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 Riflessioni dal Carcere - Commenti sugli articoli della omonima rubrica presente su WWW.RIFLESSIONI.IT - Indice articoli rubrica


Vecchio 22-01-2009, 19.53.50   #1
nexus6
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Sul carcere...

Da: Incontro con Desi Bruno, Garante dei diritti dei detenuti di Bologna di Fabrizio Dentini

(consigliato per approfondimenti: Detenzione e percezione della pena - Indagine sociologica sugli effetti del trattamento penitenziario)

Citazione:
Originalmente inviato da Fabrizio Dentini
Alla luce delle parole del Garante due riflessioni sorgono spontanee: primo la maggior parte delle persone detenute attualmente nelle carceri italiane appartengono per origine e condizione sociale a quegli strati di popolazione per i quali il delitto diventa necessità, il recidivo è spesso un lavoratore straniero irregolare, lo zoccolo duro dell’umanità senza diritti presente nella nostra società. I precari di oggi guardano con angoscia a questa condizione sociale, probabile futura soglia della loro medesima condizione. Con il termine recidivo si vuole dunque tornare a configurare la delinquenza come un tratto biologico, lombrosiano, omettendone volutamente le concause sociali.
Secondo, l’illegalità persistente all’interno delle carceri italiane conduce il detenuto verso un percorso opposto all’ipotesi di reinserimento, verso una radicalizzazione della propria posizione rispetto alla società. L’inosservanza della legislazione vigente ed il mancato perseguimento dei responsabili di tale situazione, funzionerebbe come meccanismo subdolo di istigazione alla delinquenza: inoltre, quando lo Stato, istituzione primaria dell’autorità, fallisce perseverando negli anni, nel garantire il rispetto del proprio corpo legislativo, non assume esso stesso la forma giuridica del recidivo?
In questo pezzo, con poche e semplice parole, si dipinge ciò che credo sia il carcere, il carattere simbolico di questo luogo per noi e fisico per chi ci transita o è costretto a permanerci a lungo.

E' chiaro da tempo ormai, in primis alle autorità carcerarie, che il sistema detentivo non adempie a quelli che dovrebbero essere (istituzionalmente) i suoi compiti, ma anzi costituisce un inferno in terra per chi vi passa attraverso: “tanto meglio” penseranno in molti, purtroppo, tanto è diffusa l'idea che per far comprendere ad una persona la gravità del suo gesto abbisogni di privarlo della sua dignità, della sua umanità, isolandolo ermeticamente dalla comunità sociale.

La necessità delle carceri è un dogma della società molto più coriaceo di quelli religiosi, enormemente superiore, un dogma indiscutibile e pare inimmaginabile il pensiero stesso di analizzarlo criticamente: questo deve far riflettere soprattutto i pensatori che si credono “liberi”! L'etica è responsabilità, responsabilità di tutto ciò che si pensa! Pensiamo spesso ai diritti umani di gente lontanissima da noi, dimenticandoci che magari non molto lontano da casa vengono ugualmente violati.

I numeri parlano chiaro: con la crescita delle capienze carcerarie crescono sempre proporzionalmente anche i detenuti, come un gorgo che si allarga ed aumenta il suo potere di attrazione. E parlano chiaro pure quelli sulla provenienza sociale e geografica della maggior parte dei detenuti e sul fatto che ritornino spesso a commettere gli stessi identici reati. Ma è quello che in realtà la società vuole, poiché necessita di “criminali” da riconoscere ed eliminare simbolicamente e di fatto anche fisicamente. Il carcere è un immenso simbolo di esorcismo del male presente in ognuno di noi.

Personalmente ho realizzato, prima ancora di analisi sui dati di fatto, che il sistema penitenziario sia profondamente ingiusto e vada abolito in questa forma; aborrisco termini come “rieducazione” in quanto nascondono solo menomazione fisica e morale che permette a noi, al di qua, di tenere linda la coscienza, di conservare quella confortante situazione d'essere dalla parte del “giusto”, così da evitare l'analisi critica delle cause del fenomeno; invece “di là” a poco a poco scompare la dignità d'esser uomini: eppure chi sono, che cosa hanno fatto, da dove provengono, perché? Vivono o sono vissuti qui, in questa dannata società! E come si pretende poi escano sereni e “rieducati”, se in galera avviene vengano privati di ciò che consideriamo “umano”? Nessuna di queste domande è opportuno si insinui nel lindo corpo della società, poiché potrebbe farci accorgere che è anche parte di noi quella rinchiusa in carcere, la parte ombra che desideriamo allontanare.

Penso che la stessa terminologia sia simbolica di quanto sto dicendo: la parola “deviante” a significare lo status di cui sono e debbono essere investiti queste persone, le quali rappresentano, incarnano, realizzano alcune correnti, alcuni ruoli necessari costitutivamente alla nostra società; secondo una lettura psicoanalitica è proprio la società stessa che “spinge” certe persone ad occupare questi “ruoli”, per poi poterle stigmatizzare, esorcizzare. Esprimono conflitti e disagi della società nel suo complesso, malesseri repressi che continuamente escono allo scoperto, incarnandosi; vedi efferati omicidi, ma soprattutto la sterminata marea di umanità variamente considerata come “clandestina”, “extracomunitaria” o semplicemente disagiata e povera. Il meccanismo che attuiamo è lo stesso, spesso, di quello che utilizziamo quando soffriamo, stiamo male: il primo gesto è quello di allontanare, di far finta non esista il malessere, il conflitto, anche se questo non vuol certo dire interrogarsi sulle cause, analizzarlo per porvi rimedio, poiché è parte di noi ed è potenzialmente lì pronto a realizzarsi di nuovo!

«La società usando i criminali come capri espiatori e tentando di distruggerli, perché non è in grado di sopportare il riflesso delle proprie colpe, non fa in realtà che pugnalarsi al cuore.» (Ruth Eissler)

Io credo che il sistema, al completo, sia errato ed inutile, oltre che crudele; ho letto alcuni scritti di Vincenzo Andraous, nella sezione Riflessioni dal carcere (consiglio minimo: 1. 2. e 3.) e credo non abbia senso considerare un singolo individuo che entra in carcere, seppur ognuno abbia la sua unica ed irripetibile storia, come isolato, esclusivamente come un essere a se stante, così come nel caso di un nostro malessere non ha senso isolare il sintomo dal quadro generale della nostra persona. Ecco perché sviliscono l'uomo termini come “rieducazione” o “devianza” che per loro natura fanno passare l'impressione che sia possibile circoscrivere l'individuo, estrapolarlo ed isolarlo dal contesto. In realtà l'operazione che avviene in carcere equivale proprio ad un intervento chirurgico di asportazione più che ad un tentativo di reinserimento nella società ovvero di risoluzione di quel conflitto, di quel malessere. E' profondamente ipocrita parlare di “reinserimento”, come detto, se poi in carcere progressivamente si agisce e si mira a privare l'uomo delle sue caratteristiche essenziali.

L'isolamento forzato e questa deprivazione progressiva come punizione trovo sarebbero considerate da gran parte di noi come una cosa incomprensibile ed abominevole se solo riuscissimo a sfocare un po' lo sguardo, ad osservare la realtà come bambini che si domandano per la prima volta su un fenomeno che non conoscono. Ho letto studi antropologici in cui sono esistite società umane o sono avvenuti episodi che non hanno necessitato del ricorso a questa istituzione, cioè in cui le controversie, anche gravi, venivano risolte sempre all'interno della dialettica sociale e sarebbe stato assurdo, invece, pensare di isolare i singoli individui.

Non ho ora grandi soluzioni, grandi prospettive, ma penso 1) che l'istituzione carceraria così come concepita vada abolita e 2) che vadano veramente e profondamente comprese le cause di disagio sociale che concorrono al “crimine”, poiché sono espressione di disagi e malesseri delle società in cui viviamo, altrimenti rimarranno sempre presenti, pronte ad incarnarsi in questo o quell'individuo che prontamente isoleremo. E come facciamo, mi si dirà! Non lo so, ma sicuramente non sarà una strada facile, altrettanto semplice come ignorare il problema e far finta che sparisca dietro spesse mura di cemento.

Antonio
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Vecchio 23-01-2009, 16.22.20   #2
nexus6
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Commenti odierni...

Notizia di oggi: nuova riforma della giustizia che prevede, per risolvere il sovraffollamento carcerario, la costruzione di altri istituti penitenziari. Inoltre, a seguito di brutti fatti di cronaca, annuncio (propagandistico) di maggior presenza militare in città e più telecamere.

Sembra più che mai di stare nel romanzo di Orwell, 1984. Strade come corridoi di una prigione a cielo aperto, con il grande fratello vigile occhio sempre presente. Una società del controllo.

Non c'è ragionevolezza in questi provvedimenti, non si tiene conto dei dati sui crimini (in media in calo l'anno scorso), né di quelli sulle carceri (più carceri più detenuti), non c'è alcuno sguardo al futuro, né la minima volontà di comprendere le cause dei disagi dietro ai fatti di cronaca. Nessuna forza politica attuale né è capace mostrando una pochezza imbarazzante. L'attuale opposizione, invece di virare da questa follia securitaria e paranoica, cavalca anch'essa l'onda della paura chiedendo a gran voce “più sicurezza”.

E' immorale fare politica sulla paura della gente, poiché si dialoga con la parte più oscura di noi, quella che non pensa razionalmente, ma reagisce in modo ancestrale, fuga o attacco, niente altro.

Questa ansia, questa ossessione per la sicurezza, alimentata dai media che danno risalto solo a qualche sporadico fatto negativo presentandolo come la norma, ha qualcosa di malsano poiché non è in sostanza giustificata, è pura ipocondria! Unita a ciò, è presente l'assurdo e latente pensiero che il controllo nella società possa e debba essere minuzioso e totale! Pare assurdo che fino a pochi anni fa in città, nei paesini e nelle campagne non ci siano state telecamere! E questa è proprio una delle cose che accade in carcere, ove tutto si svolge sotto l'attento occhio di telecamere e secondini.

Oltre tali considerazioni, incontro pure persone ragionevoli che mi dicono d'essere disposte a farsi controllare ancora di più per maggiore sicurezza (e si sa quanto questa disposizione d'animo venga sfruttata dal potere, vedi Patriot Act negli USA che limita le libertà civili in nome della lotta al terrorismo)...

...beh, allora penso sia solo un brutto sogno, d'essermi addormentato mentre leggevo 1984.

°°°

E' arduo pensare a breve termine di cambiare radicalmente l'istituzione carceraria se la stessa voce che si leva dall'opinione pubblica è quella d'essere anch'essa progressivamente rinchiusa in un regime simil-carcerario.


Con disincantato sconforto,
Antonio

Ultima modifica di nexus6 : 23-01-2009 alle ore 17.10.34. Motivo: inserimento link notizia
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Vecchio 29-01-2009, 13.39.17   #3
senzanome
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vorrei dire due cose.
sul carcere.
qualsiasi crimine sia commesso, di qualsiasi gravità, esso è il frutto di una corresponsabilità. Ovvero, il responsabile è l'individuo che ha commesso l'atto, ma la responsabilità è di tutta la società.
L'allontanare l'individuo non basta. Carceri, manicomi... Si finge che il problema sia rimovibile semplicemente allontanandolo.
E' la società a produrre quegli stessi individui che compiono atti violenti, o comunque atti illegali, è la società stessa che viene sconfitta ogni volta che un individuo commette qualcosa che va contro la sopravvivenza della società. E se non ci si interroga sulle cause della sconfitta, se non si esercita la capacità critica, se non ci si mette in discussione, le carceri prolifereranno, aggiungendo dolore e disumanità e ingiustizia.

la seconda cosa che vorrei dire è questa.
un popolo che ha paura è un popolo più facilmente controllabile.
Una persona insicura è una persona sulla quale è facile esercitare un'influenza, un controllo.
Una società terrorizzata è una società che si può tenere a bada.
Chi vende sicurezza come specchietto per le allodole è un truffatore consapevole e a me mette paura.
La stessa paura che tutte le volte all'uscita dalla metropolitana mi assale non appena vedo quella camionetta di militari armati che mi si para dinanzi.
Ma mi chiedo anche perché per me sia così, mentre per tanti altri la stessa visione della camionetta di giovani militari armati infonde un senso di sollievo e sicurezza. Ed è dopo questa domanda che mi assale lo sconforto.
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Vecchio 29-01-2009, 18.54.32   #4
nexus6
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Oh, che piacere essere d'accordo, parola per parola, con qualcuno/a su questo argomento!

Poni proprio una bella domanda: perché a molti quella camionetta infonde un senso di sollievo e sicurezza?

In poche e semplici parole non saprei come risponderti altrimenti: la paura è uno dei sentimenti principali e più ancestrali dell'uomo così come degli animali; dunque la presenza, il riscontro fisico di persone che si percepiscono addette alla “protezione” e che perciò si incaricano per noi di lottare contro le cause della paura, fa provare un senso di benessere e sicurezza. E quali sono le “cause della paura”? Credo che il tutto dipenda dalla percezione che abbiamo di noi, degli altri e della società. Se abbiamo la consapevolezza che un reato non è solo il frutto di una singola azione, ma essa è immersa in un contesto sociale che la favorisce, allora comprendiamo come la mitraglietta ostentata dal poliziotto sia solo un falso simbolo di sicurezza: capisci, lo sentiamo proprio perché sappiamo bene che il problema è più grande ed esteso.

Invece, per coloro che limitano i problemi al “delinquente”, al “deviante”, è chiaro che la mitraglietta sia l'arma essenziale e sostanzialmente unica per combattere queste “cause di paura”! Basta un colpo o una manganellata a circoscrivere il “criminale”, isolarlo ed estirparlo dal contesto della società. E' lo stesso concetto del carcere. Tu invece sai bene che questo non è possibile e che le cause rimarranno pari pari lì e dunque percepisci l'assurdità (ed anche la paura) di quelle armi ostentate con sicurezza.

C'è uno sguardo all'uomo differente.

Berlusconi, qualche giorno fa, ha perso l'occasione di dire una cosa intelligente: è impossibile far accompagnare ogni donna (ma lui doveva fare il buffone aggiungendo “bella”) da un militare! E' una semplice follia (anche se alcuni non la considereranno tale!) poiché le cause della violenza sessuale, la stragrande maggioranza delle quali avviene in casa ad opera di italiani, si combatte minando la sottocultura maschilista e violenta che pervade la nostra società.

Da questa consapevolezza, credo, discenda la risposta alla tua domanda, che è anche una delle mie.

Ci sono tante "forze" nella società: noi non facciamo come quel tale che diceva che le persone più sagge sono piene di dubbi e dunque rischiano di essere immobili e mute, mentre i folli ed i paranoici sono quelli più sicuri di loro stessi e dunque gli unici ad agire!

Un abbraccio.
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Vecchio 03-09-2010, 16.25.58   #5
Aggressor
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Io credo che il carcere come è oggi, nella sua inutilità per quello che riguarda il reinserimento di chi vi finisce nella società, sia esattamente ciò che serve alla nostra società.

Il capitalismo e la stortura dell'intera struttura sociale in cui viviamo ha bisogno di un deterrente psicologico per chiunque voglia eludere la legalità.
Non interessa a nessuno che i più sfortunati (perchè ormai si sa, come avete ben spiegato sopra, se io faccio qualcosa di male sarà colpa dell'istruzione che ho avuto e delle esperienze della mia vita) siano "curati", gli deve solo essere fatto del male, così tutti gli altri "sfortunati" ci penseranno 2 volte prima di compiere qualche atto criminale.

Tanto di gente povera e ignorante ce n'è a bizzeffe; se il carcere fosse un posto meno crudele tutti cercherebbero di fare impicci, di lasciarsi muovere dagli impulsi momentanei sapendo che non rischiano poi molto.

Certo, se non ci fosse un tale dislivello sociale e una cutura così violenta probabilmente il carcere potrebbe essere più un centro di riabilitazione che una casa di tortura, ma non è così.

Quello che voglio dire è che il problema delle carceri come lo ponete voi sarà risolvibile solo dopo che si siano risolti tutti gli altri problemi sociali da cui derivano i comportamenti aggressivi e illegali.
Ma sono pienamente daccordo che le cose non dovrebbero stare così e sono felice che qualcuno sia arrivato ad aprire un tale topic...
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Vecchio 25-09-2011, 21.57.38   #6
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Originalmente inviato da senzanome
vorrei dire due cose.
sul carcere.
qualsiasi crimine sia commesso, di qualsiasi gravità, esso è il frutto di una corresponsabilità. Ovvero, il responsabile è l'individuo che ha commesso l'atto, ma la responsabilità è di tutta la società.
L'allontanare l'individuo non basta. Carceri, manicomi... Si finge che il problema sia rimovibile semplicemente allontanandolo.
E' la società a produrre quegli stessi individui che compiono atti violenti, o comunque atti illegali, è la società stessa che viene sconfitta ogni volta che un individuo commette qualcosa che va contro la sopravvivenza della società. E se non ci si interroga sulle cause della sconfitta, se non si esercita la capacità critica, se non ci si mette in discussione, le carceri prolifereranno, aggiungendo dolore e disumanità e ingiustizia.

la seconda cosa che vorrei dire è questa.
un popolo che ha paura è un popolo più facilmente controllabile.
Una persona insicura è una persona sulla quale è facile esercitare un'influenza, un controllo.
Una società terrorizzata è una società che si può tenere a bada.
Chi vende sicurezza come specchietto per le allodole è un truffatore consapevole e a me mette paura.
La stessa paura che tutte le volte all'uscita dalla metropolitana mi assale non appena vedo quella camionetta di militari armati che mi si para dinanzi.
Ma mi chiedo anche perché per me sia così, mentre per tanti altri la stessa visione della camionetta di giovani militari armati infonde un senso di sollievo e sicurezza. Ed è dopo questa domanda che mi assale lo sconforto.
Entrato da poco nel forum, mando un saluto a tutti.

Il tuo assunto mi ha fatto venire alla mente la famosa frase: "Guai a quei popoli che hanno bisogno di eroi". Altrettanto si potrebbe affermare delle carceri: guai a quei popoli che hanno bisogno di carceri, giacché la sconfitta di una società si dichiara nel momento stesso che sono progettate. Tanto per affermare che abbraccio la tua analisi di responsabilità condivisa, ma ritengo in proporzione assolutamente minoritaria per chi commette il reato. Di fatto, non vi è dubbio che l'azione che porta al crimine, piccolo o grande che sia, provenga da un disadattamento dell'individuo, dalla miseria intellettuale dell'ambiente di provenienza, e che combacia nel 90% dei casi alla miseria economica, e così via. Altri reati avvengono per ignoranza, disperazione psicologica o disturbi dello stesso genere.
Per quanto concerne la domanda che poni alla fine del tuo assunto, a mio modo di vedere, le risposte potrebbero essere tante; provo a indicarne qualcuna secondo il mio mio punto di vista.

1°) La visione improvvisa di uomini armati, può far emergere in noi la paura che possiamo essere indifesi davanti a tali persone, perché al primo impatto non comprendiamo minimamente che esse possano stare lì in nostra difesa.
2°) La stessa visione può portare a galla la realtà; ovvero, se abbiamo bisogno di gente armata vuol dire che esiste un pericolo che ha bisogno degli armamenti per sconfiggerlo.
3°) Oppure, gente armata porta alla mente la violenza. Ovvero: chi si arma vuol combattere la violenza allo stesso modo di chi la commette, sperando che la sua difesa sia più forte di quella degli altri.
Nella pratica, in modo inconscio, riviviamo l'angoscia della legge del più forte.

Per altro, affermi che per molte persone la situazione è diversa, poiché si sentono sicure alla visione della camionetta di poliziotti. Senza dubbio quelle persone avranno da qualche tempo metabolizzato che la divisa sta dalla loro parte, non ponendosi tanti problemi esistenziali che potrebbero invece avere persone con una sensibilità più marcata. L'altra versione, senza voler fare lo psicologo della Domenica, potrebbe riguardare dei sensi di colpa assopiti e non risolti, e che alla vista dei poliziotti tornano alla coscienza. Ciao.

Ultima modifica di Tempo2011 : 26-09-2011 alle ore 09.39.48.
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Vecchio 07-10-2011, 18.07.32   #7
senzanome
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Ciao Tempo2011.
Interessanti le tue considerazioni.
Credo che la violenza non si combatta con la violenza.
Se per essere protetti, per sentirsi protetti, c'è bisogno di accettare persone armate lungo le strade di casa tua, significa che qualcosa davvero non va, qualcosa di marcio ha contaminato la società da tutte le parti.
Questo è il sentimento che mi assale.
Nel vedere la camionetta dei militari alla stazione della metropolitana mi assale il pensiero del non essere in grado di istinguere tra una violenza "giusta" e una violenza "sbagliata".

Mi hai fatto tornare in mente un film che amo (che dalla mia mente non è mai andato via in realtà) "Arancia Meccanica". Il film è diviso in due parti, la violenza esercitata da A-lex, il protagonista, e la violenza esercitata dal sistema su A-lex come programma di reinserimento sociale. C'è molta differenza tra la prima e la seconda parte del film?
La camionetta dei militari alla stazione della metro non mi fa sentire più protetta e più sicura, bensì il contrario. Mi rende chiaro ed evidente che questo sistema così come è produce violenza e alimenta insicurezza, per controllare le persone, e per dirla in altro modo, produce e alimenta i germi della propria stessa distruzione.
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Vecchio 08-10-2011, 10.01.29   #8
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Ciao Tempo2011.
Interessanti le tue considerazioni.
Credo che la violenza non si combatta con la violenza.
Se per essere protetti, per sentirsi protetti, c'è bisogno di accettare persone armate lungo le strade di casa tua, significa che qualcosa davvero non va, qualcosa di marcio ha contaminato la società da tutte le parti.
Questo è il sentimento che mi assale.
Nel vedere la camionetta dei militari alla stazione della metropolitana mi assale il pensiero del non essere in grado di istinguere tra una violenza "giusta" e una violenza "sbagliata".

Mi hai fatto tornare in mente un film che amo (che dalla mia mente non è mai andato via in realtà) "Arancia Meccanica". Il film è diviso in due parti, la violenza esercitata da A-lex, il protagonista, e la violenza esercitata dal sistema su A-lex come programma di reinserimento sociale. C'è molta differenza tra la prima e la seconda parte del film?
La camionetta dei militari alla stazione della metro non mi fa sentire più protetta e più sicura, bensì il contrario. Mi rende chiaro ed evidente che questo sistema così come è produce violenza e alimenta insicurezza, per controllare le persone e, per dirla in altro modo, produce e alimenta i germi della propria stessa distruzione.
Purtroppo, nonostante i duemila anni dalla nascita della famosa frase: Porgi l'altra guancia, non è cambiato nulla, rimanendo immutato il concetto del più forte. Naturalmente questo, non soltanto nella società cosiddetta civile ,ma anche nelle istituzioni, poiché esse non hanno saputo sviluppare quelle metodologie di giustizia sociale che non avrebbero permesso il mantenimento e il radicamento dell'ignoranza, della povertà e della disperazione. In pratica, la stessa cosa che hai espresso tu in modo molto bello e conciso, con la frase che riporto in corsivo: per dirla in altro modo, produce e alimenta i germi della propria stessa distruzione. In un certo senso, credimi, mi dispiace darti ragione ma, pur non essendo un pessimista, per il nostro futuro non vedo altre possibilità. Allora, stando così le cose, vedrai che per il futuro non saranno costruite altre scuole, ma altre carceri. Ciao.

Ultima modifica di Tempo2011 : 08-10-2011 alle ore 21.33.59.
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Vecchio 04-01-2012, 00.01.48   #9
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Ciao Tempo2011.
Interessanti le tue considerazioni.
Credo che la violenza non si combatta con la violenza.
Se per essere protetti, per sentirsi protetti, c'è bisogno di accettare persone armate lungo le strade di casa tua, significa che qualcosa davvero non va, qualcosa di marcio ha contaminato la società da tutte le parti.
Questo è il sentimento che mi assale.
Nel vedere la camionetta dei militari alla stazione della metropolitana mi assale il pensiero del non essere in grado di istinguere tra una violenza "giusta" e una violenza "sbagliata".

Mi hai fatto tornare in mente un film che amo (che dalla mia mente non è mai andato via in realtà) "Arancia Meccanica". Il film è diviso in due parti, la violenza esercitata da A-lex, il protagonista, e la violenza esercitata dal sistema su A-lex come programma di reinserimento sociale. C'è molta differenza tra la prima e la seconda parte del film?
La camionetta dei militari alla stazione della metro non mi fa sentire più protetta e più sicura, bensì il contrario. Mi rende chiaro ed evidente che questo sistema così come è produce violenza e alimenta insicurezza, per controllare le persone, e per dirla in altro modo, produce e alimenta i germi della propria stessa distruzione.

ciao tempo 2011,
data la mia pluriennale esperienza nel carcere (da carcerato) vorrei intervenire su questo argomento facendo una premessa che va intesa non come minimamente giustificativa a ciò che giudico palese dimostrazione d'incapacità risolutiva del
problema e incapacità d'esercizio morale ed etico ma come esortativa ad una maggiore e costruttiva riflessione: è troppo facile criticare senza dare una possibile soluzione a ciò che si critica.
E' del tutto evidente che il carcere è null'altro che mera dimostrazione di potere nonchè logica conseguenza di quell'altra dimostrazione di potere che passa sotto il nome di "sistema giudiziario". Tuttavia occorre riconoscere che i reati vengono commessi e se è vero che il reo è solo corresponsabile della sua azione o condotta, è altrettanto vero che le concause sociali di per sè non sono sufficienti a spiegare la condotta (altrimenti tutte le persone nelle "medesime" condizioni sociali commetterebbero reati[sappiamo che così non è]). E' sufficiente entrare da imputato in una aula di giustizia per comprendere a quale carico di potere si è sottoposti o, per meglio dire, a quale carico di ingiustizia si è sottoposti quando ci si accorge che non sei tu che vieni giudicato ma bensì il reato che si presume tu abbia commesso; ma poichè il reato può sì essere condannato ma non punito,ecco che necessita un colpevole[un corpo] su cui intervenire praticamente, un corpo da esibire come efficacità del sistema in generale e di quello giudiziario in particolare.
Il carcere poi null'altro è che un'estensione dell'esibizione che, paradossalmente, è tanto più efficace quando è meno visibile in virtù dell'immaginifica paura che susciterà non essendo conosciuto. Sarebbe, secondo me, interessante soffermarsi sulla terminologia dei due sistemi(giudiziario e carcerario)... secondo me, per esempio, non si dovrebbe parlare di "giustizia" ma di "legge" perchè è di questa che si tratta, la giustizia è ben altra cosa e di certo non regna nelle carceri che invece sono grogiuolo di sedimentazione d'ingiustizia che partendo dal trattamento che il tuo corpo subisce, penetra sempre più nell'anima fino a farti ritenere normale vivere in quella condizione immorale e a-etica. quello che ho sempre chiesto è: in virtù di quale logica si ritiene che punire un'azione/reato con un'azione/reato più grave sia giusto? L'azione descritta dal reato ha differente valore/disvalore morale ed etico se commessa dal cittadino o dallo Stato? ciao... alla prossima
cimmolo is offline  
Vecchio 05-01-2012, 08.25.44   #10
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ciao tempo 2011,
data la mia pluriennale esperienza nel carcere (da carcerato) vorrei intervenire su questo argomento facendo una premessa che va intesa non come minimamente giustificativa a ciò che giudico palese dimostrazione d'incapacità risolutiva del problema e incapacità d'esercizio morale ed etico ma come esortativa ad una maggiore e costruttiva riflessione: è troppo facile criticare senza dare una possibile soluzione a ciò che si critica.
E' del tutto evidente che il carcere è null'altro che mera dimostrazione di potere nonchè logica conseguenza di quell'altra dimostrazione di potere che passa sotto il nome di "sistema giudiziario". Tuttavia occorre riconoscere che i reati vengono commessi e se è vero che il reo è solo corresponsabile della sua azione o condotta, è altrettanto vero che le concause sociali di per sè non sono sufficienti a spiegare la condotta (altrimenti tutte le persone nelle "medesime" condizioni sociali commetterebbero reati[sappiamo che così non è]).
In effetti, così non è, nemmeno per coloro che si tolgono la vita in carcere mentre altri no. Come te le spieghi queste differenze comportamentali? Poiché mi hai passato la palla, ne approfitto per dare la mia opinione su queste inspiegabili differenze. Ovvero, pensandoci un pochino mi sono detto che: presumibilmente, il fiume in piena della casualità non agisce sulla nostra psiche allo stesso modo, perché è sufficiente una piccolissima variazione perché uno commetta un reato e un'altro no. Per esempio, non tutti, per un mancato rispetto di una fila in un tabaccaio sferrerà un pugno portando alla morte un'altra persona. Oppure, non tutti, per un piccolo diverbio sull'occupazione di un posto sulla metro, pensa di infilare la punta di un ombrello dentro l'occhio di un'altra persona ecc. Considera, inoltre che, questi accadimenti non sono premeditati. Ovvero, tutti noi non ci alziamo la mattina pensando di attuare quello che poi accade.
Perciò, la condizione di casualità in cui siamo immersi fin dalla nascita, avi compresi, fa si che ogni uomo o donna siano, più o meno, segnati dalla durezza della vita. Pensa: è sufficiente che uno sia procreato mentre vi sia una certa temperatura corporea e ambientale, perché vi siano moltissime probabilità perché si nasca uomo o donna. Come potrai appurare la casualità la fa da padrona in questa vita. Perciò, in una società democratica e civile, il dovere di un governo dovrebbe essere quello di neutralizzare, fin dove è possibile, le bizzarrie della casualità, cercando delle possibilità di crescita equilibrata e in giustizia ai propri cittadini. Questo, si potrebbe attuare, anche, risparmiando i soldi per la costruzione e il mantenimento di centinaia di carceri che, come sappiamo, non risolve il problema. Certamente, penserai che tu stia colloquiando con un'utopista, probabilmente si; ma quando si ha il coraggio di valutare la realtà negativa per quello che è, si deve avere il coraggio di applicarla. Ti porto un piccolo grande esempio di utopia al potere, applicata da un nostro grande contemporaneo, l'industriale: Adriano Olivetti (1901/1945). La rivoluzionaria idea di Olivetti, per quei tempi, era rappresentata dal fatto di comprendere che, la produzione di una fabbrica era tanto più robusta quanto più alte erano le motivazioni di chi ci lavorava dentro, come: operai, tecnici, impiegati, progettisti, dirigenti compresi. Allora che cosa fa il nostro Adriano? Come prima cosa cercò di andare incontro ai problemi ed esigenze dei suoi dipendenti, introducendo nelle sue fabbriche, primo nel mondo, la mensa aziendale, l'asilo nido, l'abitazione a costo contenuto ecc. In pratica, pur per motivi differenti, egli attuava quel contenimento che esercita la casualità nella vita di tutti i giorni. Ecco perché ho affermato che le carceri rappresentano la forte testimonianza del fallimento di una società, e quello che tu descrivi di ciò che accade nei tribunali, carceri ecc. sono tutti fatti che, come affermi tu, applicano la legge ma non la giustizia. Ciao cimmolo.
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