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Riflessioni sulla Simbologia

di Sebastiano B. Brocchi
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Commento al Popol Vuh

Seconda parte   Ottobre 2009

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Il "Popol Vuh" ci insegna quanta pazienza ci voglia prima di poter conseguire la condizione di umanità. La creazione dell’uomo, avviene infatti per tentativi successivi e una lenta preparazione. Il primo esperimento infruttuoso è quello di creare uomini con l’argilla. Il secondo con il legno. Per il successo bisognerà aspettare la terza prova, consistente nella creazione dell’uomo di mais.
Il fallimento dell’uomo d’argilla, un essere molle e deforme, dalla vista annebbiata, incapace di muoversi e dal linguaggio sconclusionato, è causato dal suo disfacimento a contatto con l’acqua.
La seconda generazione, fatta di uomini di legno – passaggio dal pupazzo di legno all’uomo autentico verrà affrontato nel mio libro "Favole Ermetiche" (novembre 2009), a proposito dell’esoterismo della fiaba di Pinocchio – fallisce perché: "non vi era niente nei loro cuori e niente nella loro mente, nessuna memoria dei loro artefici. Semplicemente andavano e venivano dovunque volevano. Non si ricordavano più di Cuore del Cielo" ("Popol Vuh").
Questi racconti andrebbero intesi al di là del significato letterale: gli uomini d’argilla e gli uomini di legno non sono delle razze del passato, bensì delle condizioni di umanità tutt’ora presenti e presenti in ognuno di noi. Così come l’uomo di mais, ovvero l’uomo compiuto, non rappresenta l’umanità attuale, bensì una condizione di compiutezza che si può attuare in ognuno di noi.
Le tre generazioni rappresentano tre gradi di sviluppo della consapevolezza, in cui l’uomo di mais è simbolo dell’Iniziato che abbia compiuto il suo cammino gnoseologico.
auroraOra, va detto che la creazione dell’uomo di mais avverrà solo a seguito di una serie di eventi "preparatori". Dalla disfatta dell’uomo di legno, si apre nel "Popol Vuh" una lunga parentesi, in cui vengono narrate imprese mitiche ritenute necessarie a predisporre la venuta dell’"uomo nuovo". Fra l’altro, tutto quanto è stato detto finora avviene in un periodo antecedente alla prima alba. Lo spuntare del giorno verrà visto per la prima volta soltanto dagli uomini di mais. Ci si chiederà come è possibile che il sole sorga dopo la creazione dell’uomo. È presto detto: si tratta, con ogni probabilità, della nascita non di un sole fisico ma di quel sole metafisico che simbolizza l’illuminazione della mente. Prima venga creato l’uomo, poi si avrà il sole. Un’allegoria abbastanza chiara: prima si diventi realmente uomini (si raggiunga il vero grado dell’humanitas), solo allora si avrà la luce, e si comprenderà che siamo Dei (cfr. "Salmi", 81,6).
Questa luce, questa gnosi, non è in realtà qualcosa che viene "creata", ma, potremmo dire, "attivata", "risvegliata". Infatti, già precedentemente, il "Popol Vuh" ci dice che "vi erano già il cielo e la terra, ma le facce del sole e della luna erano annebbiate". La luce andava rivelata, ovvero portata alla consapevolezza.
Ma come si è detto, l’uomo di mais e la prima alba sono eventi dell’ultima parte del "Popol Vuh". Nel mezzo, è descritta in forma simbolica la lunga opera che conduce al prezioso risultato.
In primo luogo, assistiamo all’annientamento di tre "superbi": Uucub Caquix e i suoi due figli, Zipacná e Cabracán; che rappresentano tre grandi illusioni che l’Iniziato è chiamato a superare.
""Io sono grande e la mia posizione è superiore a quella di tutti gli esseri creati e formati (…)". In questa maniera parlava Uucub Caquix" ("Popol Vuh").
Colui che giustamente personifica il padre delle tre illusioni, rappresenta la scissione della coscienza dall’Unità del tutto, e la formazione di un ego individuale.
Zipacná e Cabracán, sono invece definiti, rispettivamente, il "creatore" e il "distruttore" delle montagne. Insieme, rappresentano cioè le illusioni della creazione e della distruzione, della nascita e della morte, della comparsa e della scomparsa. Zipacná rappresenta l’illusione che qualcosa che prima non esisteva possa essere concepita e comparire poi in essere; mentre Cabracán indica l’opposta illusione, ovvero che qualcosa fra ciò che esiste possa smettere di essere.
"Uucub Caquix e i suoi figli proclamavano il loro orgoglio: "Ascoltate! Io sono il sole", diceva Uucub Caquix. "Io sono quello che ha fatto la terra!", diceva Zipacná! "Io sono quello che scuote il cielo e fa agitare tutta la terra!", diceva Cabracán. (…) Ciò sembrava molto male (…) perché non potevano essere ancora creati la nostra prima madre e il nostro primo padre" ("Popol Vuh").
Hunahpu e XbalanqueInfatti, colui che dentro di sè vuole creare la prima madre e il primo padre (ossia i primi semi) di una nuova umanità, dovrà superare una soglia coscienziale che lo conduca ad una forma di consapevolezza unitaria. Nulla di quanto esiste, esiste indipendentemente. Tutto è Uno. Nulla si crea, e nulla si distrugge. Ecco cosa significa l’uccisione simbolica dei tre superbi nel "Popol Vuh". Significa superare l’illusione del distacco dalla totalità.
Sicuramente, il fulcro del "Popol Vuh" è la vicenda dei due eroi Hunahpú e Xbalanqué, i due veri protagonisti del libro. Sebbene si tratti di due gemelli maschi, essi rivestono nondimeno le caratteristiche di maschio e femmina, solare e lunare (la connessione ai due astri sarà resa evidente al termine delle loro imprese): sono infatti i due fratelli dell’Ars Regia, Zolfo e Mercurio, Sole e Luna, Spirito ed Anima.
Se ho citato l’Ars Regia, la Scienza dei Savi, non è un caso, poiché proprio il "Popol Vuh" è la dimostrazione lampante dell’alto livello raggiunto dai Maya nella conoscenza dell’Alchimia. I suoi simboli coincidono spesso in maniera impressionante con quanto possiamo leggere nei trattati alchemici eurasiatici e arabi. L’ennesima conferma del valore universale degli archetipi utilizzati dai cercatori dell’Oro filosofico.
XibalbaCominciamo dunque con il padre di Hunahpú e Xbalanqué, Hun Hunahpú, il quale rappresenta l’Iniziato. Si racconta che egli venne udito dai Signori di Xibalbá (gli Inferi), mentre, insieme a suo fratello Uucub Hunahpú, giocava alla pelota. Infastiditi, i Signori del sottosuolo fecero convocare a Xibalbá i due fratelli con l’intenzione di ucciderli.
Simbolicamente, questo significa che il "gioco" intrapreso da un Iniziato, ovvero il suo avviarsi sul sentiero dell’Opera, lo conduce all’incontro con l’arcano della Morte.
Il gioco della pelota "è legato al culto del sole che deve rinascere ogni giorno abbandonando le tenebre: il campo da gioco rappresenta la terra, mentre la palla rappresenta il sole" (da www.abakab.com, "Il gioco della pelota"). Quindi in senso iniziatico esso rappresenta il tentativo della coscienza di emergere e mantenersi nella luce.
Potremmo dire che i Signori di Xibalbá (ognuno dei quali, ci dice il "Popol Vuh", è responsabile di un tipo di decesso), che dal sottosuolo odono il frastuono del gioco della pelota e chiedono che i giocatori si presentino al loro cospetto, rappresentano l’inconscio dell’Iniziato.I Signori di Xibalba L’inconscio, scosso dal cambiamento esistenziale in corso, impone alla coscienza di presentarsi nella propria dimora occulta. L’Iniziato, avendo intrapreso il gioco dei Misteri, è chiamato alla Nigredo (Opera al Nero).
In questo senso il "Popol Vuh" è abbastanza esplicito, dicendo che Hun Hunahpú e suo fratello, nella loro discesa all’Oltretomba, "andarono avanti fino a trovare un posto dove si incrociavano quattro strade, e in quell’incrocio si decise la loro sconfitta. Di queste quattro strade, una era rossa, una nera, una bianca e l’ultima gialla. E fu quella nera a parlare in questa maniera: "Sono io quella che dovete seguire, perché sono la strada che porta dal Signore"".
Giunti a Xibalbá, Hun Hunahpú e suo fratello vengono ingannati e derisi a più riprese dai Signori, che riescono nel loro intento, condannando a morte i due giocatori di pelota. Hun Hunahpú viene decapitato (decapitazione iniziatica molto cara alla tradizione alchemica), il suo corpo sotterrato, la testa appesa ad un albero di zucche. "E quando vi fu messa la testa, subito si riempì di frutti quell’albero che non aveva mai fruttificato prima di allora" ("Popol Vuh"). La testa a quel punto non fu più riconoscibile, poiché divenuta un tutt’uno con i frutti dell’albero.
Questo episodio rappresenta la scissione avvenuta nella coscienza dell’Iniziato a seguito della Nigredo: ora egli ha "diviso la testa dal corpo", ovvero ha preso consapevolezza di chi è veramente. Se prima identificava sé stesso con il proprio corpo, ora ha invece scoperto la sua essenza imperitura, il suo seme divino. Allo stesso tempo, è diventato un tutt’uno con i mille altri frutti dell’Albero della Vita; ovvero, ha scoperto che quella fiamma divina imperitura che risiedeva dentro di lui, è intimamente legata, da un filo immaginario, alla vita di ogni altro essere.
In questo modo la sua "sconfitta", la sua "morte" filosofica, è diventata lo strumento della sua salvezza. Ora l’Iniziato è divenuto consapevole di Anima e Spirito, che nel mito vengono personificati dai suoi figli, i gemelli Hunahpú e Xbalanqué. Come quasi tutti i salvatori degli antichi miti, Hunahpú e Xbalanqué sono figli di una vergine, ovvero di una coscienza pura.
XquicIl "Popol Vuh" ci racconta la storia della vergine Xquic. La fanciulla è un’abitante del mondo inferiore, figlia dei Signori di Xibalbá. Significa che la "coscienza pura" nasce quando l’Iniziato ha compiuto la sua visita dell’inconscio, e qui è morto alla sua vecchia coscienza. Solo dopo la fanciulla verrà fatta emergere al mondo in superficie, fondendosi alla coscienza ordinaria.
Xquic si avvicina all’albero delle zucche, incuriosita dalla notizia della miracolosa fruttificazione. Giunta all’albero, Xquic intrattiene un breve ma significativo dialogo con il teschio di Hun Hunahpú, il quale le trasmette la sua discendenza sputandole sulla mano destra. Sarà la saliva (che subito scompare al contatto della mano) ad ingravidare la vergine, trasmettendole la discendenza di Hun Hunahpú. "E tutto questo fu fatto per il mandato impartito da Huracan (un altro nome di Dio)" ("Popol Vuh").
Dopo sei mesi, la ragazza non può più nascondere il suo stato. Il padre si riunisce in consiglio con gli altri Signori, affermando che per forza di cose il figlio portato in grembo da Xquic è un bastardo. Si decide di far parlare la giovane, la quale afferma che non può essere incinta poiché vergine: ""Non vi è bambino, Signore; non vi è alcun uomo la cui faccia ho conosciuto", rispose. "Va bene", replicò; "Allora è proprio un bastardo quello che porti"" ("Popol Vuh"). E dà ordine ai suoi servitori di sacrificare la fanciulla, riportando il suo cuore come prova. Ma gli inviati del Signore di Xibalbá vengono convinti da Xquic a risparmiarla, la lasciano fuggire e portano al Signore un finto cuore fatto di resina rossa. Impossibile non evidenziare la similitudine con altri miti e fiabe, fra qui certamente quella di Biancaneve (alla quale peraltro è dedicato un capitolo del mio libro "Favole Ermetiche").

 

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