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Sufismo

Riflessioni sul Sufismo

di Aldo Strisciullo    indice articoli


 

La lingua e la cultura

Agosto 2009

 

Nella metà del IX secolo, Córdoba era il centro crescente dell’espansione economica e culturale dell’Islâm, ormai penetrato nella penisola da più di un secolo. L’eleganza della lingua araba, specchio di raffinatezza culturale, lingua del Corano e quindi della fede, ma anche della filosofia e della scienza, era anche la lingua di una poesia versatile, capace di prestare all’intimo la possibilità di esprimere l’amore profano o la solitudine.lingua cultura Aveva consentito al principe Abd ar-Rahman (756-788) di scrivere un’ode sulla sua condizione di esule e, da allora, la lingua araba era divenuta la lingua di un secolo di poesie d’amore, da Baghdad a Córdoba.
Paolo Álvaro, nell‘855, rappresenta quella generazione di cristiani che osserva i cambiamenti con ostilità e pessimismo. Nel suo libro polemico Il segno inconfondibile, egli lamenta la perdita del latino, essenzialmente legato ai commentari delle Scritture, che i giovani abbandonavano per studiare la lingua araba. Tuttavia, la società cambiava. Le moschee si aggiungevano e superavano in numero le chiese. Le città assumevano caratteristiche sempre più orientaleggianti. Gli amministratori musulmani cambiavano la gestione economica del paese. Molti cristiani si convertivano e dai matrimoni misti nascevano bambini che venivano educati all’Islâm. Gli arabi non avevano esitato a mischiare il loro sangue con quello cristiano. Nasceva, insomma, una nuova compagine sociale, più ricca, più raffinata, più aperta culturalmente. Ed è proprio questo il “segno inconfondibile” di cui parla Álvaro nel suo libro, la forza culturale, la conoscenza che, scaturita dalla fede, attraverso la lingua, investiva tutti i bisogni umani, anche quelli più profani. Nell’arabo ebrei e cristiani trovavano l’amore intenso per tutte le cose, per la vita, la filosofia e perfino l’espressione dell’eros. Attraverso la lingua passava il moto interno dell’Islâm, la sua vitalità e la sua forza rigeneratrice. D’altronde, la provincia visigota era ormai da tempo in rovina e il latino non soddisfaceva più quei bisogni, quasi dimenticati.
Gli ebrei erano stati più aperti di certi cristiani ed avevano accolto la lingua araba molto prima, pur mantenendo intatta la loro fede. Anzi attraverso essa si erano affrancati da una certa condizione di emarginazione e questa loro apertura, tempo dopo, permetterà ad un ebreo di diventare il primo ministro di un Califfo Omayyade. Gli ebrei e la quasi totalità dei cristiani, tra cui anche le gerarchie ecclesiastiche, non percepirono l’adozione della lingua araba come una violazione della loro fede.
Contro l’immaginazione di Paolo Álvaro e di altri difensori della cristianità latina, cominciarono, invece, a moltiplicarsi le opere in lingua araba compresi i Vangeli, i testi della liturgia cristiana, le parole dei profeti e degli apostoli. Álvaro si scaglia contro l’uso della lingua araba con la consapevolezza e l’amarezza che la lingua latina, come egli stesso scrive, è ormai disdegnata insieme alla letteratura cristiana, perché i giovani studiosi cristiani «sanno esprimersi in arabo con eleganza e scrivono poesie in questa lingua meglio degli stessi arabi».
La resistenza di alcuni cristiani, poi martirizzati, fu ottusa e inutile e successivamente prestò il fianco solo alla storia denigratoria sull’Islâm.
La poesia araba preislamica portava con sé la visione, il deserto, lo spazio. Il canto del semplice quotidiano e l’esaltazione di una notte del deserto. In un certo senso, la libertà e la spontaneità dell’irrazionale. La religione Islâmica elevò la lingua dei poeti della Mecca ad uno statuto enorme. Il linguaggio si arricchì di una potenza estrema, di un misticismo che ora trasuperava la condizione quotidiana e poteva sconfinare nella metafisica più alta, come dimostrarono i sufi nei secoli successivi. Così l’espansione economica, politica e la vitalità culturale arricchirono la lingua di ogni giorno e la stessa poesia che, quando non era mistica, poteva contare su una più ampia sensualità verbale. Questa forza pervase i territori in cui approdò l’Islâm e fu una conquista culturale, fatta con la parola e le possibilità insite in essa. Fu una fascinazione che aveva però una base reale e un alto tenore spirituale.

Più tardi, questa forza darà vita a quell’amore per la conoscenza che produsse quel fenomeno di traduzione dei testi greci in lingua araba, da Aristotele a Plotino (considerato dai sufi un mistico a loro vicino), e su cui si formarono i più grandi pensatori musulmani oltre che le più eccelse menti europee.

 

Aldo Strisciullo

 

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