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Riflessioni sull'Esoterismo

di Daniele Mansuino   indice articoli

 

Neomazdeismo

di D. M. e L. D. C.
- Prima parte

Giugno 2021

 

Ricorre quest’anno il centenario dell’Introduzione generale alle dottrine indù, magnifico libro nel quale gli esperti di cose letterarie hanno rilevato differenze, nell’impostazione e nell’impianto, dalle altre opere di Guénon, tant’è vero che il principe cambogiano Iukhantor lo accusò (dalle pagine del Bulletin des Polaires) di averlo copiato da un lavoro di Ivan Agueli - ma fu un’accusa che non ebbe seguito, e che va inquadrata probabilmente nella polemica tra Guénon e i Polari dopo che egli ne era uscito (polemica della quale contiamo di trattare, prima o poi, in un articolo).
Comunque sia, a proposito della tradizione indù, alle pagine 154-55 dell’edizione italiana si trova scritto:

Prima di stabilirsi in India, questa stessa tradizione era stata quella di una civiltà che noi non chiameremo affatto “ariana”, avendo già spiegato perché questa parola è sprovvista di senso, ma per la quale possiamo accettare, in mancanza di meglio, la denominazione di “indo-iraniana”semplicemente per precisare che essa doveva in seguito dare origine alle due civiltà indù e persiana, distinta l’una dall’altra e anche, sotto certi aspetti, opposte. A una certa epoca dovette dunque prodursi una scissione analoga a quella che più tardi in India diede origine al Buddismo; il ramo separato, deviato in rapporto alla tradizione primordiale, fu così detto “Iranismo”, che doveva poi diventare la tradizione persiana chiamata anche “Mazdeismo”. Abbiamo già segnalato la tendenza, generale in Oriente, per cui dottrine che dapprima furono antitradizionali si impongono a loro volta come tradizioni indipendenti; questa di cui parliamo aveva senza dubbio assunto tale carattere già molto prima di essere codificata nell’Avesta sotto il nome di Zarathustra o Zoroastrod’altro canto una traccia molto netta della deviazione è rimasta nella stessa lingua dei Persi, nella quale certe parole assunsero un senso completamente opposto a quello che primitivamente avevano in sanscrito
Il carattere dualistico abitualmente attribuito alla tradizione persiana, ammesso che sia reale, sarebbe parimenti una prova manifesta di alterazione della dottrina; sembra per altro che tale carattere non sia che il prodotto di interpretazioni false e incomplete, mentre c’è un’altra prova, più seria, costituita dalla presenza di certi elementi sentimentali; non è però nostro compito insistere su questo punto.

In questo brano ricchissimo di messaggi, più o meno subliminali (a cominciare dalla stroncatura quasi beffarda del concetto di arianesimo, con buona pace dei guenoniani-evoliani contemporanei, presso i quali l’esegesi di pagine come queste non la troverete mai), chi sa leggere tra le righe può cogliere una strizzatina d’occhio di Guénon all’Islam sunnita, col far notare senza dirlo come la tendenza ad abbracciare correnti eterodosse fosse presente in Persia prima ancora dell’affermarsi dello Sciismo; e riguardo poi alla tradizione persiana, è ammirevole quanto sconcertante la serena categoricità delle affermazioni secondo cui è l’Iranismo ad aver scissionato dall’Induismo e non viceversa, è l’Iranismo a essere antitradizionale e non viceversa, è il senso delle parole parsi ad essere ribaltato e non viceversa… davvero, se avessimo avuto tempo, avremmo dedicato la vita a fare ciò che fece Guénon: proporre ai lettori una visione del mondo interamente fondata sulle nostre predilezioni individuali.
Un altro punto interessante è come il carattere dualistico abitualmente attribuito alla tradizione persiana venga messo in dubbio dal maestro francese poche righe più avanti (se volete imparare a scrivere bene, studiate Guénon - se avesse introdotto quel dubbio prima, l’affermazione dell’antitradizionalità dell’Iranismo ne sarebbe risultata indebolita; ma non c’è pericolo, nei suoi scritti ogni parola è sempre al posto giusto per ottenere l’effetto desiderato) - né è questa la sola volta, perché anche in altre occasioni Guénon affermò che il dualismo dei Mazdeisti è solo apparente, in quanto funzionale a celare una parte segreta del culto, dedicato all’Unità.
Non può sfuggire l’analogia di questo impianto con la struttura stessa del pensiero guenoniano, nel quale all’incessante contrapposizione dualistica tra iniziazione e controiniziazione fa da contrappunto la costante affermazione del concetto di Unità; ed è proprio l’accostamento di queste caratteristiche opposte a consentire di individuare nel suo pensiero un’influenza, ancor più che mazdeista, manichea.
Il Manicheismo è un movimento spirituale più antico del Mazdeismo, che in certi periodi e luoghi - in Persia e nel Turkestan soprattutto - ha convissuto con esso e l’ha influenzato.
Nel linguaggio corrente, questo termine significa la tendenza ad estremizzare i dualismi, ed in effetti non c’è dubbio che vada ascritta al Manicheismo la genesi di quell’esasperata contrapposizione tra il bianco e il nero - nel caso dell’opera di Guénon: fra iniziazione e controiniziazione o fra tradizione e antitradizione - che la tradizione stregonesca ricollega all’azione del demone Astaroth, derivato da Astarte, antica dea che avremo occasione di ritrovare il mese prossimo.
La messa in opera di un’enfatizzazione deliberata delle contraddizioni che si manifestano nella realtà può essere considerata la base per lo sviluppo di quelle che Milton Erickson definì le tecniche di confusione: ovvero del primo, ed il più importante, metodo di condizionamento di massa del quale l’organizzazione esoterica che domina il mondo fa uso.
Descritta in due parole, la tecnica di confusione consiste nel trasmettere un flusso di informazioni facilmente accettabili inframmezzate con altre di senso opposto; allora lo sforzo per conciliare i dati contraddittori assorbe una gran quantità di energie che vengono improvvisamente sottratte alle altre attività della mente, bloccando il senso critico e determinando l’accettazione passiva del messaggio.
Un piccolo esempio del suo uso da parte di Guénon lo abbiamo appena visto, nel bollare il Mazdeismo come antitradizionale per poi precisare che le accuse di dualismo nei suoi confronti sono infondate; e questo esempio rende ben chiaro come l’uso della tecnica di confusione sia agevolato dal far muovere costantemente la trattazione fra due poli opposti, come nel caso delle dualità tradizione-antitradizione e iniziazione-controiniziazione.
Secondo Louis de Maistre, la presenza nel pensiero guenoniano di contrapposizioni di questo genere costituisce uno dei tratti più caratteristici dell’azione dei missionari frankisti, nella misura in cui diffonde une vision du monde e de la vie totalement différente de quelle qui avait été jusque-là communément acceptée; e sarebbe anche de type manichéen la loro tecnica consistant à remplir les écorces (de la matière) d’une sainteté étrangère à leur nature, au fin de les détruire de l’intérieur.
Si tratta, come si vede (nella seconda citazione perlomeno) di un attacco alla dottrina di base del Sabbataismo e del Frankismo che, come sanno i lettori più attenti di questa rubrica, non ci sentiamo di sottoscrivere; ma ci è parso significativo riportarla per mostrare come anche la visione semplificata della realtà verso la quale i seguaci di Guénon manifestano tanta attrazione possa celare, come tutte le scorciatoie del cammino, abissi tenebrosi.
In realtà, come abbiamo avuto varie occasioni di precisare, ciò che Guénon definiva controiniziazione - attribuendogli quindi implicitamente un significato malefico - è in realtà l’organizzazione esoterica che domina il mondo; e riguardo ai rapporti da lui intrattenuti con essa, i termini reali sono piuttosto diversi da come gli esoteristi tradizionali presentano la cosa, a cominciare dal fatto che l’ipotesi di una segreta affiliazione di Guénon al Mazdeismo può essere considerata una certezza - o meglio, potrebbe esserlo se fossero disponibili riscontri sulla natura mazdeista della società segreta Teshu Maru, di cui egli faceva parte (come abbiamo accennato nell’articolo René Guénon e l’organizzazione, esiste in proposito soltanto la testimonianza di  Louis Charbonneau-Lassay, segnalato da Guénon alla Teshu Maru per una possibile cooptazione, il quale raccontò di aver ricevuto la visita di un sacerdote mazdeista proveniente dal Turkestan).
Per chi volesse sapere qualcosa di più sulla Teshu Maru, citiamo il libro di Daniele Mansuino Le Sette Torri del Diavolo di René Guénon: è un dettaglio poco noto che Guénon, per la stesura de “Il Re del Mondo”, non si ispirò a “Bestie, Uomini e Dei” di Ossendowski direttamente, bensì ad un articolo, comparso sulla rivista americana “Century” (difficile pensare che possa esserne venuto a conoscenza per caso), nel quale l’autore polacco ampliava notevolmente le allusioni all’Agartha contenute nel proprio libro, introducendo parecchi temi che Guénon avrebbe poi sviluppato.
In quell’articolo (intitolato “The King of the World: an Asian motif”), Ossendowski dichiarava di essersi trovato al cospetto dell’ingresso di Agartha (“Presso alcune sorgenti sulfuree, vidi una roccia in cui si apriva una caverna. Un’iscrizione runica sulla parete diceva: questo è l’ingresso dello Stato del Re del Mondo, la nazione sotterranea di Agarti”), ed affermava: “In Asia un’organizzazione dirige, sotto il proprio controllo, i più importanti affari degli uomini e degli Stati. Questa organizzazione è chiamata il Consiglio di Dio, e ne fanno parte i tre Pontefici buddisti e lamaisti, il Dalai Lama, il Panchen Lama del Tibet e il Bogdo Gheghen Khan di Urga; e il loro capo (il Re del Mondo) sceglie in tutti gli Stati (gli agenti) attraverso i quali influenzare il corso degli eventi sociali e politici”.

È proprio questa organizzazione di cui parla Ossendowski la Teshu Maru, della quale - stando a una lettera di Guénon a Julius Evola - avrebbe fatto parte anche Bo Yin Ra (Joseph Anton Schneider, o Schneiderfranken - 1876-1943), considerato uno dei fondatori della new age.
In verità, i legami con il Turkestan e le sue società segrete sembrano essere una costante nelle esistenze dei maestri che hanno dato vita all’esoterismo come oggi lo conosciamo. Per esempio, la signora Blavatsky lo segnala come nascondiglio di grandi biblioteche sotterranee contenenti i testi di base della dottrina segreta, e il Gurdjieff degli Incontri con uomini straordinari lo esplora in lungo e in largo - insieme ai membri del misterioso gruppo di cui fece parte in gioventù, i Cercatori della Verità - alla ricerca delle tracce di una mitica organizzazione iniziatica del passato: la Confraternita di Sarmoung.
I pellegrinaggi dei Cercatori della Verità si spinsero anche a sud-ovest, fino alla terra degli Yezidi, e poi addirittura all’Egitto e all’Italia, sull’onda della convinzione che la misteriosa Confraternita avesse influenzato la civiltà egiziana e quella classica.
Nessuno mai ha avuto idea di cosa potesse essere la Confraternita di Sarmoung, almeno prima della pubblicazione del libro L’altra Europa, da parte di Paolo Rumor, con la collaborazione di Giorgio Galli e Loris Bagnara.
Loris Bagnara (architetto, autore e ricercatore in ambito storico-archeologico ed esoterico) sta lavorando, in collaborazione con Paolo Rumor (figlio di Giacomo, a sua volta cugino del più noto Mariano, che fu per ben cinque volte Presidente del Consiglio) sulle copie di antichi documenti di proprietà della famiglia Rumor: essi tratteggiano l’esistenza di una struttura segreta, della quale anche Gurdjieff avrebbe fatto parte - presente, fin dalla più remota antichità, in Africa e in Egitto - che, in tempi lontanissimi, si sarebbe espansa verso nordovest per lavorare a un suo progetto di unione europea.
La struttura, almeno nei termini in cui Rumor la rappresenta, parrebbe costituire uno dei più antichi e venerabili sottocentri dell’organizzazione esoterica che domina il mondo; e, sul piano ideologico, una terza via a metà strada tra l’esoterismo tradizionale e l’esoterismo modernista di scuola britannica (l’iniziazione e la controiniziazione secondo Guénon), coprente un territorio intellettuale con poche - se non nulle - vie d’accesso dal mondo exoterico.
La pubblicazione del fondo Rumor potrebbe rappresentare un segno della decisione della struttura di uscire allo scoperto; e così pure il risveglio della Confraternita dei Polari, che si è verificato nel 2016.
Ci ha scritto Loris Bagnara: in ogni caso, è vero che Gurdjieff avrebbe avuto un ruolo (ancora da definire con precisione) all'interno della Struttura, come depositario di una parte di antichi documenti della Struttura stessa (in particolare, la parte più antica della lista dei nomi). Proprio recentemente, mettendo insieme vari indizi, siamo giunti alla conclusione che la scoperta della "mappa dell'Egitto di prima delle sabbie", di cui parla Gurdjieff in “Incontri con uomini straordinari” sarebbe avvenuta proprio a Nusaybin, uno dei luoghi chiave della Struttura. E Nusaybin si trova in quella regione tra Siria, Turchia e Iraq che sembra essere la culla della Struttura, ossia la regione in cui la civiltà è ripartita dopo il "diluvio". Non lontano da quella regione si trova l'area in cui è sorto lo Zoroastrismo, e qui il cerchio parrebbe chiudersi
A completamento di questa idea, aggiungo quanto segue: ritengo che il centro della civiltà antidiluviana debba essere stato quello che ora è il fondale del golfo Persico, e che durante l'era glaciale si trovava allo scoperto. Dopo il diluvio e il conseguente innalzamento del livello del mare (mai più regredito) le popolazioni (e le élites che le guidavano - gli Apkallu?) si sarebbero spostate nelle regioni limitrofe: Mesopotamia, Iran, Levante e Egitto. E in Egitto avrebbero lasciato le "tavolette di gesso", a Giza, mentre a Nusaybin avrebbero lasciato i "rotoli", come si dice nei documenti di Rumor... Proprio questi (o forse copie di questi), sarebbero stati rinvenuti da Gurdjieff nel corso delle sue avventure.
La fonte è lo stesso Gurdjieff, in “Incontri con uomini straordinari”, nella sezione del racconto relativa al soggiorno presso l’abitazione del prete armeno nella città di N…. L’identificazione di questa tappa dei viaggi di Gurdjieff con l’antica Nisibis, attuale Nusaybin, è proposta da Adrian Gilbert (in maniera totalmente indipendente dalle nostre ricerche) nel suo libro “Segni celesti” (Signs in the Sky, 2005).

Queste ipotesi hanno indotto in noi due riflessioni. La prima, che probabilmente l’espansione della struttura si spinse anche a sud dell’Egitto (del resto, i Re Etiopi governarono l’Egitto della XXV dinastia), almeno a giudicare dalle tracce presenti in Africa di associazioni segrete come gli Aun-Thom-Bha - di cui Mansuino ha parlato nell’articolo La dottrina segreta del voodoo haitiano - che hanno le carte in regola per essere identificate addirittura con la tradizione primordiale; ed inoltre, come abbiamo già visto in varie occasioni, il voodoo è il cammino iniziatico pervenuto ai nostri giorni che conserva il maggior numero di simboli relativi alla tradizione primordiale - l’Axis Mundi, il Serpente, l’Arcobaleno, eccetera.
Invece la seconda riflessione riguarda l’importanza che può avere rivestito, come snodo della trasmissione verso occidente, il Caucaso - terra di Mazdeisti e Zoroastriani, nonché antichissimo centro di diffusione di quella particolare e sconosciuta versione dell’Ermetismo che passa sotto il nome di yoga caucasico; e non sarà male che noi ci si trattenga brevemente ad illustrarla, anche per chiarire meglio perché la consideriamo degna di nota.
Un libro intitolato Il manoscritto dello yoga caucasico - pubblicato da una piccola casa editrice romana meno di una ventina di anni fa - capitò nelle nostre mani nel 2018. Secondo una nota dell’editore, la sua storia sarebbe avventurosa: fu scritto da un ex-diplomatico polacco, il conte Stefan Colonna Waleski (1897-1955), emigrato a New York, dove svolgeva la professione di antiquario. Stampato negli anni cinquanta, la vendita venne bloccata da un misterioso gruppo di esoteristi che ne rivendicava la proprietà intellettuale; ne rimasero in giro soltanto trecento copie, una delle quali fu rinvenuta da un nostro connazionale in Nuova Zelanda.
In quella nota si afferma pure che lo yoga caucasico avrebbe fatto parte del training giovanile di Gurdjieff - cosa di cui dubitavamo perché, nelle sue opere, il grande esoterista georgiano si dichiara contrario agli esercizi fondati sulla respirazione.
Il contenuto del libro è la descrizione di un sistema esoterico che il conte Waleski definisce Sistema Maestro. Si tratta di un metodo di trasmutazione interiore formato da Sette Arcani Maestri, Dodici Arcani Maggiori e Quindici Arcani Minori, nei quali l’editore italiano riscontra con competenza influssi indiani, tibetani e caucasici, questi ultimi legati al Mazdeismo.
Scrive Waleski:

Nel lavoro sulla maestria l’obbiettivo principale e unico da raggiungere è la comunicazione con gli armoniosi poteri creativi del mondo, per unirsi consciamente alle loro schiere al fine di risolvere i destini dell’evoluzione umana verso l’unicità immortale.
I primi passi di questo processo sono il dominio del pensiero e successivamente, attraverso di esso, il dominio del corpo.
Praticare la maestria significa sopraffare, soggiogare, governare, conoscere, comprendere a fondo; significa inoltre esercitare il dominio, la superiorità e la vittoria da parte degli individui che ne sono consci. Questo processo di sviluppo è noto come “la Grande Opera” ed è composto da sei grandi arcani maestri che corrispondono al “sentiero breve”, quintessenza dei modi e mezzi per sviluppare la maestria conscia
Il Sistema Maestro dimostra che tutto è Uno, costruito dalla stessa argilla di energia primordiale, in diversi stati vibratori, ossia la velocità delle componenti positive e negative della materia, la quale è energia condensata, positiva e negativa in diverse proporzioni di densità
Questo uno, che è anche due, che è anche due con ancora uno, circonda ciò che è tre, ciò che è, ed è detto Gaya-Lhama
Il potere titanico di Gaya-Lhama è ovunque e cerca sempre di penetrare nell’essere umano per potersi esprimere attraverso di lui. Diventare ricettivi al flusso di questa energia significa stabilire il ritmo maestro nell’individuo e distaccarsi dalle impressioni createsi nella madre dall’ambiente avverso, le coincidenze e gli influssi al momento del concepimento
Gaya-Lhama è contenuta nello spazio e ha quattro stati vibratori corrispondenti a quattro colori. Questi si assimilano dall’aria e vivificano i centri del corpo umano. Tali vibrazioni corrispondono alle quattro funzioni dell’essere umano e contribuiscono a svilupparle.
Lo sviluppo dell’essere umano è quadruplice:
Fisico
Mentale
Spirituale
Psichico
I colori che corrispondono a tali funzioni sono:
Rosso per il fisico
Giallo per il mentale
Blu per lo spirituale
Bianco per lo psichico
Le parti del corpo che racchiudono queste vibrazioni sono:
Stomaco inferiore, sesso, occipite per il rosso/fisico
Torace superiore, fronte per il giallo/mentale (intelletto)
Plesso solare (addome), corona craniale per il blu/spirituale (energia vitale)
Braccia, mani, gambe, piedi, volto per il bianco/psichico (razza bianca) (sic)
Attraverso l’uso cosciente della volontà, il corpo umano respira le varie vibrazioni dei colori e, con l’esalazione, carica le varie parti e i centri del corpo. Se eseguite con volontà pienamente cosciente, queste operazioni sono alla base dell’esercizio maestro
Il respiro è la vita.
Fluendo attraverso le narici, il respiro prende forma in tre modi diversi. Quando entra dalla narice destra è elettrico e creativo, nutre il sistema vasomotorio detto pingala, prendendo il nome di “respirazione solare” del guerriero pronto alla battaglia.
Quando invece il respiro entra da entrambe le narici il suo effetto è di bilanciare, preservare o distruggere. Il suo nome è “respirazione della sushumna” …
Il corpo umano assorbe Gaya-Lhama attraverso il respiro. L’aria entra dal naso; con un movimento a spirale turbina e si allunga nei due coni, che si colpiscono mentre si toccano
Entrando l’aria si scalda e, passando attraverso la faringe, libera Gaya-Lhama che penetra nella faringe dietro al palato molleL’aria poi entra nei polmoni dove ossigena il sangue.
Gaya Lhama ha quattro diversi stati vibratori, relativi a diverse vibrazioni di colori e aree di immagazzinamento nel corpo
Fisico. Colore: rosso vermiglio; sezioni del corpo da caricare: parte inferiore dello stomaco e occipite.
Mentale (intellettuale). Colore: giallo cromo; sezioni del corpo da caricare: torace e fronte.
Spirituale (dinamico). Colore: blu ultramarina; sezioni del corpo da caricare: parte superiore dell’addome (plesso solare) e corona craniale.
Psichico. Colore: bianco (che è un miscuglio di rosso, giallo e blu) (sic); sezioni del corpo da caricare: gambe, polpacci, piedi e braccia, avambracci, mani e volto (in certi casi, il colore psichico è il nero).

Si passa poi all’enunciazione dei Sette Arcani Maestri uno per uno. Il primo risveglia le forze dell’Universo, apre il contatto con le potenze superiori, stabilisce il ritmo maestro e sviluppa la chiaroveggenza; il secondo insegnerebbe il corretto modo di rapportarsi con gli altri, sia in pace che in guerra, e svilupperebbe la chiarudienza e l’armonia; il terzo promuoverebbe la formazione del corretto campo energetico intorno al praticante; il quarto perfezionerebbe la volontà di comando; il quinto conferirebbe il dono della levitazione; il sesto compirebbe la trasmutazione interiore; il settimo darebbe potere sul tempo meteorologico.
A titolo di esempio, il primo Arcano Maestro comincia così: un respiro maestro ha una durata di sette secondi di inalazione, sette di esalazione e un secondo di ritenzione alla fine di entrambe le fasi. Il ritmo maestro dura sette secondi e corrisponde al ritmo del cuore (esoterico) della Terra, compreso il secondo di pausa … e Waleski passa poi a descrivere la posizione che il praticante deve assumere, illustrando nei dettagli (anche con l’ausilio di illustrazioni) i movimenti che dovrà eseguire, il modo in cui dovrà respirare, i colori che dovrà visualizzare nel corso dell’esercizio.
Ci sembra bello accomiatarci da lui con le parole che possiamo considerare la dichiarazione di intenti del suo libretto:
I libri della Zend Avesta (mazdeisti) affermano questa maestria e rispondono a uno dei quesiti fondamentali dell’uomo: “Perché sono qui?”
“Io sono su questa Terra per reclamarne il possesso, per fare diventare paradiso i deserti, un paradiso a misura di Dio e delle sue schiere, perché vi possano soggiornare.”
Ora, appena avemmo preso visione dei contenuti dello yoga caucasico, una cosa balzò alla nostra attenzione: la loro somiglianza con la Scienza delle Chiavi, che i nostri lettori conoscono senz’altro (anche perché parecchie volte Daniele Mansuino ne ha parlato), ma riguardo alla quale non sarà inutile un ripasso.
La Scienza delle Chiavi venne introdotta in occidente da Rudolf Von Sebottendorff (1875-1945), futuro nazista della prima ora, che in Turchia aveva avuto accesso tanto alla Medleviya quanto a una locale Loggia massonica del Rito di Misraim.
Nel suo libro La pratica operativa dell’antica massoneria turca, Von Sebottendorff sostenne di essere entrato in contatto con una misteriosa confraternita sufica, i Beni el Mim (letteralmente: Figli delle Chiavi), i quali praticavano da secoli un sistema operativo di trasmutazione interiore, interamente fondato sull’uso dei segni d’ordine della Massoneria. Anche il libro di Von Sebottendorff venne pubblicato nel 1921, ed è curioso che - sempre in quell’anno - sia stato pubblicato anche Il domenicano bianco di Gustav Meyrink (1868-1932), nel quale si parla di una tecnica molto simile.
La Scienza delle Chiavi sarebbe giunta in Europa nel decimo secolo, fornendo le basi per il sorgere della Massoneria e dell’Alchimia - e se consideriamo il senso esteso conferito da Von Sebottendorff al termine massoneria, questo racconto potrebbe benissimo riferirsi, in termini simbolici, a un capitolo della storia della struttura di Paolo Rumor (anche se non al suo arrivo, che secondo gli autori de L’altra Europa sarebbe avvenuto molto prima).
Nelle intenzioni di Von Sebottendorff, la dettagliata descrizione pratica da lui tracciata avrebbe posto chiunque nelle condizioni di poter sperimentare il sistema: dedicando non più di dieci minuti al giorno all’esecuzione degli esercizi da lui insegnati, un praticante di buona volontà avrebbe potuto realizzare la Grande Opera in un arco di tempo variabile dai tre mesi ai tre anni circa.
Descritta in breve, la Scienza delle Chiavi consiste nell’apprendimento di tre segni da eseguire con la mano destra: la I, la A e la O - ovvero la u, terza e ultima vocale dell’alfabeto arabo arcaico, che Von Sebottendorff tradusse O probabilmente perché più simile a quest’ultima nella forma grafica, col risultato di ottenere in questo modo l’acronimo IAO: Isis, Apophis, Osiris, che è anche il Nome di Dio presso alcune sette gnostiche.
Iside rappresenta la natura, Apophis la distrugge e Osiride la rinnova: si tratta dunque di una delle più fondamentali formulazioni del ternario ermetico.
In verità, metodi di trasmutazione interiore fondati sulla gestualità e sul simbolismo dei colori sono riscontrabili in tutta l’area geografica storicamente interessata dalla diffusione dell’Ermetismo: l’Europa e l’Africa mediterranee, il Medio Oriente e l’Asia sud-occidentale.
In quest’ultima, approssimativamente si può dire che gli influssi ermetici si possano riscontrare fin dove si spinse Alessandro Magno, ovvero fino a quel Kafiristan narrato da Rudyard Kipling (1865-1936) in L’uomo che volle farsi re; e ancora una volta ci ritroviamo al confine tra l’area dell’Ermetismo e quella dello sciamanesimo siberiano, anch’esso portatore di esercizi fondati sulla gestualità e sui colori.
Non è facile stabilire se Von Sebottendorff avesse tratto la Scienza delle Chiavi dagli insegnamenti napoletani del Rito di Misraim - che era senza dubbio, nella versione praticata in Turchia, molto più ricco delle sue componenti ermetiche originarie di quanto non lo siano le versioni praticate oggi in Italia - o dalla tariqa che da molti ne viene segnalata come fonte: la Bektashya, nella quale tanto gli influssi ermetici quanto quelli sciamanici sono evidenti.
La Bektashya, il cui insediamento numericamente più importante è oggi in Albania (è stato inaugurato a Tirana nel 2015 lo stupendo Bektashi World Center, che viene considerato il più grande tempio sufi del mondo) è nota soprattutto per avere accolto nelle sue file, nel 1666, il Messia ebraico Sabbathai Zevi, dopo la sua conversione all’Islam (Mansuino si è notevolmente dilungato su questa vicenda in vari articoli, nonché nel libro 666).
A parte questo, la si può considerare un derivato dell’Hurufiya persiana, anticamente presente in tutta l’area delle repubbliche ex-sovietiche mussulmane; anche questa pista parrebbe dunque additare l’origine della Scienza delle Chiavi nello yoga caucasico, sebbene nessuno dei trentaquattro esercizi raccolti da Waleski corrisponda esattamente ai quattro proposti da Von Sebottendorff.
Ma la somiglianza è sorprendente: ritroviamo nel Sistema Maestro la stessa prospettiva teorica, la stessa relazione con l’Alchimia, lo stesso rapporto tra gestualità e colori e la stessa strutturazione della Grande Opera sulla base del ternario e del quaternario; il tutto corredato da un profluvio di insegnamenti teorici che si possono annodare a quelli forniti da Von Sebottendorff, espandendoli idealmente.
Insomma ce n’è abbastanza, a nostro avviso, per avanzare un’ipotesi che non ci risulta nessuno abbia mai proposto prima; ovvero che anche la Scienza delle Chiavi debba essere considerata una parte dello yoga caucasico.
Il prossimo mese, il secondo articolo di questa serie esaminerà i rapporti del neomazdeismo con l’organizzazione esoterica che domina il mondo, e si soffermerà ampiamente sulle attività - pochissimo conosciute - dei neomazdeisti italiani.

 

Seconda parte


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