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Riflessioni sull'Esoterismo

di Daniele Mansuino   indice articoli

 

La seconda attenzione

Settembre 2017

 

Sometimes it seems like lately, I just don’t know:

the rest of my life’s been just a show.

(Queen)

 

Virtualmente, la consapevolezza umana avrebbe la potenzialità di operare nell’ambito di tutti gli indefiniti stati dell’essere ai quali l’uomo può accedere. L’umanità, tuttavia, è normalmente confinata sul piano della realtà oggettiva, ovvero il mondo materiale percepito e condiviso da tutti.
Possiamo sperimentare gli altri stati soltanto in modo occasionale e confuso, durante i sogni, e una persona normale non è mentalmente attrezzata per lavorare sui sogni in modo di poter recuperare la propria totalità.
Soltanto lo sciamano può imparare ad operare nei mondi di sogno, traendone diversi vantaggi: il più grande di tutti è la possibilità di accedere all’immortalità.
Questi - in sintesi estrema - gli insegnamenti di Carlos Castaneda, ai quali ho già accennato in alcuni articoli liberamente ispirati alla sua opera (Guénon, Gurdjieff, Crowley e Castaneda, Il lavoro sui sogni, L’ipnosi di massa) e marginalmente in altri articoli dedicati a quello che io definisco sciamanesimo diretto (John Frum, Il kula-ring, Tuvalu, Nauru, Sulla scuola polinesiana del mana), nonché nel libro Signori di Volontà e Potere.
La distinzione da me proposta tra sciamanesimo diretto e indiretto, in sintesi, è questa: che il primo si pone come obbiettivo l’imparare a spostarsi entro l’ambito degli stati dell’essere, il che significa che la maggior parte della sua operatività è fondata sul lavoro sui sogni, e si svolge quindi al di fuori del piano della realtà oggettiva; mentre il secondo si rivolge agli altri stati dell’essere considerandoli - per così dire - dei campi di raccolta dai quali attingere certe correnti energetiche (o correnti sottili) estranee al nostro mondo e trasferirle sul piano della realtà oggettiva.
Lo sciamanesimo indiretto è quindi prevalentemente adatto per operare a livello magico, sebbene varie sue scuole prevedano anche interessanti cammini di realizzazione interiore.
Le scuole sciamaniche indirette sono in genere più facilmente accessibili di quelle dirette, e come loro più classico esempio citerei il variopinto universo delle macumbe interetniche latinoamericane (vedi miei articoli come Il voodoo dominicano 1 e 2, Un sacrificio animale, Il sistema trasmutatorio della Santisima Muerte, Il potere dell’acqua, Le tre famiglie del voodoo dominicano in Italia, Il sistema divinatorio della Santisima Muerte, Il cane di Nazca, La forza dell’Occidente, Magia voodoo 1 e 2, ecc.).
Andrebbe sottolineato che tutte le scuole esoteriche e/o magiche oggi conosciute, sia d’oriente che d’occidente, si ritrovano in sintonia con lo sciamanesimo indiretto nell’affermare che le correnti sottili alle quali il membro della scuola ha accesso per mezzo dell’iniziazione e dei riti debbano essere utilizzate sul piano della realtà oggettiva: c’è, in effetti, qualche sistema tra i più evoluti che prevede attività marginali al di fuori di esso, o che delinea questa possibilità a livello teorico, ma niente di più.
Già altrove - per esempio, nell’articolo Trasmutazione interiore - ho trattato il tema del raffronto tra esoterismo e sciamanesimo. In quella occasione mi sono soffermato anche sul fatto che la corrispondenza tra l’uovo luminoso castanediano e la cosmologia vedantina ripresa da René Guénon è pressoché assoluta, incluso perfino il paragone degli stati dell’essere con… gli strati di una cipolla - la sola differenza di rilievo è che lo sciamano Castaneda nella cipolla ci viaggiava.
Anche per questo, non fu certamente un caso che, quasi mezzo secolo fa, uno dei pochi articoli di plauso che la pubblicistica esoterica abbia tributato alla sua opera sia venuto proprio, nel più generale sbalordimento, dalla guenoniana Rivista di studi tradizionali; ma non c’era, in verità, da stupirsi se quanti si ritengono (a torto o a ragione) i depositari del messaggio più antico dell’esoterismo si ritrovassero - almeno nelle linee generali - in sintonia col portavoce più puro di quello sciamanesimo dal quale l’esoterismo è derivato (un buon modo per approfondire i punti di contatto e le lontananze tra l’esoterismo tradizionale e il messaggio castanediano consiste nell’approfondire la teoria castanediana del punto d’unione, come nel libro Signori di Volontà e Potere ho tentato di fare).
Insomma, l’implicazione veramente rivoluzionaria dello sciamanesimo diretto è la possibilità di lavorare direttamente negli altri stati dell’essere; ai quali si può accedere, tramite quello che io ho definito lavoro sui sogni, per mezzo del sonno.
Questo ci dà la misura del livello avanzato delle scuole dirette, nonché della loro assoluta rarità. Prima di Castaneda non c’era quasi nessuna possibilità per un occidentale di contattarle, e da quando egli cominciò a parlarne il trauma della loro comparsa non è stato ancora assorbito.
Il rigetto di Castaneda da parte del mondo dell’esoterismo ufficiale ha fatto sì che il suo discorso sia stato raccolto soprattutto negli ambienti new age, che lavorano talvolta in stretta collaborazione con gli sgangherati ambienti dell’antiesoterismo e del complottismo.
Non ci sarebbe in questo niente di male, se soltanto si trattasse di persone qualificate a gestire una così impegnativa eredità - invece, nella maggior parte dei casi, la preparazione teorica che sarebbe del tutto necessaria per decodificare le sottigliezze del raffinato messaggio castanediano è in loro drammaticamente carente - e se le cose continueranno così, l’opera di Castaneda è destinata a passare alla storia come la più grande occasione perduta che l’esoterismo del ventesimo secolo abbia prodotto.
Le scuole castanediane, come tutte quelle dello sciamanesimo diretto, rifuggono dall’attività pubblica e si tramandano solo all’interno di cerchie molto chiuse. Fu senza dubbio la più grande fortuna della mia vita l’entrare in contatto con una di esse, come ho narrato ne Il kula ring ed in alcuni altri degli articoli che ho citato.
Nel loro codice espressivo, tutte le attività che l’iniziato può compiere sul piano della realtà oggettiva sono incluse nel concetto di mondo del tonal, o della prima attenzione; mentre quelle che hanno luogo in altri stati dell’essere fanno parte del mondo del nagual, o della seconda attenzione.
Esiste però anche una terza attenzione, della quale Castaneda comincia a parlare ne Il dono dell’Aquila: una coscienza incommensurabile, che interessa aspetti indefinibili della consapevolezza del corpo fisico e del corpo luminoso.
La terza attenzione offrirebbe dunque la possibilità di accedere ad una porzione di stati dell’essere molto elevata. È questa una possibilità aperta soltanto a coloro che Castaneda definisce i nuovi veggenti: una definizione che egli contrappone a quella di antichi veggenti, i quali fecero espandere (la seconda attenzione) fino a limiti inconcepibili…, (rendendola) qualcosa di così sconfinato da impedir loro di uscirne.
Come poi spiega meglio, gli stregoni dell’antichità avevano imparato ad addentrarsi nel mondo della seconda attenzione senza però curarsi di accompagnare alle loro pratiche alcuna forma di autodisciplina delle emozioni: col risultato di ottenere risultati magici efficacissimi, ma di restare anche legati ai limiti dei loro ego mostruosamente sviluppati, precludendosi il cammino che consente di affrancarsi dai limiti dell’individuazione.
Sarebbe avvenuto solo in tempi relativamente recenti (1723) che un maestro innovatore, il nagual Sebastian, intraprendesse il lavoro di rielaborare le pratiche tradizionali in modo che la seconda attenzione potesse costituire un ponte verso la terza: fu questa l’origine dei nuovi veggenti, la cui meta è la libertà.
Succede anche, però, che la contrapposizione della seconda attenzione alla terza limiti di parecchio la fruibilità dell’opera di Castaneda: perché destituisce il concetto di seconda attenzione dal suo senso originario, che era quello di rappresentare la totalità dei possibili stati dell’essere ad esclusione del piano della realtà oggettiva (ovvero, di rappresentare il mondo del nagual in contrapposizione a quello del tonal).
Sulla base della prima definizione, l’accesso al lavoro castanediano è facile: è sufficiente addormentarsi e prendere coscienza di averlo fatto, dopodiché ci si ritrova nella seconda attenzione e si può cominciare il lavoro sui sogni. Ma da quando Castaneda affermò che la seconda attenzione deve essere considerata soltanto un preludio alla terza (scrivendo anche parecchie pagine per mettere in guardia il lettore contro il pericolo di restarci imprigionato), di fatto scoraggiò dal provarci chiunque avesse in mente di intraprenderlo senza l’aiuto di una guida.
Bisogna peraltro notare che Castaneda - grandissimo bastian contrario, come lo sono tutti i grandi esoteristi - subito dopo aver dettato questa restrizione comincia di fatto a procedere nella direzione opposta; e lo fa costellando l’intero arco delle sue opere con ampi resoconti delle pratiche degli antichi veggenti, dai quali il fascino del lavoro nella seconda attenzione traspare irresistibile, seducendo senza rimedio il lettore.
Così, per esempio, ne Il dono dell’Aquila, illustra la possibilità di concentrare la seconda attenzione in oggetti di potere; e poco dopo, svela che le quattro statue di Tula note come gli Atlantidi non sarebbero altro nient’altro che una sua raffigurazione simbolica; e che una delle piramidi presenti in quell’area sarebbe stata edificata per consentire agli stregoni di esercitarsi nel suo uso, eccetera.
Da questo libro in poi, tutta la sua opera si svolge sul doppio binario del lavoro nella terza attenzione da una parte - nobile, onesto, consigliabile, severo, fatto soprattutto di privazioni, che conduce alla libertà e difficilissimo -  e quello nella seconda: torvo, egocentrico, autoindulgente, divertente, che dà potere, che dà molte soddisfazioni e che è praticamente alla portata di tutti.
È stato molto interessante per me l’aver conosciuto questa parte del lavoro letterario di Castaneda dopo Il regno della quantità e i segni dei tempi di Guénon, e dopo l’opera di Guénon in generale; perché si tratta esattamente dello stesso modello usato da Guénon per descrivere iniziazione e controiniziazione - sia nel suo caso che in quello di Castaneda, è proprio il polo negativo della coppia di valori l’unico al quale il lettore abbia reali possibilità di accesso.
Nel gergo in uso presso l’organizzazione esoterica che domina il mondo, questo modello è una tecnica di confusione - una definizione che venne utilizzata anche da Milton H. Erickson, per denominare una delle più importanti categorie di tecniche ipnotiche.
Non credo del resto sia un caso che, subito dopo aver parlato delle rovine di Tula - ovvero quasi esattamente nel punto in cui la tecnica di confusione viene introdotta - Castaneda associ il concetto di seconda attenzione a quello di non-fare, del quale ho trattato nel libro Signori di Volontà e Potere in quanto costituisce uno dei principali punti di contatto tra la dottrina castanediana e il progetto della cosiddetta organizzazione esoterica che domina il mondo.
A parte questo, mi sembra doveroso notare come Castaneda non affermi mai che il cammino dei nuovi veggenti apra allo sciamano le porte dell’immortalità. Infatti, la sua differenza rispetto al cammino degli antichi veggenti consiste nell’opportunità di tagliare i legami col mondo delle forme - potendo così insediare quello che in termini guenoniani definirei il centro della personalità in uno stato dell’essere affrancato dallo spaziotempo; ma per chi nello spaziotempo ci rimane, la procedura per raggiungere l’immortalità è un’altra, ed è quella che egli allegoricamente ci presenta con gli sfidanti della morte.
I terribili antichi veggenti (…) osservarono i propri alleati, e vedendo che erano esseri viventi con una resistenza… (alla morte) molto maggiore della nostra, si adeguarono al (loro) modello
Don Juan mi spiegò che solo gli esseri organici (nota: la traduzione italiana de Il fuoco dal profondo riporta qui erroneamente inorganici - pag.217 della prima edizione) hanno un’apertura (nell’uovo o guscio luminoso) che sembra un catino. La dimensione, la forma e la fragilità ne fanno la configurazione ideale per affrettare la rottura e il crollo del guscio luminoso sotto i colpi della forza rotante (ovvero della morte).
D’altra parte, gli alleati - che hanno solo una linea per apertura - offrono alla forza rotante una superficie così piccola che risultano in pratica immortali. I loro bozzoli (uova luminose) possono resistere indefinitamente ai colpi della rotante, in quanto le aperture sottili come un capello non offrono una configurazione ideale per la rottura.
Gli antichi veggenti svilupparono le più strane tecniche per chiudere le loro aperture
“Esistono ancora quelle tecniche?” Chiesi.
“No, non più” disse. “Però esistono ancora alcuni dei veggenti che le praticavano”.        
Introduco qui un’osservazione di carattere personale: più di una volta mi è capitato, nel lavoro sui sogni, l’incontro con alleati disponibili a sottoporre il corpo energetico degli esseri umani che glie ne facciano richiesta a modificazioni strutturali.
È questo un processo un po’ doloroso, che essi eseguono prendendo forma umana a loro volta, ed esercitando poi pressioni coi palmi delle mani sulle parti del corpo da trattare; il contatto di queste prese trasmette una forte scarica elettrica.
Ora, le deformazioni di cui il corpo energetico è oggetto nel corso di questi interventi sono definitive, ed in seguito ad esse lo stregone può migliorare di parecchio le proprie capacità di intercorso con la seconda attenzione; per cui non mi stupirei, sebbene Castaneda non ne faccia cenno, che anche gli sfidanti della morte avessero fatto ricorso allo stesso metodo.
Secondo Don Juan, invece, la loro prassi sarebbe stata la seguente: fecero slittare il punto d’unione lungo il bordo destro della fascia dell’uomo (ovvero della fascia di emanazioni che l’uomo è normalmente in grado di allineare). Più penetravano a fondo, più diventava strano il loro corpo di sogno (corpo energetico), … (e) c’è uno sfidante della morte che è riuscito nell’incredibile impresa di (deformare il proprio corpo energeticofino al punto di imparare a) chiudere ed aprire a volontà la propria apertura.
Lo sfidante di cui parla è quello che il nagual Sebastian incontrò nel 1723. È costui l’unico degli sfidanti che, pur avendo sottoposto il proprio corpo energetico ai pazzeschi livelli di deformazione che gli furono necessari per ridurre l’apertura a una fessura, rimase tuttavia in grado di riportare il punto d’unione in una posizione tale da assumere l’aspetto di un normale essere umano, e poter interagire con noi sul piano della realtà oggettiva.
Il più importante degli incontri di Castaneda con questo sfidante è narrato ne L’arte di sognare: un libro che è, più degli altri, il resoconto di come egli spesso esorbitasse dai limiti del lavoro che Don Juan gli prescriveva, cadendo vittima delle attrattive della seconda attenzione.
L’incontro avvenne nella chiesa di una piccola città del Messico meridionale, ed in quell’occasione lo sfidante prese la forma di una donna.
La scrutai con attenzione. Poteva avere dai trentacinque ai quarant’anni. Era un’india scura di pelle, imponente, ma non grassa o pesante. La pelle degli avambracci e delle mani era liscia, i muscoli sodi e giovani. Alta sull’uno e settanta. Indossava un abito lungo, uno scialle nero e guaraches. Poiché era inginocchiata, potevo anche vedere i suoi calcagni lisci e i potenti polpacci. Aveva stomaco e ventre piatti, e grossi seni che non poteva - o forse non voleva - nascondere sotto lo scialle. I capelli erano neri corvini, legati in una lunga treccia. Non era bella, ma neanche brutta. I lineamenti non avevano nulla di speciale. Sentivo che non avrebbe mai attirato l’attenzione di nessuno se non fosse stato per gli occhi, che lei teneva volti in basso, nascosti sotto le palpebre abbassate. Erano occhi magnifici, limpidi, sereni
Lo sfidante porta Castaneda nella seconda attenzione per trasmettergli - secondo l’accordo da lui stabilito col lignaggio di Sebastian - un suo dono. La sua intenzione sarebbe di insegnargli una particolare posizione del punto d’unione; ma Castaneda non accetta, e in seguito a questo rifiuto precipita in una impressionante serie di disavventure in mondi di sogno ostili.
La storia ha termine con la sua presa di coscienza del fatto che, in alternativa al dono da lui rifiutato, lo sfidante gli ha lasciato la possibilità di volare sulle ali dell’intento.
Il mio scomparso maestro Bill Kerekere (1923-2001) non mi parlò mai di terza attenzione (un concetto che tra l’altro, al tempo in cui lavoravamo insieme, nelle opere di Castaneda non era ancora apparso), né mi disse mai che il lavoro sulla seconda comportasse pericoli tali da non poterlo affrontare da soli. Viceversa, mi incoraggiò sempre ad intraprendere il lavoro sui sogni nella seconda attenzione, secondo la versione semplificata che ho cercato (inadeguatamente) di descrivere nell’omonimo articolo, e di quella scelta non ho avuto occasione di pentirmi.
A quasi dieci anni di distanza, quell’articolo non mi sembra più così bello come quando l’ho scritto: però non era poi tanto male, se è vero che posso contare a decine i lettori che l’hanno utilizzato come strumento di lavoro, scrivendomi dei loro problemi e dei loro progressi - il che mi ha aiutato a comprendere tanto i suoi punti di forza quanto i suoi difetti.
Un suo difetto, per esempio, consiste nel proporre un approccio alla seconda attenzione fondato su un discorso del tipo prima fai questo e poi fai quello; invece, alcuni tra coloro che hanno scritto recentemente su Castaneda hanno capito che l’approccio migliore è offrire al lettore un ventaglio di possibilità, lasciando che egli scelga quelle più in sintonia con la sua natura.
Un altro difetto, ancora più grande, è la mia omissione di far capire allo sperimentatore che quando si addormenta - indipendentemente dal fatto che egli prenda coscienza di ritrovarsi in un mondo di sogno o meno - nella seconda attenzione c’è già.
Se fossi partito da quell’idea, non avrei fatto altro che ribadire ciò che Don Juan si sbracciava continuamente per farlo comprendere a Castaneda: per esempio nella parte finale de Il secondo anello del potere, quando gli spiega che persino mentre siamo svegli i nostri sensi percepiscono costantemente la seconda attenzione, però la mente conscia la scarta.
Ora, secondo me quel discorso non va interpretato - come molti sembrano fare - in senso metafisico: attribuendo cioè a Don Juan un discorso del tipo l’uomo avrebbe la potenzialità di percepire tutti i possibili “stati dell’essere”, però la sua condizione di prigioniero delle forme gli impedisce di farlo.
È invece fondamentale comprendere che Don Juan non allude a tutti gli stati dell’essere, cioè che non si riferisce alla seconda attenzione nel suo complesso: quello di cui ci parla sono i filamenti che il punto d’unione, in una data posizione, può allineare - ovvero, più precisamente: quella porzione di seconda attenzione che sarebbe a disposizione dell’uomo in ogni attimo della sua vita, se la mente conscia non intervenisse a scremarla, lasciando passare soltanto quel ristretto numero di input sensoriali che le consentono di formarsi il quadro della prima attenzione.
Per cui, se ci riveliamo all’altezza di non neutralizzare con la metafisica questo discorso eminentemente pratico, ciò che ne esce è che l’ingresso incosciente nel sonno non solo non limita la seconda attenzione (e come potrebbe farlo? L’essere svegli o il dormire, come tutti i fenomeni che avvengono nel mondo del tonal, sono per definizione esclusi dal suo dominio) ma la incrementa: perché soltanto quando siamo incoscienti la prima attenzione smette di scremarla.
È questo, in effetti, un boccone difficile da digerire per noi esoteristi occidentali - tutti più o meno, anche se non vogliamo ammetterlo, un po’ malati di superomismo: il che ci rende difficile concepire il lavoro iniziatico in forme che non comprendano un forte intervento della volontà.
Che cosa ci possiamo fare? Anche quando leggiamo Castaneda, ci portiamo dietro Gurdjieff, il valore da lui attribuito al risveglio, eccetera… e partendo da tali presupposti, l’idea che il lavoro sui sogni può essere fruttuoso solo nella misura in cui si riesca a svolgerlo coscientemente l’abbiamo sopravvalutata, per non dire che ce la siamo inventata.
Anch’io, per molti anni, mi sono sentito impotente dinnanzi a questo presunto ostacolo, che in realtà mi ero creato da solo; e in quell’articolo cercai di abbatterlo incentrando tutto il discorso sui possibili metodi per riacquistare coscienza di noi stessi durante il sonno (fuorviato in questo, devo dire, anche dal fatto che ci riuscivo comunque abbastanza spesso - senz’altro più spesso che non la maggioranza delle persone).
Avrei dovuto prestare più attenzione a Castaneda quando egli ci racconta di aver lavorato per molto tempo con gli stregoni del suo seguito senza conoscerli di persona, e di essersi ricordato di aver già interagito con loro nella seconda attenzione soltanto nel momento in cui ebbe abbastanza energia per poterlo fare.
Il che può voler dire solo una cosa: che anche Castaneda, per molti anni, quando già aveva scritto parecchi dei suoi libri, continuava ad addormentarsi senza entrare coscientemente nella seconda attenzione, bensì continuando a perdere coscienza nel sonno come l’ultimo dei profani.
Scartata dunque l’idea che la perdita di coscienza possa impedire il lavoro, c’è da chiedersi quale comportamento l’aspirante stregone possa adottare per fare in modo che la sua inconscia esperienza di nagual nel sonno non vada perduta; e la risposta credo che sia bisogna addormentarsi sapendo che si sta entrando nel nagual.
È un po’ un caso analogo a quello che ho descritto nel secondo articolo sulla Magia voodoo, parlando delle persone che pensano di non essere capaci ad andare in trance: pensano di non esserne capaci perché non sanno di esserci già - il corretto atteggiamento mentale, in casi di questo genere, è tutto.
In effetti, se ci pensiamo bene, l’idea che la perdita di coscienza possa impedire il lavoro sui sogni è frutto di un processo logico, cioè razionale; ovvero di un modello percettivo che è tipico della prima attenzione, e che nella seconda attenzione, normalmente, non esiste - il che non vuol dire, sia chiaro, che non lo si possa riprodurre nella seconda attenzione, se lo vogliamo fare o se non riusciamo a trattenerci dal farlo - infatti è una cosa che qualsiasi praticante del lavoro sui sogni fa spesso, allineando mondi di sogno le cui regole sono analoghe a quelle della realtà oggettiva.
Ma qual è l’insegnamento che ci arriva quando lo facciamo? Che solo nel momento in cui scegliamo di accantonare il modello percettivo razionale (che sia per nostra scelta o perché ci mancano le forze per sostenerlo), soltanto allora riusciamo a percepire la seconda attenzione per quello che è veramente: un universo di pura energia.
Per questo, l’atto di comprendere che lavorare coscientemente nella seconda attenzione non è necessario (in quanto il lavoro comincia, comunque e automaticamente, quando entriamo nel sonno) non significa sottrarsi al dovere di applicare la nostra volontà al lavoro: vuol dire piuttosto evitare di applicarla in modo sbagliato.
Anzi, di più: è la condizione necessaria per lavorare bene - perché, quando abbiamo assimilato l’idea che addormentandoci entriamo comunque nella seconda attenzione, l’atto di addormentarsi non rappresenta più una fuga dal mondo. Diventa entrare nel vero mondo, che mano a mano progressivamente si svela - regalandoci la percezione di innumerevoli correnti energetiche la cui esistenza non eravamo neanche in grado di sospettare. 
La nostra possibilità di mettere a profitto esperienze del genere sarà anche legata, senza dubbio, alla nostra capacità di recuperarle a livello cosciente; ma non è il caso di sforzarsi per ricordarle, perché comunque prima o poi - quando avremo abbastanza energia - la memoria delle esperienze nella seconda attenzione affluirà alla nostra coscienza spontaneamente.
Un buon aiuto ci verrà dal fatto che, col procedere del lavoro nella seconda attenzione, il velo del tonal si andrà progressivamente assottigliando - sempre più spesso, e sempre in quantità maggiore, le correnti del nagual riusciranno a filtrare nella nostra esperienza di tutti i giorni, incrementando le nostre capacità di intuizione e il nostro livello di comprensione della realtà.
In verità, con l’avanzamento di questo processo, tutte le facoltà di cui siamo abituati a servirci nel tonal non regrediscono affatto - anzi semmai si acuiscono, e il nostro rapporto col mondo migliora; eppure, ogni giorno che passa, ciò che facciamo da svegli diventa per noi meno importante.

Sotto la spinta delle correnti del nagual, il velo del tonal oscilla e sbatte come un lenzuolo al vento - piccolo straccio di realtà, smarrito nell’oceano della percezione energetica.

 

   Daniele Mansuino

 

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