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Riflessioni sulla Mente

Riflessioni sulla Mente

di Luciano Peccarisi -  indice articoli

 

La mente invecchia?

aprile 2015

  • Il fine della vecchiaia

  • Ritrovarsi

  • Ripensarsi

  • L’essenza del vecchio

"Onora la faccia del vecchio" è scritto nel Levitico (19,32), perché la faccia è il primo segnale da cui prende le mosse l'etica di una società.

 

 

La geriatria, dal greco geros, vecchio e iatros, medico, è una branca della medicina che si occupa della prevenzione e del trattamento delle patologie dell'anziano, ed anche dell'assistenza psicologica, ambientale e socio-economica. Sappiamo da qualche tempo che nulla accelera l’atrofia cerebrale come l’abitudine nel fare e nel pensare sempre le stesse cose, e di rimanere sempre nello stesso ambiente.  Invecchiando il cervello subisce un rimodellamento, rispetto a quando eravamo giovanotti. Allora usavamo certe parti diverse di esso, in seguito tendiamo a svolgere le attività cognitive in lobi cerebrali diversi: in gioventù si utilizzano di più ad esempio i lobi temporali. Gli anziani invece, in prove sperimentali e per gli stessi compiti, si sono stati visto che mettono in funzione prevalentemente i lobi frontali. Forse perché è lì, si crea una sorta di riserva cognitiva. Le persone più acculturate, e sarebbe quindi questo il motivo, sembrano meglio protette dal declino cognitivo. Le abilità mentali dei due emisferi cerebrali sembrano che nell’anziano si concentrino e si ‘radunino’nella parte più anteriore del cervello. Forse come risposta alle lacune che avvengono nelle parti sparse del resto del cervello. L’esercizio mentale stimola la corteccia a mantenere il sistema in equilibrio, e a mantenersi attivi e curiosi, a mantenersi belli dentro, almeno per se stessi.

 

Il fine della vecchiaia

Se verso la fine della vita il tempo che rimane appare un tempo inutile, è solo un fatto sociale. In tempi passati e in certe società erano le persone più anziane quelle ritenute più sagge e da consultare nelle situazioni difficili. Nella nostra società si aspetta solo il termine, sempre più lungo grazie alla medicina e ai servizi sociali, e si sopravvive in attesa. Una schiera di mummie rugose, animate da flebo e cibo, tenute in vita in  famiglia grazie all’assegno di accompagnamento o nelle case di riposo. Senza scopo. In Occidente le categorie egemoni sono la funzionalità e l'utilità. Non s’invecchia solo per degenerazione biologica ma anche e soprattutto per ragioni culturali. Nelle pubblicità vi sono solo giovani o anziani che pubblicizzano prodotti che fanno rimanere giovani. Ovviamente non si parla mai del carattere. Ma se il fine di invecchiare non è quello di morire, ma di svelare il nostro carattere che ha bisogno di una lunga gestazione per apparire, le cose cambiano. Ed è qui che si annidano le idee malate della nostra società che bisognerebbe curare. Anche se è vero ciò che disse Freud: “Quanto buon carattere e umorismo ci vogliono per sopportare l'orribile avanzare della vecchiaia", nel maggio del 1935 a Lou Andreas Salomè. E’così che forse ci dobbiamo arrangiare. La selezione naturale non è per nulla interessata a quello che ci succede dopo l'età riproduttiva, ci abbandona al nostro destino e ci dice di arrangiarci. La natura ha fatto in modo di darci salute e forza fino a circa trenta anni, poi però ci lascia. Nelle nostre società culturali, in Italia ad esempio, una donna vive mediamente 83 anni e un uomo 77 anni. Ed è interessante rilevare che questa differenza di 6/7 anni tra la vita media dell'uomo e quella della donna sia la stessa indipendentemente dai paesi e dagli strati sociali, perciò probabilmente è biologica. Il numero di anziani in Italia di età compresa fra i 65 e 74 anni è 8 volte maggiore rispetto l'inizio del secolo scorso, mentre gli anziani con età superiore a 85 anni sono aumentati di oltre 24 volte. Si può invecchiare senza malattie, in modo del tutto accettabile e con capacità fisiche, mentali, lavorative e perfino riproduttive ben preservate. Da ciò è sorto il nuovo concetto di ‘invecchiamento con successo’ (successful aging), che si contrappone al concetto che la vecchiaia vada di pari passo all’insorgere di malattie, che sono imputabili allo stile di vita, alle avversità esistenziali e a quelle ambientali. L’invecchiamento è un processo biologico caratterizzato da un progressivo decadimento dei meccanismi di difesa e alle modificazioni che hanno luogo nel tempo a livello cellulare e tessutale. Tuttavia è molto influenzato dalla vita che abbiamo condotto, fisica e mentale. La mente invecchia più lentamente del corpo o quasi non invecchia. Rita Levi Montalcini ne è stata un esempio, all’età di 101 anni aveva lucidità, memoria e ragionamento non corrispondenti minimamente allo stato fisico. Di solito il primo segno d’invecchiamento è la vista, ma quello di cui la maggior parte si lamenta, è la perdita della memoria. La memoria consta di tre fasi: l'immagazzinamento, che in realtà non si perde mai del tutto; la conservazione dei ricordi, quelli più profondi rimangono a lungo, e il richiamo. E qui è vero che, a una certa età, tutti quanti notiamo la lentezza con cui richiamiamo i ricordi, soprattutto le nozioni, e i nomi propri. Non li abbiamo persi, ma è più lenta la capacità di richiamarli alla coscienza. Perdiamo il ricordo di coloro che muoiono e questo ci provoca tristezza. Non possiamo certo fare come l’amante del poeta William Congreve, Henrietta duchessa di Marlborough, che fece erigere alla sua morte, una statua d’avorio meccanica con cui conversava a tavola, fingendo che fosse ancora vivo. Quando invecchiamo il corpo dimenticato e trasparente della gioventù, quando ci ritenevamo onnipotenti e il corpo era solo da ammirare, abbellire e plasmare, torna alla ribalta e s’impone alla nostra attenzione, ma questa volta per motivi diversi.

 

Ritrovarsi

Pare che già a tre anni Paul Erdós, uno dei matematici più prolifici ed eccentrici della storia, moltiplicava a mente numeri di tre cifre, a quattro anni scoprì i numeri negativi e calcolava il tempo necessario a raggiungere il sole in treno. "La mia seconda grande scoperta fu la morte” disse, e poi: “I bambini non pensano che un giorno moriranno. E anch'io ero così, fino a quattro anni, quando, in un negozio con mia madre mi misi a piangere: avevo scoperto che sarei morto". Successe davvero a ottantatré anni. Sull’epitaffio scrisse: "Finalmente ho finito di diventare più stupido”. Una mente creativa e burlona rende amabile la vecchiaia. Da vecchi bisognerebbe mantenere giovane la mente, perfino più giovane, lieve e spensierata di prima, altrimenti è preferibile scomparire. Una mente elasticamente creativa e burlona compensa il deterioramento degli altri pezzi del corpo che cadono a uno a uno. La morte non è un oggetto a cui la nostra psiche possa applicarsi, perché la morte non ha una psicologia. Che si muore lo può dire la logica ma non la nostra mente, perché la morte non c’è per essa. Prendere a prestito dal ragionamento una nozione che non possiamo sperimentare, significa contorcere la nostra psiche e costringerla a pensare a cui è assolutamente incapace. Invecchiando ognuno di noi rivela se stesso, la sua vera faccia, che si chiama "faccia" perché la "faccio" proprio io, con le abitudini contratte nella vita, le amicizie che ho frequentato, la peculiarità che mi sono dato, le ambizioni che ho inseguito, gli amori che ho incontrato e che ho sognato, i figli che ho generato. Mi distraggo con mille cose. La maggior parte di noi, freneticamente impegnata a vivere, non può perdersi in troppi pensieri complicati, pensieri angosciosi esistenziali o speculazioni sulla vecchiaia. Vogliamo fare è il nostro lavoro e basta, tornare a casa dalla nostra famiglia, giocare a carte, spettegolare, berci un goccetto, farci una risata; insomma in una parola vivere. Tuttavia ogni tanto pensiamo a noi stessi, a questo individuo, a questo corpo in compagnia del quale, se non altro, dovrò stare fino alla fine dei miei giorni. E’ una familiarità ingannevole poiché dopo tanti anni vissuti insieme, a diretto contatto, ancor mi offre tante possibilità di sbagliare sulle sue reazioni, scatti, impeti, attrazioni.

 

Ripensarsi

Durante il corso della propria vita ogni tanto si pensa a se stessi. Quando approfondisco il pensiero dentro di me, tutto si fa ancora più scuro, non trovo pensieri netti, emozioni precise, sentimenti chiari; trovo invece materiali vari, assemblati in modo confuso. Se cerco di essere impersonale e scrutarmi dall’esterno, con intelligenza, dall’alto e da lontano, come se si trattasse di esaminare un’altra persona, tutto si fa freddo e grigio. Questi due procedimenti esaminatrici rivelano tutti e due gravi pecche, uno chiede di porsi dall’esterno e l’altro dall’interno. E infine tutti bene o male si adeguano alla fine per stanchezza a ciò che di noi pensano gli altri. Così esce ritagliata una persona, senza confini netti, tremula come può esserlo un’immagine riflessa da una pozzanghera sporca, evanescente quanto uno spettro. Occorre, almeno da vecchi mettere la testa in ordine. Da vecchi si può rimettere tutto in ordine. "Onora la faccia del vecchio" è scritto nel Levitico (19,32), perché la faccia è il primo segnale da cui prende le mosse l'etica di una società. Ma deve essere una faccia sincera. Non siamo solo un vaso che riceve e non modifica niente di ciò che riceve. “Diventa ciò che sei” diceva un grande filosofo. Le cose che abbiamo scadono, sono tutte a tempo. Niente dovrebbe essere trattenuto perché marcisce, quindi converrebbe donarlo. Sapere che dovremo morire ci fa vedere una vita che va al di la della nostra vita. Allora tutto torna a prendere un’altra luce. Non si allevano figli per andare a combattere contro altri figli, perché loro hanno garanzie di futuro e gli altri no. Occorre un atteggiamento che non esclude la passione dell’amore, ma che non fa dell’amore uno schermo della paura. La mia mortalità era iscritta sin dall’inizio nella mia capacità di generare, e i miei figli sono mortali. Non dipende da noi, attraverso di noi la specie continua e continua la vita sul pianeta terra, iniziata da miliardi di anni. Dal nostro infinitesimo punto di vista spaurito, occorre vedere questo cammino e  rivendicarlo come dignità della vecchiaia. Delle cose che abbiamo fatto e di quelle che possediamo, quante avranno un significato?

 

L’essenza del vecchio

Picasso quasi a novant'anni dipinse una cosa strana: un ragazzo, bianco, una specie di clown. Di un alberello di ulivo non si può dire veramente cosa sarà da grande, fino a quando non avrà la pienezza della sua maturazione. Sarà allora bello, contorto e sarà perfino storto, ma sarà allora che vedremo il suo essere finale. Oppure di un vecchio muro, solo il tempo rivelerà se sia stato fatto di buoni mattoni. Quindi la vecchiaia è la manifestazione di come siamo costruiti, della nostra vera essenza. Anche la vecchia nonna, seduta in poltrona che lavora paziente sulla stoffa, emana una certa qualità calma di energia; che la frettolosità giovanile non conosce. Hanno, anche se non tutti, una sorta di forza interiore, una purezza d’immagine, una tranquilla armonia, che attira i bambini, un’attrazione quasi sacrale. Per questo i vecchi dovrebbero essere molto importanti in una cultura, come le opere d’arte. E' come se in quel quadro Picasso vecchio, avesse dipinto l'immagine del proprio Io, della persona che un artista è: un clown o un eterno bambino. Quel quadro è, in qualche modo, la rivelazione istantanea di quella vita come immagine. In greco “rivelazione” e “apocalissi”, alla lettera “disvelamento”, sono sinonimi. La vecchiaia come “apocalissi” di sé. Di quell'unica vita. L’immagine della nostra vita, se è una buona immagine, perdura oltre la vita.

 

      Luciano Peccarisi

 

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