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L'opera d'arte e la sua comprensione
di Leonarda Venuti Matteucci - Giugno 2009
L’opera d’arte come impressione ed espressione del proprio io è l’ineguagliabile linguaggio assumente una dimensione universale, paritetico a tutti, diretto ed efficace. Quando l’opera è esposta diviene raggiungibile da chiunque, e davanti a essa la suggestione di chi ne gode è inesorabile: l’opera d’arte come azione del suo creatore rende inevitabile la reazione del pubblico ad essa. L’operato artistico si rivela, per suo effetto diretto, a tutti coloro in preda ad un anormale quanto speciale stato di coscienza, l’estasi, svincolato dalla realtà e accompagnato ad un senso di rapimento. Cortese ai tolleranti e agli attenti, a coloro che sanno pazientare, è sprezzante nei riguardi dei frettolosi e superficiali. L’incontro con essa, non dissimilmente dall’incontro con le persone, rende necessario andare al di là della prima impressione: non sempre quello che “vediamo” corrisponde a quello che “crediamo” di vedere.
L’artista come emittente produttivo esige un destinatario scevro, svincolato da ogni pregiudizio. Il canale, il mezzo fisico che permette a emittente e destinatario di entrare in contatto risulta così evidente, e l’osservazione meticolosa è la sua chiave di lettura. Per divenire un esperto osservatore è indispensabile esercitarsi ad analizzare, descrivere e riflettere su ciò che si vede. Osservare non è un’azione facile, istintiva, ma richiede intelligenza, conoscenza e sensibilità; operazione complicata durante la quale non usiamo solo gli occhi, ma anche la mente: noi guardiamo con i primi, ma percepiamo con la seconda. Le immagini, qualunque esse siano, parlano, comunicano, attraverso un linguaggio fatto prevalentemente di segni, forme, colori. Esistono tanti tipi di immagini con funzioni diverse. L’uomo, per comunicare, oltre al linguaggio verbale, si serve di linguaggi non verbali fondati sull’intero arco delle capacità percettive: messaggi olfattivi, tattili, uditivi, visivi. L’opera d’arte, forma eclettica, completa, si esprime e comunica con uno o più o anche con tutti questi linguaggi, sottraendoli alla normalità, alla usualità del banale ed elevandoli a strumenti creativi. E’ qui che entra in scena l’educazione visiva che insegna il saper vedere e osservare, unitamente all’acquisizione della capacità di discriminare, riconoscere, confrontare, memorizzare, ricostruire, rielaborare e produrre messaggi visivi, individuare le relative strutture e funzioni, e interpretarne i significati. I linguaggi visivi sono costituiti dall’organizzazione di un insieme di segni in immagini, e, come il linguaggio verbale, hanno un’organizzazione, delle regole e delle strutture, una grammatica e una sintassi. Le immagini si formano, come le parole, grazie alle aggregazioni di segni fondamentali corrispondenti alle lettere dell’alfabeto. La forma e la struttura delle immagini rispondono a norme e principi che possono definirsi come la grammatica del linguaggio visivo; mentre la loro composizione costituisce la sintassi. Gli elementi grammaticali possono essere il punto, la linea, la superficie, il volume, la luce, il colore; mentre le regole sintattiche sono quelle relative allo spazio, al movimento, al ritmo, al peso, all’equilibrio e alla simmetria. A seconda dell’elemento visivo dominante si parla di linguaggio grafico, quando prevale il segno, linguaggio pittorico quando prevale il colore, linguaggio plastico quando prevale il volume, linguaggio spaziale, quando prevale lo spazio o quando quest’ultimo ha comunque un ruolo determinante, come ad esempio nell’architettura. Quindi un prodotto artistico nella maggior parte dei casi non è altro che il risultato del modo in cui gli elementi del linguaggio visivo vengono utilizzati per esprimere qualcosa.
Un’opera d’arte mostra le abilità, le tecniche e la creatività dell’autore, riflette la sua personalità, la sua cultura, e quella del periodo e del luogo in cui è stata realizzata. L’opera d’arte, come fonte di energia, colloquia, interagisce con l’osservatore; essa, come soggetto, è lo psicoanalista a cui l’osservatore dice il “vero”. L’opera ha funzioni polivalenti, istruisce, insegna, e allo stesso tempo è fonte di introspezione, è il mezzo conoscitivo del proprio io, davanti ad essa risultiamo “nudi”, sinceri, per quello che veramente siamo e vogliamo, ogni rimozione tende a essere annullata. Come attività essenzialmente mentale determina una reazione psicologica ed emotiva. Non tutti vediamo allo stesso modo: in casi come questi si parla di interpretazioni dissimili di una stessa entità artistica. Alcuni particolari, forme e colori vengono percepiti e ricordati più facilmente, perché l’attenzione di ognuno si concentra su ciò che più lo interessa.
Il capire un’opera d’arte, sia essa antica, moderna o contemporanea, è un’azione difficile e audace, per il rischio di scadere in banali interpretazioni semplicizzanti o in un atto di presunzione nell’affrettato mal giudicare. Il senso maggiormente stimolato dalle opere antiche, era la vista o tutt’al più il tatto. Nell’arte contemporanea vi è la tendenza a un coinvolgimento percettivo globale in quanto oltre alla vista e il tatto, reagiscono ad essa l’udito e l’olfatto. Tutti noi siamo potenzialmente degli artisti. Inventare significa creare con l’ausilio della fantasia; tutti noi possediamo la “creatività”, cioè la capacità di vedere e pensare la realtà in modo diverso dall’usuale e di poterla reinventare come una cosa nuova. La creatività non è solo istintiva, riservata a pochi eletti, ma aumenta con la conoscenza. Essa è l’espressione più profonda di noi stessi, è l’originalità vera, il superamento degli stereotipi. Inventare non vuol dire forgiare dal nulla; “l’invenzione innovativa”, consiste nel creare nuove immagini utilizzando immagini note, con accostamenti imprevisti. Ad un osservatore inesperto queste realizzazioni possono addirittura sembrare deformazioni dovute all’incapacità di riprodurre il vero. Frasi come “L’arte deve essere capita da tutti, altrimenti non è arte”, “Che bello, sembra vero”, “Che brutto, non si capisce cosa rappresenta” oppure “Questo lo so fare anch’io”, sono solo alcune delle frasi spesso ricorrenti, grossolani stereotipi usati nel giudicare un’opera d’arte.
E’ in realtà opera d’arte “bella” quella che si distingue da quei quadri, spesso accatastati sulle bancarelle delle fiere o sotto i portici delle vie cittadine, improbabili scimmiottature di autori moderni e contemporanei, oppure raffiguranti occasionali mareggiate, funghi, pere, paesaggi o fiori, solitamente abbinati a cornici finto-antiche in similoro. Una paccottiglia che però piace alla gente dal momento che costa poco ed è semplice da capire, non richiede cultura e impegno. Si tratta in genere di opere dozzinali, fatte in serie e in poco tempo, di effetto appariscente, dal banale accostamento di innumerevoli colori vivaci, sufficienti allo spettatore impreparato che le giudica “opere d’arte”, anche “belle”; esse sono invece tecnicamente scadenti, stereotipate nell’immagine, non suggeriscono alcuna emozione, ben lontane dalla vera opera d’arte.
L’opera d’arte, come la bellezza personale ed esclusiva, è unica, non ne può esistere una copia.
Prof.ssa Leonarda Venuti Matteucci
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