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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 03-02-2014, 18.34.35   #21
Galvan 1224
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Riferimento: Perché l'irrazionalità della paura di morire?

Buonasera a tutti,

questo pomeriggio mentre riposavo (dopo una giornata di lavoro) comodamente seduto sul divano, il mio sguardo, come solitamente accade, indugiava di fronte a me sulla tenda della porta che s’oppone agli sguardi curiosi degli altri inquilini, che per uscire o entrare passano davanti al mio appartamentino al piano terra.

Pur essendo quasi trasparente assolve egregiamente il suo compito, in più diffondendo una morbida luce violetta (lilla, come del fior di lavanda) nella stanza.
Scende dall’alto ed essendo più lunga non l’ho fatta tagliar ma l’ho avvoltolata sul fondo fermandola con un paio di nastri calamitati, sì che tutte l’onde e risvolti che così si son formati, aumentandone lo spessore ne intensificano il colore.
Meraviglie del tessuto e della luce che vi trapassa… forse dev’esser stata la visione di tal mirabili effetti a perseguitar Michelangelo, inducendolo a dedicarsi a rappresentar il drappeggio, specie nell’affreschi, con stupefacente maestria.

Appunto guardavo la mia bella tenda e procedendo dall’alto verso il basso, dove son quegli arrotolamenti, ne ho ricavato la sensazione di qualcosa che compie un suo percorso, o un viaggio, e alfine si ferma… fornendomi la spiegazione di quel che ho fatto e di quel che state leggendo.

Pochi giorni addietro ho scritto la poesia che ho inserito nel mio primo messaggio. Una poesia, come altre, nata da sé, senza ricercar se non l’equilibrio dei suoni, favorito dalla rima.
Del contenuto non mi preoccupo e spesso, stranamente, il senso mi appare in seguito.

Giovedì scorso mi son ritrovato su questo sito che di tanto in tanto visiono e per la prima volta ho dato un’occhiata al forum… filosofia, perché no? L’irrazionale paura della morte… anche la mia poesia è riferita a quel soggetto e senza cercar di spiegarmene il motivo mi son iscritto, per alloggiarla in un luogo che ho trovato appropriato.

Una piega della tenda che s’è fermata, prima di toccar terra e non esser più.

Chiedendomi se il mio contributo fosse stato del tutto avulso rispetto alla discussione in corso, ho riletto la poesia per ricercarne o meno l’inerenza.
E quella che segue ne è la spiegazione.

La prima strofa racconta della morte di Socrate e della sua placida attesa della fine, che oltre a render freddo e insensibile il corpo gli toglierà la sua arte, il parlar al mondo e all’uomo.

Il saggio non cercò di procrastinare l’evento aggrappandosi alla vita, anzi ne sollecitò il compimento; e la seconda strofa rappresenta il suo sguardo (è la mia interpretazione, valida o non valida al par d’altre) volto alla vera causa, ancor prima di quella che lo condannò… la vita stessa, inscindibile dalla morte.

Così confortato di non aver sproloquiato, almeno non del tutto, mi son addentrato nella questione se la paura della morte sia o meno irrazionale; quello che ne ho tratto è che a discuter si può dir di tutto e a viverla è ben altra cosa.

Nel leggere i vostri contributi ne ho ricavato l’impressione di persone preparate e avvezze all’interloquire, con un solido background (retroterra suona male, nel caso sgiombo mi legga…) specifico alle spalle.

Quindi m’è parso onesto dichiarar il mio limite, di cultura filosofica appunto, che m’impedirà ora e per sempre di discuter entro quei confini.
Pur tuttavia la filosofia, l’amore per la verità, per la vita, appartiene a ogni uomo e mi affido a quell’amore che certamente anche voi provate per farmi scusar della presunzione (c’è sempre un po’ di presunzione nel nostro agire) d’esser capitato a casa vostra sedendomi con voi e cominciar a parlar.

Non son persona da guinzaglio e al par di farfalla divago tra fiori, non decidendomi su questo o l’altro.

Ma non voglio oltre recar disturbo e nel salutarvi dò la mia risposta, che m’è venuta dall’esperienza di vita, racchiusa nella breve storia – vera – qui sotto riportata.


Anni fa ho fatto visita per l’ultima volta a una persona cara, un parente, che sarebbe morta di lì a poco.
Giaceva in un letto, in una stanza apposita di un ospedale, un leggero divisorio tra il suo e un altro letto, dov’era in corso un’analoga evenienza.

Questo mio parente, una anziana donna a cui va tutto il mio rispetto, man mano perse autonomia e funzioni e per ultimo un ictus la costrinse al ricovero, che fu di solo un paio di giorni.
Non vedeva, non parlava e non riconosceva più i figli né tantomeno me, ma a volte pareva rispondere stringendo lievemente la mano.

Le avevano messo una mascherina dell’ossigeno, come s’usa in questi casi, pur se credo non serva a nulla… se non ad allungar d’un po’ l’agonia.
E quel che vidi l’ho sempre presente… con gran sforzo si tolse la maschera dal volto.
Subito rimessa, considerando il gesto involontario, con ancor più determinazione e forza la strappò nuovamente, da non aver dubbi fosse la sua volontà.
Un Socrate che non s’aggrappa alla vita…

Nell’uscire non potei far a meno di gettar un’occhiata all’altra donna, anch’essa agli ultimi momenti.
Costei urlava, volendo scacciar con quelle grida chi nella sua visione gli si palesava davanti e fosse lì per portarla altrove.
Resisteva con tutte le sue forze all’inevitabile.

Che grande lezione quel giorno…


Un caro saluto a tutti

Galvan
Galvan 1224 is offline  
Vecchio 04-02-2014, 10.14.36   #22
gyta
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Riferimento: Perché l'irrazionalità della paura di morire?

Citazione:
“ [..] Ma sono tutte maschere, travestimenti.
In realtà c'è una sola paura: quella di lasciarsi cadere [..] “

Ed infine forse la paura è quella di non aver vissuto.

(Mymind)

Quella di “non essere”.
Non quella di sparire ma di non essere mai stato.
Ecco perché sembra che l’amare e la morte richiamino
alla medesima esigenza.

Non so.. In tutto questo cercare di individuare la realtà che sta alla radice
di questa paura profonda, non vedo che l’urgenza dell’esperienza profonda di essere.
Esperienza radicale che personalmente sento risaltare chiara nel percorso di liberazione interiore
che descrive Fromm nel coniugare l’arte interiore di essere all’esperienza profonda di sé,
quel sé che nel risveglio spirituale svela quell’identità non più limitatamente temporale,
un’identità non più limitata dall’esperienza mentale, un’identità che è coscienza di coscienza.


Il problema perciò diventa: come giungerci?
Qual è la strada capace di portare alla realizzazione autentica di essere?

Il percorso a mio avviso non può che procedere per gradi
attraverso un cammino introspettivo di conoscenza della propria psiche,
dei propri moti interiori, sino al volto puro dell’identità di coscienza,
della coscienza di coscienza.

Un percorso che se vogliamo diventa un percorso di caduta dei veli apparenti,
un percorso di conoscenza dei simboli attraverso i quali è animata la nostra concezione mentale ed emotiva,
simboli attraverso cui la nostra mente si muove determinando ogni nostro sentire e visione,
scoprendo così al di sotto quel centro puro dell’essere
ancora e da sempre sciolto dalla cristallizzazione temporale.

La mente è potente ma la nostra psiche anche molto delicata
andrebbe accudita con quella tenerezza capace di preservarla
da una precoce dispersione (letale) fornendo quella base di morbida accoglienza
necessaria allo sviluppo graduale della fiducia.
Fiducia necessaria affinché si renda accessibile al percorso introspettivo
e la luce della mente possa emergere in tutta la sua potente dolcezza.

Citazione:
mi son addentrato nella questione se la paura della morte sia o meno irrazionale;
quello che ne ho tratto è che a discuter si può dir di tutto e a viverla è ben altra cosa.

(Galvan 1224)

Certo. Ma come dici anche tu : “pur tuttavia la filosofia, l’amore per la verità, per la vita,
appartiene a ogni uomo
” ed è proprio questo amore verso la comprensione che potrà
indicarci il modo migliore per giungere ad affrontare ciò che in noi temiamo.

Questo è l’augurio.. che quella fiducia nella comprensione possa spezzare quelle catene forti
seppure apparenti che ci impediscono di vivere profondamente e magari con serenità le esperienze
che questa coscienza man mano ci consegna.
gyta is offline  
Vecchio 04-02-2014, 22.32.01   #23
maral
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Riferimento: Perché l'irrazionalità della paura di morire?

Mi viene da pensare, rileggendo i vostri bellissimi interventi, che, dal punto di vista della consapevolezza che l'io ha di sé in rapporto all'altro, la morte rappresenta l'incontro con la dimensione del definitivamente altro. In questo senso la morte si avvicina certo all'amore e può essere vissuta, come dice Galvan nel presentare il suo ricordo, con disperata e tenace resistenza o con desiderio, il desiderio che emerge da una vita vissuta pienamente (nel proprio interiore sentimento di pienezza) e che ora, per questo, è pronta a trascendersi nell'altro che già ha conosciuto nella sua ineffabile presenza esteriore.
E' stato detto che ciò che terrorizza nel morire è l'incognita, l'altro è questa incognita che richiede tutto il coraggio che può consentire solo l'interiorità piena di una vita che si sente vissuta e quindi non più bisognosa. L'altro nel suo volto riflette ora il nostro volto, la sua trascendente lontananza sta diventando prossimità e da questa prossimità emerge il sentimento di un infinito che si carica in punto di morte di tutta la potenza di un'infinita gioia o di un infinito orrore.
Forse è il senso della propria intima esorbitante pienezza che consente nell'ultimo istante di accogliere l'avvicinarsi dell'altro che può essere intesa una vita vissuta che rende accettabile e pure desiderabile il rischio di morire.

La morte infine coinvolge direttamente e profondamente la dimensione corporea, ciò che appare al sopravvissuto è un corpo vivente diventato cadavere ed è questo cadavere che viene assorbito nella fenomenologia dell'essere.
Gyta distingue giustamente tra coscienza di essere in cui si realizzano i rapporti e il possesso ove si attuano gli scambi. Vi chiedo allora in quale ambito va collocato il nostro corpo: esprime esso la coscienza del nostro essere specifico (io sono questo corpo) o un nostro possesso sia pure molto intimo (io ho questo corpo in cui vivo)? Il mio corpo vivente è l'identità stessa o qualcosa che ad essa appartiene e in cui l'io può ritrovarsi con i suoi possessi?
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Vecchio 05-02-2014, 00.27.42   #24
gyta
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Riferimento: Perché l'irrazionalità della paura di morire?

Citazione:
Vi chiedo allora in quale ambito va collocato il nostro corpo: esprime esso la coscienza del nostro essere specifico (io sono questo corpo) o un nostro possesso sia pure molto intimo (io ho questo corpo in cui vivo)? Il mio corpo vivente è l'identità stessa o qualcosa che ad essa appartiene e in cui l'io può ritrovarsi con i suoi possessi?

Nel medesimo ambito di ogni altro concetto, quello della mente concettuale.
Può sembrare, la mia risposta, un atteggiamento per eludere la tua domanda ma non è così.
La cosiddetta realtà altro non è che una visione concettuale dell’esperienza.
Il nostro corpo non è che la risultanza di questa dimensione sensoriale
dimensione sensoriale attraverso cui la coscienza si esprime. *
Per tanto non è identità né possesso ma semplice modalità.

Probabilmente questa risposta non soddisfa di molto la mente concettuale
che procede secondo relazione e dialettica degli opposti.
Ma un migliore linguaggio per ora non mi viene..

Non facile maneggiare questo livello di discussione..
seppure sia centrale all’emersione della consapevolezza di sé..

Questa è una delle domande prova del nove del livello autentico di consapevolezza..
Il mio massimo per ora è la risposta razionale relativa alla mia di consapevolezza mentale..



* dimensione sensoriale attraverso cui la coscienza si esprime:
dimensione sensoriale attraverso cui la realtà si esprime//
dimensione sensoriale attraverso cui la potenzialità si esprime//
Cosa sia la potenzialità diventa la medesima domanda del cosa sia
"ciò" che si esprime. E l'unica risposta ancora una volta non può che essere
che ciò che si esprime viene inteso secondo modalità in cui si esprime.. ovvero
la risposta non esiste al di fuori dell'ambito di ipotetica relazione di chi domanda cosa.
Questo per ora ciò che razionalmente (ed intuitivamente) riesco a dedurre..
gyta is offline  
Vecchio 05-02-2014, 19.57.39   #25
Roquentin
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Riferimento: Perché l'irrazionalità della paura di morire?

Forse questa irrazionalità agita solo certi animi che non "riducono" ad un fine escatologico la fine. La domanda per eccellenza è "perché l'essere e non il nulla", il mondo greco ha dato le sue risposte dicendo che l'ente viveva nel fuoco di un suo essere proprio, ma la tradizione giudaico-cristiana ha rovesciato il problema prospettando un creazione dal nulla.
Oggi è molto difficile rispondere alla domanda "perché si muore". Difficile, molto, perché la morte è continuamente allontanata e banalizzata. Siamo sin troppo prossimi ad una qualche mortalità altrui da non pensare più alla nostra. 100 morti in Iraq, 34 in Siria, 1000 in Perù per un terremoto... La morte esposta è come esorcizzata nella forma per i molti, per i più "addomesticati". Epicuro è un filosofo per certi versi "inattuale", molto meglio Eraclito per pensare la morte. Molto Meglio Heidegger, per il quale già sempre ci si orienta alla morte.

Debbo dire che non è la morte a spaventarmi, quanto l'inanità della vita. Mi inorridisce questo alone di addomesticamento al presente. Direi che la morte va ripensata, oggi più che mai è necessario ripensare alla morte.
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Vecchio 06-02-2014, 06.18.39   #26
Mymind
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Riferimento: Perché l'irrazionalità della paura di morire?

Condivido ampiamente ciò che afferma Gyta ai riguardi della pienezza delle coscienza dell'essere, che se raggiunta consentirebbe di accettare la morte come un ente naturale e che la natura vuole. Poichè infine nell'accettare l'essere e la vita non ci si può esimere dall' accettare anche la morte che da essa pende e l'avvalora, ed è superando e trascendendo questa dualità che si potrà essere liberi di accettare sia la vita che la morte come un qualcosa che è parte della coscienza. Credo che questo punto di vista si avvicini più ad una filosofia orientale che occidentale, ma forse è ciò che è necessario per concepire certe cose. Il raggiungimento dell'essere e la sua pienezza non è affar semplice, varie son le identificazioni di quest'essere, del sè ed è qualcosa che si trova (o raggiunge) solo dopo una lunga ricerca. Ovviamente una ricerca interiore, metafisica che passa però anche dalla parte piscologica e ambientale. La mente ed il pensiero offuscano il sè con i loro condizionamenti esterni ed i valori di solito dipendono da questo. Si dovrà andare perciò oltre i valori conosciuti, oltre il condizionamento del proprio tempo e del proprio ambiente rendendosi coscienti di cosa ha modificato la nostra visione della realtà. Dopo di ciò può iniziare la ricerca verso ciò che a seconda delle filosofie viene vista come illuminazione(buddhista) oppure la vacuità (zen). Grandi metafore di più significati, ma tutti accomunati da un superamento della condizione psicologica discernendo la realtà materiale per lasciar posto alla pura coscienza invece che al pensiero naufrago. Il raggiungimento di quelle peak experience, così come le definisce lo psicologo Maslow, sarebbero il "trampolino" per inoltrarsi in una concezione della vita e della realtà, riuscendo a identificare il proprio sè, la propria parte più intima, libera da desideri, quindi da sofferenze che non ha necessità di un qualcosa esterno ad esso per essere realizzato e soddisfatto, essendo già completo in sè. Il saggio, forse stoico, forse illuminato, forse coscienzioso di ciò che è e di cosa è la realtà, non temerà la morte nemmeno se lo indicasse. Qual sciocca pretesa è quella di non dover morire quando è giunta l'ora? Posso capirlo in un giovine immaturo, ma non in una persona che ha vissuto più di 50 anni senza rendersi e accettare a buon viso il conto che la morte è parte della vita. Si tratta infine del rapporto che sia ha con la propria weltanschauung, che se generata da un coscienzioso sè (espressione della pienezza dell'essere) , non potrà vacillare in condizione ai fatti.
Nel dire al bimbo che gioca che dovrà andarsene via lo si farà piangere, il saggio che nel sentirsi dire "E' ora di andare", dopo che ha raggiunto la soddisfazione e completezza interiore, sorriderà a qualsiasi voce, senza fretta e senza calma.
Per questo indicavo come paura l'ignoto di come avverrà la morte e come paura più profonda quella di non aver vissuto, quella di non essere stati soddisfatti dalla vita, di volere ancora un po' di tempo per soddisfare la stessa voglia del bambino di giocare.

In amore profondo, gli amanti hanno sempre avuto la sensazione che questo fosse il momento giusto per morire. Se la morte arrivasse, sarebbe benvenuta, perché sono aperti anche alla morte. Se sei aperto alla vita, sarai aperto alla morte. Se sei chiuso alla vita, sarai chiuso alla morte. Osho

E' immortale chi non ha mai pensato alla morte. Carmelo Bene

Chi non vuole morire si rifiuta di vivere, perché la vita ci è stata data a patto di morire. La morte è il termine certo a cui siamo diretti e temerla è da insensato, poiché si aspetta ciò che è certo e solo l'incerto può essere oggetto di timore. La morte è una necessità invincibile e uguale per tutti: chi può lamentarsi di trovarsi in una condizione a cui nessuno può sottrarsi? Seneca

Non temiamo la morte, ma il pensiero della morte. Seneca

Perciò tutto dipende dal rapporto che si ha con essa, e quindi con la vita e quanto la si conosce dopo aver prima conosciuto noi stessi.

Citazione:
Vi chiedo allora in quale ambito va collocato il nostro corpo: esprime esso la coscienza del nostro essere specifico (io sono questo corpo) o un nostro possesso sia pure molto intimo (io ho questo corpo in cui vivo)? Il mio corpo vivente è l'identità stessa o qualcosa che ad essa appartiene e in cui l'io può ritrovarsi con i suoi possessi?

Sapere la risposta a questa domanda sarebbe veramente interessante, ma nel mentre non posso che dartene una delle possibili. Dal mio punto di vista ciò che noi siamo non è nè corpo nè cervello, ovvero non basta un corpo ed un cervello per far sì che si generi pensiero o coscienza di pensiero. Noi abbiamo un corpo e lo usiamo per esserci, per esser noi. Se infine si volesse isolare la coscienza, il sè, non rimmarrebbe altro che l'energia elettrica cerebrale in movimento (in divenire) , noi siamo quell'energia che per essere ha bisogno d'un cervello e d'un corpo, utilizzati come l'elettrone "utilizza" l'atomo, come l'elettricità usa un impianto elettrico. Ma non siamo l'impianto adibito a contenitore dell'energia, siamo quell'energia stessa che vive in simbiosi.


Ultima modifica di Mymind : 06-02-2014 alle ore 21.25.12.
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Vecchio 06-02-2014, 21.28.15   #27
maral
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Riferimento: Perché l'irrazionalità della paura di morire?

Citazione:
Originalmente inviato da Mymind
Nel dire al bimbo che gioca che dovrà andarsene via lo si farà piangere, il saggio che nel sentirsi dire "E' ora di andare", dopo che ha raggiunto la soddisfazione e completezza interiore, sorriderà a qualsiasi voce, senza fretta e senza calma.
Per questo indicavo come paura l'ignoto di come avverrà la morte e come paura più profonda quella di non aver vissuto, quella di non essere stati soddisfatti dalla vita, di volere ancora un po' di tempo per soddisfare la stessa voglia del bambino di giocare.
Mi viene in mente l'ultima frase sussurrata da Wittgenstein in punto di morte: "Dite a tutti che ho avuto una vita meravigliosa".
Sono d'accordo, la percezione della raggiunta pienezza della propria vita vissuta rende possibile incontrare la morte senza terrore, rende pure desiderabile il suo presentarsi (perché è giusto e bello che una vita giunga al suo perfetto compimento). la morte, il muro d'ombra di cui nulla possiamo sapere se non per come vediamo gli altri morire trovo che sia propriamente la dimensione dell'infinitamente altro.
Mi richiamo qui al pensiero di Levinas per il quale l'incontro con l'altro (con il suo volto e la sua parola significante) è ciò che trascende verso l'infinito il traboccante godimento egoistico dell'esistenza- frattura nell'indifferenza dell'esserci- e in questa trascendenza il bisogno che spinge ad afferrare e trattenere si tramuta in desiderio che attira verso un assolutamente ignoto. Penso allora che forse occorra aver sentito l'altro in questo modo, con tutta la responsabilità verso la sua trascendenza, per essere pronti a morire, ove morire non significa finire riassorbiti dall' essere, ma partecipare dell'infinito che l'altro (l'assolutamente altro del volto della morte) conduce serenamente verso di noi senza volerci ghermire, come mai noi vivendo ghermimmo gli altri che si mostrarono nel loro indifeso bisogno di cui ci facemmo carico. Morire significa allora rompere l'isolamento per aprirsi definitivamente a quell'infinito che nessuna totalità, nemmeno quella di tutto l'essere, può racchiudere e tenere in pugno. Morire non è quindi svelamento, ma partecipazione profonda all'infinito di cui ogni esistente per ogni altro esistente è segno, partecipazione troppo profonda e grande perché il cuore di un io possa reggervi. Il morire non ha misura: è la gioia infinita di una vita meravigliosamente vissuta.

Per quanto riguarda il corpo credo che gyta dica giustamente che esso esprima la modalità sensoriale dell'esistenza che riguarda sia il rapporto con se stessi che il rapporto con gli altri. Il corpo siamo noi vivendo la dimensione sensoriale del bisogno frustrato o soddisfatto e del desiderio da cui siamo attratti, esso invece ci appartiene quando è la dimensione concettuale dell'io che coscientemente si progetta a dominare

maral is offline  
Vecchio 07-02-2014, 18.40.48   #28
david strauss
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Riferimento: Perché l'irrazionalità della paura di morire?

Citazione:
Originalmente inviato da Koirè
Capisco il tuo punto di vista che è quello della maggior parte della popolazione mondiale,tranne ,forse, per alcune tribù ancora quasi sconosciute dove la morte è venerata...e per pochi uomini ancora.
Ma se la morte,questa sconosciuta con la falce nera,invece di impaurirci ci incuriosisse?in fondo è vero..non sappiamo quello che viene dopo,per l'appunto potrebbe essere "l'idea" di morire vissuta come un cambiamento,un opportunità di conoscenza di qualcosa di mai visto.....Tanto tutti moriamo..almeno viviamo questa vita con l'idea che la morte invece che la falce abbia dei gigli in mano,che ci porti in posti nuovi e piacevoli ed il trapasso sia dolce.Così sdrammatizziamo questa paura che è intrinseca in noi.tanto non ci perdiamo nulla a pensarla così...anzi.
Saluti al Forum.

Infatti, "non sappiamo quello che viene dopo", è proprio questa inconsapevolezza che mi sembra irrazionale, non l'irrazionalità della paura di morire in sé, perché per me la "paura" di morire è perfettamente razionale, perché siamo troppo legati alla nostra vita, al nostro modo di pensare la vita, di considerarla tale, e solo perché non abbiamo ancora avuto coscienza di cosa sia la morte, cioè di cosa venga dopo la vita così come la intendiamo noi. Una caro saluto!
david strauss is offline  
Vecchio 08-02-2014, 22.38.39   #29
Koirè
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Riferimento: Perché l'irrazionalità della paura di morire?

Citazione:
Originalmente inviato da david strauss
Infatti, "non sappiamo quello che viene dopo", è proprio questa inconsapevolezza che mi sembra irrazionale, non l'irrazionalità della paura di morire in sé, perché per me la "paura" di morire è perfettamente razionale, perché siamo troppo legati alla nostra vita, al nostro modo di pensare la vita, di considerarla tale, e solo perché non abbiamo ancora avuto coscienza di cosa sia la morte, cioè di cosa venga dopo la vita così come la intendiamo noi. Una caro saluto!
Capisco il tuo punto di vista,solo un chiarimento se posso permettermi:il fatto che non sappiamo quel che viene dopo,seguendo il filo del discorso che poi hai continuato,non dovrebbe essere allora x te razionale l'inconsapevolezza di non sapere quel che dopo cè?probabilmente non ho colto il significato,in effetti sono piuttosto stanco mentre stò scrivendo,ma mi pare un controsenso.
Un caro saluto anche a te.
Koirè is offline  
Vecchio 09-02-2014, 09.25.36   #30
maral
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Riferimento: Perché l'irrazionalità della paura di morire?

Infatti non vi è nulla di più irrazionale del non voler riconoscere il limite della razionalità. La morte ci sbatte in faccia questo limite e per questo disturba e inquieta.
maral is offline  

 



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