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Riflessioni sull'Esoterismo

di Daniele Mansuino   indice articoli

 

Mummie

- Prima parte
di Daniele Mansuino

Ottobre 2022


Poiché il processo della mummificazione rallenta di moltissimo la dissoluzione del corpo, è anche molto più duratura nel tempo l’emissione di particelle (tanto sul piano fisico quanto sul piano sottile) che la mummia diffonde; e quindi, anche l’influenza sul piano della realtà oggettiva per adempiere alla quale essa è stata caricata.
Qualcuno ha parlato della costante e lentissima emissione energetica delle mummie come di nebbiolina dell’anima: una definizione che mi pare molto eloquente e azzeccata.
Un passo importante per comprendere questo fenomeno consiste nell’accostare la ritualità funeraria degli Egizi agli esercizi di trasmutazione interiore che essi praticavano in vita, entrambi rivolti a garantire l’immortalità individuale attraverso l’identificazione dell’uomo con Osiride.
In questa prospettiva, la nebbiolina dell’anima trova il suo analogo nella costante emissione di emozioni negative (nel senso ouspenskiano del termine - potremmo anche dire delle esperienze passate) che riaffiorano alla consapevolezza lungo l’arco del processo di trasmutazione.
E tuttavia, il collegarla solo al processo di rielaborazione del proprio passato sarebbe improprio: è anche una nuova forma di percezione, che si manifesta quando il trasmutante comincia a prendere coscienza delle nuove frequenze sulle quali la sua vita interiore si va sintonizzando.
Presso gli antichi Egizi, l’analogia tra i riti funerari e quelli relativi alla trasmutazione in vita è perfetta, e può essere considerata la fonte della scienza ermetica come si sviluppò negli anni dell’ellenismo, frutto dell’incontro tra le esperienze accumulate dagli Egizi in questo campo e le credenze delle antiche civiltà che erano venute in contatto con loro.
La tomba di un antico Egizio - con la forma che gli è stata conferita, il sarcofago, gli oggetti che lo circondano, i dipinti murali - può essere considerata un complesso apparato magico, interamente rivolto a propiziare una circolazione energetica di tipo particolare.
Per mezzo della mummificazione, il cadavere è stato trattato in modo tale che il rilascio della sua essenza vitale sia incredibilmente lento (gli egittologi si sorprendono sempre per come, quando una mummia che magari ha quattromila anni viene riportata alla luce, essa emani ancora un forte odore), in modo che le sue particelle possano farsi veicolo dell’evocazione, della manifestazione e dell’ingresso sul piano della realtà oggettiva di correnti sottili accuratamente calibrate.
Volendo considerare l’arte della mummificazione da questo punto di vista, potremmo senz’altro affermare che l’obbiettivo degli Egizi fosse quello di lanciare un messaggio attraverso i millenni futuri, per fare in modo che la loro civiltà - sebbene scomparsa - potesse ancora esercitare un’influenza sui posteri; e quindi, classificarla nell’ambito di quella particolare categoria di operazioni magiche che il mio maestro Bill Kerekere definiva i non fare (vedi il mio articolo Il Kula ring, il libro Signori di Volontà e Potere e altrove).
Nell’ambito dell’Ermetismo contemporaneo, il potere delle mummie di influenzare il futuro è abbastanza noto, ed è stato più volte discusso; invece meno nota, e spiegabile soltanto attraverso il principio ermetico del tempo capovolto, è la loro influenza sul passato, con l’attirare verso il presente - dal più profondo dei secoli - correnti che rimodellano la percezione dei contemporanei, conferendo un nuovo volto alla storia.
Questa arte del proiettare - e radicare - forme-pensiero nella memoria collettiva, non va peraltro considerata come fine a sé stessa; ma va inquadrata in un processo rivolto ad instaurare nuove proporzioni e funzioni nella razza umana, al fine di costituire per l’uomo un involucro-veicolo il più possibile adatto alla sua evoluzione.
Moltissimo, inoltre, ci sarebbe da rielaborare e da comprendere riguardo a quanto gli Egizi lasciarono sul culto delle ossa e sul culto degli antenati: discipline che vanno interpretate nel quadro di un percorso di individuazione recante tutte le specifiche di un progetto architettonico.
Il punto di partenza era quella sorta di offerta rituale per cui i fluidi - l’energia donata dal cadavere - venivano messi a disposizione tanto del numen-potenza celeste quanto del suo genio individuale terrestre; dopodiché, l’essiccazione delle carni del morto valeva come protezione per i Pilastri del Tempio, ovvero per lo scheletro, nel quale il progetto, con tutte le sue proporzioni, era mappato.

Nota: io devo fermarmi qui, ma, se il lettore volesse apprendere qualcosa di più su questo tema, se ne parla parecchio nel Tempio dell’Uomo di Schwaller de Lubicz.

Questi sofisticati risultati, tra i più elevati che la magia di ogni tempo abbia raggiunto, non vengono dalle origini della civiltà egizia, ma si manifestarono a poco a poco.
Il programma egizio di mummificazione collettiva - come ho accennato (insieme a L. d. C.) ne L’Egitto prima delle sabbie, parte seconda - era stato dapprima avviato su piccola scala (venivano mummificati soltanto i Faraoni, e in una fase successiva anche i sacerdoti e gli aristocratici) al fine di concentrare e magnetizzare la via e le sue procedure; dopodiché, una volta aperto e consolidato, venne democratizzato, e si aprì per chiunque lo volesse la possibilità di entrare consapevolmente in contatto con le energie circolanti nell’Universo.
Venne creata in questo modo - per la prima volta nella storia - una centrale in grado di ritrasmettere, ed amplificare, le correnti energetiche emananti dalle stelle fisse nel sistema solare.
Ra fu il garante della sua realizzazione: Ra-Sole, Sole-Cuore, ma anche Ra ambasciatore per il nostro sistema solare del mondo delle stelle, Ra Porta della Galassia.
Quando si parla di stelle fisse, si fa ingresso in un tempo di dilatazione e di espansione: del cosmo, dell’energia individuale e della Grande Opera.
Quando si parla di pianeti, si entra nel tempo della contrazione: i pianeti convergono i raggi, li strutturano e danno loro una forma.

Per quanto, quindi, il processo di democratizzazione implichi un ampliamento-espansione dell’insegnamento nei confronti delle masse, esso è anche l’inizio di una fase di condensazione-contrazione delle energie nella materia.
Contemporaneamente, si lascia una traccia per quei trasmutanti che (con estrema fatica) riescono a percorrere la via a ritroso, e che - risalendo le correnti - si affrancano dalla strutturazione delle forme, mantenendo e custodendo la memoria della via stellare.
Di fatto, la ragione per cui questo fondamentale discorso appare molto trascurato nel panorama dell’esoterismo odierno è che ben pochi sono a conoscenza dei riti egizi di trasmutazione, ancora oggi perlopiù trasmessi oralmente e sotto la condizione della massima segretezza.
La segretezza non è suggerita soltanto dal devastante potere dell’arte della trasmutazione, che se cadesse nelle mani sbagliate produrrebbe gravi danni, ma anche dai fraintendimenti che le sue difficoltà di interpretazione potrebbero causare nel clima antiesoterico e complottista del giorno d’oggi.
In effetti, nel mondo contemporaneo, ben pochi sarebbero in grado di comprendere che cosa gli Egizi tentassero veramente di fissare con le loro pratiche: il Tempio dell’Uomo, armonica costruzione che riflette la volta celeste e la corporeità - un cielo capovolto che cerca il suo riflesso nella natura.
Davvero il lettore non immagina quanto mi piacerebbe poter continuare, qui e con lui, questo discorso; ma neanche questo mi è concesso, e tanto questo articolo quanto il seguente saranno solo una modesta e didascalica ricostruzione di quanto praticato - nel campo della mummificazione - dagli Egizi e dai moderni (e se poi, leggendo tra le righe, riuscisse ad intravvedere anche qualcosa di più, buon per lui).
Nell’Egitto predinastico i defunti venivano sepolti in tombe ovali poco profonde, di solito attorniati da un semplice corredo di anfore e vasi. Le prime testimonianze dell’arte del bendaggio consistono nelle fasce con cui i loro corpi venivano legati per fargli assumere la posizione fetale: testimonianza che già allora - presso gli Egizi come altri popoli della preistoria - si riteneva che alla morte sul piano fisico potesse far seguito un processo di resurrezione, o se si preferisce (ma è più che altro una questione di parole) la continuazione della vita su un altro piano.
Poiché i defunti venivano collocati direttamente nella sabbia, era l’ossido di sodio in essa contenuto a farli asciugare sotto il calore rovente del sole.
Sono parecchi i fattori di deterioramento che accompagnano l’essicazione spontanea di un cadavere, come la crescita di organismi microbici, l’assalto degli insetti necrofagi e di quelli che innestano nei tessuti in decomposizione le proprie larve, la putrefazione dei residui di cibo, la formazione di gas che lo deformano e lo gonfiano, in determinate circostanze, fino a farlo esplodere.
In presenza di tali incidenti, lo strato di tessuti che circondano le ossa si riduce considerevolmente di volume o si distacca, accelerando in questo modo la consunzione. Le stesse ossa possono decalcificarsi progressivamente e demineralizzarsi, per lo scorrimento delle acque piovane o per l’azione corrosiva dell’umidità; e, nel caso che i venti disseppelliscano - col tempo - il cadavere, il loro sfregamento ed il calore diretto del sole possono rivelarsi nefasti in tempi talora molto rapidi.
Ma è pure possibile che l’equilibrio dell’azione dei Quattro Elementi possa contribuire a mantenere un corpo umano sorprendentemente intatto; allora una buona ventilazione consentirà una rapida disidratazione, una lieve umidità contribuirà a mantenere la compattezza dei tessuti, e così via. Al British Museum è esposta una mummia egizia del periodo predinastico (ribattezzata erroneamente Ginger, sebbene sia un uomo) che, per quanto non fosse stata oggetto di alcun procedimento conservativo, versa ancora oggi in condizioni di perfetta integrità.
Il più antico procedimento volto a migliorare la conservazione dei cadaveri fu, presso gli Egizi, la scelta di abbandonare la posizione rannicchiata nella quale generalmente venivano disposti i cadaveri nella preistoria, e di distenderli.
Il secondo in ordine cronologico sarebbe stato lo svuotarli dalle parti umide (eviscerazione o sventramento) ed imbottirli con bende intrise di resine, per dare loro un buon profumo; il terzo, l’uso dello stucco per irrigidire e preservare i lineamenti del volto.
Non si sa di preciso quando tutto questo cominciò. Fino a poco tempo fa si supponeva intorno alla IV dinastia, ovvero intorno al 2600 a.C.; ma recentemente sono state ritrovate (a Hierakonpolis) mummie artificiali più antiche, delle quali non è ancora certa la datazione.
Risale comunque di sicuro alla IV dinastia l’uso del natron, del quale esistono ampi depositi naturali a Wadi Natrun e ad El Kab; e c’è chi ha ipotizzato che gli estrattori ed i fornitori di questa preziosa sostanza avessero svolto un ruolo nella democratizzazione delle procedure funerarie.
Da ciò si sarebbe giunti, nel Nuovo Regno, a quel boom di imbalsamazioni destinato a caratterizzare la civiltà egizia nell’immaginario dei popoli.
Il natron è una miscela di carbonato di sodio e bicarbonato, che a seconda dell’area di estrazione può includere anche clorato, solfato, carbonato di calcio e argilla. È impareggiabile per il suo effetto di essiccazione, ma ha come effetto collaterale la totale depilazione delle aree di cute con cui viene in contatto, ed il distacco delle unghie; che venivano dunque ricucite, o sostituite con un impasto contenente potassio, fosforo, ferro, magnesio e zinco.
Quando la procedura per la preparazione delle mummie era pervenuta al suo completo sviluppo, la prima operazione era costituita dal lavaggio del cadavere con acqua e natron; poi lo stendevano su un tavolo coperto da una stuoia, introducevano un gancio di bronzo in una narice, fracassavano l’osso etmoide con una spinta decisa e ruotavano il gancio all’interno del cranio, per ammorbidire la materia cerebrale.
I residui pastosi del cervello venivano poi estratti con un cucchiaino e buttati via (e non è mancato, tra gli egittologi, chi sia rimasto impressionato dallo scarso conto in cui veniva tenuto il cervello, soprattutto in confronto al trattamento di riguardo che - come vedremo - veniva riservato al cuore).
Seguiva l’eviscerazione, che a partire dalla IV Dinastia venne praticata attraverso un’incisione praticata sul lato sinistro dell’addome con un coltello di ossidiana, o qualche volta per anum. Gli organi interni venivano estratti uno per uno, e in certi casi, al momento di ricucire, veniva applicata al taglio un’effige dell’Occhio di Horus, contro l’eventualità che gli spiriti maligni potessero approfittare di quel passaggio.
Poi il corpo veniva lavato nuovamente, con resine e vino di palma, e seppellito nella finissima polvere di natron mischiata a sale, che avrebbe risucchiato via ogni residuo di umidità.
Dopo averlo riestratto, per evitare che le cavità del corpo si afflosciassero, veniva colata al loro interno resina liquida (in epoca tolemaica, sarebbe invalsa l’usanza di diluirla con la pece) con l’aggiunta di cannella e/o vari grassi animali e minerali, erbe aromatiche, segatura, spezie, incenso, bacche o cera.
L’amalgama creato da queste sostanze si sarebbe indurito col tempo, rendendo il corpo della mummia gradevolmente profumato e duro come la pietra; esaminandone frammenti ai raggi x, è facile trovare all’interno anche piccole schegge di ossa, distaccatesi nelle fasi precedenti del processo di imbalsamazione.
Amuleti destinati a favorire il viaggio del defunto attraverso l’Amduat, l’aldilà, venivano allocati nei principali organi interni. Il più tipico è lo scarabeo di pietra con incise formule magiche inserito nel cuore, sul quale talvolta è riportato il capitolo 30 del Libro dei Morti. L’integrità degli organi veniva poi preservata con l’avvolgerli in bende intrise di resina o olio di incenso.
Abbiamo già parlato nell’articolo 186 dei vasi canopi, ai quali può essere fatto risalire il simbolismo ermetico dei Quattro Elementi. Erano destinati a contenere i principali organi interni delle mummie del Nuovo Regno, e sui loro coperchi erano modellate le teste dei quattro figli di Horus: Hamset (testa umana) per il fegato, Hapi (babbuino) per il cuore, Kebehsenef (falco) per l’intestino, Duamutef (sciacallo) per lo stomaco.
Prima del bendaggio finale della mummia, venivano eventualmente restaurate le parti del corpo mancanti o imperfette, per essere certi che il defunto potesse godere di un corpo bene attrezzato nel corso del viaggio attraverso l’Amduat.
Avremo occasione di ritornare il prossimo mese su questo viaggio, nel corso de quale doveva avere luogo il progressivo amalgama dell’anima dello scomparso (simbolicamente equiparata a quella di Osiride) con lo spirito di Ra; attraverso dodici tappe di un percorso di rigenerazione, al termine del quale il defunto era diventato immortale.
Venivano talvolta applicate, nelle orbite oculari del cadavere, piccole cipolle che simulavano la presenza degli occhi, o - in un’epoca successiva - occhi di vetro; nella bocca denti finti, e protesi di legno o argilla nel caso di dita o arti mancanti.
Un affascinante esperimento, recentemente eseguito con la partecipazione di un volontario disabile, ha dimostrato come un piede artificiale rinvenuto come parte di una mummia, sia ancora oggi efficiente per la deambulazione, aprendo insospettabili prospettive sul livello dell’arte protesica dei medici egizi.
Per migliorare l’aspetto del viso, vi veniva applicata una pezza di lino rosso, intrisa in un miscuglio di sostanze aromatiche e antibatterici naturali: questi ingredienti erano stati cotti insieme fino ad ottenere un liquido denso e compatto.
La resina fusa era utilizzata per una sorta di verniciatura finale riservata al corpo prima del bendaggio, per garantire alle bende una base liscia e moderatamente adesiva e per sigillare i pori dell’epidermide, scongiurando la penetrazione dell’umidità.
Infine, nel bendaggio conclusivo (anch’esso praticato con l’uso di bende di lino e resina) venivano inclusi altri amuleti, e papiri contenenti incantesimi e preghiere.
Se i passaggi materiali della tecnica di imbalsamazione ci sono ben noti, ciò è dovuto a vari papiri (primi fra tutti il Papiro Bulaq, conservato al Cairo, e il Papiro 5158 del Louvre); ma altrettanto non si può dire di tutti riti che la accompagnavano.
Ne esistevano di sicuro parecchie versioni, nel corso dei quali le fonti egizie affermano che venissero letti, ed in parte cantati, testi sacri ad alta voce; una procedura che veniva considerata assolutamente necessaria per la buona riuscita del processo di rigenerazione.
Sono giunti a noi frammenti dei loro testi da vari papiri, ma quasi sempre non sappiamo in che ordine e in che occasioni le varie parti venissero pronunciate, e da quali tra i partecipanti; né siamo certi che non ne esistessero parti che non furono mai scritte, se pensiamo che la durata complessiva del rito - dal quinto giorno delle procedure di imbalsamazione al bendaggio finale - era di ben quarantadue giorni.
Ancora altri ventitré giorni dovevano trascorrere prima dell’inumazione definitiva, poiché il ciclo dei rituali funerari (come dell’intero calendario egizio) era governato dalla stella Sothis (Sirio), che compare nel cielo all’alba dopo circa 70 giorni di invisibilità.
Nell’arco della storia egizia, l’elaborazione dei rituali funerari più prolissi, come quelli testimoniati dai Libri dei Morti, fu lenta e graduale. Nell’Antico Regno, la recitazione era probabilmente limitata a formule brevi, che venivano anche riprodotte nei corridoi e nelle stanze delle Piramidi.
Nel primo Periodo Intermedio e nel Medio Regno, la comparsa e l’elaborazione dei sarcofagi segna un aumento della durata e della complessità dei riti, per cui insorge l’usanza di integrare queste formule brevi con testi più dettagliati.
Infine, la democratizzazione dell’aldilà implica anche una diversificazione dei rituali a seconda dello stato sociale della persona che ne è oggetto, nonché notevoli modifiche per adattarli alla nuova prospettiva teologica che essa comporta. Avrebbe preso forma in questo modo la maggior parte dei cosiddetti Libri dell’Amduat, la cui influenza si manifesterà nella ritualità funeraria lungo tutto il periodo del Nuovo Regno.
Il prossimo mese prenderemo in considerazione un breve estratto della ritualità funeraria, e chiuderemo la nostra panoramica con l’esposizione di alcune pratiche di imbalsamazione di origine ermetica in uso ai nostri giorni.


Seconda parte


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