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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 27-08-2015, 16.14.10   #11
memento
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Riferimento: il postmodernismo e la verità decostruita

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Originalmente inviato da maral
P.S. Forse nella mia risposta a paul ci si può leggere anche una risposta alla domanda di memento. Il punto è che la materia, la politica, il mercato ecc. possiamo considerarle costruzioni dell'uomo, ma ogni uomo è pur sempre costruito da queste costruzioni e da qui la necessità di mediare, ossia di trovare una sintesi dialettica tra istanze contrapposte sul piano fenomenologico.
L'Io non è un fenomeno,che poi credo che è quello che volesse dire anche Paul11. La coscienza è ciò che sovrasta ogni fenomeno,poiché gli da la possibilità di apparire,di venire a galla nel mare delle percezioni. Severino direbbe che ogni costruzione (mercato,materia) implica una distruzione (non-materia,non-mercato),perciò che nel caso fosse "fenomenizzato" l'uomo si ritroverebbe come diviso in due parti,e qui sta la follia,l'alienazione dell'ultimo secolo.
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Vecchio 27-08-2015, 21.26.49   #12
maral
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Riferimento: il postmodernismo e la verità decostruita

Memento, l'io è fenomeno dal momento che si presenta e appare. Ed è un fenomeno mediato e non immediato, ove l'agente mediante è il mondo. Noi non nasciamo con un io individuale che è l'unico di cui abbiamo diretta esperienza come io.
Se devo essere sincero mi pare proprio che questa tendenza all'assolutizzazione dell'io (equiparato a unica sostanza dell'esistente) sia una caratteristica del post moderno (che certo parte dal pensiero cartesiano, la prima forma filosofica che ha dato valenza ontologicamente fondante all'io sia pure solo nella sua forma di istanza razionale), che sia la controbattuta all'affermarsi di un'oggettivismo onnipervadente sul piano epistemologico. Da una parte c'è un mondo sempre più alieno, dall'altra e in antites, formalmente nascosto,i un io sempre più alienato e solo a cui dal suo nascondiglio non resta che delirare rivendicando la sua paranoica onnipotenza mentre riscontra continuamente solo la sua radicale frustrante impotenza. Manca l'equilibrio del giusto mezzo che si stabilisce nell'ambito di una quanto mai necessaria dualità che possa convivere invece che cercare di cancellare la polarità opposta. Un mondo non appare senza un io, ma nessun io può apparire senza un mondo che lo determina e l'assolto sostanziale che regge il fenomeno non sta né nell'uno né nell'altro, poiché li sottende entrambi. Solo in presenza di entrambi qualcosa può apparire e mai come totalità univoca, proprio poiché appare.
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Vecchio 27-08-2015, 22.54.05   #13
memento
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Originalmente inviato da maral
Memento, l'io è fenomeno dal momento che si presenta e appare. Ed è un fenomeno mediato e non immediato, ove l'agente mediante è il mondo. Noi non nasciamo con un io individuale che è l'unico di cui abbiamo diretta esperienza come io.
Se devo essere sincero mi pare proprio che questa tendenza all'assolutizzazione dell'io (equiparato a unica sostanza dell'esistente) sia una caratteristica del post moderno (che certo parte dal pensiero cartesiano, la prima forma filosofica che ha dato valenza ontologicamente fondante all'io sia pure solo nella sua forma di istanza razionale), che sia la controbattuta all'affermarsi di un'oggettivismo onnipervadente sul piano epistemologico. Da una parte c'è un mondo sempre più alieno, dall'altra e in antites, formalmente nascosto,i un io sempre più alienato e solo a cui dal suo nascondiglio non resta che delirare rivendicando la sua paranoica onnipotenza mentre riscontra continuamente solo la sua radicale frustrante impotenza. Manca l'equilibrio del giusto mezzo che si stabilisce nell'ambito di una quanto mai necessaria dualità che possa convivere invece che cercare di cancellare la polarità opposta. Un mondo non appare senza un io, ma nessun io può apparire senza un mondo che lo determina e l'assolto sostanziale che regge il fenomeno non sta né nell'uno né nell'altro, poiché li sottende entrambi. Solo in presenza di entrambi qualcosa può apparire e mai come totalità univoca, proprio poiché appare.
Ma non tutto quello che appare è definibile come o da un fenomeno. Tu affermi che l'Io non può apparire senza un mondo che lo determina,e sono d'accordissimo,voglio chiarire che non credo alla coscienza come sostanza del cosmo. Ma il MONDO (come l'Io appunto) non è un fenomeno,è oltre ogni definizione di fisica,chimica,biologia,econom ia,ecc. Il fenomeno è necessariamente un'astrazione umana,perché poi tutto si implica come abbiamo già ripetuto. Forse diamo alla parola fenomeno due significati diversi oppure siamo solo in disaccordo.
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Vecchio 27-08-2015, 23.21.59   #14
maral
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Originalmente inviato da memento
Il fenomeno è necessariamente un'astrazione umana,perché poi tutto si implica come abbiamo già ripetuto. Forse diamo alla parola fenomeno due significati diversi oppure siamo solo in disaccordo.
Si può essere che diamo a fenomeno un significato diverso, io non lo intendo come un'astrazione. Lo intendo come mi fu presentato a una lezione di filosofia teoretica su Husserl, ossia il fenomeno è ciò che all'improvviso appare accadendo, che si dà in grande evidenza. Fenomeno è la pioggia quando si mette a piovere, è il tuono e il lampo. La verità come aleteia è fenomeno, un luminoso svelamento.
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Vecchio 27-08-2015, 23.26.48   #15
paul11
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Riferimento: il postmodernismo e la verità decostruita

Maral mi trovo d'accordo abbastanza sull' analisi che il fenomeno in qualche modo riflette l'Io, ma solo come procedimento dialettico interiore di un Io con il suo non-IO.Il fenomeno non ha libertà, tanto meno volontà.
La fondamentale, penso, discrepanza è che la logica delle apparenze accettata da Aristotele fino a Kant come limite, vine mutata in consapevole costruzione e riconoscimento di quel limite dall'idealismo con L'IO. Ma non è solo il procedimento dialettico che trovo importante con l'idealismo, è la dialettica con una prassi.

Aristotele nel trattato sull'etica distingueva nell'agire la poietica e la prassi. Se la poietica è la costruzione,creazione di un oggetto la prassi è dentro l'etica, come possibilità di ricondurre l'a-sociale dentro il sociale.

L'idealismo riprende questo concetto ponendo l 'Io come slancio verso l'infinito dentro il rapporto dialettico con l'attività etica e teoretica. Fichte è interessante per la prassi, tant'è che iindica come errore l'inerzia come antitesi a quello slancio.

Non sono d'accordo con il tuo ultimo post.
Il postmoderno è la presa d'atto dell'intrasformabilità ,è l'inerzia fichtiana, è il non agire.
Quell'oggettivismo che tu indichi è l'impersonalizzazione a suo tempo definita spontaneismo quindi ingiudicabie in quanto tautologica di per sè. Non c'è nemmeno più il "delirio" nitzchiano da "ultimo uomo",essendo un film già visto, non viene nemmeno riproposto.

Siamo all'ermeneutica gadameriana dell'interpretazione, questo è il massimo sforzo filosofico. Le ideologie non esistono più e nemmeno le istituzioni millenarie delle religioni sono capaci di regolare eticamente le contraddizioni del nostro tempo, si limitano all'aspetto caritativo, non alla denuncia radicale sui motivi sostanziali in cui il sistema riesce a concretizzarsi contraddittoriamente sacrificando i destini umani.

L' Io umano è talmente oggettivato, fenomenizzato da essere l'ultra capitalismo soggetto impersonale e quindi irresponsabile.
Non è più possibile una mediazione, il pensiero economico ,sociale e politico, non è assolutamente in grado di alternative in quanto parte frammentata di quell'IO contraddittorio:sono contemplatori, megafoni mediatici, populistici.
E' divenuto paradossalmente proprio l'estensione fisica e permeante sulle culture dell'ultracapitalismo, la capcità di unificare e di totalizzare eventi e destini:immolandoli.
paul11 is offline  
Vecchio 28-08-2015, 16.35.59   #16
paul11
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Paul11,ho capito cosa intendi dire e sono d'accordo più o meno su tutto. Permettimi però una precisazione: la frattura nasce nel momento in cui si considera il fenomeno come un elemento a sé stante,che si determina a priori dall'Io (mi parli di scientificizzare un fenomeno,come se questo fosse altro da un aspetto conoscitivo). Perché l'uomo dovrebbe mettersi a mediare con una sua costruzione mentale (la materia,il mercato,la politica,ecc.)? È questa la "follia" insita nella dialettica ed è giunta fino ai giorni nostri. Per favore rispondimi nel merito,non c'è bisogno di scrivere un altro papiro che ho compreso il senso del tuo discorso.


Stava sfuggendo una risposta,scusami.
Il procedimento dialettico di tesi-antitesi-sintesi dovrebbe superare il momento originario per porre un'altra origine,diciamo ad un livello superiore (non ne sono io stesso convintissimo di questo).
Dovrebbe superare ,in altri termini una precedente origine per poi riproporre ancora il procedimento dialettico.

Il costruttivismo media eccome le costruzioni mentali , poichè noi tendiamo per natura a precedere gli eventi. Le costruzioni sono basate sul cercare di comprendere il futuro affinchè noi siamo in grado di poterlo gestire ("se arriva quell'evento io allora mi comporterò in questo modo....").
E' proprio quando non siamo in grado di gestire il futuro che siamo disarmati, perchè l'esperienza costruita (quindi anche conoscenza, cultura,ecc.) non riesce a gestirlo.

Non c'è quindi una cultura in grado di gestire il presente e il futuro.Ci sono abbozzi come il "transindividuale", per fare un esempio, che Maral aveva citato.

Mi sto ponendo il problema, cosa e come fare per il presente e futuro in termini filosofico-culturali e mi piace discuterne con il forum , ma non ho ricette....le cerco, ci sto ragionando.
Forse la dialettica con la prassi potrebbe essere non dico una soluzione, ma una riflessione su una possible strada.
paul11 is offline  
Vecchio 28-08-2015, 22.10.06   #17
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Originalmente inviato da paul11
Stava sfuggendo una risposta,scusami.
Il procedimento dialettico di tesi-antitesi-sintesi dovrebbe superare il momento originario per porre un'altra origine,diciamo ad un livello superiore (non ne sono io stesso convintissimo di questo).
Dovrebbe superare ,in altri termini una precedente origine per poi riproporre ancora il procedimento dialettico.

Il costruttivismo media eccome le costruzioni mentali , poichè noi tendiamo per natura a precedere gli eventi. Le costruzioni sono basate sul cercare di comprendere il futuro affinchè noi siamo in grado di poterlo gestire ("se arriva quell'evento io allora mi comporterò in questo modo....").
E' proprio quando non siamo in grado di gestire il futuro che siamo disarmati, perchè l'esperienza costruita (quindi anche conoscenza, cultura,ecc.) non riesce a gestirlo.

Non c'è quindi una cultura in grado di gestire il presente e il futuro.Ci sono abbozzi come il "transindividuale", per fare un esempio, che Maral aveva citato.

Mi sto ponendo il problema, cosa e come fare per il presente e futuro in termini filosofico-culturali e mi piace discuterne con il forum , ma non ho ricette....le cerco, ci sto ragionando.
Forse la dialettica con la prassi potrebbe essere non dico una soluzione, ma una riflessione su una possible strada.
Meglio tardi che mai
Il procedimento dialettico non ammette errori,il problema è questo.Nel caso si trovasse una tesi fallace,cadrebbe tutto il castello. Perciò stabilisce a priori che entrambi le parti abbiano ragione e che sia necessaria una mediazione. Ma mi sembra tutto un rigirarsi su stessi,e alla fine ci si trova senza via d'uscita.
La costruzione,il castello ci serve per tentare di prevedere il futuro,ok. Ma quando diventa obsoleta e controproducente va sostituita,non salvaguardata e riproposta. Cosi come si fa con gli oggetti,se non funzionano si buttano e si ricomprano,senza perdere tempo a incollarne i cocci. Ma forse ci sentiamo in frantumi perché ci identifichiamo con esso.
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Vecchio 30-08-2015, 18.53.22   #18
paul11
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Originalmente inviato da memento
Meglio tardi che mai
Il procedimento dialettico non ammette errori,il problema è questo.Nel caso si trovasse una tesi fallace,cadrebbe tutto il castello. Perciò stabilisce a priori che entrambi le parti abbiano ragione e che sia necessaria una mediazione. Ma mi sembra tutto un rigirarsi su stessi,e alla fine ci si trova senza via d'uscita.
La costruzione,il castello ci serve per tentare di prevedere il futuro,ok. Ma quando diventa obsoleta e controproducente va sostituita,non salvaguardata e riproposta. Cosi come si fa con gli oggetti,se non funzionano si buttano e si ricomprano,senza perdere tempo a incollarne i cocci. Ma forse ci sentiamo in frantumi perché ci identifichiamo con esso.

Quale procedimento è esente da errori? Nessuno.E' un tentativo, ma dove l'importante è la premessa che il principio unitario e totalizzante sia l'umanità. O si rimette al centro l'uomo in filosofia, oppure siamo variabili sacrificabili dentro un sistema che ormai ha come il mercato assunto uno statuto ontologico,assegnatogli dalla cultura sia teoretica e soprattutto nella prassi.
Certo che le costruzioni vanno cambiate ,in base ad una esperienza storica. La riformulazione della teoria e della prassi non può essere semplicemente ideologica materialistica, diventerebbe neo positivista e sarebbe di nuovo vinta dall'ultracapitalismo globale e finanziario,capace di fagocitare e trasformare culture.
La verità è da costruire sull'umanità con la sua fallacità, ma dentro un ordine morale che diventa prassi inalienabile .Non si può mediare sulla dignità umana,diventerebbe la contraddizione attuale che ha da una parte i valori e le etiche, ma gli intenti non essendo pratiche sono state soppiantate dall'ordine economico. Se la morale viene dopo l'economia (ad esempio B.Croce nel trattato sull'estetica lo dice chiaramente), non ci sono principi umani inalienabili, tutto è negoziabile nello scopo impersonale di un mercato che nasconde invece altre persone che straguadagnano e sfruttano .
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Vecchio 30-08-2015, 21.58.27   #19
maral
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Maral mi trovo d'accordo abbastanza sull' analisi che il fenomeno in qualche modo riflette l'Io, ma solo come procedimento dialettico interiore di un Io con il suo non-IO.Il fenomeno non ha libertà, tanto meno volontà.
Non penso che il non-io in quanto tale possa appartenere all'io e si esaurisca nella sua interiorità, questo non consentirebbe l'apertura a un'esteriorità che trascende l'io nell'altro, un altro che non è semplicemente un'istanza dialettica all'interno di un discorso completamente ego centrato (e qui il riferimento va alla grande lezione morale di Levinas, al suo "Totalità e infinito"). Questo mi porta a pensare che l'altro non sia solo un fenomeno posto dall'io in sua antitesi dialettica, ma che nella sua semplice presenza manifesti una trascendenza a me radicalmente irraggiungibile e di cui io stesso sono il fenomeno. Quello di non poter pensare all'io come totalità, causa prima di qualsiasi fenomeno è fondamentale: c'è un oltre e questo oltre è dato dalla presenza a me irriducibile dell'altro che non può diventare mai mio e che per questo sento la necessità di un doveroso rispetto che mi impedisce di afferrarlo per farlo mio, mi arrendo alla sua semplice presenza e mi dispongo all'ascolto della sua parola che mi insegna senza volerlo fare.
La volontà come volontà di potenza è sempre espressione di un voler far mio che trova nell'altro l'ostacolo da annientare riducendolo a epifenomeno della mia fenomenologia, ma nel riconoscimento della differenza ontologica dell'altro nell'individualità che il suo volto e la sua parola altra mi presentano il circolo tragicamente chiuso della mia volontà si apre a un'ulteriorità che sempre mi sopravanza e in cui solo può attuarsi quello slancio all'infinito a cui l'io, da solo e per quante cose possa fare sue, non basta.
Certo che il postmoderno ha tarpato questo slancio, ma questo slancio è tarpato perché l'altro non può apparirci se non come materiale di trasformazione tecnicamente manipolabile secondo una praxis che contiene qualsiasi poiesis si voglia. E' stato tarpato perché l'altro è stato reso riconoscibile solo in forma di oggetto che posso fare continuamente mio e in questo processo di oggettivazione dell'altro io stesso divento inevitabilmente oggetto, divento il risultato di un'alienazione. L'oggetto altro senza altro significato dell'essere oggetto per me riflette a mia volta me stesso come puro oggetto per un pensiero tecnico che consente l'appropriazione di ogni oggetto, ossia l'annullamento di ogni identità non pronta a quell'uso oltre il quale non è rinvenibile alcun altro significato. Resta così solo la tecnica a porre l'unica ulteriorità e per questo solo il discorso tecnico appare meritevole di ascolto.
Il soggetto si sente quindi alienato, ma senza capire che la sua alienazione è il riflesso dell'alienazione dell'oggetto che gli è altro e dalla cui possibilità è stato sedotto in nome della possibilità che continuamente gli viene offerta come infinita possibilità tecnica di goderne divorandolo. E così, non trovando più alcun altro effettivo, ma solo altri oggett da digerirei, egli stesso muore nella sua radicale, bulimica e più o meno insoddisfatta solitudine, come di dovere, materiale di consumo per null'altro che il consumo stesso.

Ultima modifica di maral : 30-08-2015 alle ore 22.10.53.
maral is offline  
Vecchio 31-08-2015, 00.33.01   #20
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Originalmente inviato da paul11
Quale procedimento è esente da errori? Nessuno.E' un tentativo, ma dove l'importante è la premessa che il principio unitario e totalizzante sia l'umanità. O si rimette al centro l'uomo in filosofia, oppure siamo variabili sacrificabili dentro un sistema che ormai ha come il mercato assunto uno statuto ontologico,assegnatogli dalla cultura sia teoretica e soprattutto nella prassi.
Certo che le costruzioni vanno cambiate ,in base ad una esperienza storica. La riformulazione della teoria e della prassi non può essere semplicemente ideologica materialistica, diventerebbe neo positivista e sarebbe di nuovo vinta dall'ultracapitalismo globale e finanziario,capace di fagocitare e trasformare culture.
La verità è da costruire sull'umanità con la sua fallacità, ma dentro un ordine morale che diventa prassi inalienabile .Non si può mediare sulla dignità umana,diventerebbe la contraddizione attuale che ha da una parte i valori e le etiche, ma gli intenti non essendo pratiche sono state soppiantate dall'ordine economico. Se la morale viene dopo l'economia (ad esempio B.Croce nel trattato sull'estetica lo dice chiaramente), non ci sono principi umani inalienabili, tutto è negoziabile nello scopo impersonale di un mercato che nasconde invece altre persone che straguadagnano e sfruttano .
Eccoci di nuovo qui
Credo tu abbia capito male: non critico la dialettica perché non è priva di errori (quale teoria non ne ha),ma perché fa finta di non vederli,li ignora. Tesi e antitesi,a loro modo ugualmente giuste. E se fossero inconciliabili?non è possibile. Si accetta ogni contraddizione per non vedere eventuali errori. E invece è così,non può esistere un mercato o una libera concorrenza etica,perché il loro fine è quello di accumulare ricchezza privata,non realizzare un bene collettivo. Se il fenomeno rimane una fallace costruzione umana (sempre riedificabile) allora la contraddizione è superabile,se diventa un elemento a sé stante con cui venire a patti la frattura non si può sanare. Spero di essere stato chiaro
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