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Riflessioni sul Senso della Vita

Riflessioni sul Senso della Vita

di Ivo Nardi

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Riflessioni sul Senso della Vita
Intervista a Paolo Ercolani

Giugno 2014

 

Paolo Ercolani insegna storia della filosofia e teoria e tecnica dei nuovi media all’Università di Urbino «Carlo Bo», dove ha conseguito il dottorato di ricerca in Filosofia. E’ iscritto all’ordine nazionale dei giornalisti ed autore, in questa veste, di numerosi articoli per testate nazionali. Collabora all’inserto culturale del Corriere della sera («La Lettura»), scrive per «Il Manifesto» e «Micromega» (gruppo editoriale L’Espresso-LaRepubblica), ed è redattore della rivista Critica liberale. Collabora con il canale filosofia di Rai educational. E’ fondatore, membro del Comitato scientifico e Presidente dell’Osservatorio filosofico www.filosofiainmovimento.it.
E’ inoltre membro del comitato scientifico della collana «Relazioni pericolose» per la casa editrice Mimesis di Milano.
Fra i suoi libri, che più volte hanno suscitato un dibattito acceso sui media nazionali: Il Novecento negato. Hayek filosofo politico (Perugia 2006), Tocqueville: un ateo liberale (Bari 2008), La storia infinita. Marx, il liberalismo e la maledizione di Nietzsche, presentazione di Luciano Canfora(Napoli 2011) e L’ultimo Dio. Internet, il mercato e la religione stanno costruendo una società post-umana, prefazione di Umberto Galimberti (Bari 2012). Il suo ultimo libro, «Qualcuno era italiano. Dal disastro politico all’utopia della rete», con un’intervista a Carlo Freccero (Milano 2013), ha suscitato un’ampia discussione che, fra le altre cose, lo ha condotto a essere ospite della trasmissione televisiva «Omnibus» su La7.


1) Normalmente le grandi domande sull'esistenza nascono in presenza del dolore, della malattia, della morte e difficilmente in presenza della felicità che tutti rincorriamo. Cos'è per lei la felicità?

Credo che la felicità sia l’assenza di dolore. Sant’Agostino sosteneva che il male è l’assenza del bene, la valle di lacrime che è la terra è abitata dal peccato perché lì non c’è Dio a illuminarla. Ecco, allo stesso modo io credo che la felicità non sia di questo mondo, se non per pochissimi attimi fuggevoli. La felicità ragionevole è quella data dall’assenza di dolore (fisico ed emotivo), ma non le attribuiamo mai un grande valore. Se non quando facciamo esperienza del dolore.

 

2) Professor Ercolani cos'è per lei l'amore?

Mi verrebbe da dire che l’amore è lo strumento che la natura usa per auto perpetuarsi. Noi esseri umani siamo strumenti di un meccanismo superiore, chiamato vita, che ha bisogno che ci sia una forza attrattiva fra di noi, misteriosa e irresistibile al tempo stesso. Insomma, l’amore esiste, tanto per rispondere a una domanda diffusa, purché si sia consapevoli che è esposto a una fine inesorabile, e spesso assai triste e misera, come tutte le cose di questo mondo, che rispondono a quella che Nietzsche descriveva come la «legge inesorabile della degenerazione». E purché si sia altrettanto consci che noi siamo gli strumenti consapevoli di questa energia vitale molto di più di quanto essa sia un sentimento in nostro pieno possesso. Una volta consapevoli di questi dati, si può e forse si deve scegliere di amare il più possibile e al meglio. Anche in questo senso, credo, può essere interpretata la frase di Agostino «ama e fa’ quel che vuoi!”.

 

3) Come spiega l'esistenza della sofferenza in ogni sua forma?

In effetti non me la spiego. Ma non nel senso che non so capacitarmene, bensì nel senso che ritengo che esuli dalle domande che possiamo porci con una ragionevole possibilità di pervenire a una risposta accettabile. Prendo atto che è un’affezione del corpo e dell’anima, contraria al godimento. Questa nostra vita è polemos, come diceva Eraclito, lotta incessante di fenomeni contrari che ci risultano comprensibili solo in quanto si scontrano con degli opposti. Non potremmo parlare di una cosa come la sofferenza se non tenessimo a mente il godimento. E viceversa.

 

4) Cos'è per lei la morte?

Wittgenstein ha scritto che «solo la morte dà senso alla vita». E’ la fine di un percorso che chiamiamo vita, a cui fornisce un senso proprio perché ce lo svela come limitato, e quindi problematico. La morte è parte essenziale della vita soltanto nella misura in cui, con la sua esistenza, ci fa sapere che abbiamo un tempo limitato per comprendere, elaborare e infine tentare di realizzare i nostri propositi esistenziali. Per il resto è una gran fregatura, tanto che mi fa pensare a Vittorio Gassman, quando diceva che la vita dovrebbe essere come il teatro. La prima volta sono le prove. Il guaio è che la morte ci ricorda che non c’è una seconda volta.

 

5) Sappiamo che siamo nati, sappiamo che moriremo e che in questo spazio temporale viviamo costruendoci un percorso, per alcuni consapevolmente per altri no, quali sono i suoi obiettivi nella vita e cosa fa per concretizzarli?

Imparare più cose possibile, capire più cose possibile e infine creare più cose possibile. Lo si può fare attraverso modalità e occupazioni diverse, io ho scelto di realizzarle tramite un percorso e un’occupazione essenzialmente intellettuali, senza mai perdere il necessario contatto con la realtà materiale. Come, del resto, ritengo che colui che sceglie un percorso pratico non dovrebbe mai scollegare la propria azione dal riferimento a qualche teoria. Parafrasando Kant si può dire che la teoria senza la pratica è sterile, almeno quanto la pratica senza la teoria è cieca e priva di una mèta.

 

6) Abbiamo tutti un progetto esistenziale da compiere?

Abbiamo tutti il problema di vivere. Problema deriva dal verbo greco antico proballein, che significa gettare innanzi, proiettarsi verso il futuro. Ecco, in quanto uomini, come diceva Platone né senza ragione come gli animali (a cui è data la facoltà dell’istinto), né perfetti come le divinità (a cui è data l’onniscienza), dobbiamo fare i conti con un’esistenza problematica, che in quanto tale ci impone una capacità progettuale. Quindi non è tanto importante chiederci se tutti abbiamo un progetto esistenziale da compiere, quanto sapere che è necessario per tutti noi che ognuno abbia il proprio.

 

7) Siamo animali sociali, la vita di ciascuno di noi non avrebbe scopo senza la presenza degli altri, ma ciò nonostante viviamo in un'epoca dove l'individualismo viene sempre più esaltato e questo sembra determinare una involuzione culturale, cosa ne pensa?

Il fatto che siamo animali sociali non deve portarci a dedurne che siamo anche animali socievoli. Siamo sociali perché abbiamo bisogno degli altri per essere riconosciuti da noi stessi, ma come dice una lunga e autorevole tradizione (penso a Hobbes, Leopardi, Nietzsche), questo riconoscimento di noi stessi spesso avviene attraverso il soggiogamento, la mortificazione e persino l’annullamento dell’atro. Credo che non sia un problema di individui, tutti portatori di sentimenti buoni e cattivi al tempo stesso, ma di contesti sociali. Un’epoca che ha rimosso i valori etici, lasciando che la politica venisse soppiantata dall’economia nello stabilire i valori in cui credere, è un’epoca che ha posto delle basi solide e funeste perché si liberino i peggiori istinti degli esseri umani.

 

8) Il bene, il male, come possiamo riconoscerli?

Salvo casi estremi ed autoevidenti (come per esempio l’omicidio gratuito), il bene e il male non sono facilmente distinguibili. Forse potremmo spingerci a dire che non esistono proprio, almeno non in senso moralistico (piuttosto è la legge a codificare quali azioni sono punibili). Ciò premesso, direi che si tratta di due categorie convenzionali che si affermano in base alla dimensione che predomina in un dato momento. Per esempio, è evidente che durante una guerra le categorie di bene e male mutano oltremodo rispetto a una condizione di non belligeranza.

 

9) L'uomo, dalla sua nascita ad oggi è sempre stato angosciato e terrorizzato dall'ignoto, in suo aiuto sono arrivate prima le religioni e poi, con la filosofia, la ragione, cosa ha aiutato lei?

Kierkegaard ha scritto che «l’angoscia è la vertigine della libertà». Significativo che proprio un autore cristiano avesse spiegato meglio di altri come l’angoscia esistenziale coincide con la libertà. Siamo tutti angosciati, almeno nel fondo del nostro animo, inevitabilmente. Ma se attraversiamo questa angoscia che il mistero della vita ci propone continuamente con la ragione almeno siamo «liberi». Io ho scelto di essere un’amante di Sofia. Cioè ho scelto la ragione.

 

10) Qual è per lei il senso della vita?

Non c’è un senso. C’è una continua ricerca di senso, che si dispiega attraverso diversi significati a seconda della convinzioni di ciascuno. Dio, il Nulla, l’Ideologia, la Scienza etc., sono tutti «significati» attraverso i quali cerchiamo un senso alla vita. Ma senso non c’è. Cercarlo, piuttosto, è il nostro vivere. Pensare di averlo trovato ci porta a vivere per qualcos’altro, mentre convincersi che non c’è vuol dire fare i conti con la morte quando ancora siamo vivi. A ognuno la sua strada. Purché da uomini liberi!


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