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Vecchio 10-01-2014, 12.23.22   #21
Aggressor
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Riferimento: La vita e la paura di morire

In merito a questo dibattito tra sgiombo e Duc in altum! devo appoggiare il ragionamento di quest'ultimo. Esistono prove circa l'impossibilità di avere una coscienza (seppur molto diversa) dopo la morte? Non mi pare proprio e questo, come diceva Duc in altum!, è un mero dato di fatto (nessuno è tornato indietro per dircelo, né per dirci il contrario cosa che sarebbe di per sé impossibile). Ciò che può sembrare molto credibile, in base ad osservazioni dirette, è che ci si trasformi molto una volta morti, la quantità enorme di interazioni chimiche nel cervello cessa quasi del tutto o del tutto; di qui, se si sapesse bene cosa è l'Io e si conoscesse di preciso come emerge la coscienza e la sua natura, potremmo dire qualcosa di più, eppure per ora, su questi argomenti, dobbiamo rimanere nel capo della pura teoria (e molti neuroscienziati di fama sembrano avvezzi ad interpretazioni da filosofia orientale, nel senso di una identificazione dell'Io col tutto).

Ciò non vuol dire che non si possano esporre varie posizioni personali; per esempio io credo che il concetto di "nulla" sia vuoto, per cui dire che la coscienza diventi un nulla mi pare assurdo, tra l'altro non credo nemmeno all'esistenza di un Io con proprietà oggettive o a sé stanti, per cui nemmeno ammetterò facilmente che esso sparisca del tutto con la "morte". Infatti "presentarsi diversamente", se di per sé non si è in alcun modo particolare, non può voler dire "non essere più come si era prima", ammettendo che già prima non si era obbiettivamente in un certo preciso modo.

Però so che per Sgiomo tutto ciò è falso; sei un pensatore lucido, credo, ma non ho mai capito il tuo principio di identità che in questi casi diventa importante. Il mio, come ho più volte spiegato, non si basa sul riconoscimento della forma. Se fosse così ad ogni istante non saremmo più noi stessi, ed allora non saremmo neanche mai veramente vivi, per cui niente cambierebbe da adesso a dopo "la morte" (ed allora non si dovrebbe comunque ammettere questa grande differenza tra i vivi e i morti). Ma il motivo per cui non baserei un principio di identità sulle modalità tramite cui gli enti si mostrano è che essi, come dicevo prima, non sono mai obbiettivamente in un certo modo, le proprietà non gli competono di per sé, ma sempre relativamente a qualcos'altro. Non posso riconoscere "Mario" perché è quello alto, se nello stesso istante, paragonato a persone diverse, potrebbe essere quello basso, ecc.
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Vecchio 10-01-2014, 12.26.38   #22
sgiombo
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Riferimento: La vita e la paura di morire

Citazione:
Originalmente inviato da Duc in altum!
** scritto da sgiombo:

"Argomento nuovo" perché non ne eri al corrente, o "nuovo" in quanto di recente investigazione?!?!

Per il ridicolo, non vorrei sbagliare, ma da Copernico ad Einstein, in quanti sono stati dapprima sbeffeggiati e poi premiati per le loro teorie?!?!


Si tratta di vecchie sciocchezze ricorrenti già ripetutamente sentite.

Per un Copernico e un Einstein ci sono dozzine di ciarlatani giustamente finiti nel dimenticatoio.

E con questo spero di poter chiudere definitivamente questa noiosa e poco producente discussione che ha ben poco a che vedere con l' argomento proposto dall' inizitore del tread (credo si dica così; mi piace parlare nella nostra spendida lingua italiana e ci tengo a precisare che uso questo termine inglese solo per evitare una ripetizione).
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Vecchio 11-01-2014, 00.41.08   #23
gyta
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Riferimento: La vita e la paura di morire

Io non sono una scienziata (né un'acculturata rubando un’espressione di Koirè) però proporrei una analisi semplice..

Sensazione deriva da sensi (i cinque per capirci) per tanto se i rispettivi sensi sono nella loro funzione bloccati
non si può parlare di sensazione se non in modo oltremodo improprio. Come sempre sono pedante quando spacco il capello..
D’altro canto se per percezione ci riferiamo a qualunque ipotetica possibilità di percepire senza necessità ulteriore di definire una ben precisa dinamica d’interazione e modalità di tale stato allora mi sembra più che ragionevole poter ipotizzare un vasto campo di interazioni e di forme dimensionali o se preferiamo di differenti coscienze. Ben inteso, se per coscienza intendiamo non la mente e l’intelletto umano al quale generalmente ci riferiamo e che di norma facciamo coincidere con la parte emersa dell’io.

Noto che il punto della discussione che scatena più partecipazione è proprio quello della morte e del modo di affrontarla.. Al di là di cosa sia accaduto alla coscienza di Socrate un attimo (=> nostro) dopo il fatidico momento clou penso comunque che abbia ragione quella storiella secondo cui quando c’è la morte del corpo il corpo non ha la vita che aveva solitamente. E’ veramente il meglio che posso sostenere in tale caso.

Ergo: sarebbe costruttivo occuparci di come affrontare la vita e quindi di come affrontare l’idea di una coscienza “io” che non sia più quella coscienza “io” conosciuta tramite questi cinque sensi. Forse se non temiamo l’esperienza che a qualcuno accade (coscienza) allora altrettanto sarà quando questa esperienza si rivelerà come estremo mutamento.

Comprendo che questo mio discorso non accarezza troppo il cuore, eppure più che la fiducia nella natura delle cose non vedo altra strada, priva di costruzioni metafisiche, per giungere a quella serenità (viva) che tutti auspichiamo possedere.

Se poi raggiunta questa serenità data dalla fiducia nella natura delle cose ci sovviene una qualche lettura metafisica, forse questa avrà se non altro la qualità di essere frutto di una visione lucida e non viziata degli stati di realtà.
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Vecchio 11-01-2014, 14.01.02   #24
Duc in altum!
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Riferimento: La vita e la paura di morire

** scritto da gyta:


Citazione:
Noto che il punto della discussione che scatena più partecipazione è proprio quello della morte e del modo di affrontarla.. Al di là di cosa sia accaduto alla coscienza di Socrate un attimo (=> nostro) dopo il fatidico momento clou penso comunque che abbia ragione quella storiella secondo cui quando c’è la morte del corpo il corpo non ha la vita che aveva solitamente. E’ veramente il meglio che posso sostenere in tale caso.


Il punto invece è che proprio ciò che ognuno immagina, pensa, supponga, accade alla coscienza, allo spirito, all'anima, un attimo dopo il fatidico momento, condiziona e dirige la nostra esistenza e quella dell'umanità, credo io.
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Vecchio 11-01-2014, 16.07.03   #25
sgiombo
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Riferimento: La vita e la paura di morire

Citazione:
Originalmente inviato da Duc in altum!
** scritto da gyta:





Il punto invece è che proprio ciò che ognuno immagina, pensa, supponga, accade alla coscienza, allo spirito, all'anima, un attimo dopo il fatidico momento, condiziona e dirige la nostra esistenza e quella dell'umanità, credo io.


Devo del tutto inaspettatamente dire che sono d' accordo, seppure in parte.

Infatti anch' io credo che ciò che si pensa circa la realtà della morte condizioni ciò che facciamo in vita, anche se -per perte mia- non esclusivamente ma insieme anche ad altre credenze e aspirazioni.
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Vecchio 11-01-2014, 16.39.41   #26
sgiombo
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Riferimento: La vita e la paura di morire

Citazione:
Originalmente inviato da Aggressor
In merito a questo dibattito tra sgiombo e Duc in altum! devo appoggiare il ragionamento di quest'ultimo. Esistono prove circa l'impossibilità di avere una coscienza (seppur molto diversa) dopo la morte? Non mi pare proprio e questo, come diceva Duc in altum!, è un mero dato di fatto (nessuno è tornato indietro per dircelo, né per dirci il contrario cosa che sarebbe di per sé impossibile). Ciò che può sembrare molto credibile, in base ad osservazioni dirette, è che ci si trasformi molto una volta morti, la quantità enorme di interazioni chimiche nel cervello cessa quasi del tutto o del tutto; di qui, se si sapesse bene cosa è l'Io e si conoscesse di preciso come emerge la coscienza e la sua natura, potremmo dire qualcosa di più, eppure per ora, su questi argomenti, dobbiamo rimanere nel capo della pura teoria (e molti neuroscienziati di fama sembrano avvezzi ad interpretazioni da filosofia orientale, nel senso di una identificazione dell'Io col tutto).

Ciò non vuol dire che non si possano esporre varie posizioni personali; per esempio io credo che il concetto di "nulla" sia vuoto, per cui dire che la coscienza diventi un nulla mi pare assurdo, tra l'altro non credo nemmeno all'esistenza di un Io con proprietà oggettive o a sé stanti, per cui nemmeno ammetterò facilmente che esso sparisca del tutto con la "morte". Infatti "presentarsi diversamente", se di per sé non si è in alcun modo particolare, non può voler dire "non essere più come si era prima", ammettendo che già prima non si era obbiettivamente in un certo preciso modo.

Però so che per Sgiombo tutto ciò è falso; sei un pensatore lucido, credo, ma non ho mai capito il tuo principio di identità che in questi casi diventa importante. Il mio, come ho più volte spiegato, non si basa sul riconoscimento della forma. Se fosse così ad ogni istante non saremmo più noi stessi, ed allora non saremmo neanche mai veramente vivi, per cui niente cambierebbe da adesso a dopo "la morte" (ed allora non si dovrebbe comunque ammettere questa grande differenza tra i vivi e i morti). Ma il motivo per cui non baserei un principio di identità sulle modalità tramite cui gli enti si mostrano è che essi, come dicevo prima, non sono mai obbiettivamente in un certo modo, le proprietà non gli competono di per sé, ma sempre relativamente a qualcos'altro. Non posso riconoscere "Mario" perché è quello alto, se nello stesso istante, paragonato a persone diverse, potrebbe essere quello basso, ecc.

Poiché nessuno é mai tornato in vita, nessuno ci può testimoniare nemmeno che dopo la morte si sente qualcosa (in qualche misterioso modo, diverso da quello del sentire in vita), e non solo che ciò non accada.
Dunque questo non é un argomento a sostegno di nessuna delle due ipotetiche alternative in discussione.
Ma la scienza, con tutti i suoi limiti e assunzioni non provabili, resta comunque il migliore (o per lo meno il meno peggiore) e più attendibile (o per lo meno il meno inattendibile; quello necessitante del minor numero di asserzioni arbitrarie e indimostrabili, relativamente a qualsiasi altro e in assoluto) insieme di credenze di cui disponiamo per agire con qualche ragionevole chance di successo.
E la scienza ci dice che non c' é coscienza che non sia per lo meno in qualche modo "associata" a un sistema nervoso vivo e funzionante (non solo dopo la morte ma nemmeno durante la vita, in determinate circostanze come il sonno senza sogni o il coma profondo).
Poi ognuno è libero ovviamente di credere e di temere (o fare oggetto di speranza e desiderio) ciò che vuole.
Altrettanto legittimamente io, con Epicuro, mi fermo di fronte all’ evidenza empirica, e temo casomai il dolore in vita (particolarmente probabile e temibile nel caso deprecabilissimo dell’ accanimento terapeutico).

Il “mio” principio di identità dice che in un determinato lasso di tempo ciò che è è (così com’ è) e che ciò che non è non è (in alcun modo).
E' quindi del tutto compatibile con l’ innegabile mutarsi della realtà (il fatto stesso di negarlo -autocontraddittoriamente- lo afferma; anzi lo rappresenta, lo é, ne é un caso particolare); id est: con il susseguirsi degli eventi; id est: con l’ essere (presente) di enti che non erano (in passato) e non saranno (in futuro) e/o con il non essere (presente) di enti che erano (in passato) e/o non saranno (in futuro).
Pe me (e non solo…) la vita ha nel cambiamento una condizione necessaria (per quanto non sufficiente).
Mi sembra ovvio che tutto ciò che conosciamo sia relativo, ma questo non ha nulla a che vedere con una pretesa coincidenza del principio di identità e non contraddizione con la presunta immutabilità parmenidea o severiniana del reale ed eternità degli enti (in realtà, almeno per Parmenide che conosco meglio, l’ ente) che si susseguono (e solo in parte coesistono) nel costituirlo.
sgiombo is offline  
Vecchio 12-01-2014, 06.48.21   #27
leibnicht
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Riferimento: La vita e la paura di morire

Citazione:
Originalmente inviato da maral
hai 16 anni, bene. E' comprensibile che tu abbia timore di sprecare la tua vita che intravedi nella nebbia degli anni che verranno, ma non soffermarti troppo su questo pensiero, nessuna vita è mai andata davvero sprecata se non a chi teme continuamente di sprecarla. vivila per come è, trovando nel sapore dolce e amaro di ogni istante la ragione per viverla. Come si suol dire vivi ogni giorno come se fosse l'ultimo e progetta ogni giorno come se non dovessi morire mai affinché ogni giorno sia sempre il primo giorno.
Quanto alla paura della morte non ce l'hai perché la morte è nel tuo pensiero ancora troppo lontana, è solo un momento incomprensibile della vita ed è giusto che sia così, ma attento a non sfidarla a mostrarsi per quello che è.
Ciao e benvenuto.

La morte e la fine delle cose hanno in comune questo. Vedrai come esse giungono sempre inaspettate, senza invito e con la faccia annoiata.
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Vecchio 12-01-2014, 11.31.32   #28
maral
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Riferimento: La vita e la paura di morire

Il punto fondamentale del morire, lo ribadisco, sta nel rapporto tra l'io e l'altro (il non io), perché è sempre l'altro che muore, non io e io muoio solo in quanto mi riconosco altro del mio altro, io muoio non in base al principio di identità per il quale sarei eterno, ma in base al principio di non contraddizione che di rimando ristabilisce la mia identità mostrandone il necessario morire. Ecco perché l'io che si è riconosciuto come altro del proprio altro chiede continuamente all'altro una testimonianza del suo non morire sperando così di poter risolvere in essa la contraddizione che lo angoscia (io come io non posso cessare di essere ciò che sono, ma io come altro del mio altro e dunque come ogni altro cesso di essere come sono, io muoio perché io mi rivelo a me stesso come una forma alienazione della mia alienazione). Ma l'altro, proprio perché è tale, perché è l'antitesi del proprio essere io, può solo confermare il suo continuo morire, il suo continuo sorgere e nascondersi al mio sguardo, laddove invece l'io è sempre presente, non può sorgere e tramontare mai per se stesso. La contraddizione dunque riappare sempre come condizione essenziale di ogni esistenza.
Wittgenstein disse di non temere la morte, perché è solo essa a dare forma e significato alla vita. Non temere la morte significa non temere quella contraddizione che è il senso più profondo del vivere, perché l'io stesso non può sussistere senza ciò che lo nega e in esso solo (nel suo morire che appare come il mio stesso morire) gli è permesso di riconoscersi.
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Vecchio 12-01-2014, 13.49.02   #29
gyta
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Riferimento: La vita e la paura di morire

Citazione:
Il punto invece è che proprio ciò che ognuno immagina, pensa, supponga, accade alla coscienza, allo spirito, all'anima, un attimo dopo il fatidico momento, condiziona e dirige la nostra esistenza e quella dell'umanità, credo io.
(Duc in altum !)
Ed è quello che fondamentalmente esprimo anch’io (due righe più sotto a ciò che hai citato):

Citazione:
Ergo: sarebbe costruttivo occuparci di come affrontare la vita e quindi di come affrontare l’idea di una coscienza “io” che non sia più quella coscienza “io” conosciuta tramite questi cinque sensi. Forse se non temiamo l’esperienza che a qualcuno accade (coscienza) allora altrettanto sarà quando questa esperienza si rivelerà come estremo mutamento.
(Gyta)

Citazione:
Il punto fondamentale del morire, lo ribadisco, sta nel rapporto tra l'io e l'altro (il non io), perché è sempre l'altro che muore, non io e io muoio solo in quanto mi riconosco altro del mio altro, io muoio non in base al principio di identità per il quale sarei eterno, ma in base al principio di non contraddizione che di rimando ristabilisce la mia identità mostrandone il necessario morire
(Maral)

Condivido.. Eppure sai bene, forse, quanto sia per chi percorre una ricerca interiore ad una certa profondità questo sentire..
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Vecchio 14-01-2014, 23.46.37   #30
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Riferimento: La vita e la paura di morire

Citazione:
Originalmente inviato da Crondom
Ciao a tutti, vorrei condividere con voi alcuni pensieri:
ultimamente rifletto molto sulle vita in generale (come tutti penso), io ho 16 e sono molto preoccupato del mio futuro, ci sono così tante cose che vorrei fare ma mi viene sempre in mente "quante sono le persone al mondo che non fanno quello che vorrebbero e sprecano la loro vita? perché io dovrei essere diverso?", e diciamo che mi sale molta depressione, poi questi pensieri scompaiono quando parlo con qualche mio a amico o mi diverto in generale ma restano sempre li, e appena tornano TUTTO perde importanza.
Avrei anche un'altro pensiero da condividere: voi avete paura di morire?

sul primo punto si tratta innanzitutto di capire in che ambiente si è, solo secondariamente ci si può chiedere se si è vittima di depressione o meno.

intanto ti consiglio i libri di galimberti sugli effetti del nichilismo sui giovani.
non sono solo questioni interiori (se mai sia esistita una interiorità) ma sempre derivati dell'agire del Mondo sul'individuo.

purtroppo nell'età teenageriale la propria individualità deve ancora finire la propria costituzione.
E' una questione delicata che di solito sovverte le generazioni che stanno davanti.
E' in questo quadro che anche la non paura della morte, che poi è semplicemente un cinismo mascherato (che governa le nuove e non solo generazioni moderne) viene a situarsi in maniera assai normale.
Se provi a guardare i video di Asia.it troverai molte similitudini col tuo sentire.

Hai ragione a dubitare che la strada che intraprenderai ti salverà, direi che sei fortunato perchè nel mentre che tu trovi la tua dimensione come persona, nello stesso tempo è come se presetissi che non basterà.
infatti: è l'ambiente stesso che risulta se non ostico almeno problematico.

ti consiglio fin da subito di entrare in un ottica politica, così da capire subito quali sono gli entusiasmi che poi UNA VOLTA PROVATI (ed è qui che molti giovani rinunciano) verranno scartati per nuove idee.

farlo nei 20 anni è diventato già troppo tardi, io che vado verso i 40 e che mai avrei avuto queste tue idee a 16 anni (le ho avute a 20) mi rendio conto che è necessario iniziare sempre prima.

Poi che questo "sempre prima" (che equivale appunto, già ora, a 16enni pensosi; non pensare di essere l'unico ), faccia parte di una ideologia apriori a qualsiasi nostra azione, sarà questione appunto dell'avvicinarsi ai 30, età che di solito chiude il processo normale di una persona intellettuale.

Se vuoi queste tematiche oltre che in Galimberti le trovi in Nietzche (non a caso l'unico vero maestro indiscusso), pochi altri direi...

bibliografia:

Galimberti : L' ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani

Nietzsche: Umano troppo umano.

Miguel Benasayag: L'epoca delle passioni tristi
green&grey pocket is offline  

 



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