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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 02-11-2014, 17.25.54   #31
green&grey pocket
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Data registrazione: 12-01-2013
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Riferimento: Fra fenomenico e trascendente, attraverso le possibili visioni ragioni modi e utilità

Citazione:
Originalmente inviato da Patrizia Mura
....

Sto facendo astrazione molto "forte" ed ardita, sto facendo della metafisica (?!) - forse - e mi sposto da un piano puramente fenomenico ad un piano che definirei assai trascendentale...

in realtà il trascendentale è sempre n fenomenico, in questo astrarre risale la metafisica, ma è una metafisica senza trascendente, almeno inzialmente.

(ricordo che trascendentale io lo intendo come limite, come margine che si pone appena dopo ciò che ricostruisco tramite i sensi e l'intelletto, ossia tramite la ragione direbbe kant.
questo margine è ache confine con LA COSA kantiana, e quindi non è trascendente, che invece è il desiderio dell'oltre-margine, dello svelamento, degli orizzonti religiosi oltremondani...a seconda )



Citazione:
Originalmente inviato da Patrizia Mura
....

Ipotesi "mushotoku", per usare un termine zen, cioè senza spirito di profitto, con un certo piacere di immaginare, ma poi dovrò presto smettere, per tanti motivi e ... andarmi a lavare la ciotola.

Su un piano molto terra terra quando inizio la vita percepisco assai poco, eppure esistono tante cose che non conosco, e che potrò o non potrò percepire direttamente o indirettamente.
Esperienza che facciamo tutti.

.........
Può essere un not only so and/or not always so perhaps.

E non è sempre strettamente necessario che le cose constatate o ipotizzate debbano forzatamente avere delle ricadute.

Ipotizzare più possibilità potrebbe servire proprio a non crearsi convinzioni fisse, rigide ed inoppugnabili, certezze, così come "prediligere" in un certo momento una ipotesi ad un altra ......

a questa questione rispondo nel mio intervento generale



Citazione:
Originalmente inviato da Patrizia Mura
Forse per questo può risultare utile osservare da punti di vista opposti senza per questo che l'uno debba far troppo miscuglio con l'altro o prevalere, ovvero osservo dal punto di vista del mera realtà fenomenica e convenzionale (il fainomai, ciò che appare, che si manifesta) ed anche traccio una linea di demarcazione che mi ipedisca confusione e provo ad astrarmi dalla mia posizione per assumere un punto di vista esterno ed ipotizzare da lì, e posso chiamare questo punto di vista forse metafisico, forse trascendente (è infatti si va parecchio oltre), forse "realtà ultime", forse "essenza delle cose", il "punto di vista delle parti e il punto di vista del tutto", o altro.

L'astrazione o la meditazione a mio modo di vedere non significa andare molto oltre...anzi direi il contrario, significa rimanere con uno sguardo il più aperto possibile sul qui e ora.

Citazione:
Originalmente inviato da Patrizia Mura
....
Siccome però sono solo e sempre la parte e non il tutto, lo faccio per tener presente che esiste altro da me e che sono "parte", con una certa necessità di prudenza quando cerco di spostare la mia visuale in favore di una "altra", "aliena", che però non mi è tanto possibile avere realmente, e mantenere, e trovo che esista questa necessità di continuamente spostarsi ma anche per poi continuamente tornare e rientrare.
....

il punto è per quale motivo uno dovrebbe credere che esista una entità aliena (spero tu stia parlando di Dio, e comunque la cosa non cambierebbe, in quanto dovremmo poi parlare degli attributi di Dio, cosa che si può fare, ma non vedo cosa c'entri con la trascendentalità, che in fin dei conti è un permanere a livello del qui e ora)


Citazione:
Originalmente inviato da Patrizia Mura
....
Allora potrei chiedere a Maral, come proseguirebbe dopo che abbiamo potuto concordare che qualcosa può esistere anche indipendentemente dalla percezione e quindi dal percipiente e dal percepito, e a green, sgiombio e tutti gli altri di riproporre le considerazioni già esposte negli altri 3D per poter proseguire.

.......

C'è questo problema che il pensiero può concepire cose a volte strane, e la parola ha un potere di suggestione, ovvero il fatto che lo posso dire o immaginare non significa che esiste, o perlomeno potrebbe cambiare radicalmente la modalità di esistenza.

(n.b. "figlio di una madre sterile" fu una rappresentazione concepita credo almeno un paio di millenni fa ... con tutto ciò che ne consegue).

Spero di non avervi annoiato troppo, ma tanto per conoscerci un po'.



Rispondo con un pò di ritardo.

bypasso tutta la polemica di Sgiombo e Aggressor (interessante ma per motivi di interesse e tempo non riesco a svolgere oggi...dico solo che alll'università stiamo studiando locke e berkley, temo dovrò leggerli in toto)
(ciao Mauro bentornato, non ho avuto tempo di leggere i tuoi post, ma penso sia rivolti a rispondere ai 2 sopradetti)

Allora Patrizia mi sembra di capire che non hai seguito la mia argomentazione sul linguaggio, e sta bene così, mettiamola pure da parte.

Come al solito hai affastellato una serie di considerazioni che bisognerebbe sviscerare di volta in volta.
Mi pare però che preferisci interrogarti su una visione abbastanza generica delle cose.
E allora veramente creando delle macrostrutture di riferimento (e facendo finta di capirci) mi pare di capire che possiamo tranquillamente essere d'accordo sulla trascendentalità (kantiana mi sa) delle relazioni in un qualsiasi dato momento della vita quotidiana.

Il problema viene dopo, cioè sembra quasi che tu stia suggerendo una sorta di vita spensierata, senza pensieri, svuotata delle ragioni, votata ad una non precisata elastichezza di pensiero.

Il punto è che quella leggerezza di pensiero che pontifichi, proprio a partire da qualsiasi vacuità di pensiero buddhista (e se per questo di tutta la scuola di tokio), si risolve inesorabilmente in 2 delle società più "formali" che esistano a livello storico sul pianeta.(Giappone e India)(per inciso è il contrario! è cioè la società che fa "emergere" determinati modi di pensare).

Con formale intendo seriamente rituali, al limite dell'incomprensione per qualsiasi occidentale.

Il pensiero politico viene dunque demandata allo stato come garante di uno stile di vita, che sinceramente (avendolo studiato e vissuto) NON PENSA.

Dunque il supposto anti-metafisico si instaura di nuovo come un metafisico, il pensiero si irregimenta e qualsiasi scuola buddhista diviene di nuovo solo pratica (per quanto spacciata per non-pratica) con l'aggravante del suo reclamarsi come identità e cioè come scuola.

Ennesimo dispositivo volto a nuove (e sempre vecchie) gerarchie.

Nel mio cammino spirituale ogni tanto mi piacerebbe trovare qualcosa di quel che giunge a PENSARE il maestro Hesse dal suo libro Siddharta.

Ossia un trascendentale (meditativo o passivo o altro ancora che sia) che trova un trascendente appena dopo, appena dopo, appena dopo.

Un soffio di pensiero che immagini il reale e non più ciò che non può succedere...ossia la ciotola sarà sempre là e così il nostro corpo che invecchia.

Ossia un soggetto che sappia di essere tale, prima di re-inventarsi nella performance del reale (direbbe Carmelo Bene), prima di differire sempre dal sè (come oggetto della storia, ossia un soggetto che riconosce di essere solo un oggetto).

Probabilmente suonerà oscuro, è perchè in quella oscurità (ossia la riflessione filosofica) risiede la luce. E la luce non si dà mai (è sempre velata).

l'invito a tutti a rimaneri svegli di pensiero rimane. (nonostante le difficoltà)



PS. veramente Nietzsche sarebbe da riprendere in TOTO.
In quanto non solo descrive la nostra ipocrita morale, ma al fondo della suo viaggio intellettuale (e non spirituale) descrive esattamente l'unico modo di uscire dal nichilismo: ossia come vivere all'interno di uno stato, di una gerarchia (il vivere quotidiano in nome della morte, del divenire).
(certo Severino non sarebbe d'accordo, sono 2 vie che seguo comunque).
seguo nel senso che mi informo. troppo pavido per seguire l'eroismo nicciano.
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Vecchio 02-11-2014, 18.58.23   #32
Patrizia Mura
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Riferimento: Fra fenomenico e trascendente, attraverso le possibili visioni ragioni modi e utilità

Citazione:
Originalmente inviato da Aggressor
0xdeadbeef:

Patrizia Mura
usare un certo linguaggio per ogni situazione

un chiaro modo di intendere l'unità negando il possesso delle proprietà a questo o quest'altro ente

Un linguaggio che descrivesse "le proprietà" ma non l'essere lo trovo in qualche modo possibile e, forse, anche più rigoroso e utile di quello che abbiamo oggi.

In altre parole se il linguaggio è "solo" un utile strumento (cosa che stai sostenendo anche tu quando dici di utilizzarne tipi diversi a seconda della situazione) allora potrebbe essercene uno tra i vari che si distingua come più adatto in molti o tutti i campi (se ben impostato).

Ed ancora, siamo sicuri che non potresti fare bene il meccanico senza supporre che qualcuno possiede le sue proprietà?

Una frase quale: "spostare quel tubo nero a destra" presuppone necessariamente che vi sia un ente distinto con certe caratteristiche obbiettive?

O questo è solo una credenza non direttamente connessa a ciò che ho affermato ("spostare il tubo nero a destra")?


A proposito di "un solo linguaggio" per tutto, sinceramente non credo che sia nè possibile nè auspicabile.
Mi suona come pensare ad una sola chiave che apra tutte le serrature ... il ché contraddice il senso di avere delle serrature.
Pensa a un mondo di porte tutti apribili con la stessa chiave.
A sto punto non avrebbe più senso avere una porta e la sua relativa particolare serratura.

L'unità perde a mio avviso di senso nel momento in cui vengono negate le proprietà degli enti, come dici.
Banalmente se si finisce per dire - allo scopo di esaltare l'unità - che le cose non esistono si sta negando anche l'unità.
Infatti a quel punto è unità di che cosa? Vien fuori una "unità di niente" invece che una "unità delle cose".
E' un po' come il discorso della chiave unica di cui sopra.
L'unità presuppone l'esistenza delle cose distinte dalle loro proprietà, viceversa le cose distinte dalle loro proprietà presuppongono una "unità".
Dire "presuppone" è pure sbagliato perché in tal modo si dà una relazione di causa effetto: su questo punto ad esempio (se ho ben capito) nella storia del pensiero indiano il buddhadharma è il punto in cui si introduce una clamorosa novità, ovvero un ambito in si ravvede una sospensione delle leggi di causa effetto.
Sicchè viene purtroppo malamente tradotto dal sanscrito o dal pali che il Buddha abbia affermato che "quello è perché questo è", cioè l'unità c'è perché ci sono le proprietà delle cose e le proprietà delle cose ci sono perché vi è l'unità, e quel "perché" che inevitabilmente viene a significare "a causa di" non è la traduzione corretta (riferisco spiegazione di aula e quindi debbo fidarmi della fonte), ci si limita alla constatazione del dato di fatto che "questo è quando quello è" semplicemente si presentano insieme e se c'è uno c'è l'altro.
La connessione di causalità qui può essere rinunciata in quanto non solo non necessaria ma confusiva, diventa un serpente che si morde la coda.

Mi spiace che credo che non vi siano scritti approfonditi su questo on line però segnalo ugualmente scribd perché c'è qualcosa di interessante sulla logica e sull'epistemologia orientale in inglese se non ricordo male https://www.scribd.com/collections/3...ffaele-Torella

Anche lo scritto linkato più su dice questo se e quando si nega l'uno si nega anche l'altro.

A proposito di "linguaggio solo utile strumento", per me senz'altro si, ma, di più, qualsiasi cosa faccio è strumento per uno scopo, dunque funzionale (n.b. posso agire "senza spirito di profitto" ma devo aggiungere un "senza spirito di profitto personale").
Cambio la gomma perché è bucata. Se qualcuno mi vedesse passare un pomeriggio a cambiar gomme non bucate dovrebbe pensare o che mi sto esercitando a velocizzare l'operazione o che sto testando crick e sbullonatori o che sono completamente matta

Se non ho chiaro il fine perdo la bussola di ciò che sto facendo.
C'è sempre un bisogno da soddisfare, occorre averlo presente per non abusare rischiando di cercar di soddisfare un bisogno in un ambito o modo improprio, che ha molte conseguenze negative per sè e per gli altri. Acquisiamo conoscenza per soddisfare bisogni.


Un amico che è un tecnico ma lavora con sistemi molto ampi, complessi e delicati, dove lo scarto fra realtà e percezione è il punto focale con cui confrontarsi per raggiungere il risultato, esprime che

"la percezione entra in gioco per soddisfare la coscienza e traduce la realtà in una 'illusione', non falsa ma distorta, accade per tutti

Finché non percepisci gli eventi questi possono solo essere immaginati e la percezione di questa immaginazione è ancora più soggettiva.

Oggi sappiamo che la realtà è una 'illusione' perché essa viene osservata e con diversi errori di misura, poi viene elaborata e riconosciuta con diversi tempi di latenza e pertanto viene capita con più o meno grandi distorsioni.

Ci si accorge di questo quando si deve lavorare con gli oggetti reali e costruire uno scenario con dei simboli che devono rappresentare questi oggetti mentre essi si muovono e condizionano le operazioni da fare su di loro."

Da cui la coscienza di dover procedere per probabilità e verosimiglianza: avendo constatato che non è possibile il vero, non mi interessa che sia vero ma che sia veromile al punto tale da consentire il conseguimento dell'obiettivo, devo basarmi - per farlo - sul fatto che esiste l'errore, una deficitarietà di base, insopprimibile, quindi non cerco più la verità ma, per necessità, devo trovare il modo migliore di navigare nell'errore e nella deficitarietà per attraversare con successo il fiume. A questo punto non mi interessa più negare o affermare la realtà oltre l'illusione, non dico che non c'è, dico solo che - purtroppo - nella mia posizione io mi illudo per natura, che non è neanche la mia natura ma la natura dei processi di conoscenza. Però io devo campà e questa cosa che devo fare la devo fare lo stesso altrimenti non campo. Allora il mio punto di forza quale è? E' sapere di questo scarto "errori di misura", "tempi di latenza" e "distorsioni" varie.

Il campo in cui opera questa persona non ha nulla a che fare con il pensiero filosofico orientale e men che mai buddhista però da ciò che fa dipente la vita di molti a lungo termine ed ha sviluppato un "pensiero buddhista", ovviamente usa i suoi linguaggi di pertinenza, che sono diversi dai miei, o di altri.
Anziché un solo linguaggio per tutte le cose abbiamo qui tanti linguaggi per una stessa conclusione le cui conseguenze sono tratte ed applicate diversamente a seconda degli ambiti.

In pratica risulati concreti si possono ottenere con la rinuncia all'idea che sia possibile perfetta precisione. Io lo trovo interessante.
Non cerco più il linguaggio perfetto ma mi muovo sulla base della coscienza delle imperfezioni, delle imprecisioni, di carenze intrinseche.
A me questa visione piace, perché mi permette di interagire utilmente senza soffrire la limitazione ma avendo la possibilità di sfruttare a mio favore la coscienza delle limitazioni.

E mi sembra più bello e godibile della frenetica rincorsa al preciso e perfetto che a me appare un po' l'ossessione della "razionalità scientifica occidentale che vuole il raggiungimento dell'indiscutibile vuole la "certezza"" che mi fa un po' l'effetto della casalinga per la quale un quarto d'ora dopo aver spolverato spolvererebbe di nuovo perché si è già riposata la polvere.


" linguaggio che descrivesse "le proprietà" ma non l'essere lo trovo in qualche modo possibile"

Qui mi fai venire in mente una cosa simpatica, i thailandesi (ma forse anche altre lingue) che mi sa che non sono buddhisti a caso, vengono presi in giro da noi perché per dire "stecchino" devono dire qualcosa del tipo "palma seminata assolata abbattuta trasportata lavorata che produce scarto a forma di bastoncino utile per pulire gli spazi fra i denti".
Patrizia Mura is offline  
Vecchio 02-11-2014, 18.59.22   #33
Patrizia Mura
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proseguo in altro post per esaurimento caratteri disponibili



"siamo sicuri che non potresti fare bene il meccanico senza supporre che qualcuno possiede le sue proprietà"

Posso anche sostenere "l'inconsistenza" del sé che possiede le qualità per fare il meccanico, ma applicata a questo ambito non è molto pratico. Contingentemente pur non negando l'inconsistenza del mio sé, e concependola dipendente da cause e condizioni, pur tuttavia possiedo alcune qualità e non altre e, ti più, un altro che prima di me abbia posseduto le qualità per fare il meccanico mi mostra il meccanico che posso diventare e mi trasmette gli input necessari, da cui anche una possibilità di evoluzione della pratica e di trasmissione di conoscenza, intendo trasmissione diretta da persona a persona che è diverso da leggere istruzioni per cambiare una gomma su un libretto, fondamentalmente diverso.

"spostare quel tubo nero a destra" presuppone necessariamente che vi sia un ente distinto con certe caratteristiche obbiettive?

Sul piano fenomenico si, e, soprattutto, non mi è di alcuna utile funzionalità considerare altri punti di vista al fine di spostare il tubo nero a destra, se mi metto a farlo non riuscirò a spostare il tubo nero a destra, poiché verrebbe fuori il paradosso che non vi è alcun tubo da spostare nè niente o nessuno che lo possa spostare ma poi se mi si allaga casa sarà più difficile per me sostenere che non vi è una casa allagata in cui non posso più dormire.

Ciò non significa, per me, che la tua visione sia errata, ma solo che non è dotata di una natura a sè stante indipendente tale da poter essere utilizzata sempre ma solo in funzione del fine per cui viene adottata e per spostare il tubo a destra non va bene, allora occorre cercare di capire per cosa va bene.

Ci saranno ambiti in cui chi ritiene la natura di meccanico e del tubo da spostare a destra dovra rinunciare a questa certezza e saper elasticamente adottare un altro punto di vista.

Purtroppo la nostra natura è vincolata all'utilitarismo.

Io penso che se una persona all'improvviso si è ritrovata a dover dire "non è sempre e solo così" è perchè ha esperito una situazione in cui ciò non funzionava più.
Siamo costretti a compartimentare perché è utile, altrimenti non possiamo riuscire a continuare ad esistere e di conseguenza a ragonarci su. Tutto facciamo ed avviene per noi in funzione dell'attraversare il fiume, circostanza cui non ci è possibile sottrarci e che è causa di tutto per noi.

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Vecchio 02-11-2014, 20.02.13   #34
sgiombo
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Riferimento: Fra fenomenico e trascendente, attraverso le possibili visioni ragioni modi e utilità

Aggressor:
Il fatto è che quello che vedi degli altri, tipo degli atomi, non è diverso da quello che vedi di te. Cioè conoscere le propria coscienza è la stessa cosa di vedere il comportamento di sé e degli altri (così si realizza la coscienza), così vedere il comportamento degli altri non è molto diverso da vedere la loro coscienza. Più sai descrive il comportamento degli altri più ti immedesimi in loro. In questo senso parlo dello studio della coscienza altrui.

Sgiombo:
La mia coscienza la esperisco direttamente “in prima persona”; quella degli altri uomini me la posso indirettamente immaginare dai loro comportamenti e dai loro racconti; cosa che in parte posso fare di quella degli altri animali partendo dalle analogie (limitate) fra i loro comportamenti e quelli umani.
Degli atomi (ma non solo: di tutto tranne che degli animali) non posso immaginarmi alcuna coscienza per il semplice fatto che non hanno alcun comportamento intenzionale che presenti la ben che minima analogia col mio né con quello degli altri uomini e degli altri animali, ma solo un divenire naturale (che è ben diversa cosa!).

Aggressor:
Per quanto riguarda il discorso di non poter sapere se gli altri possiedono una coscienza, credo che la cosa possa dirimersi solo attraverso una revisione del linguaggio o di certi assunti metafisici; perché se non mi dovessi considerare come altro dagli altri non potrei dire che quelli non sono come me, coscienti.

Sgiombo:
Non basta certo considerarsi arbitrariamente, pregiudizialmente simili agli atomi in quanto dotati di coscienza perché questi siano dotati di cosienza; altrimenti potremmo anche allo stesso modo arbitrariamente considerarci simili a Dio (e questo è “volontà di potenza”, o meglio delirio di onnipotenza).

La cosa può dirimersi razionalmente e scientificamente non certo lavorando sfrenatamente e arbitrariamente di fantasia su presunte non rilevabili possibilità di coscienza degli atomi, ma solo attraverso l’ osservazione scientifica del loro modo di divenire.
E si dirime rilevando che, contrariamente agli uomini e in forme più limitate agli altri animali, non presentano alcun comportamento intenzionale che possa essere realisticamente ritenuto accompagnato da coscienza ma solo un divenire naturale secondo le leggi della fisica.



Sgiombo:
Quella fra pensiero e materia è solo una distinzione (arbitraria come tutte le distinzioni ma molto seriamente fondata e utile alla comprensione del reale) fra diverse “cose realmente esistenti” nell’ ambito dei fenomeni di coscienza e non l' aggiunta di ulteriori entità ipotetiche (qui il rasoio di Ockam non c’ entra proprio).
La tua posizione invece, per spiegare la necessaria continuità del divenire naturale secondo le leggi fisiche postula un’ infinità di esperienze coscienti oltre quelle animali (degli atomi e di un’ infinità di altre cose).

Secondo il criterio del rasoio di Ockam non c’ è proprio confronto fra parsimonia della mia e la dispendiosità della tua.

Aggressor:
Ma la tua tesi postula comunque una infinità di enti noumenici (e se non sono infiniti anche la mia tesi può postulare finite coscienze, e se il noumeno è uno anche io posso postulare, come faccio apertamente in realtà, l'unità dell'essere), alcuni doppi però, in quanto seguiti da una realtà parallela cosciente. Quindi a volte duplichi le entità e di base duplichi i tipi di entità.

Un esempio efficace dell'utilizzo del rasoio è questo: una volta si credeva che sulla Terra vigessero certe leggi mentre nell'universo dalla Luna in su altre. Mettiamo dunque che la legge di gravità influenzasse solo il mondo sublunare; quando fu estesa la legge di gravità al mondo super-lunare non si andò contro il rasoio in quanto fu moltiplicato il numero degli enti che soggiacciono alla stessa forza, ma lo si utilizzò efficacemente perché furono diminuiti i tipi di forze (o comportamenti degli enti) esistenti riconducendoli ad uno, quello descritto dalla legge di gravità.
Per spiegare il moto degli astri si ricorreva a comportamenti del tutto singolari (caso per caso) non riconducibili a leggi più fondamentali; quando quelle leggi furono trovate, quei comportamenti particolari scomparvero diminuendo il tipo di leggi ma aumentando gli enti che soggiacciono alla stessa.
Allo stesso modo, mi pare, se si utilizzasse solo la coscienza e non anche le cose in sé si avrebbe un singolo "modo d'essere" a cui ricondurre i vari comportamenti. Gli enti non sarebbero aumentati, perché le cose in sé sarebbero stati degli enti, ma solo si ricondurrebbe il loro modo d'essere ad uno diversificantesi nei vari casi a seconda della situazione (come la forza di gravità è la stessa ma diversa nelle sue applicazioni).

Sgiombo:
No.
La mia proposta postula solo l’ esistenza della cosa in sé o noumeno (nella quale molto vagamente e alquanto oscuramente si può considerare un numero di enti dell’ ordine di grandezza di quelli costituenti la realtà materiale naturale esperibile nelle varie esperienze coscienti) in divenire biunivocamente correlato con quello dei fenomeni (nelle esperienze coscienti di fatto esistenti e constatabili e in aggiunta ad esse).
La tua a queste ultime ne aggiunge -contro Ockam- un’ infinità di altre (ciascuna delle quali implicante un numero di enti dell’ ordine di grandezza di ciascun altra e della “mia” cosa in sé).

La scoperta della gravitazione universale fu fatta da Newton senza applicare minimamente il rasoio di Ockam, ma solo osservando i moti della masse di tutto l’ universo conosciuto e riconoscendola, verificandola in essi (non la sostituì alla fisica aristotelica come ipotesi implicante un minor numero di assunzioni arbitrarie, ma come teoria fattualmente provata al posto di una teoria fattualmente falsificata).

Se si attribuiscono esperienze coscienti a tutto ciò che è complesso come o più dell’ atomo di idrogeno si moltiplicano inverosimilmente gli enti (si aggiunge a quelli delle coscienze di uomini e animali un’ infinità di volte un ulteriore analogo numero di enti).
Se si aggiunge alle esperienze fenomeniche coscienti il noumeno al massimo si aggiunge una volta sola un numero di enti analogo a quello degli enti dell’ universo fisico).



Aggressor:
La M.Q. mi piace, perché si inizia almeno ad escludere che certi oggetti abbiano obbiettivamente delle proprietà (e questo difficilmente si può negare anche ricorrendo a certe interpretazioni realiste, sto leggendo molto in merito), e alcuni parlano addirittura della coscienza come causa del collasso della funzione d'onda. Io ci sto anche su quest'ultimo punto, ma non dico che è l'uomo e basta a determinare il collasso, sarebbe invece possibile calcolare quali oggetti (che chiamiamo macroscopici=complessi) possono causarlo e in che misura.
So che ci sono interpretazioni alternative, ma quelle ortodosse si prestano bene alla mia concezione del mondo

Sgiombo:
Lo nego eccome!
La M. Q. nell’ affermare che certe proprietà di certi oggetti non esistono (ma ciò è discutibile: l’ interpretazione di Bohm consente ineccepibilmente di affermare l’ esistenza delle “variabili nascoste”) non afferma affatto che certi oggetti abbiano (acquistino) le proprietà che soggettivamente gli osservatori vogliono intenzionalmente conferire loro; dice semplicemente che certi oggetti non hanno certe proprietà che erroneamente si potrebbero attribuire loro, ma sia questo loro non avere tali caratteristiche, sia l’ avere quelle che invece hanno sono fatti oggettivi.
Puoi provocare il collasso delle funzione d’ onda se e quando vuoi (secondo l’ interpretazione conformistica), ma non puoi affatto soggettivamente decidere che valore assumerà la posizione o la quantità di moto oggettiva della particella/onda che rileverai.
sgiombo is offline  
Vecchio 03-11-2014, 02.50.28   #35
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Originalmente inviato da Patrizia Mura

Ci saranno ambiti in cui chi ritiene la natura di meccanico e del tubo da spostare a destra dovra rinunciare a questa certezza e saper elasticamente adottare un altro punto di vista.

Purtroppo la nostra natura è vincolata all'utilitarismo.

Io penso che se una persona all'improvviso si è ritrovata a dover dire "non è sempre e solo così" è perchè ha esperito una situazione in cui ciò non funzionava più.
Siamo costretti a compartimentare perché è utile, altrimenti non possiamo riuscire a continuare ad esistere e di conseguenza a ragonarci su. Tutto facciamo ed avviene per noi in funzione dell'attraversare il fiume, circostanza cui non ci è possibile sottrarci e che è causa di tutto per noi.


Sì ma perchè purtroppo? Per Heidegger e non solo, se l'uomo nasce sprovvisto dell'istinto, necessità della struttura e quindi dell'utilità.

Le scuole orientali dovrebbero smettere di propinarci questa sorta di idillio con un mondo di serenità e vacuità di pensiero, come se fosse questa la situazione originaria dell'uomo.

Non diciamo sciocchezze, le loro società sono spaventose almeno quante le nostre.

Inoltre basta con questa sciocchezze scettiche sul Mondo, voglio proprio vedervi a bere un bicchiere d'acqua e domandarvi se quel bicchierè sparirà per mancanza di latenza....

Al massimo se mai accadesse, e non accadrà mai, vi arrabbiereste, perchè di quell'acqua, si proprio quell'acqua che vedete, ne avete proprio bisogno!

Come già detto non esiste un linguaggio universale, ma solo un lingugaggio che diventa storia, la Lingua lo chiamava Saussurre, è tutt'altro che una sistemazione definitiva, è solo un esoscheletro che viene poi riempito di infiniti significati, rimandi storici, rimandi di folklore, gesti, musica, danza, e ogni cosa che sia Segno.
Una sintassi con un suo segno, un suo simbolo, così ogni scuola orientale conterrà le propria storia.(e la lasciamo volentieri a loro)

green&grey pocket is offline  
Vecchio 03-11-2014, 03.36.38   #36
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Patrizia
L'unità perde a mio avviso di senso nel momento in cui vengono negate le proprietà degli enti, come dici.
Banalmente se si finisce per dire - allo scopo di esaltare l'unità - che le cose non esistono si sta negando anche l'unità.


Esatto, è meglio non parlare né di unità né di molteplicità in senso ontologico ma continuare a descrivere il mondo per mezzo di un linguaggio che non ci porti ad ipostatizzare simili idee.



Anche se può essere una cosa positiva avere a disposizione molti linguaggi diversi alcuni potrebbero essere in grado di prevedere meglio gli eventi o comprenderli più a fondo. Un linguaggio primitivo in qualche modo o in qualche senso deve essere meno efficace degli altri (non dico peggiore, ma, almeno, da qualche o da molti -o forse da tutti?- i punti di vista meno efficace). Tu stessa non ti stai interrogando su queste cose per non trovare assolutamente risposte, ma anzi affini il tuo linguaggio per appagare proprio questa voglia di conoscenza.
In ogni caso il mio discorso più che essere assoluto era mirato ad augurare, fondamentalmente, una trasformazione del linguaggio logico occidentale (che è quello che usiamo di più anche tra di noi), cosa che, secondo me, potrebbe portare vantaggi anche in matematica ed in informatica, oltre che in etica.

Probabilmente con l'esempio del "tubo nero" non sono riuscito a farmi capire.
Quello che volevo dire è che se ti chiedo di passarmi un bicchiere di acqua non vuol dire che presuppongo che tu, l'acqua e io siamo enti separati, né, in realtà, si presuppone che il linguaggio che ho usato si basi su questo assunto (il linguaggio è una convenzione, ci si intende anche senza riflettere metafisicamente su ogni parola). Allo stesso modo, per me, tutto quello che è scritto su una guida per idraulici non presuppone la separazione degli enti, né il fatto che esista qualcosa come "le proprietà" che apparterrebbero a qualcuno.
Mentre sposti un tubo non devi pensare necessariamente che esistano delle realtà obbiettive, puoi semplicemente agire sapendo che ti stai basando sul tuo punto di vista che è comunque affidabile e che una realtà in sé non esiste (per quanto questo non comporterà la sparizione del tuo braccio quando non lo guarderai per i motivi che ho già espresso negli altri post). Puoi anche non pensare a nulla di tutto ciò.





Sgiombo:
Se si attribuiscono esperienze coscienti a tutto ciò che è complesso come o più dell’ atomo di idrogeno si moltiplicano inverosimilmente gli enti (si aggiunge a quelli delle coscienze di uomini e animali un’ infinità di volte un ulteriore analogo numero di enti).
Se si aggiunge alle esperienze fenomeniche coscienti il noumeno al massimo si aggiunge una volta sola un numero di enti analogo a quello degli enti dell’ universo fisico).


Non ho capito.. perché nel secondo caso si aggiunge "una volta sola" e nel primo "una infinità di volte" qualcosa..
Da un lato si può postulare il noumeno e il fenomeno (=>che accompagnerebbe il noumeno a volte), dall'altro solo il fenomeno. La seconda ipotesi mi sembra più semplice e, se dovesse bastare per spigare ciò che ci ci circonda (ed io ho cercato di avanzare prove a sostegno di ciò, soprattutto con la questione della Luna osservata dai non umani quando essi non la guardano, perché la storia delle cose che scompaiono è tra gli argomenti principali dei realisti), altrettanto efficace rispetto alla prima.


Il discorso della volontà poi lo trovo un po strano: cosa sarebbe questa volontà che ci distingue dagli atomi? Mi pare un circolo vizioso partito dal concetto coscienza che ora è volontà, che forse diventerà libertà (perché poi alla fine si dice che l'uomo è libero e gli altri no).

Dici che le mie sono tesi fantasiose e di aspettare la scienza, ma nel tuo saggio avevi detto che la scienza non può aiutare su questo tema mentre io, per sviluppare le mie idee, mi sto confrontando con i risultati di moderni studi scientifici. Ho tirato in ballo le neuroscienze e l'interpretazione ufficiale della M.Q. ... Non che sia un fun della scienza in realtà, ma la ritengo utile a volte quanto spesso dannosa (ma non per colpa sua, più che altro per il modo in cui viene insegnata alla massa).


Un saluto!
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Vecchio 03-11-2014, 11.23.19   #37
sgiombo
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Ho cancellato questa risposta perché l' ho rinviata anche più tardi credendo di non essere riuscito a mandarla al forum non essendo comparsa diverse ore dopo che era comparso un' altro mio intervento (in una diversa discussione).

Vedi più sotto.

Ultima modifica di sgiombo : 04-11-2014 alle ore 07.54.03.
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Vecchio 03-11-2014, 19.19.01   #38
Patrizia Mura
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Originalmente inviato da Aggressor
Esatto, è meglio non parlare né di unità né di molteplicità in senso ontologico ma continuare a descrivere il mondo per mezzo di un linguaggio che non ci porti ad ipostatizzare simili idee.

Concordo, in tal caso occorre un linguaggio adatto a descrivere le relazioni, connessioni, interdipendenze.

Devo dire che il verbo "essere", quando diciamo per comodità "questo è un tubo" o "quell'uomo è un idraulico" non aiuta molto.

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in etica

Questa è la parte più difficile ed interessante. Percepire l'interconnessione delle cose modificherebbe radicalmente la visione etica di base occidentale derivata dalla religione cattolica.

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puoi semplicemente agire sapendo che ti stai basando sul tuo punto di vista che è comunque affidabile e che una realtà in sé non esiste (per quanto questo non comporterà la sparizione del tuo braccio quando non lo guarderai per i motivi che ho già espresso negli altri post).

Puoi anche non pensare a nulla di tutto ciò.


Ora che ho compreso nelle sfumature ciò che affermi sono d'accordo.

Questa è la posizione del buddhadharma, ma proprio precisa, precisa precisa.
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Vecchio 03-11-2014, 19.44.13   #39
Patrizia Mura
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Le scuole orientali dovrebbero smettere di propinarci questa sorta di idillio con un mondo di serenità e vacuità di pensiero, come se fosse questa la situazione originaria dell'uomo.

Bah, non capisco a che ti riferisci.

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Originalmente inviato da green&grey pocket
le loro società sono spaventose almeno quante le nostre.

Beh, come sai ciò di cui si sta disquisendo qui avrà molta poca importanza per la nostra società e molta poca influenza su di essa.
Così come qualunque pensiero estremamente raffinato in un ambiente accademico-scientifico ha sempre molti pochi utenti nella società.
Quindi star qui ad illudersi che - oggi poi! - sia ancora possibile influenzare il mondo con scuole di pensiero mi pare una sciocchezza.
All'uopo la coca cola funzionerà sempre meglio.

Per giunta la loro mentalità è che ognuno si aggreghi liberamente allo stile di pensiero che ritiene o a nessuno, e quindi tanti darshana e tanti rami interni. Se speri di giungere ad una unica e ovunque e da chiunque condivisa visione della realtà ciò è impossibile in partenza, a parte che mi si riproduce la verità unica e incontestabile tipica della teocrazia. Le cose stanno così e solo e sempre così punto e basta e tutti si devono adeguare a questa visione che è quella giusta.


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Originalmente inviato da green&grey pocket
Inoltre basta con questa sciocchezze scettiche sul Mondo, voglio proprio vedervi a bere un bicchiere d'acqua e domandarvi se quel bicchierè sparirà per mancanza di latenza....

A ciò ha risposto molto bene Aggressor.

Ma a quali "scuole orientali ti riferisci"? Considerato il numero e considerato il tempo che gli accademici impiegano a litigare per determinare cosa una scuola o un'altra realmente sostenga mi sembra eccessivamente riduttivo inquadrarle sotto la voce "sciocchezze scettiche sul mondo". Questo è quanto è pervenuto a te, ma non è detto che sia così. Temo comunque proprio che nessun indiano sia timoroso di vedersi sparire il bicchier d'acqua.

Sai, il punto è che a scoprire che speculazioni che noi facciamo da un certo numero di anni in poi sono state già fatte molto tempo prima da altri ci si domanda perché ognun che nasca dovrebbe voler reinventare la ruota da capo.
Magari fruire di lavoro già fatto non sarebbe male anche se poi in occidente c'è pure il vizio di andarsi a nutrire in oriente, ricondire la minestra opportunamente, adeguata sia in termini di contenuti che di linguaggio, e poi metterci sopra l'etichetta tizio/caio sinonimo di "il pensiero occidentale". Oppure di parlar di pensiero orientale senza minimamente considerarne l'assoluta "non unitarietà".
Quelli che ritengono l'interdipendenza di qua, quelli che ritengono un'altra cosa di là, e via dicendo e ognun pensi come vuole e non passa per l'anticamera del cervello a nessuno che un'altra non possa vivere pensandola diversamente da me.

Hai voglia quanta gente ha immesso idee nuove per l'occidente essendosi servito di import nella storia delle filosofia occidentale sia rendendolo riconoscibile che mascherandolo.
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Vecchio 03-11-2014, 20.03.53   #40
sgiombo
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Originalmente inviato da Aggressor
Sgiombo:
Se si attribuiscono esperienze coscienti a tutto ciò che è complesso come o più dell’ atomo di idrogeno si moltiplicano inverosimilmente gli enti (si aggiunge a quelli delle coscienze di uomini e animali un’ infinità di volte un ulteriore analogo numero di enti).
Se si aggiunge alle esperienze fenomeniche coscienti il noumeno al massimo si aggiunge una volta sola un numero di enti analogo a quello degli enti dell’ universo fisico).


Non ho capito.. perché nel secondo caso si aggiunge "una volta sola" e nel primo "una infinità di volte" qualcosa..
Da un lato si può postulare il noumeno e il fenomeno (=>che accompagnerebbe il noumeno a volte), dall'altro solo il fenomeno. La seconda ipotesi mi sembra più semplice e, se dovesse bastare per spigare ciò che ci ci circonda (ed io ho cercato di avanzare prove a sostegno di ciò, soprattutto con la questione della Luna osservata dai non umani quando essi non la guardano, perché la storia delle cose che scompaiono è tra gli argomenti principali dei realisti), altrettanto efficace rispetto alla prima.


Il discorso della volontà poi lo trovo un po strano: cosa sarebbe questa volontà che ci distingue dagli atomi? Mi pare un circolo vizioso partito dal concetto coscienza che ora è volontà, che forse diventerà libertà (perché poi alla fine si dice che l'uomo è libero e gli altri no).

Dici che le mie sono tesi fantasiose e di aspettare la scienza, ma nel tuo saggio avevi detto che la scienza non può aiutare su questo tema mentre io, per sviluppare le mie idee, mi sto confrontando con i risultati di moderni studi scientifici. Ho tirato in ballo le neuroscienze e l'interpretazione ufficiale della M.Q. ... Non che sia un fun della scienza in realtà, ma la ritengo utile a volte quanto spesso dannosa (ma non per colpa sua, più che altro per il modo in cui viene insegnata alla massa).


Un saluto!
La mia proposta postula, in aggiunta alle esperienze fenomeniche coscienti ragionevolmente attribuibili agli uomini (vivi) e agli altri animali, il noumeno; la tua vi aggiunge un infinità di altre esperienze fenomeniche coscienti di cui non si ha alcun indizio (e dunque non ragionevolmente attribuibili), una per ciascun' entità materiale considerabile di complessità pari o maggiore di quella dell’ atomo di idrogeno.
Possiamo considerare il noumeno un'unica entità e parimenti ogni esperienza fenomenica cosciente un‘ unica entità: secondo questa interpretazione io postulo una sola entità, tu un’ infinità di entità.
Oppure possiamo considerare (sempre parimenti) noumeno ed esperienze fenomeniche coscienti costituite da più entità. Inoltre nell’ ambito di questa seconda interpretazione possiamo ipotizzare che esistano infiniti atomi nel mondo (fenomenico) materiale (l’ universo fisico), oppure un numero enorme ma finito.
Nella prima ipotesi io postulo un numero infinito di entità noumeniche (numero infinito moltiplicato per uno, poiché il noumeno è uno solo, contenente un numero infinito di enti secondo questa interpretazione); invece postuli tu un numero di entità fenomeniche pure infinito ma maggiore di quello da me proposto in quanto costituito dalle entità fenomeniche (in numero finito ma maggiore di uno; molto maggiore) di ciascuna esperienza fenomenica che postuli (una per ciascuno degli infiniti atomi; più una per ciascuna delle infinite altre cose diverse da animali ma più complesse degli atomi di idrogeno, ma posso anche permettermi di ignorare queste ultime) moltiplicate per il numero infinito di tali esperienze fenomeniche coscienti.
In simboli semplici io postulo OO x 1 entità, mentre tu ne postuli OO x n essendo n > 1.
Un discorso del tutto analogo sarebbe da fare nell’ ipotesi che l’ universo fisico contenesse un numero finito di atomi e altri oggetti materiali di complessità uguale o maggiore di quella dell’ atomo di idrogeno (chiamiamolo numero “n” finito). In questo caso infatti ad essi nella mia proposta corrisponderebbe un uguale numero n di entità noumeniche; invece nella tua proposta, poiché anche ciascuna esperienza fenomenica cosciente (e non solo il noumeno) è costituita da un numero variabile ma certamente superiore a uno di entità, allora il numero di entità postulate è uguale a n x m essendo m il numero medio (finito > 1) delle entità costituenti ciascuna esperienza fenomenica cosciente e n il numero finito > 1 delle esperienze fenomeniche coscienti postulate.
Poiché m > 1 é del tutto evidente che (n x m) > (n x 1).

Ma, a parte queste considerazioni “matematiche”, ha senso usare il criterio del rasoio di Ockam per scegliere fra ipotesi alternative ugualmente attendibili; e però questo non é il nostro caso, poiché mentre della mia del noumeno non è possibile verificare l’ attendibilità, invece della tua si può ragionevolmente verificare che non esiste alcun indizio che indichi che tutti gli enti di complessità uguale o maggiore dell’ atomo di idrogeno e minore di quella degli animali dotati di sistema nervoso siano accompagnati da un’ esperienza fenomenica cosciente (al contrario del caso degli uomini e degli altri animali).

Di “volontà” e men che meno di “libertà” non ho mai parlato nella mia ipotesi (anche perché non credo alla realtà -bensì all’ illusorietà- del libero arbitrio).
Ho invece affermato che a distinguere gli animali dotati di sistema nervoso sufficientemente complesso dagli atomi e gli altri enti di complessità compresa fra questi e quelli è il fatto che i primi presentano un comportamento complesso e indicativo di coscienza (che potrebbe essere ritenuto rispondente, oltre che alle leggi di natura, anche anche a intenzioni coscienti) mentre i secondi solo un divenire naturale semplice (che potrebbe essere ritenuto rispondente unicamente alle leggi di natura e a nient’ altro).

Nella mia lettera-on-line ho sostenuto che il problema dei rapporti pensiero/materia (o mente/cervello) eccede le scienze naturali, che non sono quindi in grado di risolverlo.
Non che le scienze naturali non ci dimostrano che a determinati stati funzionali dei cervelli umani e animali, e non a determinati stati funzionali di tutti gli oggetti di complessità uguale o superiore a quella dell’ atomo di idrogeno, corrispondono determinati stati di coscienza.
E questo non basta certo a risolvere il problema del rapporto mente/cervello, ma basta e avanza per scartare l’ ipotesi di un’ esperienza corrispondente a tutto ciò che è complesso quanto o più degli atomi di idrogeno, senza bisogno di scomodare il rasoio di Ockam.

Ricambio il saluto.
sgiombo is offline  

 



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