Riflessioni dal web Indice
Animismo e società
In moltissimi popoli tribali la saggezza appare come il risultato di una interazione costruttiva costante tra la coscienza e l’inconscio, spesso attuata mediante l’interpretazione dei sogni. Per i Guajiro, i Pueblo e i Taraumara del Messico, come per i Naskapi de Labrador e molte altre civiltà tribali, la vita spirituale passa interamente dai sogni. I Taraumara praticano una sorta di interpretazione collettiva dei sogni che crea dei legami e delle pratiche sociali molto consolidate. Per esempio, essi si riuniscono abitualmente in gruppi nelle strade dei villaggi per raccontarsi i loro sogni e tentare di cogliere delle indicazioni circa progetti da realizzare o problemi da affrontare. Tutte le tribù però si avvalgono, in maniera minore o maggiore, di sciamani a tale scopo. Ora, a mio parere, difficilmente si può negare che l’importante ruolo svolto da queste figure nella società moderna è stato rivestito dagli psicoanalisti, in particolare da quelli di orientamento junghiano. Freud e soprattutto Jung dedicarono intere opere al valore psicoanalitico dei sogni. Quest’ultimo pubblicò addirittura un libro (3) contenente circa 300 degli oltre 500 sogni avuti da un paziente affidato ad una sua collega. Questo paziente era niente meno che W. Pauli, premio nobel per la fisica. Pertanto, per la Tradizione come per la moderna scienza dell’inconscio, la saggezza deriva sempre dai sogni. Naturalmente, non basta però sognare per essere saggi e Jung ammoniva che dei propri sogni bisognava anche farne qualcosa. Era un modo per segnalare l’assoluta necessità di giungere ad una responsabilizzazione di fronte al prodotto naturale del sogno ed alla sua interpretazione. La maggiore parte degli occidentali si limitano infatti a sognare, mentre una parte meno consistente si spingono sino ad interpretare i sogni. Essi li ricordano, li scrivono, ne parlano magari con il loro analista, ma più difficilmente giungono a compiere il fondamentale passo della responsabilizzazione che il sognare comporta. Per lo più, essi sognano per così dire “a vuoto” o si limitano ad un interesse di tipo intellettualistico o teorico. La vera dialettica con l’inconscio ha inizio nel momento in cui si prende posizione di fronte a quel che si capisce di un sogno e si decide di seguirne concretamente le indicazioni. In pratica, è sicuramente un buon metodo rivolgersi ai sogni come ci si rivolgerebbe ad una persona del mondo esterno: interessandosi al suo punto di vista, interrogandolo, riflettendo sulle sue intenzioni e rispondendovi attraverso provvedimenti concreti... E’ da un tale lavoro, da un tale atteggiamento di rispetto verso i propri sogni che scaturisce col tempo la saggezza. Si tratta quindi di giungere ad un rapporto ottimale tra coscienza e inconscio. In pratica, questo significa seguire le proprie facoltà coscienti fin dove è possibile e al contempo mantenersi pronti a rivedere le proprie posizioni in base all’intervento eventuale dell’inconscio. Il passaggio che più manca all’uomo moderno è proprio il secondo, contrariamente all’uomo antico e all’indigeno le cui psicologie erano molto più intuitive.
L’uomo moderno nutre una fiducia esagerata verso le proprie facoltà razionali, in particolare modo nei confronti dell’intelletto. Egli ha praticamente eretto un muro di separazione verso il proprio inconscio e le facoltà irrazionali che vi dimorano. Anche le sue intuizioni, comunque, risentono di questa condizione psicologica costringente: in generale, sono messe al servizio della mentalità collettiva tutta dominata dal Dio Economia. Sono intuizioni sull’andamento della Borsa, sulle fluttuazioni del Mercato, sulle tendenze dei consumatori... In altri termini, queste intuizioni sono talmente impostate che diventa lecito chiedersi se appartengono al soggetto o se siano piuttosto espressioni della stessa divinità Economia.
La psicologia dell’uomo moderno è quasi interamente posseduta dalla mentalità collettiva prodotta dal sistema. L’elemento nuovo rispetto alle grandi società del passato è che oggigiorno la tecnologia ha demoltiplicato la potenza dell’archetipo che sottende l’economia: quello dell’Eroe compulsivo vittima delle proprie tragedie. Non posso entrare in questa sede nel merito della natura delle basi psichiche inconsce più profonde dell’uomo e della cultura occidentali, perché il tema è così importante e ricco da richiedere una trattazione a parte. Posso però rimandare il lettore al mio articolo Toxycomanie et dynamique du héro (4) dove ho espresso la mia teoria sulla questione. A distanza di anni, non posso esimermi nuovamente dal ritenere che alla base di quell’atteggiamento caratteristico che spinge compulsivamente l’occidentale a vincere sull’Altro e a dominare il mondo, ci sia l’archetipo dell’Eroe tragico. Questo, come ci insegna la mitologia, compare dopo e anzi potrebbe consistere in una esasperazione dell’Eroe solare destinato inizialmente ad emulare il tragitto del sole e quindi a seguire i moti della Natura al fine di rinnovarsi. L’Eroe tragico, invece, arriva immancabilmente per peccare di hybris e per offendere gli Dei attraverso di volta in volta l’orgoglio, la sfida, l’inganno, la manchevolezza... Per questo il suo destino è tragico e consiste, il più delle volte, in supplizi che non hanno mai fine inflitti loro dalle divinità offese. Uno di questi castighi di cui è concretamente vittima l’uomo moderno è la depressione, la quale può essere interpretata proprio come il risultato di quell’atteggiamento eroico sfrenato con cui investe il mondo. Tale un moderno Sisifo, l’uomo di oggi appare schiacciato dal masso della depressione nonostante tutti i suoi sforzi per scrollarselo di dosso. Questa breve digressione potrebbe almeno aiutarci a capire che l’uomo saggio oggetto della nostra immaginazione dovrà essersi sbarazzato di questo atteggiamento esasperatamente eroico. Il che equivale praticamente, in linguaggio psicoanalitico, a compiere quel passaggio declamato in precedenza dall’Io al Sé.
Inoltre, quanto si è detto finora ci permette di asserire che il nostro uomo dovrà essere quasi l’esatto contrario dell’uomo moderno. I valori che dovranno governare la sua psicologia sono inerenti all’anima, all’armonia, al rispetto, alla pace, alla qualità della vita, ai piaceri semplici, alle pratichecontemplative, all’individuazione (5) ... Come dovrebbe essere, quindi, una società costituita da simili individui? Per affrontare quest’altra questione, atta anch’essa a mettere a durissima prova la nostra immaginazione, risulterà senz’altro proficuo partire dalla distribuzione del tempo. Oggi, nei paesi industrializzati, ogni giorno si dorme per circa otto ore e si lavora per circa altrettanto tempo. A causa del traffico e delle distanze in gioco tra i luoghi di lavoro e di abitazione occorre aggiungere al nostro conteggio circa un paio d’ore. Naturalmente, questa media più che intuitiva è ben lontana dal ricalcare la realtà in quanto, se si confà abbastanza alla maggior parte dei lavoratori dipendenti, non esprime di certo le situazioni di categorie quali i manager, gli artigiani, i liberi professionisti, i commercianti, gli imprenditori ecc. che lavorano spesso oltre la media delle dieci ore giornaliere. Compiere la spesa fa parte delle faccende quotidiane delle quali non ci si può sottrarre, così come il nutrirsi, il vestirsi, il lavarsi... operazioni che nell’insieme non prendono meno di un’ora e mezza al giorno. Senza considerare il tempo passato per inerzia davanti a televisore e computer per via della stanchezza psicofisica cronica che stronca sul nascere la maggior parte degli stimoli riflessivi e creativi e quindi toglie altro tempo alla percezione di sé, arriviamo alla seguente distribuzione: otto ore di sonno + 8 ore di lavoro + 2 ore di spostamento + un’ora e mezza per alimentazione e igiene fanno un totale di 21,30 ore su 24 a disposizione. In quelle magre due ore e mezza che rimangono, il cosiddetto “tempo libero” viene immancabilmente intaccato in varia misura da adempimenti burocratici e problemi tecnologici, per cui, alla fine il tempo disponibile si riduce veramente all’osso.
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