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Vecchio 30-03-2009, 17.34.03   #1
emmeci
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La tirannia dei valori

“I cosiddetti “valori” sono cose su cui non si discute o si è cessato di discutere….sono i padri di tutte le guerre” dice il biologo Edoardo Boncinelli in un libro-confronto col filosofo Giulio Giorello, il quale, riconoscendo che i giovani oggi sono giustamente insofferenti a un’etica comandata dall’alto, sembra rincarare la dose parlando di “tirannia dei valori” e ricordando che ill famoso giurista tedesco Carl Schmitt afferma che coll’elevare un’idea o una convinzione a valore si finisce col giustificare qualunque mezzo e alla fine qualunque pretesa. Il libro, edito da Rizzoli col titolo “Lo scimmione intelligente”, è ricco di spunti, che trovano un punto nevralgico in questa sorprendente interpretazione: sorprendente, visto che si è abbondantemente recriminato sul fatto che la nostra epoca è contrassegnata da un’erosione se non da un crollo dei valori, che se da una parte può sembrare che porti i filosofi verso il pensiero debole o il nichilismo, è marchiato dalla Chiesa come dannato relativismo: e non solo dalla Chiesa perché, eliminati tutti i valori, che cosa resta alla nostra civiltà da gloriarsi di fronte alle altre?
Eppure credo che la posizione dei catastrofisti (“senza valori non c’è storia degna del nome”) dipenda proprio dall’identificare i valori come principi assoluti, mentre se li intendiamo come approssimazioni a una verità che ancora ci sfugge, cioè come valori relativamente assoluti conservano (se mi si perdona il gioco di parole) un loro effettivo valore.
Anche se ovviamente questo deve imporre una saggia prudenza a chi si assume il compito di giudicare: si tratti di magistrati chiamati a valutare l’effettiva responsabilità di un individuo che compie un’azione (siamo o non siamo condizionati dalla nostra psiche e dal nostro genoma, cioè siamo veramente liberi?) o, dall’altra parte, di credenti che, istruiti da Bibbie e Vangeli, considerano gli uomini capaci e incapaci di ascoltare la voce della coscienza, cioè di distinguere fra il valore dei comandamenti di Dio e un diverso valore - che lo si voglia chiamare Satana o Darwin. Ma siamo sicuri che la Chiesa esclude veramente il relativismo? “Che bravi questi pensatori – dice Giorello – ossequiosi dell’istituzione nota come Chiesa cattolica romana, che teorizzano insieme il "siamo tutti peccatori" e il "basta che io mi penta e vado via assolto!” Forse anche la Chiesa, qualche volta, non esclude del tutto il relativismo.
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Vecchio 30-03-2009, 19.54.18   #2
epicurus
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Riferimento: La tirannia dei valori

Citazione:
Originalmente inviato da emmeci
“I cosiddetti “valori” sono cose su cui non si discute o si è cessato di discutere….sono i padri di tutte le guerre”
[...]
Carl Schmitt afferma che coll’elevare un’idea o una convinzione a valore si finisce col giustificare qualunque mezzo e alla fine qualunque pretesa.
[...]
Eppure credo che la posizione dei catastrofisti (“senza valori non c’è storia degna del nome”) dipenda proprio dall’identificare i valori come principi assoluti, mentre se li intendiamo come approssimazioni a una verità che ancora ci sfugge, cioè come valori relativamente assoluti conservano (se mi si perdona il gioco di parole) un loro effettivo valore.

Certo, concordo: se si identificano i valori etici con i principi indiscutibili ed assoluti, allora non potremo mai liberarci dai fondamentalismi e quindi da molte disgrazie.

Il problema, però, mi pare che risieda in una cattiva immagine che si ha dell'etica. Molte persone, filosofi compresi, pensano che l'etica non sia altro che un sistema gerarchico di norme. Una persona morale, per i sostenitori di questa posizione, non è nient'altro che un seguitore di regole, bravo nell'applicare la regola giusta in relazione alla gerarchia dei principi etici.

Ma questo, mi pare evidente, non può che essere una visione distorta della dimensione etica. Se una persona sta soffrendo, io l'aiuto NON perché c'è una norma etica che mi dice che così devo fare, bensì aiuto quella persona perché mi sento obbligato ad alleviare la sofferenza di tale individuo. Mentre agisco in aiuto di un sofferente sono concentrato sulla persona e sulla sua situazione di dolore, non penso alla norma etica da applicare, non mi interessa, e non dovrebbe neppure interessarmi.

Questo distingue un mero seguitore di regole da una persona pienamente collocata nella dimensione etica umana.

In questa umanizzazione dell'etica (in contrapposizione con la disumanizzazione del seguitore di regole assolute), non ci sono appunto principi assoluti, bensì c'è la persona con la sua sofferenza, e noi che cerchiamo di trovare una soluzione per lenire tale dolore. I cosiddetti "valori" sono ciò che storicamente abbiamo trovato essere delle buone soluzioni generali a problemi etici. Naturalmente nelle situazioni concrete e specifiche vi sono sempre più valori in gioco, e questi sono in competizione l'un con l'altro: e non è possibile ordinare a priori tali valori come faceva il seguitore di regole. Tale ordinamento non è possibile, e non è neppure rilevante: nel maggior parte dei casi la soluzione al caso specifico sarà un compromesso di una moltitudine di valori.

Ma questo compromesso, ancora una volta, non è frutto di una particolare regola decisa a priori e imposta come assoluta. Il processo di trovare un trade-off tra valori sarà sempre e comunque guidato dalla volontà di aiutare il bisognoso.



p.s. Quindi, Emmeci, non solo non conosciamo i principi etici assoluti, ma tali principi etici assoluti non esistono (per esser più preciso: "principi etici assoluti" è un'espressione senza senso).
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Vecchio 31-03-2009, 08.57.44   #3
Giorgiosan
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Riferimento: La tirannia dei valori

Citazione:
Originalmente inviato da epicurus
.... non solo non conosciamo i principi etici assoluti, ma tali principi etici assoluti non esistono (per esser più preciso: "principi etici assoluti" è un'espressione senza senso).

E' proprio così.


Sui valori.

In un rank order dei valori più condivisi da una determinata categoria di persone compaiono il divertimento e la ricchezza.
E' evidente come anche per i valori sia difficile trovare ampi consensi.

Ed allora bisogna accettare che il relativismo è inevitabile?

Suppongo che lo sia.

Siamo proprio sicuri che il relativismo di fatto è solo un frutto dei nostri tempi?
Un più vasto consenso etico nel passato non era più che altro frutto d'ipocrisia o di camaleontismo?
Giorgiosan is offline  
Vecchio 31-03-2009, 10.39.27   #4
emmeci
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Riferimento: La tirannia dei valori

Sì, l’etica (come l’estetica) sono discipline sempre traballanti se non addirittura senza valore quando si passa – come diceva Goethe – “dalla grigia teoria all’albero d’oro della vita”: e il tuo rifuggire dall’etica nel momento in cui ti trovassi, Epicurus, a dover soccorrere qualcuno ne è un’efficace esemplificazione. E’ la sconfitta di tutto ciò che si presenta come un modello che irrigidisce i cuori e le menti e la tua rinuncia alle regole è in fondo ciò cui io stesso giungo quando penso alla parola pietà, che a volte mi appare come la norma assoluta, ma subito sono costretto a riconoscere che sembra tale nonostante o proprio perché è inapplicabile assolutamente, quando una scelta è ardua e forse impossibile – cioè quando si diano casi in cui non sapresti chi veramente soccorrere e come realizzare l’ideale della pietà.
Ma, per lasciare da parte questi casi estremi e assumere per un momento il compito meno stressante del filosofo, ricordo quanto Max Weber scriveva a proposito dei compiti dello storico: il quale dovrebbe prescindere da ogni considerazione dei valori, anche da quelli in cui egli personalmente crede e per cui non manca di agire quando non fa lo storico; e ricordo però che lui non poté reggere a lungo all’aria rarefatta del teorico della storia e dovette a un certo momento ricredersi….Così che io, nel presentare questo argomento, non ho voluto a buon conto azzardare un giudizio definitivo riguardo ai valori, che sono, specialmente oggi, una materia difficile da trattare, potendo apparire come luminosi fantasmi e come spettri capaci di raggelare la vita.
Un dubbio rimane comunque dopo aver letto le tue valide argomentazioni, perché mi pare che rimandi tutto a un impegno verso l’essere umano, escludendo dubbi sulla possibilità di considerarlo un soggetto insufficiente quando si parla di valori e morale.
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Vecchio 31-03-2009, 17.51.06   #5
epicurus
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Riferimento: La tirannia dei valori

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Originalmente inviato da Giorgiosan
Epicurus:<<.... non solo non conosciamo i principi etici assoluti, ma tali principi etici assoluti non esistono (per esser più preciso: "principi etici assoluti" è un'espressione senza senso).>>

E' proprio così.

[...] bisogna accettare che il relativismo è inevitabile?

Suppongo che lo sia.

Se leggi attentamente il mio intervento troverai sì un attacco all'assolutismo morale, ma non una difesa del relativismo. Anzi dalle mie parole si può capire più o meno implicitamente che la morale ha un carattere intersoggettivo, nel senso che un gruppo di persone possono dialogare tra loro per trovare una soluzione migliore per alleviare la sofferenza del prossimo. Cioè, non è vero che tutto va bene, anzi.

Citazione:
Originalmente inviato da emmeci
Sì, l’etica (come l’estetica) sono discipline sempre traballanti se non addirittura senza valore quando si passa – come diceva Goethe – “dalla grigia teoria all’albero d’oro della vita”: e il tuo rifuggire dall’etica nel momento in cui ti trovassi, Epicurus, a dover soccorrere qualcuno ne è un’efficace esemplificazione. E’ la sconfitta di tutto ciò che si presenta come un modello che irrigidisce i cuori e le menti e la tua rinuncia alle regole è in fondo ciò cui io stesso giungo quando penso alla parola pietà, che a volte mi appare come la norma assoluta, ma subito sono costretto a riconoscere che sembra tale nonostante o proprio perché è inapplicabile assolutamente, quando una scelta è ardua e forse impossibile – cioè quando si diano casi in cui non sapresti chi veramente soccorrere e come realizzare l’ideale della pietà.

Il "sentimento morale", cioè l'obbligo che sentiamo verso il sofferente di aiutarlo, -- che potremo chiamare, come tu proponi, pietà -- è il fondamento della morale, il suo fine, la guida che deve sottostare ogni nostra azione etica. E' naturale, poi, che nel momento dell'attuazione dell'azione, della scelta del compromesso tra i vari valori, deve subentrare una forma di argomentazione che potremo chiamare "ragion pratica".
In sintesi: si utilizza la ragion pratica guidata dal nostro sentire morale.

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Originalmente inviato da emmeci
Un dubbio rimane comunque dopo aver letto le tue valide argomentazioni, perché mi pare che rimandi tutto a un impegno verso l’essere umano, escludendo dubbi sulla possibilità di considerarlo un soggetto insufficiente quando si parla di valori e morale.

Sono ben consapevole che le scelte morali, molte volte, si presentano come dei veri e propri dilemmi: non ho intenzione, quindi, di affermare che tutte le questioni morali sono di facile soluzione, anzi. Ma non voglio neppure cedere dall'altra parte, affermando che l'uomo non è minimamente in grado di trattare alcuna questione morale. Chi mai potrebbe farlo se non lui?

E quando pensiamo ai valori assoluti, davvero crediamo che da qualche parte nell'universo esiste la prescrizione "non dire falsa testimonianza" proprio come là fuori c'è un sistema solare?
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Vecchio 01-04-2009, 08.41.12   #6
emmeci
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Certo, epicurus, possiamo pensare che l’universo non abbia un decalogo, cioè non abbia problemi morali, e che questi siano un’invenzione dell’uomo – così ingenuo da ritenere quella in cui si trova una situazione ottimale, o così pretenzioso da fargli pensare che la natura è matrigna e che le leggi su cui l’universo si regge sono leggi cattive – mettendosi in questo caso contro non solo i religiosi (per i quali Dio ha creato un mondo bello e il settimo giorno si riposò) ma gli scienziati, che considerano stolto chi pretende di giudicare leggi fisiche col metro morale. Però il problema non è così facilmente risolvibile mettendo a tacere il moralista, perché il suo giudizio mette in crisi non solo la religione e la scienza ma l’uomo nella sua più profonda essenza, cioè nella sua capacità di pensare e riflettere sull’intero universo – che è ciò che lo distingue dalle altre specie assai più che la semplice autocoscienza: la capacità di abbracciare tutto col pensiero e quindi anche col giudizio morale secondo quello che potrei chiamare un “principio antropico” veramente forte, e che potrebbe essere formulato così: l’universo è fatto in modo che potesse essere non solo percepito da un osservatore ma giudicato secondo criteri morali. Il che porrebbe la religione di fronte a un definitivo show-down e all’obbligo di dimostrare che l’uomo è veramente fatto a somiglianza di Dio, e quindi sia soddisfatto di quello che esiste, o sia moralmente più esigente di lui. Perché chi ha un’idea più giusta dell’universo? Dio o Schopenhauer? San Francesco o Eschilo? E, alla fine, il religioso che si compiace di questo universo, lo scienziato che lo lascia alla sua realtà, o il filosofo che può qualche volta giudicarlo cattivo?
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Vecchio 01-04-2009, 13.54.07   #7
Giorgiosan
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Originalmente inviato da epicurus
Se leggi attentamente il mio intervento troverai sì un attacco all'assolutismo morale, ma non una difesa del relativismo. Anzi dalle mie parole si può capire più o meno implicitamente che la morale ha un carattere intersoggettivo, nel senso che un gruppo di persone possono dialogare tra loro per trovare una soluzione migliore per alleviare la sofferenza del prossimo. Cioè, non è vero che tutto va bene, anzi.

Sì, ma la negazione dell'assolutismo morale implica, anche senza difenderlo, il relativismo morale.
Anche parlare di un ricerca morale all'interno di un gruppo dialogante implica l'idea del relativismo.
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Vecchio 02-04-2009, 15.13.00   #8
epicurus
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Certo, epicurus, possiamo pensare che l’universo non abbia un decalogo, cioè non abbia problemi morali, e che questi siano un’invenzione dell’uomo

Già questo tuo modo di esprimerti è profondamente forviante. Mi pare ovvio che l'universo non può essere considerato un agente da rimproverare o da lodare... ma questo non ci costringe a dire che i problemi morali sono inventati dall'uomo, nel senso che sono in qualche misura arbitrari e soggettivi. Eventualmente si può dire che è l'uomo che si può porre problemi morali.

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Sì, ma la negazione dell'assolutismo morale implica, anche senza difenderlo, il relativismo morale.

Ciò è vero se assumi che le uniche posizioni siano l'assolutismo e il relativismo, ma io credo che queste due opzioni non rappresentano tutto lo spettro possibile...
In particolare, io non reputo falso l'assolutismo morale, lo reputo un nonsense, ma è ovvio che anche una negazione del nonsense è un nonsense a sua volta.

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Originalmente inviato da Giorgiosan
Anche parlare di un ricerca morale all'interno di un gruppo dialogante implica l'idea del relativismo.

No, la ricerca morale all'interno di un gruppo morale esclude il relativismo. Se è tutto relativo, allora non c'è spazio per dei disaccordi, tanto è solo questione soggettiva, proprio come non ci può essere disaccordo tra di noi se sei più buono il gelato alla nocciolo o alla crema ("tanto è solo questioni di gusti").
Il disaccordo e la ricerca hanno senso solo se si presuppone che non valga il "tutto va bene" del relativismo, cioè si deve avere qualche idea di oggettività. Quello che propongo, infatti, è un'idea di etica non relativista, non assolutista, ma umana e oggettiva.

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Vecchio 02-04-2009, 16.11.10   #9
Giorgiosan
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Originalmente inviato da epicurus


Ciò è vero se assumi che le uniche posizioni siano l'assolutismo e il relativismo, ma io credo che queste due opzioni non rappresentano tutto lo spettro possibile...
In particolare, io non reputo falso l'assolutismo morale, lo reputo un nonsense, ma è ovvio che anche una negazione del nonsense è un nonsense a sua volta.



No, la ricerca morale all'interno di un gruppo morale esclude il relativismo. Se è tutto relativo, allora non c'è spazio per dei disaccordi, tanto è solo questione soggettiva, proprio come non ci può essere disaccordo tra di noi se sei più buono il gelato alla nocciolo o alla crema ("tanto è solo questioni di gusti").
Il disaccordo e la ricerca hanno senso solo se si presuppone che non valga il "tutto va bene" del relativismo, cioè si deve avere qualche idea di oggettività. Quello che propongo, infatti, è un'idea di etica non relativista, non assolutista, ma umana e oggettiva.


Per etica umana, suppongo che tu ti riferisca ad un etica razionale prodotta dalle donne e dagli uomini.

Ciò che è oggettivo ...

Per oggettivo si può intendere: reale, che ha per fondamento la realtà per sé stessa, concernente l'oggetto in quanto simbolo di una sussistenza autonoma o generalizzata e quindi estraneo a qualsiasi possibilità di intervento o di interpretazion da parte dell'individuo, spassionato, imparziale.

Converrai che propore un'etica oggettiva sposta il problema al significato di questo vocabolo.

Se non identifichi il significato che intendevi con oggettivo con alcuno di quelli proposti sopra, esprimi il significato che tu attribuisci ad oggettivo.

Ciao

Ultima modifica di Giorgiosan : 02-04-2009 alle ore 20.44.59.
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Vecchio 02-04-2009, 16.47.27   #10
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Originalmente inviato da Giorgiosan
Per etica umana, suppongo che tu ti riferisca ad un etica razionale prodotta dalla donne e dagli uomini.

Intendo più precisamente quello che ho affermato nei post precedenti.

Citazione:
Originalmente inviato da Giorgiosan
Ciò che è oggettivo ...

Per oggettivo si può intendere: reale, che ha per fondamento la realtà per sé stessa, concernente l'oggetto in quanto simbolo di una susistenza autonoma o generalizzata e quindi estraneo a qualsiasi possibilità di intervento o di interpretazion da parte dell'individuo, spassionato, imparziale.

Leggendo quello che ho scritto si può capire che per "oggettivo" non intendo "aderente ai fatti" (infatti i valori morali non stanno là fuori nel mondo, non sono cose concrete), bensì lo intendo in contrapposizione a soggettivo ed arbitrario. Quindi l'etica che propongo è oggettiva perché nei problemi morali io dichiaro che ci sono posizioni migliori di altre, cioè nego che ogni posizione possa andare bene nella stessa misura.
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