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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 01-08-2014, 08.06.08   #71
CVC
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Riferimento: Che differenza c'è fra desiderare e volere?

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Originalmente inviato da maral
No, non c'è bisogno di riparo, proprio perché la volontà di potenza è continua e vuota illusione. Ogni riparo a un illusione non può che essere illusione di un riparo (e per questo ogni riparo alla volontà di potenza è sempre volontà di potenza e della peggior specie)



Pensavo a Seneca, a Marco Aurelio, ma anche lo stoicismo greco prende le mosse in un periodo di decadenza delle città greche, in pieno ellenismo, dopo la morte di Alessandro Magno.

Non mi pare di essere mai stato un sostenitore della volontà di potenza, anzi! Solo che riconosco in ciò che ad essa vuole opporsi un suo mascheramento più o meno efficace. In tutta la storia del pensiero dell'Occidente la volontà di potenza non viene mai a mancare, men che meno in ciò che si vuole razionalmente costruire per ripararsene. La volontà di potenzia è dominio assoluto che si nutre di illusioni, compreso quelle illusioni che si apprestano contro di essa, anzi soprattutto di quelle.
Il rimedio si è sempre rivelato peggiore del male, ci sta tutta l nostra storia a dimostrarlo. In fondo in Nietzsche vi è ancora un'ultima grande purezza., l'originaria purezza del barbaro selvaggio., della sua autenticità non corrotta.



E' esattamente questo che la volontà di potenza nel suo profondo vuole: che il totalmente insensato sia spiegazione di tutto, perché è proprio sull'insensato che ci si può illudere di avere assoluto dominio ricostruendolo continuamente a volontà come sensato. La volontà di potenza è assoluta creazione di senso dal nulla.



Forse, bisognerebbe almeno provarci, offre una prospettiva di senso nuova. Forse bisognerebbe smetterla con il pensare proprio all'utilità con cui quella vecchia ha sempre fallito, tanto che ogni Dio è morto da più di un secolo e con esso ogni pretesa morale, sostituita da ciò che risulta conveniente in un bilancio razionalmente calcolato di costi e benefici.


Manca soprattutto chi dia ancora un minimo credito a questi insegnamenti. Chissà magari si potrebbe cominciare proprio con l'insegnare che la volontà di potenza è un'illusione che si nutre di illusioni e le divora incessantemente. Siamo continuamente sommersi da montagne altissime di illusioni che gonfiano a dismisura un io sempre più nano, ma vezzeggiato come un gigante (un sempre più fragilissimo gigante), si vendono a un ottimo prezzo sul mercato e tutte con la loro razionalissima ragione ben spiegata nei manuali per l'uso for dummies.
CVC, lamentiamo la stessa cosa, ma nel rimedio che suggerisci io vedo proprio lo stesso male di cui ci lamentiamo. La morale, quella morale fondata su quei valori, è a mio avviso solo una impossibile volontà di tornare a ripetere le medesime tragedie, perché quella morale era fondata proprio sulla volontà di potenza che si illudeva concretamente di arginare con la sua valenza puramente astratta.
Non mi hai risposto proprio sul punto riguardo al quale maggiormente mi interessava la tua opinione.
Gli stoici, dicendo che le passioni sono il male e la virtù è bene, non avevano già inglobato la volontà di potenza nelle passioni intuendone la dannosità? Se c'è un essere dell'uomo, non si può forse pensare che ci sia qualcosa che lo diminuisce (la passione, la volontà di potenza) e qualcosa che lo conserva e aumenta (la virtù, la saggezza, l'agire ragionato)?
Ma credo che non ci troveremo d'accordo perchè a vederla come Severino le cose non cambiano, e quindi vizio e virtù non sono cose distinte, ma due momenti della sola volontà di potenza. La quale, essendo l'unica cosa che esiste, rende inutile il discorso su tutto quanto il resto. Se un albero diventa un tavolo, Severino ti dice che l'albero non è mutato e che il tavolo c'era anche prima. Su questo io non mi dilungo. Solo non vedo l'utilità di una visione monolitica dell'essere. Ad un certo livello l'essere è mutamento, corruzione, estemporaneità. Ad un'altro stadio è percezione al di fuori dello spazio e del tempo. Dipende dal proprio stato interiore, è un qualcosa che si può apprendere solo indagando se stessi, colloquiando con se stessi, per quanto possa sembrare strano a dirsi. Le parole non contengono la verità ma offrono il mezzo per raggiungere quello stato di realtà dove ci si solleva dal guazzabuglio quotidiano. Un'elevazione lucida e cosciente, uno stato di realtà che rispetto alla realtà del guazzabuglio, se non ha un maggiore valore di realtà, perlomeno, non so come dirlo meglio, piace di più allo spirito.
Ma davvero credi che l'uomo possa fare a meno della morale? E su che cosa le basiamo le leggi? No perchè io questo proprio non lo capisco. Una vecchia canzone di Vasco Rossi diceva 'farsi la barba o uccidere, che differenza c'è?'. Senza morale è così, che differenza c'è? Quella parte ferina di noi in cui albergano gli istinti animaleschi, chiamiamolo inconscio o volontà di potenza o come si voglia, davvero ha uguale valore di un agire dopo aver riflettuto? Per me non sarà mai così per quel che ne dicano Nietsche o Severino
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Vecchio 01-08-2014, 08.38.02   #72
paul11
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Riferimento: Che differenza c'è fra desiderare e volere?

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Certo che puoi, ma non puoi semplicemente decidere di farlo per poterlo fare.

Il fatto che posso,significa che sono io che decido se svolgere un ruolo attivo o passivo. E questo è il primo passo.
E la differenza è proprio questa: chi passa la vita a lamentarsi, anche se ha capito, e cerca giustificazioni razionali per l'irrazionale e chi passa la vita a decidere pur nella difficoltà.
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Vecchio 01-08-2014, 08.44.35   #73
CVC
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Riferimento: Che differenza c'è fra desiderare e volere?

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** scritto da CVC:



Preferisci, quindi come loro (i due popoli) hai deciso, come loro la tua morale (menefreghista, sinonimo di qualunquista) scaturirà da questa scelta, ed il tuo volere vincolato a questa inclinazione.
Concordo pienamente con chi sostiene che la crisi odierna mondiale è culturale, spirituale, morale, e non economica o politica.


Pace&Bene.
Proclamare di credere in Dio non ha impedito all'uomo di compiere le più atroci e insensate crudeltà. In nome di Dio per giunta. Ma cosa sappiamo noi di Dio?
Chi è che può arrogarsi il diritto di parlare in nome di Dio?
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Vecchio 01-08-2014, 09.45.30   #74
maral
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Riferimento: Che differenza c'è fra desiderare e volere?

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Il fatto che posso,significa che sono io che decido se svolgere un ruolo attivo o passivo. E questo è il primo passo.
E la differenza è proprio questa: chi passa la vita a lamentarsi, anche se ha capito, e cerca giustificazioni razionali per l'irrazionale e chi passa la vita a decidere pur nella difficoltà.
Il fatto che puoi non implica una decisione in merito a questo potere (non implica un puoi se vuoi), implica solo che questo è ciò che sei, sei uno che può, il tuo ruolo è attivo perché così ti trovi rappresentato, non perché sei tu a determinare la parte che giochi, l'attore non decide il ruolo che interpreta, anche se da attori ci si sente sminuiti in potenza, non siamo i demiurghi del nostro destino, siamo il nostro destino che non è cosa separata da noi proprio perché siamo chi siamo e non altro.
Questo non vuol dire assolutamente che sia da riconoscere desiderabile solo una rassegnazione apatica che neghi qualsiasi presa di posizione attiva nei confronti della vita, perché anche questa sarebbe una assunzione di potenza, mentre significa solo che qualsiasi presa di posizione attiva o passiva che sia va compresa nel significato che ha e non come una volontà di crearla per liberissima scelta su un originario essere nulla manipolabile all'infinito che può diventare qualsiasi cosa a patto che l'io si impegni al massimo a volerlo (da cui consegue l'inevitabile senso di fallimento di questo io che vive continuamente la propria frustrazione di inadeguatezza anormale e quindi angosciante proprio perché deve risolutamente negarla alla luce della fede nella potenza della propria volontà).
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Vecchio 01-08-2014, 11.18.08   #75
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Proclamare di credere in Dio non ha impedito all'uomo di compiere le più atroci e insensate crudeltà. In nome di Dio per giunta. Ma cosa sappiamo noi di Dio?
Chi è che può arrogarsi il diritto di parlare in nome di Dio?


Non è il fine del mio intervento farti divenire cristiano, ateo o agnostico, o discutere se Dio esiste o meno (stai deviando il tema, ma se questo è un tuo desiderare esponi il tuo dubbio o quesito nel forum di spiritualità), questo è un tuo problema, ma semplicemente farti riflettere sulla circostanza (non per nostro volere) che tutte le decisioni sono, inevitabilmente, retaggio dell'ipotetica illusione del nostro credo primordiale, Dio, il Caso o l'Indifferenza, su cui si fonda, conseguentemente, la nostra morale (che tu proponi, ed io concordo totalmente, come ingrediente essenziale affinché l'individuo faccia agire il desiderio o smorzarlo con la volontà, fino a inibirlo) ed il decidere ed il volere che essa comporta.



Pace&Bene
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Vecchio 01-08-2014, 14.10.45   #76
CVC
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** scritto da CVC:




Non è il fine del mio intervento farti divenire cristiano, ateo o agnostico, o discutere se Dio esiste o meno (stai deviando il tema, ma se questo è un tuo desiderare esponi il tuo dubbio o quesito nel forum di spiritualità), questo è un tuo problema, ma semplicemente farti riflettere sulla circostanza (non per nostro volere) che tutte le decisioni sono, inevitabilmente, retaggio dell'ipotetica illusione del nostro credo primordiale, Dio, il Caso o l'Indifferenza, su cui si fonda, conseguentemente, la nostra morale (che tu proponi, ed io concordo totalmente, come ingrediente essenziale affinché l'individuo faccia agire il desiderio o smorzarlo con la volontà, fino a inibirlo) ed il decidere ed il volere che essa comporta.



Pace&Bene
Bisognerebbe capire cos'è questo credo primordiale di cui sarebbero retaggio delle nostre decisioni.
Per credo si intende un atto di fede, primordiale è qualcosa che appartiene alle origini della nostra specie.
Alle origini c'è il mito, forse vuoi dire che l'uomo non può liberarsi dal mito. Se è così, si io riconosco che oltre alla natura razionale l'uomo ha anche una natura che 'pensa per immagini' e parla un linguaggio simbolico. E forse è proprio quella natura che muove gran parte delle nostre facoltà. Ma essa si esprime con un linguaggio infantile e truculento e a volte dice cose che non dovrebbero essere ascoltate. Mi riferisco all'inconscio. Inconscio e ragione sono forze diverse che agiscono per una stessa causa, cioè l'individuo. L'inconscio è il motore, ma solo la ragione può guidare.
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Vecchio 01-08-2014, 23.17.41   #77
paul11
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Originalmente inviato da maral
Il fatto che puoi non implica una decisione in merito a questo potere (non implica un puoi se vuoi), implica solo che questo è ciò che sei, sei uno che può, il tuo ruolo è attivo perché così ti trovi rappresentato, non perché sei tu a determinare la parte che giochi, l'attore non decide il ruolo che interpreta, anche se da attori ci si sente sminuiti in potenza, non siamo i demiurghi del nostro destino, siamo il nostro destino che non è cosa separata da noi proprio perché siamo chi siamo e non altro.
Questo non vuol dire assolutamente che sia da riconoscere desiderabile solo una rassegnazione apatica che neghi qualsiasi presa di posizione attiva nei confronti della vita, perché anche questa sarebbe una assunzione di potenza, mentre significa solo che qualsiasi presa di posizione attiva o passiva che sia va compresa nel significato che ha e non come una volontà di crearla per liberissima scelta su un originario essere nulla manipolabile all'infinito che può diventare qualsiasi cosa a patto che l'io si impegni al massimo a volerlo (da cui consegue l'inevitabile senso di fallimento di questo io che vive continuamente la propria frustrazione di inadeguatezza anormale e quindi angosciante proprio perché deve risolutamente negarla alla luce della fede nella potenza della propria volontà).

Ho un potere e non posso decidere, e che potere è? Bisogna capire semplicemente il limite di quel potere, oltrepassato il quale si perde i rispetto di sé, perché chi non riesce più a rispettare il limite ha perso anche se stesso e si comporta male con gli altri. Perché chi sa amare e rispettare gli altri è perché sa rispettare e amare se stesso.Chi non riesce a star bene con se stesso , lo scarica sugli altri.
Sapere quale sia il proprio posto, il proprio ruolo, non significa aver perso la propria umanità: non c’è demiurgo che tenga che possa cancellare la nostra propria autenticità.. non siamo pupazzi da rinchiudere nella cesta del pupazzaro , questo lo racconta il mondo che ci circonda da sempre.
C’è chi nelle religioni crede ad un destino pedissequo privo di libertà, c’è chi ritiene che influisce la grazia dispensata da Dio..Io dal basso della mia ignoranza dico che ognuno ha sì un destino, ma tutto da scrivere e firmare e quella grazia quei doni ,quei talenti dovranno essere restituiti, poiché coloro che ebbero poco, poco dovranno rendere e i guai saranno per coloro che ebbero molto su questa terra e dilapidarono e depradarono senza condividere con il prossimo ciò che avevano.
Perché se così sono , se proprio un Qualcuno decise che dovesse essere, sono altrettanto convinto che le qualità avute , quei doni che la natura ci ha dato, non sono stati consegnati per soffrire semplicemente del proprio consapevole destino finito. Siamo qualcosa di più di un destino segnato, siamo una vita narrata, siamo pagine bianche da scrivere pur sapendo che ci sarà una fine del libro., e la scrittura è la nostra, la firma finale è nostra e quel libro ritornerà a Qualcuno., a Colui che mise i sigilli a quei libri ancora da raccontare.
Il senso è quello che ci sta attorno,del mondo che così fece un Qualcuno alle notte dei tempi, e noi siamo qui meravigliati da questa caotica perfezione, e noi con i nostri perchè e i nostri desiderata, a questo mondo che si svela e non abbiamo ancor capito che se un sasso ha un senso forse noi ne potremmo avere di più? Siamo qui messi alla prova per capire, anche noi stessi, quelle energie che ci vengono dal profondo quei desideri da educare.
(educare=aiutare con opportuna disciplina a mettere in atto a svolgere la buona inclinazione dell’animo e le potenze della mente e a combattere le inclinazioni non buone,ciò che è condur fuori l’uomo dai difetti originali della rozza natura instillando abiti di moralità e di buona creanza.)
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Vecchio 02-08-2014, 10.33.29   #78
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Riferimento: Che differenza c'è fra desiderare e volere?

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Bisognerebbe capire cos'è questo credo primordiale di cui sarebbero retaggio delle nostre decisioni.

Ma come tu sostieni che solo la ragione può guidare e poi non distingui (capisci) che quella stessa ragione decide se assecondare o meno il desiderio, col volere, sostenendosi però, cosciente o incosciamente, su di un principale atto di fede (quindi irrazionale) che sigilla la nostra morale.

Quindi la ragione guida, ma il navigatore (e non virtuale!) è la fede, il credo individuale (infatti la Fede è quella cosa per la quale la ragione, che desidera, si piega, si genuflette, alla volontà, col volere).
Ogni decisione di assecondare o debellare un desiderio scaturisce dalla sintonia della ragione che giustifica la fede in quel desiderio, anche andando contro coscienza.
A lungo andare se la coscienza non diviene la fonte del nostro volere, e il faro delle coordinate della nostra fede, il desiderio genera l'immoralità oggettiva: invidia, omicidio, frode, diffamazione, orgoglio, slealtà, abuso di potere (etc etc.).

E' l'assurdità, il paradossale, che illumina la logica, la perspicacia, la riflessione, facendola divenire ragione di fede (la Fede per essere tale deve essere libera, gratuita e razionale), poi questa fede si scontra con un nuovo dubbio intelligente, e nuovamente sarà il mistero ad illuminare la conoscenza superiore acquisita precedentemente (mai il contrario), e così via, fino alla pace o alla disperazione, alla gioia o alla tristezza, alla beatitudine o alla dannazione, generando quello che fino a ieri non sapevo e che grazie a voi intelocutori del forum ho compreso: la volontà di potenza, interpretata come produttrice quotidiana di valori oggettivamente non immorali e del senso del caos insensato del mondo.






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Vecchio 02-08-2014, 11.48.26   #79
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Ma come tu sostieni che solo la ragione può guidare e poi non distingui (capisci) che quella stessa ragione decide se assecondare o meno il desiderio, col volere, sostenendosi però, cosciente o incosciamente, su di un principale atto di fede (quindi irrazionale) che sigilla la nostra morale.

Quindi la ragione guida, ma il navigatore (e non virtuale!) è la fede, il credo individuale (infatti la Fede è quella cosa per la quale la ragione, che desidera, si piega, si genuflette, alla volontà, col volere).
Ogni decisione di assecondare o debellare un desiderio scaturisce dalla sintonia della ragione che giustifica la fede in quel desiderio, anche andando contro coscienza.
A lungo andare se la coscienza non diviene la fonte del nostro volere, e il faro delle coordinate della nostra fede, il desiderio genera l'immoralità oggettiva: invidia, omicidio, frode, diffamazione, orgoglio, slealtà, abuso di potere (etc etc.).

E' l'assurdità, il paradossale, che illumina la logica, la perspicacia, la riflessione, facendola divenire ragione di fede (la Fede per essere tale deve essere libera, gratuita e razionale), poi questa fede si scontra con un nuovo dubbio intelligente, e nuovamente sarà il mistero ad illuminare la conoscenza superiore acquisita precedentemente (mai il contrario), e così via, fino alla pace o alla disperazione, alla gioia o alla tristezza, alla beatitudine o alla dannazione, generando quello che fino a ieri non sapevo e che grazie a voi intelocutori del forum ho compreso: la volontà di potenza, interpretata come produttrice quotidiana di valori oggettivamente non immorali e del senso del caos insensato del mondo.






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Quindi l'uomo non può farcela da solo. Questa sfiducia nei confronti dell'uomo ha un nome: misantropismo. Il cristiano e lo stoico hanno in comune la cura, la salvezza dell'anima. Ma lo stoico pensa di farcela da solo, il cristiano pensa non sia possibile farcela senza l'aiuto di Dio.

Ma a voler veder bene, se la fede è un atto di volontà, come può l'uomo sottomettersi alla volontà della fede se la fede stessa è un atto della sua volontà?
Sono d'accordo sull'esame di coscienza come guida della volontà, ma perchè uno dovrebbe sentirsi in colpa per non aver fede se ciò, il non aver fede, non gli impedisce di prendersi cura della propria coscienza, della propria anima?
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Vecchio 02-08-2014, 19.35.48   #80
maral
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Originalmente inviato da paul11
Ho un potere e non posso decidere, e che potere è?
Quanto avevo scritto:
"Il fatto che puoi non implica una decisione in merito a questo potere", significa che non si può decidere in merito a ciò che si è e in merito alla prospettiva che ci determina per quello che siamo. Nell'ambito di questa prospettiva puoi decidere ad esempio se rispondere a questo mio messaggio o meno, ma ciò che non puoi scegliere è la prospettiva che ti esprime per quello che sei e che determina comunque la decisione che prenderai. E questo è il limite (l'essenza dell'ente), il limite di senso di ogni decisione ed è un limite comunque invalicabile, ma l'io di per sé non vorrebbe avere alcun limite alla propria volontà, non vorrebbe riconoscerlo (tanto che è disposto anche a sacrificare se stesso per questa volontà affidandosi a chi, più potente di lui, immagina possa realizzarla così da rendersi schiavo di ciò di cui si illude e nella cui potenza crede) e questo lo pone di nuovo di fronte a una scelta, la scelta tra il riconoscimento di quello che è e la sua negazione.
Il limite è dunque dato dagli enti stessi per come sono e qui è essenziale l'incontro con l'altro che originariamente si presenta come ciò che si vuole far proprio, secondo la volontà dell'io (e si può volerlo far proprio certamente anche per il suo bene, per educarlo), ma allo stesso tempo come ciò che resiste infinitamente a questo voler far proprio e proprio questa resistenza che l'altro ci presenta lo fa apparire come il nemico da annientare svelandolo completamente al mio modo di intenderlo, oppure l'ente irraggiungibile al mio volere che è. L'altro è ciò che mi si contrappone e dunque con la sua sola presenza mi contraddice e ciò che mi contraddice è quanto di lui non posso accettare e capire, la volontà di potenza esige l'annientamento di questa resistenza, ma l'ontologia, la nostra ontologia, è proprio di questa resistenza che ha infinito bisogno, ho bisogno essenziale dell'altro da me, della sua inspiegabilità.
In questo altro è compreso, oltre al mondo che non è mio e dunque realmente esiste e si manifesta in antitesi, anche l'immagine che costruisco di me stesso e che è l'altro a darmi, poiché è sempre l'altro a farmi da specchio.

Citazione:
Siamo qualcosa di più di un destino segnato, siamo una vita narrata, siamo pagine bianche da scrivere pur sapendo che ci sarà una fine del libro., e la scrittura è la nostra, la firma finale è nostra e quel libro ritornerà a Qualcuno., a Colui che mise i sigilli a quei libri ancora da raccontare.
Io penso che il nostro destino, a cui comunque non possiamo sfuggire, è quello di essere ciò che siamo è ciò che siamo è qui ed ora e appare in ogni istante della narrazione che lo racconta rendendocene consapevoli. Noi siamo questo racconto per intero e che non può terminare, perché infinite sono le cose che di noi devono via via apparire. O forse la compiutezza di questo racconto verrà proprio quando apparirà in tutta evidenza fenomenologica proprio questo continuo inarrestabile fluire della narrazione di ogni ente alla luce di un doversi manifestare che sempre ulteriormente rimanda.
Noi non siamo gli autori della narrazione che via via ci racconta, per questo non possiamo sceglierci e non possiamo scegliere i nostri desideri, ognuno di noi è il personaggio di un racconto narrato in prima persona: io e il racconto nella sua interezza è da sempre e per sempre, non è mai cominciato né mai finirà se non nelle nostre aspettative che esso presenta.
O, come aveva detto Galvan:
[QUOTE^Galvan1224]L’io è il lettore, e nel farlo si ritrova personaggio (attore) di quel che legge.[/quote] (e a volte si immagina pure di averlo scritto lui costruendo il suo destino)

Citazione:
(educare=aiutare con opportuna disciplina a mettere in atto a svolgere la buona inclinazione dell’animo e le potenze della mente e a combattere le inclinazioni non buone,ciò che è condur fuori l’uomo dai difetti originali della rozza natura instillando abiti di moralità e di buona creanza.)
E qui il difficile è trovare chi sia questo buon educatore, affinché educare non sia pura manifestazione della volontà di potenza, di quello stesso antico nichilismo che abita fin dalle origini la storia del pensiero dell'Occidente: volere il niente per plasmarlo tutto. L'unico educatore forse può essere solo ogni altro che non sa di esserlo, ma che noi sentiamo che è proprio per come è nella sua alterità che ci rispecchia, Essere educati diventa allora un continuo reciproco conoscersi e la moralità non è più correzione di una natura rozza e grossolanamente abbozzata, ma il riconoscimento della perfezione che appartiene fin dal principio a ogni essente in quanto è.
Ma ancora una volta queste sono solo fallaci parole che al massimo possono desiderare di evocare qualcosa del Destino.
maral is offline  

 



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