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Riflessioni sull'Esoterismo

di Daniele Mansuino   indice articoli

Il kula-ring

Agosto 2007

 

Ricordo le luci delle navi alla fonda nella Baia di Wellington quella tiepida sera di fine novembre 1980, quando Bill Kerekere mi parlò del kula-ring. Eravamo seduti su comode sedie di paglia nel prato inglese davanti alla sua splendida villa che dominava la baia, e la Croce del Sud scintillava dinnanzi a noi luminosa come un pianeta, appena offuscata dai riverberi della città.

kulaNel corso di quelle serate a casa sua, Bill si sforzava di comunicarmi in breve tempo il senso del mana, ovvero il modo in cui gli indigeni del Pacifico si rapportano con l’esoterismo. Non ricordo tutto, però la conversazione di quella sera fu una delle più interessanti, ed è rimasta indelebile nella mia mente.

Il discorso era caduto casualmente sulle Triadi cinesi, cui viene comunemente attribuita una grande influenza politica, e io sostenni che a mio parere si trattava di esagerazioni: non era possibile che organizzazioni strutturate sul modello esoterico potessero esercitare un’influenza diretta sul corso della storia.

Bill non era completamente d’accordo. Bisogna distinguere, disse. E’ dimostrato dagli studi sul comportamento che l’uomo ha la tendenza ad allineare i fatti del passato secondo un filo logico immaginato a posteriori; questo porta all’errore di intravedere un fine deliberato in sequenze di eventi che, in realtà, si sono prodotte per caso, ed ecco in che modo complotti immaginari possono essere attribuiti a persone e organizzazioni del tutto estranee, quando non addirittura inesistenti.

Ma questo non comporta che nella successione delle vicende umane non possano essere individuate forze che ripetutamente intervengono, in modo spesso prevedibile, per avviare il corso degli eventi in una data direzione: per esempio, le influenze economiche.

Gli obiettai che non esiste nessuna forma di organizzazione umana che sia in grado di controllare consapevolmente tali influenze. Il corso dell’economia è dominato da forze impersonali sulle quali neanche le più ricche lobbies capitaliste possono intervenire se non in minima parte. Osservazioni di questo genere mi portavano a dar ragione a Gurdjieff, che argomentò in modo assai convincente l’irrimediabile incapacità del genere umano di influenzare deliberatamente il proprio destino.

“D’accordo” rispose Bill “è ciò che stavo dicendo: la maggior parte delle forze che agiscono su di noi sono meccaniche. Ma nell’ambito dell’esoterismo, le cose funzionano diversamente: esistono almeno tre modi mediante i quali le organizzazioni esoteriche hanno il potere di influire sulla realtà.”

Gli chiesi quali fossero. Il primo, mi spiegò, è il modo usato da persone riunite in piccoli gruppi o associazioni ristrette, che talvolta riescono a concentrare un flusso di consapevolezza sufficiente a indirizzare gli eventi in una direzione determinata: è quello che Ouspensky definiva “pensiero lungo”.

Il secondo modo è appannaggio di organizzazioni esoteriche molto più vaste, che sono in grado di imprimere ai loro tentativi maggiore forza: ne è un buon esempio la Massoneria, la cui sua azione sulla civiltà occidentale portò innegabilmente a risultati storici e politici di enorme effetto.

Secondo entrambi questi modi, l’impulso consapevole che innesca una data concatenazione di cause e effetti è destinato ad esaurirsi assai presto. Per questo, le piccole organizzazioni difficilmente intraprendono progetti che abbiano l’ambizione di ripercuotersi fortemente sul mondo esterno: è più facile che investano le proprie energie consapevoli in disegni volti a perpetuare la loro stessa sopravvivenza. Mi citò il caso della John Frum Society, al quale io avrei potuto contrapporre la “massonizzazione” della Scuola Ermetica napoletana, se a quel tempo ne fossi stato al corrente.

Invece le organizzazioni più grandi hanno due possibilità supplementari: primo, quella di strutturarsi in forma idonea perché un dato progetto, una volta esaurita la spinta consapevole, continui per un po’ di tempo a perpetuarsi meccanicamente. Seconda possibilità, quella di rilanciare uno o più progetti analoghi: questi però non potranno avere né la forza né la qualità del progetto originario, perché la forma strutturale di queste organizzazioni è rigida, quindi patisce il logorio e l’efficacia della loro azione perde forza col tempo.

Mi parlò a lungo della storia della Massoneria, che disgraziatamente a quei tempi non conoscevo bene, per cui non riuscivo a seguirlo: persi molti particolari, e credo di aver scordato parecchi dettagli. Disse in sostanza che il progetto massonico originario mantenne forza consapevole per un periodo di tempo lunghissimo; il controllo fu smarrito negli anni della Rivoluzione Francese, a causa di un sovrappiù di energia che inavvertitamente fu applicato nel punto sbagliato. Nel corso del diciannovesimo secolo, con forza sempre decrescente, fu rilanciato più volte; “continuano ancora oggi”, mi disse, e scoppiò in una risata.

“E’ buffo” continuò: “la struttura della Massoneria è proprio l’ideale per consentire alle catene causali avviate consapevolmente di continuare a riprodursi in modo meccanico per un periodo assai lungo. Immagina cosa succederebbe se un giorno arrestassero un gruppo di Massoni che hanno fatto un complotto per conquistare il potere in un dato Paese: anche qualora li avessero messi tutti in prigione, il loro progetto andrebbe avanti ancora un bel po’. E la gente non sa spiegarselo, dice: è impossibile, devono essercene ancora in giro, li cerca dappertutto e non li trova… Poi dopo trent’anni la forza di inerzia si esaurisce, e puff… tutto finisce in una bolla di sapone!”

Bill Kerekere trovava la cosa molto divertente, e a quei tempi anch’io. Non più tardi di sei mesi dopo, sarebbe esploso in Italia lo scandalo P2.

Poi egli mi annunciò che stava per spiegarmi il terzo modo in cui le organizzazioni esoteriche possono influenzare le vicende umane. Mi disse che l’aveva lasciato per ultimo perché era di gran lunga il più importante, e voleva aver la mente sgombra per chiarirmi bene il concetto.

Lo definiva “kula”: un espressione che traduceva “non-fare”. Aggiunse poi che, se io fossi stato un indigeno, per farsi capire bene non avrebbe usato questa parola ma si sarebbe espresso mediante qualche perifrasi: perché kula acquista significati diversi nei vari dialetti, e il senso di “non-fare” è in uso soltanto tra gli iniziati.

Sapendo che aveva letto i libri di Castaneda, gli chiesi se kula corrispondesse al “non-fare” castanediano. Mi rispose di sì, salvo per il fatto che Castaneda si era sempre ben guardato dal definire il “non-fare” con precisione.

Lui invece l’avrebbe fatto: il “non-fare”, mi disse, è una tecnica mediante la quale persone consapevoli diffondono influenze inconsce sul piano della realtà oggettiva. Ripeté  inconsce: in quella parola risiedeva la differenza rispetto ai due casi che precedentemente mi aveva esposto.

L’azione del kula è indiretta: si presenta ai nostri sensi sotto forma di un comportamento inspiegabile da parte di una o più persone, che cattura la nostra attenzione perché non può essere in nessun modo ricondotto all’abituale utilitarismo che caratterizza le azioni umane, né in molti casi  ad alcuna altra spiegazione logica. Per questo, il kula è più facile da distinguere rispetto alle altre forme di influenze consapevoli, le quali normalmente si propongono ai nostri sensi frammiste a influenze meccaniche che ne occultano la natura; ma questo non vuol dire che sia più facile anche comprendere l’obbiettivo per cui un dato kula è stato creato.

Da queste particolarità si possono distinguere facilmente tanto i svantaggi quanto gli svantaggi del metodo. E’ utile per spandere influenze consapevoli su vasto raggio, perché attira facilmente l’attenzione; ma non va usato nel caso di messaggi complessi, bensì piuttosto per semplici “emozioni positive” di forte impatto - la cui elaborazione da parte del ricevente avviene sui tempi lunghi, in certi casi nell’arco di molte generazioni.

Questo rende il kula particolarmente idoneo alla trasmissione di messaggi di tipo religioso: secondo quello che Bill mi disse, il più celebre kula di tutti i tempi è la crocifissione di Cristo.

Tuttavia, continuò, anche fuori dall’ambito religioso molti kula sono in opera nel mondo, da parte di organizzazioni iniziatiche che si sono ripromesse di trasmettere all’umanità messaggi importanti ma non urgenti: in certi casi, anche su tempi plurisecolari.

Iniziative di questo genere non possono essere classificate come “complottiste” perché non sono mirate all’ottenimento di fini materiali: non quindi a sospingere in una direzione o nell’altra il corso degli eventi, bensì a influenzare le strutture più profonde della mente umana.

Gli chiesi se poteva elencarmi quanti e quali kula siano oggi operanti nell’ambito della civiltà occidentale, ma rispose di no: sono tantissimi – alcuni dei quali non hanno ancora determinato alcun effetto, altri del cui effetto non ci siamo assolutamente accorti – e la loro enumerazione richiederebbe di vagliare una per una tutte le innumerevoli varietà di “influenze energetiche” che operano oggi a livello di comunicazione di massa.

Mi fece notare inoltre che censire i kula è un lavoro senza senso se non si riesce anche a identificare la natura energetica di ciascuno, tappa obbligata per comprendere l’obbiettivo che il kula si propone. Ora, il solo modo per farlo è concentrare l’attenzione sui simboli mediante il quale il kula si esprime, e questo è facile con i kula che agiscono in seno alle società strutturalmente più semplici, il cui patrimonio simbolico è legato alle forze della natura ed è per questo di facile comprensione; ma in Occidente, la nostra civiltà si esprime mediante simboli talmente complessi che nessun legame simbolo-energia può essere dato a priori per scontato, e in queste condizioni la decifrazione del senso di un kula è un lavoraccio.

Più facile da comprendere è il senso dei kula nelle civiltà orientali: lo zen per esempio, e  molte analoghe discipline di origine induista o buddista, trasmettono molti kula di facile identificazione e decifrazione. Anche questi casi, tuttavia, non sono sempre trasparenti come sembra al primo sguardo, perché qualsiasi forma di inquadramento del kula  in un contesto religioso apporta distorsioni e snaturamenti che rendono praticamente impossibile distinguere il vero obbiettivo cui il “non-fare”è mirato.

“Per un kula  allo stato puro” concluse “non resta altro che rivolgersi al mondo sciamanico; e il più puro che io conosca è il kula-ring  della Milne Bay, in Nuova Guinea, che - oltre a essere il più antico dei “non-fare” praticati oggi al mondo - ci offre anche il caso unico di un’organizzazione esoterica che ha fatto del kula la sua sola ragione di vita.”

Non ne avevo mai sentito parlare, e posi a Bill diverse domande. Mi rispose che il “non-fare” dei membri del kula-ring  consisteva nello scambiarsi  reciprocamente collane di conchiglie; ma al di là di questo, malgrado la sua ottima conoscenza dell’esoterismo nel Pacifico, non era in grado di dirmi molto di più. Da molti secoli, infatti, le popolazioni della Milne Bay  vivono praticamente isolate dal resto del mondo, e a quanto lui ne sapeva non era possibile reperire nessuna forma di documentazione scritta sul kula-ring.

Quest’ultima affermazione sembrava del tutto impossibile a chi – come me – era abituato a rifornirsi nelle librerie esoteriche europee, con le loro migliaia di volumi volti a soddisfare le richieste più sofisticate. Eppure, non molti giorni dopo il mio rientro in Italia, dovetti concludere che Bill aveva ragione: sembrava proprio che del kula-ring non ci fosse traccia.

Tra l’altro, i librai esoterici accoglievano le mie investigazioni con una certa ironia: ben pochi, a quei tempi, sembravano all’altezza di concepire che da una cultura “selvaggia” potesse provenire qualcosa di più interessante della meditazione trascendentale, del buddismo tibetano, dello zen, del taoismo, ecc. – insomma, di quelli che erano i totem della cultura esoterica di allora.

Trovai infine il kula-ring  nelle opere di Malinowski, un noto antropologo polacco considerato l’inventore della ricerca etnologica “sul campo”. Prigioniero degli Inglesi durante la prima guerra mondiale, aveva ottenuto di scontare la prigionia alle Isole Trobriand, che circondano la Milne Bay sul lato nord. Gli Inglesi erano certi che i Trobriandesi se lo sarebbero mangiato; invece si ambientò perfettamente e scrisse Argonauts of the Western Pacific, un libro che ancora oggi è un testo fondamentale dell’etnologia.

Ma purtroppo, anche lì del kula-ring si parla ben poco, perché il tema centrale è la libertà di costumi delle società isolane, considerata la fonte della loro scarsa aggressività. Al mondo civile nauseato da cinque anni di massacri bellici il lavoro di Malinowski offriva la speranza di un eden possibile, nonché la pezza d’appoggio per legittimare scientificamente il buon selvaggio; a fronte di messaggi così forti, gli scambi di collane di conchiglie non sembravano importanti.

Esaurite le librerie, passai a battere le agenzie turistiche, dove fui costretto a dar ragione a Bill anche sul fatto che le Trobriand sono un paradiso ancora inaccessibile. Dopo una breve parentesi nel corso della quale fu invano tentato di avviare il turismo, la Nuova Guinea era tornata ad essere un inferno di selvagge lotte tribali – uno di quei posti come Haiti, dove tutti si ammazzano ma né Bush né le Nazioni Unite pensano a intervenire, perché non hanno interesse; di conseguenza i telegiornali non ne parlano e nessuno ne sa niente.

Dovevano passare quindici anni prima di imbattermi in qualche nuova informazione. Questo avvenne nel 1996, quando tornai per la terza volta nel Pacifico Occidentale sulle tracce dei tino faivalakau, gli sciamani di Tuvalu cui ho già accennato nel precedente articolo.   [Ndr approfondito nell'articolo Tuvalu]

Nel corso di questo viaggio mi ritrovai sull’atollo di Nauru, la più piccola Repubblica del mondo. Qui c’è un emporio chiamato Capelle , il cui proprietario mi disse di aver preso parte al celebre viaggio di Cousteau in Nuova Guinea. Curiosando nel reparto libri, trovai il diario della spedizione: ironia della sorte, l’avevano fatto stampare in Italia.

Da quel libro potei apprendere innanzitutto l’esatta estensione del territorio del kula-ring , che comprende la Milne Bay e tutte le isole circostanti: a nord le Trobriand (Goodenough, Fergusson, Normanby, Kiriwina, Kitava e Iuva) e ad est una diaspora di centinaia di piccoli atolli i cui principali sono Rossel e Misima.

Nel 1988, il Calypso di Cousteau aveva fatto la spola in quelle acque per più di un mese, soffermandosi più a lungo nell’isola di Kiriwina. Qui avevano trovato un expat , come vengono chiamati gli Australiani di Nuova Guinea: era il signor Rudd, proprietario del frugale lodge dell’isola, primo bianco a memoria d’uomo entrato a far parte del kula-ring.

Nella casa di Rudd erano orgogliosamente esposte decine di magnifiche collane di conchiglie che aveva ricevuto in dono, ed egli stesso ne preparava di simili in un piccolo laboratorio adiacente. Agli uomini del Calypso raccontò con semplicità come gli fosse accaduto ciò che da migliaia di anni succede a molti uomini delle isole: sentirsi improvvisamente chiamato – a un certo punto della sua esistenza – a tralasciare ogni attività, per dedicare tutto il suo tempo a confezionare collane di conchiglie rosse (bagi) e braccialetti di conchiglie bianche (mwali). [foto inizio articolo]

Spiegò che c’è una sola condizione perché un uomo possa entrare a farne parte del kula: il richiedente deve portare con sé una bella conchiglia. I membri anziani del kula la esaminano, e se  li soddisfa dal punto di vista estetico, il neofita viene iniziato in una lunga notte di danze e riti.

Gli vengono insegnate numerose antichissime formule magiche: alcune legate alla preparazione delle collane e degli utensili, altre per favorire il successo negli scambi, altre perché gli Dei lo proteggano nelle “spedizioni kula” e così via.

I bagi e gli mwali vengono confezionati in base a regole assai complesse: i colori e le dimensioni dei pezzetti di madreperla e la successione in cui vengono inanellati sono l’equivalente di un vero e proprio discorso, la cui decifrazione è appannaggio esclusivo degli iniziati.

Sono ammessi nella preparazione anche materiali diversi dalle conchiglie: ho trovato in rete di recente la foto di un bellissimo bagi che aveva per pendaglio un CD. Ma l’uso di materiali insoliti è raro, perchè al momento dello scambio ogni dettaglio fuori dal comune deve essere giustificato con una lunga spiegazione.

Quando un certo numero di manufattiè pronto, l’iniziato prende il mare con la sua piroga kula. Questi navigli sacri si distinguono per i complessi riti magici collegati alla loro preparazione e per le dimensioni più grandi rispetto a una piroga normale: infatti una spedizione kula deve toccare tutte le terre che si affacciano sulla Milne Bay, per un itinerario complessivo di oltre un migliaio di miglia marine.  Se l’iniziato ha da scambiare bagi  lo percorrerà in senso orario, se ha da scambiare mwali in senso antiorario.

Quando prende terra su un isola, non viene accolto come un ospite gradito : gli uomini non gli parlano, i bambini gli scagliano pietre per tenerlo a distanza, e certe volte è costretto a dormire sulla spiaggia per qualche settimana prima di ottenere il privilegio di essere ammesso al villaggio. Per ingannare il tempo, si concentra nell’esecuzione dei riti magici che devono garantire buona fortuna alla sua avventura.

Quando infine viene accolto, un altro membro del kula  lo attende dinnanzi alla sua capanna, seduto e immobile, senza rivolgergli la parola. Presso di lui, appese ad una corda tesa tra due pali perché il visitatore possa vederle e invidiarle, sono esposte tutte le collane in suo possesso; nel caso dei più importanti membri del ring, spesso addirittura centinaia di splendide bagi.

Ogni bagi ha un nome proprio, e viene considerata un essere vivente; la si può interpellare per ottenere consigli e favori. A tutti gli appassionati del kula sono noti i nomi delle bagi più preziose e venerate, che - essendo già state oggetto di innumerevoli laboriosi scambi - passano di mano in mano ormai da secoli e secoli.

Di fronte a una gran folla che si è radunata per vedere cosa accadrà, il visitatore esordisce con una dura e insultante invettiva nei confronti degli isolani che lo hanno accolto così sgarbatamente. Poi esibisce il bagi o il mwali che ha portato con sé , lo mostra ai presenti vantandone la bellezza e le qualità magiche, e afferma solennemente che mai e poi mai ne farà dono a uomini di così infimo ordine, accennando ripetutamente a ritornare alla sua piroga per andar via.

Poiché nessuno fa niente per trattenerlo anzi la gente continua a deriderlo e sghignazzare, gradatamente il tono del suo discorso cambia. Benché il suo partner non ne sia certamente degno, benché negli scambi precedenti lo abbia più volte maltrattato e imbrogliato, tuttavia egli è un uomo generoso e ancora una volta si comporterà di conseguenza. Improvvisamente scaglia la collana che ha in mano contro l’uomo seduto, che rimane impassibile e la lascia scivolare al suolo senza degnarla di uno sguardo. E’ subito raccolta da uno dei membri della sua famiglia, che la mette al sicuro nella capanna.

Dopo un’altra esplosione di rabbia da parte del donatore per questo ultimo sgarbo, la gente volge le spalle e ritorna alle sue occupazioni. Anche l’uomo seduto si alza e rientra nella capanna: il  bagi è stato accettato.

Il donatore può tornarsene alla piroga e proseguire il suo viaggio verso un’altra isola, senza aver ricevuto in cambio nulla, ne cibo né doni; l’unico modo che ha il partner per sdebitarsi è passare a trovarlo, l’anno prossimo o tra cinque anni o dieci, quando a sua volta prenderà il mare con la pirogacarica di bagi.

Qual è lo scopo del “non-fare”del kula-ring? Una spiegazione sociologica può essere che il kula assorbe l’interesse dei praticanti e dagli appassionati come da noi il gioco del calcio, e può essere considerato un mezzo per scaricare in modo incruento l’aggressività intertribale: tutti i popoli in esso coinvolti sono legati da una tregua perpetua, e non si verificano guerre tra loro da migliaia di anni. Inoltre i costanti contatti tra le isole e la costa propiziati dal kula favoriscono anche gli scambi nel campo dei beni essenziali, come le pietre da lavorazione e la ceramica.

Più interessante, dal nostro punto di vista, la spiegazione fornita da Rudd a Cousteau: egli spiegò che il compito del kula è fare esistere il mondo. Il mondo andrà avanti fino all’ultimo giorno del kula, poi finirà. C’è una formula magica – più simile a una preghiera – che ogni membro del kula ripete tutti i giorni: la sua traduzione in italiano suona più o meno “Signore, fammi sapere quando non vorrai più nuovi bagi.”

Anche in base alle opinioni di Bill, sarei propenso a non identificare questa “fine del mondo” con la visione che ne ha la civiltà cristiana, o a quella suggerita dalla dottrina indù dei cicli cosmici: il “pensiero lineare” è qualcosa di completamente estraneo alle civiltà del Pacifico, la cui idea del tempo è più vicina alla concezione materialista di un processo casuale in continuo divenire, che si rinnova a ogni istante.

In tale prospettiva, l’idea di “fine del mondo” può essere piuttosto accostata al concetto castanediano di “spostamento del punto di unione”: verrà un momento in cui l’uomo sarà nuovamente libero di spaziare a suo piacere nell’universo degli “stati molteplici dell’essere”. La mattina di quel giorno le piroghe del kula prenderanno il mare tutte insieme, salpando finalmente verso la libertà.

 

Daniele Mansuino

 

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