscenico, non in questo cerchio dell'apparire ove il senso è determinato da questo modo di apparire. Il senso dell'apparire (il senso in cui scorre la pellicola) è proprio dell'apparire e non dell'essere della pellicola, la nostra esistenza appare in un cerchio che determina proprio questo senso che appare e non il suo opposto che non appare.
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Vecchio 17-07-2014, 02.56.31   #6
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xmaral


1) Precisazioni necessarie per un proficuo intendersi nel continuo del discorso. E un breve excursus logico metafisico ad aiutare sempre, se possibile, il nostro intenderci

Lo so benissimo che questi enti non sono nulla, ma il problema della proliferazione di cui parla Paul potrebbe essere ascrivibile al fatto che la diversità dall'essere nulla è assolutamente sfuggente.

Per come sto cercando di interpretare, e interpretando capire, la Gloria mi risulta abbastanza incomprensibile.

Di certo dagli ultimi studi, che ripercorrono la ricostruzione di Berto, la motivazione principale sembra logica.

Anche per me importante, come sorpassare la dialettica uno - molti del PNDC?

Nella soluzione proposta di far coincidere la funzione che unisce dominio e codominio nel PNDC, ossia di vedere l'universale celarsi nella sua stessa contraddizione, mi sembra la posizione più evoluta e inattacabile fin ora incontrata.

Ma in fin dei conti cosa vuol dire? ecco la mia spiegazione se dico legno, nell'istante A dico di un ente, che è però ente solo in quanto si distingue da tutto quanto io posso dire legno dell'istante A.
E per distinguerlo ha bisogno del totale degli enti, altrimenti come farei a distinguerlo?
La vetta metafisica sta proprio nel fatto che per essere proprio quel legno del PNDC, ossia per la sua stessa esistenza, devono esistere infiniti enti.

Ossia se è legno e non è ferro ok, ma se fosse ancora altro che sia simile a esso potremmo ancora chiamarlo legno o legno di conifera che è diverso dal legno di quercia (senza stare lì a vedere le differenze botaniche reali).
E così all'infinito, come hanno spiegato Peirce o Hegel o l'ultimo Wittgenstein, noi ci diamo rappresentazioni che col "reale" peccano di una quantità abnorme di informazioni.

Eppure esistono, i nostri sensi ne danno testimonianza, e questo seppure oggi ancora non capito fa tutta la differenza: ossia come dice Peirce, esiste una e una sola realtà.

Il fatto dell'esistenza ci mette al riparo da qualsiasi solipsismo o relativismo annesso.

Ci sto ancora lavorando perchè è chiaro che l'orizzonte delle conseguenze è enorme, il transfinito cantoriano o l'idea della potenza in atto agostiniana sta lì a rappresentarlo.

Dò ulteriori agganci recenti, fornitimi dal filosofo Zizek: le antinomie kantiane (aimè sono a digiuno) vengono riprese dal vecchio nominalismo medievale (il periodo d'oro del pensiero finemente metafisico).

"Non tutti i cigni sono bianchi"

Ecco la frase che è stata isolata dal dibattito moderno e contemporaneo.

Sono d'accordo,molto d'accordo. Ecco perchè:

Ecco cosa sta a indicare: nella nostro sentire equivale al " dunque vi sono
cigni neri" ossia la strada del negazionismo moderno.

Ma nello stesso tempo equivale a dire che alcuni cigni sono bianchi.
Questa posizione che è chiamata "minore" è esattamente quello che dovremmo dedurre da Peirce e Severino.

Ossia vi è una esistenza garantita.

Questo vuol dire che non mi interessa se vi sia proliferazione, in quanto l'esistenza è garantita.

Probabilmente è questa esistenza di cigni bianchi, che si deduce dalla frase non tutti i cigni sono bianchi, ossia dalla negazione (la cotraddizione c in nuce) che nasce la gloria dell'esistenza dei cigni bianchi.
Negazione necessaria approposito (sennò mi rinviene il TU del fmj).


Il problema è ovviamente la totalità che dà corpo a questa evidenza, ossia il fatto che non vi sono solo cigni bianchi, appunto alla abnormità che proietta la stessa negazione.

Domanda terribile: cosa c'è oltre i cigni bianchi?

E nel contempo quale totalità fa emergere cose così terribili?

Per Severino questo non ha senso, queste domande non hanno senso.

Per lui qualsiasi proiezione oltre quella negazione è assurda, per Severino esistono cigni bianche e campi di concetramento, tutto il resto non è che l'alaborazioe luttuosa ( o meglio la non elaborazione luttuoso, in quanto follia) della psiche umana.

Il punto che torno a ripetere forse si fa più chiaro ancora:

Quello che mi interessa è proprio quel lutto, e vedere un cigno bianco è splendido, ma qualcuno mi deve ancora curare dell'olocausto.

Essere dentro alla dialettica del tutto, non vuol dire sottrarsi al lutto.

Per me è molto più valido il "solo un dio può salvarci" che il "ogni uomo è un piccolo re in terra".

Alla luce del lutto ecco che l'apparire mi sembra quasi un nulla.

Solo così forse si capisce perchè nel mio sentire non c'è differenza con il "velo" indiano.
Tra l'altro uno dei motivi per cui mi ero allontanato.

2) Torniamo alla proposta da te fatta.




Come spero si evince da sopra, io sono d'accordo che la gloria non sta tanto nell'apparire istantaneo, quanto nell'essere ogni volta questo legno, e questa cenere per noi.(livello ontologico)

Citazione:
Ma allora l’essere questo legno è essere questa storia che continuamente oltrepassa ogni singolo istante, l’essere questo legno è anche apparire come cenere di questo legno e come ciò a cui la cenere darà luogo in altri cerchi dell’apparire a questo fenomenologicamente inaccessibili.

Non ero d'accordo con la frase che la storia della fenomenologia ossia la storia di questo legno che si pensa sia allo stesso modo(laddove trasformato) questa cenere, sia da considerarsi parimenti gloria.(livello fenomenologico)

In Severino non esiste metafisica o fenomenologia, su questo mi è sembrato sempre categorico e a volte pure insofferente, per lui il reale è solo ontologico.
La sua grandezza è di rivalutarne l'aspetto emotivo e non quello formale, che ovviamente nel processo fenomenologico diventa burla, spettacolo, volontà di potenza.

Rimane il problema del campo di concentramento, non a livello di storia del sottosuolo che si fa metafisica, che si fa tecnica, che si fa volontà di potenza e quindi politica, che su quello il maestro è alla pari con Heidegger.
Ma sul piano emotivo, ripeto! insomma pur facendo partire la filosofia dalla paura della morte, il buon Emmanuele poi crea un sistema perfetto, magnifico, di alta filosofia, imprescindibile, e su cui non voglio certo desistere. Ma di cui appunto quando ne parlo bisogna sentire in eco una certa insoddisfazione.
(e che abbiamo già appurata è per lo meno alimentata dalla volontà di potenza)
Insoddisfazione che mi permette di fare certi paragoni inquietanti, forse, ma per me stumentali all'altra visione, appunto quella fenomenologica di matrice esistenzialista).

Di fatto quindi la tua proposta la numero 2, dico, non mi pare calzante, e anzi mi permette di ribadire le mie perplessità. Che questo sistema numero 2 non sia esattamente quello per cui si arriva alla "politica del nomos" (per centrare un pò meglio in cosa consista la follia)?
Insomma Maral, forse è il caso che ci si rifletta meglio su questo rapporto ontologia-fenomeno anche alla luce più stretta possibile del pensiero del maestro.




x paul

Una delle critiche a Severino semmai è la proliferazione di questi enti.
Oppure, come mai la sequenzialità è per forza giusta?


La proliferazione è necessaria in quanto presupponiamo un tutto.

il tutto lo presupponiamo dal singolo.

il singolo esiste, esattamente come fotogramma dopo fotogramma.

è proprio la sua esistenza di fotogramma che induttivamente ci rende certi del tutto.

(ovviamente il balzo irrisolto è come giustificare il tutto dal singolo (logica post-tomistica), per hegel o severino e tanti altri ciò presuppone l'infinità (anselmo d'aosta etc...), per altri l'amore, per altri l'arte, per altri la storia.
(ognuna di queste strade è percorribile per ritrovare l'uno)
E finora tutto sembra procedere per quel verso anche in fisica , non dimentichiamoci poi come l'infinità misuri lo spazio, vedi zenone etc..., dunque esiste per lo meno come entità astratta di calcolo, e se esiste un concetto di infinito allora...etc..etc...ancora in fase di dibattito, da cantor in poi)

Il punto secondo me non è se questa fenomenologia è reale o falsa, per severino l'importante è che quel cigno esista.

Sulla sequenzialità concordo senza dubbio con Maral.


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Vecchio 17-07-2014, 16.10.02   #7
paul11
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x paul

Una delle critiche a Severino semmai è la proliferazione di questi enti.
Oppure, come mai la sequenzialità è per forza giusta?


La proliferazione è necessaria in quanto presupponiamo un tutto.

il tutto lo presupponiamo dal singolo.

il singolo esiste, esattamente come fotogramma dopo fotogramma.

è proprio la sua esistenza di fotogramma che induttivamente ci rende certi del tutto.

(ovviamente il balzo irrisolto è come giustificare il tutto dal singolo (logica post-tomistica), per hegel o severino e tanti altri ciò presuppone l'infinità (anselmo d'aosta etc...), per altri l'amore, per altri l'arte, per altri la storia.
(ognuna di queste strade è percorribile per ritrovare l'uno)
E finora tutto sembra procedere per quel verso anche in fisica , non dimentichiamoci poi come l'infinità misuri lo spazio, vedi zenone etc..., dunque esiste per lo meno come entità astratta di calcolo, e se esiste un concetto di infinito allora...etc..etc...ancora in fase di dibattito, da cantor in poi)

Il punto secondo me non è se questa fenomenologia è reale o falsa, per severino l'importante è che quel cigno esista.

Sulla sequenzialità concordo senza dubbio con Maral.




fotogramma per fotogramma con una sequenza ordinata chiamala, definiscila pure come vuoi , così come il fermoimmagine se vuoi definirlo in un sistema logico fai pure: è la differenza che passa fra cinematografia e fotografia
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Vecchio 17-07-2014, 22.13.40   #8
green&grey pocket
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fotogramma per fotogramma con una sequenza ordinata chiamala, definiscila pure come vuoi , così come il fermoimmagine se vuoi definirlo in un sistema logico fai pure: è la differenza che passa fra cinematografia e fotografia

Prova ad ascoltare le considerazioni di Pasolini su questo: la cinematografia è una mimesi della morte, e la morte è propria della fotografia.

così al ciclo fenomenologico della trilogia sulla vita, risponde il film mortuario delle 120 giornate.

O ancora Zizek: più il film è falso più dietro e cioè oltre la fotografia o il fenomeno sta la verità.

quindi se il tuo era uno scritto polemico, hai invece esposto una delle radicalità più "vere" del pensiero metafisico.

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Vecchio 17-07-2014, 22.36.38   #9
paul11
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Prova ad ascoltare le considerazioni di Pasolini su questo: la cinematografia è una mimesi della morte, e la morte è propria della fotografia.

così al ciclo fenomenologico della trilogia sulla vita, risponde il film mortuario delle 120 giornate.

O ancora Zizek: più il film è falso più dietro e cioè oltre la fotografia o il fenomeno sta la verità.

quindi se il tuo era uno scritto polemico, hai invece esposto una delle radicalità più "vere" del pensiero metafisico.


Ma perchè devi vedere polemiche ?
Il cinema è il divenire e il fermoimmagine è l'eterno: è così difficile da capire che abbiamo perso di vista le cose evidenti?
Siamo una serie di fotogrammi temporali che descrivono la nostra storia o siamo in un solo fotogramma; e in quest'ultimo quale scegliamo dei fotogrammi per essere descrittii(la prima, l'ultima, in mezzo, a caso?).
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Vecchio 18-07-2014, 10.59.08   #10
maral
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Siamo una serie di fotogrammi temporali che descrivono la nostra storia o siamo in un solo fotogramma; e in quest'ultimo quale scegliamo dei fotogrammi per essere descrittii(la prima, l'ultima, in mezzo, a caso?).
Il problema è esattamente questo: l'ente eterno corrisponde per quanto riguarda la sua fenomenologia alla totalità del fotogramma oppure alla totalità del film di cui ogni fotogramma è predicato? E' evidente che il problema è fenomenologico, e riguarda l'ontologia del fenomeno che non è nulla, ossia non mi pare che
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Originalmente inviato da green&greypocket
In Severino non esiste metafisica o fenomenologia, su questo mi è sembrato sempre categorico e a volte pure insofferente, per lui il reale è solo ontologico.
, in Severino la fenomenologia dell'ente è invece essenziale, è ontologica, è il darsi concreto e immediato (Severino è invece categorico contro la metafisicizzazione della fenomenologia, come fa Husserl con l' io trascendentale, è questo che sente assurdo, ma non la realtà fenomenologica delle cose). D'altra parte se così non fosse non vi sarebbe alcuna contraddizione C, vi sarebbe solo il principio di non contraddizione e non il suo apparire che eternamente lo contraddice, non vi sarebbe nemmeno la filosofia di Severino, ma solo quella di Parmenide ripetuta. Ora se gli incontrovertibili di partenza sono il pnc e il dover apparire nella sua totalità non mi pare che si esca dalla lettura di Severino pensando all'ente come film, anziché come fotogramma e c'è sicuramente un motivo che possiamo chiarire in questa scelta).
Se consideriamo l'ente come un fotogramma istantaneo infinito ed eterno, definito dalla totalità completa del suo contraddittorio, qualsiasi variazione sia pur minima, fosse anche il decadimento di un bosone a miliardi di anni luce da noi, corrisponde a un ente diverso, a un fotogramma diverso, qualsiasi spostamento infinitesimale di un granello di polvere su quel legno fa sì che nel cerchio dell'apparire sopraggiunga un altro ente, se mentre considero questo pezzo di legno nel bosco alla mattina in Australia un moscerino si posa sul naso di mr. Alan Smith la cui moglie accanto a lui sta sognando di essere in vacanza a Venezia, quel pezzo di legno non è più quel pezzo di legno, non lo è più nemmeno se l'immagine onirica di Venezia, diventa per la signora Smith quella di Malibù. E non lo è più a ragione logica del principio di completa identità a se stesso dell'ente. Non importa quanto piccola sia la variazione a essere rigorosi, anche la minima variazione è manifestazione di un ente diverso. E allora questi eterni, al di là della loro infinititudine, per quanto appaiono sul palcoscenico dei cerchi? Il tempo di Planck forse? il tempo necessario affinché l'apparire dell'apparire, ossia una minima percezione cosciente, abbia luogo? E percezione cosciente di che? Il problema è che questi eterni che non possono in alcun modo prescindere dal loro apparire, dunque dalla loro concreta fenomenologia, presentano una fenomenologia totalmente insulsa, azzerata in un nonnulla, ben più fugaci di qualsiasi fantasma: non solo la totalità fenomenologica non si può presentare tutta in un momento solo, ma non si presenta proprio niente in nessun momento, non ha assolutamente il tempo per presentarsi, l'attore è già uscito di scena nel momento stesso in cui appena si affaccia, forse perché ci sono troppi attori che devono entrare, ce ne sono infiniti e dunque ognuno può stare in scena solo per un irrilevantissimo infinitesimo, anzi è già troppo tardi per stare in scena.
Ecco perché film=ente fenomenologico (ove = non significa è, ma è metafora di), o meglio ancora storia=ente fenomenologico mi sembra più appropriato. Il contraddittorio che definisce l'ente-film, non è più, come per il fotogramma un qualsiasi infinitesimo dettaglio che contraddice il fotogramma stesso, ma sono i sensi fenomenologici diversi di storie diverse (dunque di enti diversi) di cui ogni fotogramma, ogni pagina è solo un momento non in sé isolabile dell'intera storia. Il film che non si può presentare nella sua totalità è un film che, pur avendo un finale conclusivo (in quanto non può non averlo, altrimenti non sarebbe ciò che è), non può mai presentarlo, è un film in cui fenomenologicamente e concretamente il finale conclusivo non si presenta mai, men che meno in forma di compendio o riassunto che farebbero di quel film reale (in quanto fenomenologicamente reale), un'assunzione astratta.

P.S. Green&grey capisco (o almeno mi pare di capire) l'esigenza del discorso che non si limiti a gettare il lutto fuori dalla porta come follia. Il lutto, il dolore non sono follia, non lo sono nemmeno per Severino (semmai sarebbe follia il voler costruire una metafisica del dolore, esattamente come il volerlo negare). Il dolore è il protagonista assoluto di quella Volontà di Potenza che crea una Terra Isolata ove proprio il dolore ha senso ultimo. Ma questa Terra Isolata (questo Samsara, questa Valle di Lacrime), è proprio la stessa Terra della Gioia (è il Nirvana, il Paradiso dei Santi, ove ogni ente è già salvo senza bisogno di alcuna onnipotente salvazione che miracolosamente lo trasmuti, è già salvo semplicemente perché è). E' la stessa Terra Isolata a essere Terra della Gloria, è la stessa Volontà di Potenza che si manifesta come Volontà del Destino (volontà di un eterno apparire di ciò che è). E questo non significa che la venuta della Terra della Gloria cancella la Terra Isolata, che il paradiso dei beati annulla l'inferno ponendo fine al mondo, che il Destino cancella la Potenza e la Gioia il Dolore, ma che, al contrario ne comprende fino in fondo la necessità antitetica e comprendendola la salva, ne cancella la contraddizione. La Gioia dopotutto è per Severino proprio l'apparire di questa necessaria comprensione.

Ultima modifica di maral : 18-07-2014 alle ore 11.19.44.
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