Riflessioni sul Sufismo
di Aldo Strisciullo indice articoli
La Qadiryya e l'emiro Abd alQadir
Luglio 2010
Il XII secolo vede la nascita dei primi grandi ordini sufi. Le cause della diffusione del sufismo furono diverse, innanzitutto la diffusione del sapere, il largo consenso che riscossero le opere di Ghazali, l’appoggio dei dinasti e potenti in tutte le contrade dell’Asia, dove si estese il dominio delle genti turche più tolleranti e senz’altro più ecumeniche. Concorsero anche ragioni e motivi politici come il diminuito potere califfale di Baghdad; una migliore organizzazione sociale degli Ordini grazie alla circolazione di scritti didattici ed esplicativi. Si arriva all’espressione di una dottrina omogenea, ad una regola e a una disciplina trasmesse regolarmente, ad una gerarchia fissa, stabilita e accettata che avrebbe costituito la struttura portante necessaria della Via.
Quindi, dal XII secolo, gli ordini sufi erano ormai ben organizzati, godendo di prestigio e di un ascendente in tutto il mondo islamico, diffondendo quell’aspirazione ascetica e mistica che sicuramente caratterizzò l’Asia. «Ci fu un cambio dell’atteggiamento da parte dei legalisti islamici che permisero così al Sufismo di curare le necessità religiose non strettamente legate a quelle del rituale santificato e fissato dalla Legge» (J. Spencer Trimingham). E’ probabile che il nucleo centrale di tutti gli ordini del periodo e di quanti sorsero dopo , sia costituito da sette grandi confraternite: la Yasawiyya, la Suhrawardiyya, la Qadiriyya, la Rifa‘iyya, la Kubraviyya, la Khwajaganiyya e la Chistiyya.
Rispetto ai grandi Ordini dell’Oriente, il sufismo della parte occidentale, dall’Iraq al Marocco, con l’eccezione dell’Andalusia, volta alla sublimazione della conoscenza, il Sufismo ebbe tratti più popolari legati alla superstizione, al fanatismo e in qualche caso all’ortodossia.
Intorno al XII secolo, in Iraq, nasce l’ordine sudi della Qadiriyya a opera di Abd alQuadir alJilani (1077-1166), turco di Jilani, sul Mar Caspio. Dopo aver studiato alla Scuola di alTabrizi, alla Mecca e a Baghdad, Abd alQadir alJilani divenne direttore della madrasa hanbalita in cui aveva studiato col maestro sufi alMukaharrimi e capo di un ribat edificato per lui dai suoi estimatori. Tra i suoi auditori c’erano tanto le persone semplici che i dignitari o alti funzionari di stato.
AlJilani mise l’accento più sulla tolleranza, sulla carità e sul ritiro iniziatico (quaranta giorni di ritiro, con digiuni meditazioni e preghiere) che su un sistema rigoroso basato sul dhikr, la preghiera mantra (wird), senza che tuttavia questi esercizi fossero considerati di minor importanza. Furono semmai lasciati alla discrezione e la libera scelta di ogni guida spirituale.
Per alJilani era molto più importante la lotta interiore contro le passioni, contro il predominio dell’egoismo personale, mentre era possibile raggiungere la serenità interiore accettando e riconoscendo che nel bene e nel male tutto è volontà di Dio, una volontà strettamente conforme alla Sua Legge, così che il Sufismo di alJilani, in sintesi, si traduce con la lotta contro la Passione.
Nel tempo la Qadiriyya assunse un carattere più pietistico e fanatico tipico dell’atteggiamento arabo, tanto che i seguaci giunsero all’adorazione del fondatore della confraternita. Ibn alArabi considerava alJilani un esempio di fondatore investito di sovranità assoluta, venerato come il “sultano dei santi”, investito d’una reale sovranità assoluta sull’organizzazione. Questo aspetto, poco conforme al vero spirito dell’Islam, divenne predominante nell’Africa del Nord dove assunse anche il nome di Jilaliyya o Jilaniyya mescolando il credo islamico e le credenze locali preislamiche legato al culto delle potenze degli inferi e criptiche.
L’ordine si estese soprattutto a ovest dell’Iraq, a Fez a opera di Ibrahim (?-1196) e Abd alAdhiz (?-1203) e col tempo anche in Andalusia ove sopravvisse fino alla caduta di Granada. Nel XVII secolo si diffuse anche in Anatolia ad opera di Isma’il Tumi che eresse una khanaq a Istanbul dalla quale ne gemmarono una quarantina sparse in tutta la Turchia.
A Cavallo del XII secolo fecero parte della Qadiriyya l’eminente poligrafo Sa‘di, il poeta Ibn alFarid. Oggi l’ordine è presente in tutti i paesi musulmani dell’Africa del Nord soprattutto come conseguenza della fama di mistico che spettò all’emiro Abd alQadir, protagonista della resistenza algerina all’invasione francese. L’ordine si è diffuso anche in Guinea diventando prerogativa della tribù dei Diakanki.
L’emiro Abd alQadir nacque nel 1808 nel villaggio fondato da suo nonno, alQaytana, vicino alMous’askar, in Algeria. Protagonista della resistenza algerina a partire dal 1830, dopo la disfatta fu incarcerato e poi liberato il 16 ottobre del 1852, dal principe presidente Luigi Napoleone, grazie all’amicizia che si instaurò fra i due e all’apprezzamento del principe per l’intelligenza e la saggezza dell’emiro. Dopo diversi anni dagli avvenimenti che si conclusero con l’occupazione dell’Algeria, l’emiro Abd alQadir scrisse, durante il suo soggiorno in Turchia, un testo che ha valore di testamento riguardo alle vicende e alle lotte che ebbero luogo durante la colonizzazione. Questo scritto, Lettera ai francesi, indirizzato al popolo francese, oltre naturalmente a trattare della situazione politica in generale, contiene diverse idee in favore di un rinnovamento, sotto ogni punto di vista dei rapporti fra Francia (e Occidente) e paesi musulmani. Tuttavia il rinnovamento doveva essere fatto con grande prudenza: si dovevano incoraggiare i popoli islamici ad adattarsi ai metodi e alle tecniche moderne dell’Occidente, senza perdere i valori del loro patrimonio originale.
Frainteso sia dai musulmani, sia dai francesi, divenne simbolo del bravo beduino, fiero cavaliere, incarnando lo stereotipo dell’indigeno che di fronte alla civiltà tecnologica resta bocca aperta come «un ragazzino davanti alla vetrina dei giocattoli». Da qui anche l’idea della Madre Europa civilizzatrice che offre la sua esperienza, il suo sapere, creando un discorso retorico utile alla perpetuazione del dominio politico ed economico. Solo in tempi recenti si è ridato valore non solo alla figura di pensatore, ma ad un uomo che aveva vissuto le dolorose vicende dell’occupazione e si era interrogato sul futuro dell’Islam e della convivenza in un mondo più allargato. Parole tutt’altro che ingenue le sue furono un esempio di discorso illuminato e mistico, intriso di metafisica, filosofia greca e gnosi contro il positivismo allora imperante nelle società europee, che segnavano il divario tra il narcisismo dello spirito occidentale e la ricerca libera da ogni contaminazione, con il solo scopo della conoscenza per la realizzazione del bene comune.
Aldo Strisciullo
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