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Riflessioni in forma di conversazioni

Riflessioni in forma di conversazioni

di Doriano Fasoli

Interviste a personaggi della cultura italiana e straniera - Indice


Psicoanalisi per riconoscere ogni "straniero"

Conversazione con Jean Laplanche
di Doriano Fasoli per Riflessioni.it

- settembre 2005

“È all'interno dell'esperienza inaugurata da Freud, esperienza indissolubilmente clinica e teorica – dirò: filosofica – che si colloca il mio pensiero; non per smussarne gli angoli o perfezionarne i dettagli, ma per farlo lavorare e, nel senso pieno della parola, fargli “rendere l'anima””: sono parole di Jean Laplanche, psicoanalista, professore emerito della Sorbona, e autore di numerosi saggi di psicoanalisi, tra cui: Hölderlin e la questione del padre (1961) Vita e morte nella psicoanalisi (1970), Nuovi fondamenti per la psicoanalisi (1986), nonché, in collaborazione con J.-B. Pontalis, di Fantasma originario. Fantasmi delle origini. Origini del fantasma (1964, 1985) e della famosa Enciclopedia della psicoanalisi (1967). Dirige la prima edizione delle Œuvres complètes de Freud – Psychanalyse. Per la casa editrice la Biblioteca (Collana “Il Progetto Psicoanalitico”), nata nel 2000, i suoi corsi – riuniti con il titolo generale di “Problematiche” – e i suoi articoli sono presentati, in più volumi (curati con grande rigore da Alberto Luchetti), in massima parte per la prima volta al lettore italiano. Persona affabile, Laplanche si è lasciato di recente intervistare a Roma, nel corso di alcune giornate di studio.

Professor Laplanche, la carica critica e provocatoria della psicoanalisi, secondo lei, permangono?
Penso che la forza provocatrice della
psicoanalisi non si sia affatto esaurita. C'è senz'altro una certa degenerazione – che troviamo sia nel pubblico che negli addetti ai lavori – nel modo in cui la psicoanalisi viene affrontata. Ma quando si torna al nucleo della psicoanalisi, questo è sempre provocatorio ed enigmatico (per usare questo termine). Vuol dire che la scoperta dell'inconscio è sempre da riscoprire, ma continua ad essere nascosta dal discorso sulla psicoanalisi. Anche nel pubblico scientifico c'è un occultamento della scoperta di Freud.

Quali sono le caratteristiche di un buon analista?
La caratteristica principale del buon analista sarebbe quella di avere un po' di familiarità con il proprio inconscio. Questo è difficile; perché anche le psicoanalisi “didattiche” che si concludono, spesso non raggiungono mai il vero inconscio freudiano. La questione della formazione è molto complessa, perché c'è troppa burocrazia anche nelle associazioni internazionali. Tutte le associazioni psicoanalitiche vogliono solo membri che abbiano fatto un certo numero di sedute, un certo periodo di analisi personale. Ma ciò non vuol dire far davvero un'analisi personale. Si preferisce avere allievi, clienti, piuttosto che formare veramente analisti.

Si è mai interessato all'opera dello psicoanalista inglese
Wilfred Bion?
Non me ne sono mai tanto interessato. Non ci si può interessare a tutto. Quando mi sono avvicinato all'opera di Bion mi è parsa molto complessa… anche il sistema della Griglia è un sistema molto complicato. Per questa ragione, mi sembra che non ci sia un buon libro che introduca al suo pensiero. Ma muoverei a Bion un altro rimprovero: egli mira a produrre una
psicologia generale, nella quale l'inconscio freudiano è un po' dimenticato, anziché una metapsicologia dell'inconscio.

Qual è la sua idea delle psicosi?
È che la psicosi è fatta di messaggi provenienti dall'adulto non elaborati nell'infanzia. Sono messaggi intraducibili o difficilmente traducibili. Questi messaggi rimangono nel loro stato originario, non sono elaborati dalla psiche. Il delirio sarebbe allora un modo per fare una sorta di grande costruzione che cerchi di tenere tutto insieme, di mantenere al centro questi messaggi appunto intraducibili. Io ho lavorato con gli psicotici per anni. Adesso non più: seguo pochi pazienti, e li ricevo privatamente, ed in privato è difficile poter seguire pazienti psicotici.

Chiarito innanzitutto che la psicoanalisi è anche un sapere specifico, che si esprime in una teoria e prevede una pratica applicativa; e che la filosofia non lo è: che tipo di colloquio può esserci tra di esse? Un colloquio con la filosofia è possibile, per così dire, ‘ai suoi margini’ (come sembra sostenere il filosofo
Emilio Garroni)?
Ci sono tante psicoanalisi e ci sono tante filosofie, dunque la questione è un po' spinosa. Spesso mi hanno chiesto se sia possibile il dialogo con la psicologia o con la filosofia. Io dico: ma quale psicoanalisi? In questo periodo la psicoanalisi è frammentata in tante scuole differenti, senza unione o l'unione si fa sotto il minimo comune denominatore (come si dice in matematica). Dunque bisogna capire che tipo di dialogo può esserci e con quale filosofia. Secondo il mio pensiero, quello che la psicoanalisi può apportare alla filosofia è l'idea di estraneità, di “stranierità”: di straniero interno e di straniero esterno.

Lei fu analizzato da Lacan: è un autore che conta ancora molto per lei?
Leggo ancora molto Lacan ed è a volte assai ispirante. Lacan è stato un grande ispiratore di riletture di
Freud. Ci ha fatto leggere Freud molto più di quanto lui stesso lo avesse letto. Questo significa essere un buon maestro: far lavorare gli allievi più di se stessi.

Che definizione darebbe dell'angoscia?
Io direi che l'angoscia è la reazione all'attacco dell'
alterità esterna, prima, e, dopo, all'attacco dell'alterità interna, cioè l'attacco dell'inconscio pulsionale, sessuale.

Come considera la creatività? Come un'esigenza fondamentale dell'uomo?
Ci sono pochi gli esseri veramente creativi. Molti pensano di esserlo ma sono soltanto dei ricreativi! Uno come
Stendhal, ad esempio, era davvero un creativo: egli pensava di scrivere per il secolo futuro. Lavorava con l'idea di farlo ispirato o aspirato da questo altro nel futuro: buttava una bottiglia nel mare per un altro. Anche Giacometti, in ambito artistico, è stato abitato dall'idea di rendere possibile ciò che è impossibile rendere, cioè lo sguardo dell'uomo, dell'essere umano. I veri creativi sono in una relazione più o meno aperta ma piuttosto coperta con questo primato dell'altro. Anche la psicoanalisi, se è veramente tale, è una riapertura della relazione con l'altro, voglio dire quella che proviene dall'altro.

La sua formazione è filosofica; tra i suoi maestri figura
Merleau-Ponty: a quali altri maîtres à penser, di cui la Francia è ricca, si legò particolarmente?
Ho conosciuto bene
Foucault, lavoravamo nello stesso periodo all'École Normale Supérieure. Anche Althusser, prima che diventasse famoso per le sue opere. L'ho conosciuto nel momento di passaggio tra il cattolicesimo, che aveva appena lasciato, ed il marxismo. Eravamo molto buoni amici, e mi ha aiutato negli studi di filosofia, ma non l'ho considerato un maestro, anche se era un po' più grande di me. Non sono mai stato tanto attratto dal suo pensiero successivo. Penso che lui sia rimasto prigioniero dello stalinismo fine alla fine. Non ha mai voluto prendere conoscenza di un pensiero – anche marxista – che mettesse in discussione i dogmi del suo partito.

Qual è la sua posizione verso l'uso del computer?
Andiamo necessariamente verso la civiltà dell'informatica. Per noi altri, persone che veniamo dall'era preinformatica, dall'era della “cultura”, il computer è un aiuto inestimabile. Ci dà accesso molto più facilmente ad un gran numero di informazioni, di libri, eccetera.
Ma temo molto il seguito, di cui vedo i danni nei più giovani, che non conoscono nient'altro che il computer. Si arriva al punto che tutta la conoscenza, trasformata in pura “informazione”, si trova all'esterno. Se si domanda ad un ragazzo: “chi è Nerone?”, lui cliccherà “Nerone” sul suo computer; “dov'è Sidney?”, idem. Vi è una perdita di conoscenze, ma anche dei mezzi per appropriarsi delle conoscenze. Nel mio semplice esempio, il giovane non si colloca più né nel tempo della cultura (Nerone o Napoleone non sono più messi in prospettiva: sono due astrazioni, al di fuori del loro contesto storico), né nello spazio del nostro mondo.
Gli elogiatori della civiltà informatica sono, per la maggior parte, dei privilegiati come noi, a cavallo di due tipi di civiltà.

Doriano Fasoli

 

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