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L’anima degli esseri senzienti

di Guido Dalla Casa - Aprile 2009
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  • Che cosa è l’anima

  • Influenza di Cartesio

  • Noi e gli altri esseri senzienti

  • Studi recenti

  • Posizione della nostra specie in Natura

  • L’evoluzione dei sistemi complessi

  • Il libero arbitrio

  • Conclusioni

Che cosa è l’anima

Nella tradizione della cultura occidentale, e nell’insegnamento delle religioni giudaico-cristiana e islamica, il concetto di anima ha in genere il significato di un’entità stabile, permanente, autonoma e unitaria. E’ qualcosa che “c’è” o “non c’è”. Viene associata esclusivamente all’essere umano, e in senso individuale.

Per il materialismo, che è poi l’ala “ufficiale” della scienza meccanicista ed ha oggi un notevole séguito in Occidente, l’anima non esiste, e il pensiero si riduce a una specie di secrezione del cervello: nessuna considerazione per la mente cellulare-sistemica conseguente alla persistenza temporanea di un sistema altamente complesso, anche dopo una degenerazione cerebrale.

Le concezioni di cui sopra richiedono come necessaria la definizione precisa del momento della morte, cosa di cui oggi la scienza medica dubita fortemente.

Alla luce delle conoscenze attuali della scienza, cioè della psicologia interpersonale, della teoria dei sistemi e della fisica quantistica, entrambe le posizioni sono piuttosto insostenibili. Si tratta, come al solito, di quelle concezioni contrapposte che sono tanto comuni nella nostra civiltà attuale.

Oggi sembra più logico pensare in termini di mente-psiche-spirito: un’entità variabile e senza confini definiti, che si modifica nel tempo ed è caratteristica di tutti i sistemi oltre un certo livello di complessità. Sarà bene anticipare subito che tutti i sistemi viventi hanno un livello di complessità molto elevato. E’ evidente che, in questo quadro, dire che l’uomo ha l’anima e gli animali “non ce l’hanno” è privo di qualunque significato. Tutti i viventi sono anche senzienti, e tali sono anche molte entità naturali (ecosistemi, complessi di viventi, esseri collettivi, ecc.).
Riporto queste parole di Fritjof Capra (Verso una nuova saggezza, Feltrinelli, 1988):

 

Secondo Bateson la mente è una conseguenza necessaria e inevitabile di una certa complessità, la quale ha inizio molto tempo prima che degli organismi viventi sviluppino un cervello e un sistema nervoso superiore. Egli sottolineò anche che caratteristiche mentali sono manifeste non solo in singoli organismi, ma anche in sistemi sociali e in ecosistemi, che la mente è immanente non solo nel corpo ma anche nelle vie e nei messaggi fuori dal corpo. Una mente senza un sistema nervoso? La mente si manifesterebbe in tutti i sistemi che soddisfano certi criteri? La mente sarebbe immanente in vie e messaggi fuori dal corpo? Queste idee erano così nuove per me che, a tutta prima, non riuscii a dar loro un senso. La nozione di mente di Bateson non sembrava aver nulla a che fare con le cose da me associate alla parola “mente”.

 

Nel quadro di una visione del mondo ispirata all’ecologia profonda, il problema della contrapposizione uomo-animali non esiste, perché l’uomo è un animale a tutti gli effetti: non c’è alcuna separazione, né alcun confine.

Recentemente è stato pubblicato in italiano un libro di uno scienziato olandese (R. CorbeyMetafisiche delle scimmie – Bollati Boringhieri, 2008), in cui, oltre ad altre considerazioni, si ricerca quali possano essere le caratteristiche che dividono l’umano dall’animale. In un recente passato si è sempre dovuto spostare questo confine, man mano che si accumulavano nuove scoperte e nuovi studi, ma infine il tentativo di mantenere comunque una divisione è fallito: il confine non esiste. Gli altri animali giocano, soffrono, amano, hanno emozioni profonde, tengono un comportamento del tutto paragonabile a quello umano.

In questo quadro, anche il problema etico del riscatto dalla sofferenza da parte degli esseri senzienti non-umani non esiste: il riscatto dalla sofferenza avrà la stessa storia per gli umani e per i non-umani, essendo della stessa natura. Gli altri esseri vivono la nostra stessa avventura. Niente scompare, tutta la sofferenza dovrà risolversi, i conti torneranno per tutte le entità naturali. Questo dà anche ragione di una forma di “reincarnazione”, anche se di tipo non necessariamente individuale, l’unico che la cultura occidentale attuale sembra disposta a comprendere, attribuendolo di solito a concezioni “orientali” o “esotiche”. Tra l’altro, se ci chiediamo cosa ci accadrà dopo la morte, è logico anche domandarsi cosa eravamo prima della nascita.

Viene comunque spontaneo chiedersi se sia più materialista una visione del mondo in cui tutto è soltanto materia inerte, tranne una sola specie “privilegiata”, o un sottofondo di pensiero in cui qualunque entità naturale evidenzia lo spirito, la mente o l’Anima del mondo.

 

Influenza di Cartesio

Le idee di fondo sull’anima, come sostenute dalle religioni nate nell’area mediorientale, si sono poi rafforzate e rese fin troppo definite con l’affermarsi delle idee del filosofo francese René Descartes, meglio conosciuto con il nome di Cartesio.

La separazione drastica fra spirito e materia, che caratterizza il suo pensiero, e l’attribuzione esclusiva dello spirito alla nostra specie ha relegato tutti gli altri esseri e le entità naturali nel regno della materia bruta, priva di ogni forma di anima o mente,  quindi al di fuori di problemi etici e manipolabili a piacimento. Ciò ha aggravato l’insanabile spaccatura nel mondo vivente: gli umani, che hanno una spiritualità (separata dal corpo) e gli altri esseri che sono soltanto materia, cioè macchine. Il filosofo francese era convinto che gli (altri) animali non potevano soffrire!
Qualche obiezione alle idee di Cartesio:

  • Il dualismo spirito-materia è smentito dalla fisica moderna e in particolare dall’interpretazione di Bohr-Heisenberg che nega l’esistenza di una realtà oggettiva esterna, cioè di un mondo energetico-materiale indipendente dalla psiche. Spirito e materia sono inscindibili.

  • Il primato della ragione su emozione e sentimento è smentito dalla psicoanalisi. Il richiamo all’inconscio fa svanire in gran parte l’idea che il comportamento è conseguenza dei ragionamenti.

  • Il “Cogito. Ergo sum” è una proposizione illusoria. Già nella premessa (Penso) è implicita la conclusione (Quindi sono).

Infatti non è evidente un “io” pensante, ma soltanto un pensiero variabile. La sua condensazione in un ego distinto e autonomo è un passaggio arbitrario, perché in realtà non viene constatata l’esistenza di una entità permanente chiamata “io”, ma solo un flusso di pensieri in perenne mutamento, una successione incessante di stati mentali in continua variazione. In altre parole, dal fluire di pensiero (nel divenire), Cartesio fa un passaggio arbitrario ad una entità stabile (nell’essere).

Pensare è un processo. Essere è uno stato. Quando penso, il mio stato mentale cambia nel tempo. Come può l’ego cui si riferisce restare lo stesso?

Interessante è poi questo pensiero di Diderot, soprattutto perché proviene dal periodo dell’Illuminismo:

 

Vedi questo uovo? Grazie a lui si possono rovesciare tutte le scuole di teologia e tutti i templi della Terra. Che cosa è questo uovo? Una massa insensibile prima che il germe vi si sia introdotto… Come farà questa massa a passare ad un’altra organizzazione, alla sensibilità, alla vita? Col calore. Ma chi produrrà il calore? Il moto? Quali saranno gli effetti successivi di questo moto? Invece di rispondermi, siediti, e seguiamoli attimo per attimo con i nostri occhi.

Dapprima c’è un punto che oscilla, un filetto che si estende e si colora; si forma della carne, un becco, la punta delle ali, occhi, zampe che cominciano ad apparire; una materia giallastra che si divide e produce degli intestini; è un animale… Cammina, vola, si irrita, fugge, si avvicina, si lamenta, soffre, ama, desidera, gioisce; ha tutte le tue caratteristiche; compie tutte le tue azioni.

Vorresti, con Descartes, che esso sia una pura macchina imitativa? Ma ti prenderanno in giro pure i bambini e i filosofi ti replicheranno che, se quella è una macchina, tu ne sei un’altra. Se confessi che, tra te e l’animale, ci sono soltanto differenze di organizzazione, mostrerai buon senso e ragionevolezza, sarai in buona fede; ma si potrà concludere contro di te che, con una materia inerte, disposta in un certo modo, impregnata con un’altra materia inerte, con un po’ di calore e di movimento, si ottiene sensibilità, vita, memoria, coscienza, passioni, pensieri…Ascolta e avrai pietà di te stesso; capirai che, per non ammettere una supposizione semplice che spiega tutto, la sensibilità, proprietà generale della materia, o prodotto dell’organizzazione, rinunci al senso comune e ti sprofondi in un abisso di misteri, contraddizioni, assurdità.  (Da: La nuova alleanza. Metamorfosi della scienza, di Ilya Prigogine e Isabelle Stengers, Einaudi, 1999)

 

Noi e gli altri esseri senzienti

Quando si esaminano le affinità fra umani e altri animali, di solito ci si limita a parlare di esseri senzienti a noi molto simili ma tuttora viventi. Se consideriamo anche esseri del passato (Homo habilis, uomo di Neanderthal, ecc.), le assurdità della concezioni correnti diventano ancora più evidenti.

Esseri come gli Australopiteci o l’Homo erectus si sono estinti da poche centinaia di migliaia di anni, tempo insignificante nella scala complessiva della Vita. Il fatto che questi ominidi siano scomparsi è del tutto contingente. Se fossero viventi, la nostra cultura, a seconda del parere di qualche istituzione, prenderebbe uno dei seguenti atteggiamenti:
- considerare la caccia a questi esseri come uno sport;
- chiudere gli ominidi nelle gabbie degli zoo;
- ripristinare la schiavitù;
- considerare l’uccisione di un ominide come omicidio volontario punibile magari con l’ergastolo.

Ma anche se ci limitiamo alle specie ora viventi, si può notare che:
Più aumentano le nostre conoscenze sul comportamento dei Primati, più diminuiscono le differenze fra primati umani e non umani. Ad esempio, oggi sappiamo che la differenza di informazione genetica fra la nostra specie e lo scimpanzé bonobo è dell’ordine dell’uno per cento.

L’idea di uomo, nel pensiero dell’Occidente, è costruita in contrapposizione all’idea di animale: umanità e animalità vi appaiono come termini antitetici, sia nella concezione biblica che nell’idea scientifica di derivazione baconiana. Ma si tratta di una contrapposizione largamente mitica e scientificamente insostenibile.

Anche il linguaggio abituale è improprio, perché l’uomo è un animale.

Il bonobo, o Pan paniscus, dovrebbe chiamarsi Homo paniscus: le differenze con l’Homo sapiens sono minime. Dobbiamo liberarci da quell’antropocentrismo che caratterizza la nostra cultura ed è una delle cause “a monte” che hanno provocato la spaventosa situazione ecologica del Pianeta.

Sembra che il governo spagnolo abbia dichiarato che le Grandi Scimmie “possiedono facoltà mentali e una vita emozionale sufficienti per giustificare la loro inclusione nella comunità degli eguali”. Neppure il mondo scientifico, che sa da tempo che la differenza fra uomo e scimpanzè è minima, si è mai dato molto da fare su questo piano.

Gli altri animali soffrono, amano, sono coscienti. Qual è la facoltà che consente di attribuire dei “diritti soggettivi”? Se fosse qualche forma di coscienza o consapevolezza, non si capisce con quale logica si riconoscono diritti alle persone in coma o agli embrioni umani e non si considera degno di considerazioni morali soggettive un essere consapevole e senziente come un orango o un delfino.

E’ ormai evidente poi che la storiella che veniva raccontata ai bambini una cinquantina di anni fa, che cioè la nostra specie “ha l’intelligenza” mentre gli animali hanno soltanto “l’istinto” è qualcosa che fa sorridere, anche alla luce di studi recenti sulle emozioni, i sentimenti, il comportamento e la struttura delle società di tanti esseri viventi.

 

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