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Vecchio 27-06-2014, 09.39.29   #1
Galvan 1224
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Buddha bar

In questo bar della costa tirrenica vi son diverse statue del Buddha, di dimensioni oltre quelle umane e color bianco o lega metallica.
Trattandosi d’un bar m’è venuto d’appellarlo in tal modo, e pur se non fa parte del famoso circuito a quello innegabilmente si rifà.

Che dire, cercar un po’ di luce riflessa è men faticoso di crearla per proprio conto, ma la cosa non mi dà alcun fastidio, anzi, mi par bello sorseggiare un caffè e aver l’opportunità d’ammirare le raffigurazioni di un uomo che nel corso della vita è divenuto quel che si riporta.

Penso sian state eseguite milioni di statue del Buddha e miliardi di dipinti, così come del Cristo e di tanti altri uomini (e donne) che hanno avuto qualcosa in comune, al minino un anelito e al massimo un destino.

La storia del Buddha l’ho incontrata una quarantina d’anni fa, rimandone affascinato, come succede a tanti.
Avrei quasi avuto l’età giusta (20 anni) per esser ordinato Bikkhu (monaco), ovviamente dopo un periodo di apprendistato e conformemente all’ortodossia di uno dei tre Canoni, ma il mio interesse si risolse nell’informarmi e procurarmi diverso materiale scritto e frequentare per qualche giorno i primi Lama tibetani (Milano) che impartivano la prima iniziazione.
Nell’occasione ero in compagnia di due amici che vollero riceverla, diversamente da me, non sufficientemente convinto dai discorsi e dal cerimoniale, il tutto comunque indubbiamente suggestivo.

Nel mio piccolo scelsi la strada del Shiddarta di Hesse, appartenere a qualcosa giusto il tempo per distaccarsene e procedere da solo.
Qualcuno riesce anche a non appartener mai a nulla, ma son rari.
Così non rinnego e son contento di tutte le strade che ho seguito e mi han portato, alla fine, a ritrovar il Buddha in un bar e a non viver nell’intenzione di seguirne i precetti, procedendo in una sola direzione.

Non ho alcun intento riduttivo nei confronti del grand’uomo parlando delle sue raffigurazioni finite in un bar, meglio lì salve che distrutte a cannonate dai talebani, son sempre opere d’arte di cui ho grandissima considerazione per ogni sua forma.

Oggi nel guardar tali raffigurazioni ne apprezzo il risultato espressivo raggiunto dall’artista, che a fronte d’un tema obbligato (posa ed espressione) riesce secondo le sue possibilità a comunicare la sensazione d’un differente modo di stare al mondo.
Un modo non affetto dal luogo, dalle circostanze e vorrei aggiunger dal bagaglio di conoscenze di cui siam tutti portatori, alcune le stesse di cui il Buddha dovette sbarazzarsi prima di trovar la sua via.

Stranamente tutta la conoscenza che la mia memoria conserva, in questo caso sul Buddha, non si frappone durante l’osservazione, pur essendo del tutto disponibile.
Quel che vedo son questi volti atteggiati d’un leggero sorriso, nel quale le cose del mondo e dell’esistenza son più in distanza dell’usuale.

Suppongo che per qualcuno non appaia cosa congrua l’aver collocato tali statue in luoghi mondani ma mi piace pensar che per il Buddha non via sia alcuna differenza tra l’esser in un luogo o l’altro.


Ovviamente il caffè era squisito (nirvanico mi par troppo…).
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Vecchio 28-06-2014, 14.14.51   #2
paul11
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Caro Galvan, è sempre un piacere leggerti.
Sai scrivere sapendo legare leggerezza e profondità.

E chi non si è almeno infatuato della culturale orientale, soprattutto in quel periodo che indichi?
Ho letto molto anch’io di quella cultura e ne ho gran rispetto.
Per vie traverse, cioè per mie approfondimenti sul pensiero storico diciamo spirituale, mi sono accorto di quanto le correnti culturali dell’oriente abbiano in qualche modo influito sulla nostra cultura occidentale: Buddha muore guardando l’occidente.
Come il percorso del nostro sole che nasce da oriente per morire ad occidente.
E' bene ricordare che il Buddha viene al mondo circa sei secoli prima di Gesù.

Anch’io lessi di H.Hesse i” Siddharta” e “Steppenwolf “così come ricordo in quel periodo E.Fromm “Avere o essere”.
Il Buddha è importante introspettivamente, soprattutto in questi nostri tempi concitati dove non si ha tempo di fermarsi un attimo e di pensare, meditare, contemplare.
Il suo pensiero mi è rimasto cristallizzato ,se così posso dire, in un momento, quando sono perso nelle attività umane stressate allora mi viene come un campanello che mi suggerisce:” fermati un attimo, cosa e come stai facendo, armonizzati perché emotivamente sei oltre il limite”.
Ci sarebbe moltissimo altro. Da cristiano ,se ho capito qualcosa del pensiero di Gesù, non ho preclusioni per nessun umano:ateo, credente, buddista. o quant’altro Perché dietro una fede o non fede c’è una persona a cui batte un cuore e scaturisce un pensiero. Il rispetto comunque umano innanzitutto e per l’uomo in sé e per sé a prescindere della categorie umane che noi tendiamo a classificare.. E allora la mia empatia è rivolta all’essenza umana, alla bontà d’animo che non conosce latitudini.
Quando i talebani distrussero le bellissime statue del Buddha, in quel preciso istante mi sono sentito un buddista.

Galvan, il modo in cui rappresenti la scenografia in quel bar affacciato sul Tirreno, mi fa pensare la tua immagine stagliata fra il mare e il tavolino del bar in cui sei seduto e ti vedo mentre con gesti lenti e misurati compi il “rito del caffè”. Tagli la bustina dello zucchero con le dita , ne versi il contenuto nella tazzina, rimesti con il cucchiaino la miscela e cominci a sorseggiarlo gustandone le fragranze e gli aromi, mentre guardi il mondo con un leggero e appena accennato sorriso: come di chi sa.
Stai bene fra le statue del Buddha disseminate qua e là nel bar che ti fan da contorno , come se tu fossi un “Piccolo Buddha.”.

paul11 is offline  
Vecchio 01-07-2014, 16.08.58   #3
Galvan 1224
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niente va perso o dimenticato
neppure una parola detta o scritta

niente di quanto fatto assieme
sarà mai cancellato dal nostro cuore

ogni volta il primo suono
ogni volta il primo sguardo

ogni volta lo stesso sentire
ogni volta nuovo




Il titolo di un romanzo, come di un film o una canzone, spesso cambia in corso d’opera e con quello non di rado anche il suo destino, potendo influire sul gradimento e successo presso il pubblico.
Il titolo è un po’ come un nome, forse capace d’infondere, di far permeare della sua essenzialità l’opera stessa come lo fa per una persona.

Quanto, è ovviamente tutto da verificare, ma scrivo qui alcuni titoli che han ottenuto quell’effetto (valutazione del tutto personale).

Film: La grande bellezza; Cloud Atlas; Il cielo sopra Berlino; Il nome della rosa; Oltre il giardino; 8 ½.

Canzoni: Imagine; Emozioni; Wish you were here; Father and Son; Azzurro.

Romanzi: Se questo è un uomo; Il male oscuro; Il vecchio e il mare; Alla ricerca del tempo perduto; Odissea; Divina Commedia… Uno, nessuno e centomila scuse per tutti quelli non citati…

Anche il titolo di una discussione in un forum può allettare o meno dal leggerla, ma man mano che procede o vi sono dei contenuti o gli iniziali lettori cambian titolo.
Come si cambia un bar, se il caffè (e l’ambiente) non è piaciuto.

Nel ringraziare chi si è fermato qui vorrei evidenziare un altro aspetto di questa discussione, che sarebbe potuto diventare un diverso titolo per la stessa: un luogo d’incontro.
Per me un bel bar l’esemplifica perfettamente, permettendo altresì di dar un tocco di leggerezza a contenuti di per sé seri, tanto più che siam in estate, molti sono in vacanza e si meritano un po’ di rilassamento (anche intellettuale).

Chi dunque potrebbe incontrarsi in questo luogo, e perché, prima di tutto? Chi abbia avuto la pazienza di seguirmi nella discussione a mio nome in filosofia non si meraviglierà di una delle mie attitudini, quella di cercar le condizioni per metter assieme persone che abbiano interessi comuni, per scambiar oltre che quelli, dell’altro… che non si può descriver con alcun processo fisiologico perturbato o meno che sia da eventi esterni (se son esterni…).

Quest’altro al momento non mi par sia stato ancor esaustivamente spiegato ma in ogni caso, pur se lo fosse, lo sarebbe secondo una (o più) via intellettuale, scientifica, spirituale o d’altro tipo.

Ogni spiegazione uccide l’esperienza in corso e interviene sulla memoria di quelle passate, dovendone dividere le parti di cui è composta per focalizzarsi su quelle di cui può dir qualcosa, con ciò perdendosi l’interezza del fenomeno/ evento/esperienza.

Qualcosa dentro di me è assolutamente certa che (frasi celebri) la parola non è la cosa, la spiegazione non è il fatto e in sostanza la complessità d’ogni cosa non è la somma dei suoi componenti… c’è un valore aggiunto. Poi ognuno, fortunatamente, è libero di pensarla come meglio crede.

Un bar per tutti, quindi, e il perché… perché ci son le statue del Buddha e non mancherò d’aggiungervi le riproduzioni delle luminose Madonne dei nostri pittori d’un tempo, Raffaello su tutti.
Perché il valore della tolleranza come ben detto da paul11 è sopra ogni cosa, chè perdendosi quello s’arriva a combattersi… in molti modi.

Ho da dire che pur scrivendo qui (spiritualità) non riesco, diversamente d’un tempo, a farmi un’idea di cosa questa possa essere, non avendomi attraversato un’esperienza riconducibile allo spirito, che non conosco - ne ho solo l’inafferrabile sensazione che sia qualcosa d’inseparabile da ogni altra – e quindi non potendone fare una qualche esperienza (si esperisce quel che si conosce).
In più scrivo solo d’eventi, circostanze e pensieri che mi son propri e accaduti, su quelli d’altri non mi pronuncio.

A giustificazione del mio alloggiar qui riporto che (cit. Wiki): Nel significato più antico lo spirito (πνεῦμα - pneuma) si presentava come qualcosa che vitalizza il corpo, «il soffio vitale come sottile principio materiale di vita», e questa definizione ne richiama un’altra, quella sull’ispirazione alla quale son grandemente devoto: Letteralmente il termine significa "respirare su" ed ha le sue origini in Grecia.

Come ho scritto nel primo post ho grandissima considerazione per l’arte, attività nella quale il respiro dell’artista si fonde con quello di qualcosa che si palesa in innumerevoli modalità, tuttavia riconducibile alla capacità di permettergli almeno in parte d’esser come non sia d’usuale, più o meno intensamente, accompagnandolo in un percorso inesplorato al termine del quale l’opera prodotta ne riveli il sigillo a chi abbia occhi e cuore per ammirarla.

Dall’ispirazione son stato e ancora a volte son attraversato (conformemente al mio livello), s’abbia o meno le parentele che le citazioni richiamate suggeriscono non saprei dirlo, ma nel tempo mi son accorto con un po’ di meraviglia di quanti che mi son attorno o che vengo a conoscere ne siano a loro volta attraversati.

Chi per la musica, la pittura, la scrittura… ultimamente un’amica che (a una età matura) dal nulla s’è messa a studiar e disegnar giardini che già son quadri nella carta (chissà in natura), il tutto a suggerirmi ch’essa non attenda altro che noi si trovi un po’ di tempo e di fiducia e si scruti il cielo, o si chiudan gli occhi, affinché possa gentilmente prenderci per mano… ma attenzione a voler replicar di nostro quel che ci giunge per sua grazia… quante canzoni suonan troppo allo stesso modo e quanti quadri appaiono variazioni sul tema… e così via.


Caro paul11, altrettanto per me è un piacere leggerti.

Sai scrivere senza far sentir il peso dei libri che hai sfogliato e studiato, distillandone l’essenza nel modo che ti è peculiare, che a me da l’ugual sensazione che dici ti procura il mio scriver, leggerezza e profondità.

Mi sento onorato della tua considerazione e altrettanto ti stimo, e questo sentimento, proceda o termini in questo bar, tuttavia s’è palesato e mi son sentito toccato da te, a riprova che ogni strada, anche questa elettronica, può avere un cuore.


Auguro ogni bene a te e a tutti gli amici del forum.
Galvan 1224 is offline  
Vecchio 03-07-2014, 18.02.04   #4
sebastianb
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Originalmente inviato da paul11



E' proprio cosi'. Non è tanto il mondo dei nostro tempo perchè - cosi' - è sempre stato.

Quest' affannosa esistenza .. sempre alla ricerca di " un qualcosa " è tipica dell' esistenza umana.
Se leggi con attenzione tra i Libri Sapienziali - Qoelet / Ecclesiaste - noterai come, gia' a quei tempi, il Predicatore denunciava la sconsiderata quanto illusoria e frenetica vita dell' uomo. Per cosa .. poi ??
Il versetto 1,3 è la sintesi di tutto il Libro : Che resta all' uomo di tutto il suo affanno per cui fatica sotto il sole ( ripetuto ancora in 2,22 - 3,9 ).

Tutto quanto l' uomo fa, come pure la nostra stessa " essenza ", sara' Hebel ( che la versione latina ha tradotto come Vanita' - inteso come vapore, fumo, aria, vento ... ovvero: inconsistenza / nulla ).

Lo so che il tema trattato da Galvan è poco inerente a quanto ho scritto. Ma il mio intervento riguardava solamente la tua frase che ho evidenziato.
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Vecchio 05-07-2014, 16.07.36   #5
gyta
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Ogni spiegazione uccide l’esperienza in corso e interviene sulla memoria di quelle passate, dovendone dividere le parti di cui è composta per focalizzarsi su quelle di cui può dir qualcosa, con ciò perdendosi l’interezza del fenomeno/ evento/esperienza.

Qualcosa dentro di me è assolutamente certa che (frasi celebri) la parola non è la cosa, la spiegazione non è il fatto e in sostanza la complessità d’ogni cosa non è la somma dei suoi componenti… c’è un valore aggiunto.

(Galvan)

Vorrei spendere qualche parola su di alcuni punti..

La spiegazione quando giunge dal cuore e non solo da una parte della mente
può divenire quel “valore aggiunto” di cui parli.

La “spiegazione” quando è arte di comunicazione, quando è linguaggio mosso dal profondo,
quando è desiderio di darsi e di conoscersi diventa il valore stesso dell’esperienza intesa come comunione.
E’ la parzialità ad uccidere l’esperienza, la parzialità ad uccidere senso e sentimento.

Penso che quello che più manca spesso nella comunicazione sia proprio quella ricerca
dei perché che determinano quella conoscenza capace di divenire comunione autentica
del sentire e dell’esperienza; uno scoprire, uno scoprirci.
Ancor più in ambiti quali il confronto del sentire e del pensiero intorno
all’animo umano, alla ricerca di un tessuto sotterraneo dell’alito di vita
e della coscienza che ci anima, alla spiritualità intesa come ricerca ed esperienza attiva
sento si abbia profondamente necessità di incontrarci su quel piano dei come e dei perché
che ci muovono nel profondo
, troppo spesso appena abbozzati nella comunicazione.
Eppure proprio quei significati personali, quello “spiegare” diventa l’unico modo possibile
al fine di stabilire un contatto che radichi su di una conoscenza autentica e non resti
alla superficie del confronto. Si ha spesso timore di questo piano come se nello spendere
immagini ad illustrare il nostro mondo ci si privasse di quella sacralità che ci anima.
In un certo senso al pari mi sembra accada nel dialogare intorno all’essere come se questo di fatto
altro non potesse che allontarci ancor di più dallo sperimentarci appieno. Eppure non stanno così
le cose.. Ci allontana di norma ogni parola trattenuta, ogni moto spontaneo nell’indagine del sentire,
ci allontana quel linguaggio trattenuto veicolo di quella energia vitale che necessita dispiegarsi oltre il confine
di questa nostra coscienza segreta..


Spesso si crede o ci si illude di credere che la perfezione consista in una intesa tacita,
in una magica corrispondenza di eventi sincronici che danno luogo a profonde intese,
a reciproche comprensioni. Ma la contemplazione è relazione privata non gioca alcun ruolo con l’altro da noi,
ci accomuna per mezzo di un senso sotterraneo alle cose secondo cui il mio mondo profondo è comunque
il medesimo per ogni anima umana seppure differente negli aspetti attraverso cui prende forma tramite contesti.
Ma in questo sentimento contemplativo in realtà l’altro non esiste se non come riflesso del nostro sentire,
una nostra ipotesi, la nostra immaginazione, il nostro desiderio seppure apparentemente propenso ad accogliere.
Così ho avuto modo di considerare nel tempo.

Forse la condivisione del piano spirituale consta proprio della capacità di mettersi in gioco nel profondo
costruendo assieme sensi e significati in un incontro che è linguaggio energetico in grado di veicolare
l’immaginario dell’anima e della coscienza più nascosta. Una luce delicata che porti in emersione quel
senso troppo spesso distrattamente commissionato ai poeti scordandoci che nessuna poesia può essere
più convincente del linguaggio autentico dell’anima umana.

Oppure non resta che la contemplazione distante.. fondamentalmente incompleta, parziale..

Ciò che vitalizza è il senso. La coscienza mentale ci definisce (seppure non ci esaurisca)
o forse per meglio dire, ci caratterizza (pur non definendoci).
Ciò che di sotterraneo ci abita, la coscienza mentale ne coglie il riflesso.
La comunione priva di proiezione procede attraverso i sensi della coscienza concettuale.
La contemplazione non esaurisce né sfiora il campo di conoscenza vitale.
L’esperienza si compie attraverso la reale rinuncia ai confini.
Allora la conoscenza può avere luogo come incontro autentico di senso e significato non proiettivo.

Così un’opera è arte quando possiede quel “respiro” capace di richiamare il nostro stesso respiro
affinché dialogo vitale sia. Non un mero riflesso ma lo spirito vivente capace di incendiare l’essere più profondo.
L’estasi differente dalla più quieta contemplazione è connubio di sensi ed anima è significato esperito, è comunione autentica, conoscenza, significato nell’esperienza. E’ riconoscimento non apparente.
L’anima divora nel fuoco del senso il limite e rende in emersione la sacralità che plasma le forme.
Una sacralità che è incontro di significato, il senso sotterraneo che vivifica.
Ecco la parola che è magia. Ecco il suono che compie il miracolo. Ecco il soffio che dona la forma.
“Spiegare” non è che rendere giustizia al linguaggio, quel soffio che infonde anima e forma all’intangibile.
Non è separare ma unire ciò che prima era disperso.

L’arte è linguaggio.. immagini-senso ad unire ciò che [alla coscienza sensoriale] appare disperso.
Il linguaggio è arte..

Il punto sempre e comunque è il grado di verosimiglianza con l’anima sotterranea.
Anche quando attraverso le parole comunichiamo “noi” agli altri.

Altro (dal relazionarci) è quel benessere che ci fa sentire a casa ovunque (o quasi).

Il buddha allora è il connubio fra quel sentirci a casa ed esserci.


Citazione:
Ho da dire che pur scrivendo qui (spiritualità) non riesco, diversamente d’un tempo, a farmi un’idea di cosa questa possa essere, non avendomi attraversato riconducibile allo spirito, che non conosco - ne ho solo l’inafferrabile sensazione che sia qualcosa d’inseparabile da ogni altra – e quindi non potendone fare una qualche esperienza (si esperisce quel che si conosce).

(Galvan)

Forse.. è proprio quella di un’esperienza “non riconducibile allo spirito”
“l’inafferrabile sensazione che sia qualcosa d’inseparabile da ogni altra”.

Dal mio punto di vista direi che è proprio l’esperienza di qualcosa
che non si può ricondurre per distinzione dal resto se non.. come
ciò che da luogo all’esperienza stessa..
gyta is offline  
Vecchio 05-07-2014, 18.41.02   #6
Galvan 1224
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Citazione:
Originalmente inviato da sebastianb
E' proprio cosi'. Non è tanto il mondo dei nostro tempo perchè - cosi' - è sempre stato.

Quest' affannosa esistenza .. sempre alla ricerca di " un qualcosa " è tipica dell' esistenza umana.
Se leggi con attenzione tra i Libri Sapienziali - Qoelet / Ecclesiaste - noterai come, gia' a quei tempi, il Predicatore denunciava la sconsiderata quanto illusoria e frenetica vita dell' uomo. Per cosa .. poi ??
Il versetto 1,3 è la sintesi di tutto il Libro : Che resta all' uomo di tutto il suo affanno per cui fatica sotto il sole ( ripetuto ancora in 2,22 - 3,9 ).

Tutto quanto l' uomo fa, come pure la nostra stessa " essenza ", sara' Hebel ( che la versione latina ha tradotto come Vanita' - inteso come vapore, fumo, aria, vento ... ovvero: inconsistenza / nulla ).

Lo so che il tema trattato da Galvan è poco inerente a quanto ho scritto. Ma il mio intervento riguardava solamente la tua frase che ho evidenziato.




Benvenuto in questo bar virtuale che ne rispecchia uno realmente esistente dove, diversamente da quello, chi vi entra ha un po’ d’affinità con i simboli e gli argomenti dalla persona cui si rifanno e altre ugualmente degne (per qualcuno di più).

Mancando la citazione (che per completezza ti invito a mettere) leggendo un po’ di tuo qui e là in Riflessioni ne ho preso un paio di spunti (uno è lo stesso un pò più esteso dove compare l'importante parola "eredità") che mi paiono intonati al tuo intervento e a quelli miei e di paul11.

1. Riferimento: si può credere a dio ma non identificarsi appartenere a nessuna religione?

Infatti è l' etica della reciprocita'! Quel principio universale per :
- ogni individuo
- ogni popolo
- ogni epoca
- ogni luogo
Come nel mondo antico questo principio è il validissimo comun denominatore di ""tutte"" le religioni.. e non solo. E' il principio della giustizia e della tolleranza!!

2. Riferimento: che senso ha ?

Questa domanda è la sintesi del Libro - gia' nel prologo egli la pone : Che resta all'uomo di tutto l'affanno per cui fatica sotto il sole ? ( 1,3 ) Risposta unica ed inequivocabile : Nulla !
Tutto quanto il supponente uomo fa, la sua stessa carcassa vivente . . evaporera' (Hebel ) nel nulla.
L'unica certezza è l'eredità: una coltre di vermi, insetti e corruzione! ( Isaia 14,9/11 - Sir. 10,11 ).
E quindi... il senso dell'effimera, fugace esistenza? Nulla!



Sul primo nulla da aggiungere, noi tre siam d’accordo e penso la quasi totalità dei frequentatori del forum.
Invece, immaginando d’esser seduti nelle comode poltroncine di questo locale (ha una veranda esterna ombreggiata) mi rivolgo virtualmente a te in merito al secondo.

Certamente ci si deve adoperar con fatica per ottener una qualsiasi cosa (anticamente e purtroppo odiernamente anche per il solo sopravvivere quotidiano) ma gli affanni a volte son ripagati, come ben conoscono gli artisti al completar l’opera cui furon dediti… nel contemplarla, sentendo che non v’è più nulla d’aggiungere o da togliere e che quello è il massimo che han potuto ottenere… forse alfine svuotati da quell’energia che fece dimenticar loro sonno e cibo per dedicarcisi appieno, rimangon lì, a volte lor stessi increduli del risultato (…perché non parli..?) per un tempo senza tempo, e in quel momento la pienezza recata da tal raggiungimento li farebbe accettar anche di naufragar, dolcemente, in qualche mare infinito.

Io che ammiro le loro opere sento che hanno un senso e anche se diverranno (forse, non è completamente sicuro) polvere nel nulla pur quel nulla tuttavia dovrà accoglierle… e se dal nulla qualcosa si crea e vi ritorna, fosse anche la minima cosa, il più piccolo suono, allor non può esser nulla.

Il nulla con cui abbiamo a che fare, procedendo il concetto da un pensiero è relativo a quello ed esiste solo in quello.


Dir “per nulla differente” è lo stesso che dir “uguale”?

« Il saṃsara è in nulla differente dal nirvāna. Il nirvāna è in nulla differente dal saṃsara. I confini del nirvāna sono i confini del saṃsara. »

(Nāgārjuna, Mūla-madhyamaka-kārikā)


A voi, se vi va, continuare.
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Vecchio 07-07-2014, 22.42.46   #7
Galvan 1224
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Citazione:
Originalmente inviato da gyta
Vorrei spendere qualche parola su di alcuni punti..

La spiegazione quando giunge dal cuore e non solo da una parte della mente
può divenire quel “valore aggiunto” di cui parli.

La “spiegazione” quando è arte di comunicazione, quando è linguaggio mosso dal profondo,
quando è desiderio di darsi e di conoscersi diventa il valore stesso dell’esperienza intesa come comunione.
E’ la parzialità ad uccidere l’esperienza, la parzialità ad uccidere senso e sentimento.

Penso che quello che più manca spesso nella comunicazione sia proprio quella ricerca
dei perché che determinano quella conoscenza capace di divenire comunione autentica
del sentire e dell’esperienza; uno scoprire, uno scoprirci.
....


Ringrazio Gyta del suo intervento.

Una volta pensavo che l’ottenere dei risultati, in ambiti diversi e all’epoca in quello spirituale, dipendesse o fosse direttamente proporzionale all’impegno prodotto, all’energia/applicazione/costanza/determinazione… e altri aggettivi che si posson intuire.

La scoperta di qualcosa di differente (oltre gli aspetti sociali/politici… materiali in sostanza) e constatare che a quello si dedicava una moltitudine di persone genuinamente alla ricerca del senso e significato dell’esistenza, mi fece abbandonare completamente e su due piedi il mio mondo, la mia realtà per aderire senza se e ma a quella testé incontrata.

Complice l’energia dei vent’anni sopportai l’impatto di un tal sovvertimento nelle mie abitudini.
Ad esempio (non ero neppure uno sportivo, solo qualche nuotata e sporadiche attività all’aria aperta) mi sbarazzai del materasso e iniziai a dormire su una coperta sopra una moquette di mezzo centimetro di spessore.
Cominciai a meditare (sempre per terra, senza cuscini) resistendo ostinatamente ai segnali di sofferenza (in realtà una tortura) che il mio corpo, non elastico e non avvezzo a tali posture inviava senza tregua.
Per dire, altro che posizione del loto, all’inizio le mie gambe restavano sollevate a 180 gradi da terra.
Che sorta di meditazione si possa condurre (… perché c’è sempre qualcuno che conduce la danza, piaccia o meno) vi lascio immaginare, il terminare di dormir per terra come di meditare era un vero sollievo. Ma son tipo tenace, tenni duro e pian piano (dopo tanti mesi) le gambe toccarono terra e riuscii anche a dormire qualche ora di seguito la notte.

Avessi allora (ci son andato vicino ma il fato se l’è preso…) seguito il mio guru avrei (forse) anche lasciato il lavoro che mi era giunto come una grazia dal cielo (ad affrancarmi a dir poco da una condizione critica) pur di non rammaricarmi in futuro d’aver agito parzialmente, facendomi sfuggir l’occasione…

Quale occasione, mi chiedo oggi?

Il nirvana?
Il raggiungimento d’un samadhi senza o con seme?
Almeno una qualche siddhi?

Oggi, una vita dopo, so cosa sono le aspettative, non solo a causa di quelle prime esperienze in ambiti selezionati (spirituali) ma ancor più dopo aver vissuto una vita “normale” (pur se quei contenuti li ho sempre portati con me) come scelsi di fare.

Poiché non se ne può far la controprova non si può dire come sarebbero andate le cose se avessi agito diversamente… se aveste agito diversamente, qualsiasi cosa abbiate fatto o stiate facendo.
Mi sa che quello che facciamo, come e quanto ci applichiamo non possa esser diversamente da come viene, che ognuno in ogni ambito abbia la sua misura e non sia questione di scarsa volontà o cattivo impegno.

Non sto dicendo che il destino sia scritto e noi in sostanza si percorra un binario predisposto, non so se davvero esiste tale forza (almeno in un’opera vien così detta) cui è stato affidato il compito ingrato di accompagnarci da culla a tomba, bersaglio di tutte le maledizioni per ogni cosa non vada nella direzione auspicata (sempre quella, in meglio in una forma o nell’altra).

Ho visto e vedo che ci son gigantesche dinamiche in corso, talmente
cariche d’inerzia da non potercisi opporre frontalmente, a meno di poter applicar una forza superiore per vincere lo scontro… con quali risultati? Quanti cadaveri a Waterloo, in Ucraina e in una miriade d’altri luoghi? Quanti politici da “sostituire” per metter le cose a posto?
E negli altri ambiti?

Quanti pensieri, disposizioni psicologiche, eventi nella nostra coscienza, potrebbero esser migliori di come sono e aver un respiro più ampio come anela Gyta?

Senza cedere al fatalismo, se le cose son come sono, vorrà dir qualcosa?

Dopo aver attraversato un lungo periodo di cataclismi interiori quello che ho sentito di poter fare è stato di ripartir dall’inizio lasciando da parte i riferimenti d’un tempo, alfine provando un po’ di compassione per questa mia forma e i suoi contenuti che sono ciò in cui mi riconosco.

La conoscenza non m’ha salvato dalle prove, dove non mi è stata d’alcun aiuto, tutt’altro.
Tutti i miei aneliti si son infranti al ritrovarmi la polvere sotto il tappeto, senza essermi accorto d’avercela messa da me.
E nel cercar d’eliminarla con ramazza e paletta per rimetter le cose in ordine… quella si riformava ancor più, qual vaso di Pandora se vien scoperchiato.

Son stato fortunato non avendo alcun merito, la tempesta è passata pur s’ha lasciato segni indelebili.
Ma anche a quelle cicatrici guardo con compassione, ho fatto quel che potevo, la mia modesta misura, accettata senza condizioni.

Come potrei non guardar con ugual occhi e ugual cuore ai miei simili che alloggiano in loro il medesimo inquietante vaso?
Vi riesco parzialmente, più spesso mancandolo del tutto, ma il ricordo me lo riporta, senza fretta, rispettando la mia misura d’adesso.

La frase della mia firma vien da me, la mia sola scoperta e la direzione della mia vita.
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Vecchio 08-07-2014, 15.40.02   #8
sebastianb
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Originalmente inviato da Galvan 1224

Mancando la citazione (che per completezza ti invito a mettere)
- Mi scuso per il pasticcio. La frase di Paul11 che ho trovato interessante .. da qui il commento è : . . soprattutto in questi tempi concitati dove non si ha tempo di fermarsi un attimo, e pensare, meditare, contemplare.



.

Certamente ci si deve adoperar con fatica per ottener una qualsiasi cosa (anticamente e purtroppo odiernamente anche per il solo sopravvivere quotidiano)










Si concordo quanto hai scritto. Del resto l' obbligo a procurarsi il pane .. faticando risale al celeberrimo Gn. 3,19 -

Anche il grande sapiente Qoelet prende in considerazione il lavoro . . e mette in guardia dallo strafare, dall' eccessiva fatica mirante espressamente all' accumulo di beni, per il prestigio sociale ( piu' si " ha " piu' si è riveriti ). Misera illusione . . Tutto restera' quaggiu' !!
Qoelet riporta in 4,6 : . . meglio un pugnello di riposo che una giumella di fatica e d' inutile affanno.

commento: E' preferibile una vita sobria, tranquilla... che gratifichi da quanto ottenuto dalle proprie fatiche, senza " ulteriori quanto vani eccessi causa di negative conseguenze. Infatti il prezzo da pagare è altissimo ... e ne vale proprio la pena? ( .. giumella di fatica e vano affanno).

Questo stesso tema Qoelet lo ripropone in 5,11 : Dolce il sonno del lavoratore - poco o " molto " che mangi ------ ma la sazieta' del ricco non lo lascia dormire.
commento: un lavoratore... che con il suo operato non potra' sicuramente acquistare fortune, possedere fortune .. puo' comunque permettersi
qualche extra ( poco o " molto " che mangi ) .. ma soprattutto dorme tranquillo!! -- Ben diverso il ricco impresario che per le gozzoviglie,
per gli affanni, le preoccupazioni ha il sonno aggitato.

E quindi? la fatidica felicita' che la ricchezza, il possesso ( ottenuto con smisurata fatica e affanno ) sembrerebbero garantire - è invece
fonte di continui agitati pensieri.. - Quello che è grave è l' insaziabilita' -
5,9 : chi ama il denaro mai di denaro è sazio -
chi ama la dovizia non ne ha che basti!
6,7 : ogni travaglio umano è per la bocca e la sua brama mai è sazia !

Eppure in Qoelet è evidente un terrificante versetto .. da tenere " sempre " presente .. in particolare per i vanitosi, gli arrivisti, i bramosi, gli sfrenati speculatori .. ecc.. - 5,14 = Nudo uscii dal grambo e nudo cosi' si ritorna e se ne va (!) , come venne, senza aver ricavato dalle sue fatiche Nulla da portare con sè !!

Versetto memorabile ( tra l' altro presente nei Sapienziali in Giobbe ( 1,21 ) - Salmi ( 49,18 ).


Quanto alle opere artistiche . . frutto dell' ingegno. Caro Galvan purtroppo diventeranno anch' esse polvere. E' solo questione di tempo.

Tu scrivi che " ammiri " le loro opere e riportando l' anedotto del . . perchè non parli? ( il grande Michelangelo che scaglia il martello contro il Mose' .. talmente era perfetto ) suppongo il tuo interesse per l' arte.
Ebbene, come te ( ammesso che abbia interpretato correttamente la tua delizia ( volevo scrivere .. passione - ma è una forma di attaccamento
e quindi nociva come qualsiasi " attaccamento " ) amo la musica. Del resto il mio nick : sebastianb .. è riferito al superlativo JS Bach ). Come
te desiderei che queste meraviglie siano eterne. Ma lo stesso Siddarta Gautama, il grande Illuminato d' Oriente predicava che tutto è
impermanente, tutto è transitorio.
E' solo il tempo ... se non sara' l' uomo ( con la sua pazzia potrebbe autodistruggere il suo mondo ) .. sara' comunque la nostra stella
che si spegnera'... e con le nefaste consegunenze - tutto - diventera' Nulla.

ciaooooo
sebastianb is offline  
Vecchio 03-08-2014, 10.14.11   #9
Galvan 1224
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Quando il giovane Bach si recò a piedi a Lubecca, distante 400 chilometri, per ascoltare Dietrich Buxtehude, talentuoso organista e compositore, vien riportato che assistette dalla navata, qual “ascoltatore segreto” (cit. Johann Nikolaus Forkel, biografia bachiana) all’esecuzione…

Quel che udì dovette colpirlo profondamente, sicché … tornò ad Arnstadt nel febbraio 1706, con quindici settimane di ritardo.
I superiori della Bonifaciuskirche, dopo il suo ritorno, notarono che: «Dopo questo viaggio eseguiva stupefacenti variazioni sui corali e vi mescolava armonie estranee a tal punto da confondere i fedeli. (Wiki)


Quale miglior ascoltatore segreto della memoria, che accoglie e registra informazioni d’ogni genere, veicolate dagli organi di senso? Doveva essere ben attiva nel giovane Bach quel giorno, e il risultato è che possiamo ascoltare, a distanza di secoli, la musica composta da quel genio.

In un altro contesto ti direi che ci sono delle sonde che viaggiano nello spazio profondo (Voyager) che riportano incise molte informazioni sull’uomo.
Che tutto quel che vedi sulla tua televisione, che senti al telefono, son energie che si propagano al pari di quelle della luce delle stelle, viaggiando nel tempo e nello spazio.
Che gli stessi nostri corpi ne emanano, pur se di piccolissima intensità, per le quali non ci son ancora strumenti adeguati…

Qui, nel forum di spiritualità, un po’ mi sorprende che tu sia certo che ogni cosa riguardi l’uomo approderà al nulla, la mia sensazione (non convinzione) è che per quel che riguarda l’essenza delle cose, dell’uomo e della vita, non si può dir nulla di conclusivo…



“… dedicò tutta la vita, che il destino volle per lui lunga oltre ogni aspettativa, nello studio di un libro raro, che chissà come riuscì a procurarsi.
Addirittura la versione originale scritta mano, sì che prima dovette applicarsi nell’imparar l’antica lingua in cui era redatto e non di rado all’incontrar nuove parole riprender daccapo quanto credeva acquisito.

Ma finalmente arrivò all’ultima pagina prima che la vita girasse la sua.
Il vecchio cuore gli batteva qual fanciullo e solo il ricordo di quel volto di ragazza e della sua mano che per un istante lo sfiorò - quand’era giovine a sua volta – che ancor di quando in quando si ripresentava alla sua mente, poteva far altrettanto.

Ma restò appunto un episodio, qual scoglio in mezzo al mare del divenire della sua esistenza, rivolta con determinazione a trovar se vi fosse un senso ultimo delle cose o avesse ragione quel Buddha, e tutto alfine dovesse ritornar al nulla… impermanenza, transitorietà… e cicli senza fine di rinascite per sortir dalla ruota dell’esistenza, la vera causa del dolore.

Eccola dunque, l’ultima pagina.
Completava il discorso e parlava della fine di ogni cosa… a meno uno non l’avesse trovato in sé e potesse a quello sorreggersi quelle parole non fornivano alcun appiglio, nella loro lucida evidenza riportavano la vita dell’uomo a quello che forse sarebbe sempre stata, nient’altro che il tentativo di dar sostanza all’illusione.
L’illusione della continuità.

Il viaggio alfine era giunto al termine, il compito assolto e lo scopo della sua vita raggiunto, il libro letto, assimilato e tradotto.
Forse a qualcuno sarebbe tornato utile il sacrificio di tutta la sua vita e pur non fosse servito non era quello il motivo… non lo sapeva ancora quale fosse stato il motivo… ma non rispose a quel gentil tocco di dita, le sue di dita avrebbero risposto solo alle pagine di quel libro che il destino gli fece incontrare.
Le cose sono andate così, pensava, quando una sensazione gli ripresentava alla mente quel (sì, a volte doloroso…) ricordo.

Era stanco, adesso poteva lasciarsi andare e viver quel che gli restava senza il rimorso di non aver compiuto quanto si aspettava da sé stesso. Con il pollice opposto all’altre dita ne prese in mezzo l’angolo della vecchia copertina, in basso sulla destra, e lentamente la sollevò portandola quasi sulla verticale e intanto con l’altra mano tolse gli occhiali per legger da vicino… le lettere si sfumarono immediatamente alla vista, e poteva adesso distinguere solo i capilettera, finemente decorati, di quegli ultimi otto brani …

Prima ancora che ne realizzasse il motivo un brivido lo colse, il tremore come di chi veda in faccia la realtà delle cose, oltre l’apparenza…

C.........
O………..
N………..
T………...
I…….…..
N.........
U……..…
A………..



Un caro saluto

Ultima modifica di Galvan 1224 : 03-08-2014 alle ore 14.02.34.
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Vecchio 04-08-2014, 14.47.53   #10
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