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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 20-06-2014, 10.37.50   #71
Davide M.
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Originalmente inviato da sgiombo
Sono d’ accordo che ogni concetto si definisce attraverso l’ uso di altri concetti e dunque è relativo (a ciò che esso non è, da cui differisce).
Anche il concetto più generale di tutti, quello di “essere” si definisce in opposizione alla sua negazione (“non essere”).
Non per niente una delle citazioni più frequenti da parte mia (anche nel forum; e sono stato tentato di usarla come “firma”) è :
“Omnis determinatio est negatio” (Spinoza).

però sgiombo, se posso, la determinatio spinoziana era sempre a livello ontologico, e non concettuale, essendo quella caratteristica assunta dall'essere mediante una negazione rispetto alla totalità. La logica spinoziana era pur sempre quella formale, fondata sul principio d'identità e di non contraddizione.
Un concetto in sé è sempre assoluto, da quello che mi ricordo di aver studiato il significato di un concetto è determinato dall'unione della sfera delle connotazioni, che sono i caratteri essenziali di un concetto, e dalla sfera delle denotazioni, che sono le specie e gli individui cui tale concetto appartiene; basta che venga a cadere anche una sola connotazione, cioè un solo carattere essenziale del concetto, perché il concetto stesso si svuoti di significato.
Pertanto il concetto o è, in quanto tale, assoluto, oppure se è privo di significato non è, e non può essere nemmeno relativo, proprio perché non è. L'uso che si può fare di un concetto, che è relativo, non inerisce l'essenza dello stesso. Nella vostra discussione, ciò che è relativo, secondo me, è proprio il noumeno, in quanto indeterminato.
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Vecchio 20-06-2014, 16.11.45   #72
sgiombo
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Originalmente inviato da Davide M.
però sgiombo, se posso, la determinatio spinoziana era sempre a livello ontologico, e non concettuale, essendo quella caratteristica assunta dall'essere mediante una negazione rispetto alla totalità. La logica spinoziana era pur sempre quella formale, fondata sul principio d'identità e di non contraddizione.
Un concetto in sé è sempre assoluto, da quello che mi ricordo di aver studiato il significato di un concetto è determinato dall'unione della sfera delle connotazioni, che sono i caratteri essenziali di un concetto, e dalla sfera delle denotazioni, che sono le specie e gli individui cui tale concetto appartiene; basta che venga a cadere anche una sola connotazione, cioè un solo carattere essenziale del concetto, perché il concetto stesso si svuoti di significato.
Pertanto il concetto o è, in quanto tale, assoluto, oppure se è privo di significato non è, e non può essere nemmeno relativo, proprio perché non è. L'uso che si può fare di un concetto, che è relativo, non inerisce l'essenza dello stesso. Nella vostra discussione, ciò che è relativo, secondo me, è proprio il noumeno, in quanto indeterminato.

Pur essendo un ammiratore alquanto entusiata di Spuinoza, non posso dire di averne una conoscenza sufficiente per mettere in discussione quanto da te affermato.

Effettivamente la denotazione del concetto, essendo costituita dalla "cosa reale" che il concetto indica (per me inevitabilmente di natura fenomenica e non "cosa in sé", ma non per questom non reale; salvo ovviamente il concetto di "noumeno"), non é relativa (sarei incerto se dirla assoluta).
Però la connotazione é relativa in quanto stabilita mediante l' uso (la messa in relazione) di altri concetti. E poiché la nostra conoscenza della "cosa" é predicazione veitiera di essa, che inevitabilmente implica come condizione necessaria, anche se non sufficiente, la predicazione circa la "cosa" stessa, significata dal concetto connotato relativamente, credo si possa comunque tranquillamente sostenere che le cose in quanto conosciute (nel loro essere conosciute: predicate conformemente alla realtà) sono relative.

Tuttavia non credo che cambiando (in generale; e in particolare togliendo) qualcosa della connotazione di un concetto questo si annulli completamente (in quanto tale: si svuoti di ogni e qualsiasi significato); credo che semplicemente diventi un diverso concetto (con la necessità conseguente di usare due diversi nomi per indicarli); ma entrambi i concetti (quello originario e quello con la connotazione mutata) sono connotati relativamemte ad altri concetti.

Secondo me il concetto di "noumeno", come ogni concetto, ha una connotazione relativa (al fenomeno); se abbia anche una denotazione reale, se si riferisca effettivamente a qualcosa di reale o meno, non può dimostrarsi.
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Vecchio 21-06-2014, 00.32.53   #73
paul11
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Nella fase più matura di autori quali Pierce e Wittgenstein appaiono considerazioni ritenute quasi contraddittorie rispetto ai loro precedenti concetti espressi negli scritti.
.
Ai primi del Novecento Pierce si occupa del senso comune, secondo cui ogni uomo crede in qualche proposizione generale e accetta alcune inferenze senza essere in grado di dubitare genuinamente di esse, e quindi di non sottoporle a reale critica e queste proposizioni devono apparirgli perfettamente soddisfacenti e manifestamente vere.
Pierce le declinerà così:1) conduce a credere che esistano alla base della nostra conoscenza proposizioni indubitabili ed anche inferenze indubitabili , cioè originarie e acritiche.2) che si possa stabilire una lista completa;3)che abbiano la natura generale degli istinti;4)che ciò che è acriticamente indubitabile si presenti con caratteri invariabilmente vari;5) che questi caratteri siano assimilabili all’indeterminatezza cui spesso conduce il dubbio che dunque il dubitabile viva all’interno stesso di ciò che è considerato indubitabile;6) che tali credenze indubitabili e vaghe abbiano la natura di generalità reali.
Vi sono evidenze nel senso comune: le certezze nell’esistenza di un ordine naturale, la fiducia nei nostri primi giudizi percettivi, in alcune credenze morali.
Pierce:”Credere è una questione di istinto e desiderio”
Su questa mente istintiva l’uomo costruisce poi le verità logiche..Fin dagli anni del 1890 circa, Pierce condivideva con Galileo un lume naturale che magicamente conduceva l’uomo a veder giusto e ad orientarsi nella ricerca della verità. .Pierce individuava nella capacità retroduttiva,cioè abduttiva o ipotetica ,la capacità di indovinare giusto.Questa qualità potrebbe essere ascrivibile ad una naturale tendenza verso l’accordo fra le idee che suggeriscono se stesse alla mente umana e quelle che sono implicate nella legge di natura.
Pierce come Wittgenstein ritengono che la certezza ha carattere indubitabile, perché è dell’ordine del pragmata, non del logos: la credenza infondata che sta alla base della credenza fondata è una credenza agita, una forma di vita.
Pierce compì ricerche sull’indimostrabile, ed arrivò ad una equivalenza: indimostrabile = vago.
Dove vago significa “indefinito in intensione”,significa che un segno lascia in dubbio quale sia la sua interpretazione in riferimento ad una gran moltitudine o anche ad un continuum di possibili interpretazioni.
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Vecchio 21-06-2014, 18.11.19   #74
Davide M.
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Originalmente inviato da Aggressor
Sintetizzo la questione qui: la domanda principale che sono venuto a pormi è stata: cosa differenzia un concetto (con relativa parola) che non indica nulla e uno che indica qualcosa? La risposta che ho trovato per ora è molto semplice ed è questa: una parola che significa qualcosa si riferisce ad un contenuto mentale (oggetto di esperienza) cioè a qualcosa che si è visto/sentito direttamente o per costruzione a partire da ciò che s'è visto/sentito direttamente. Di qui ho poi criticato la nozione di "oggetto".

È questa nozione di "oggetto" che devi chiarire. Ho notato una sfumatura nella tua esposizione, ma sostanziale: tu chiedi cosa differenzia un concetto che non indica nulla e uno che indica qualcosa, e la risposta che hai trovato, per ora, è che un concetto (con relativa parola) che significa qualcosa si riferisce ad un contenuto mentale.
Ora, questo contenuto mentale è un fenomeno, cioè è un "oggetto" per noi.
La tua teoria è perfettamente logica, secondo me, ma se applicata ad una realtà fenomenologica, e non ontologica.
Se non mi sbaglio, tu sei partito con un obiettivo molto chiaro: palesare come non sia necessario l'ipotesi di un mondo obiettivo (indipendente dal pensiero) e come si possa supporre la materia come semplice contenuto mentale degli enti percepienti.
Questa materia è la "cosa in sé", cioè la realtà concreta, ontologica;
ma la tua risposta ha come oggetto il fenomeno, cioè un contenuto mentale.
Non palesa la non necessarietà della materia indipendente dal pensiero, ma solo la necessità che un concetto indichi un contenuto mentale derivato da un'esperienza empirica. Non so se mi sono spiegato bene, ma la tua risposta non risponde alla tesi che volevi palesare, cioè la non necessità di una realtà che non sia contenuto mentale.
Ho scritto altrove su queste pagine, che uno degli errori più frequenti è quello di confondere il noumeno (kantianamente inteso) con la cosa in sé: il noumeno, inteso e kantianamente e etimologicamente, è il solo pensato; la cosa in sé è la realtà concreta, causa del fenomeno. Mondo noumenico e mondo reale non sono la stessa cosa, occhio
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Vecchio 21-06-2014, 21.11.58   #75
Aggressor
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Davide M.
ma la tua risposta ha come oggetto il fenomeno, cioè un contenuto mentale.
Non palesa la non necessarietà della materia indipendente dal pensiero, ma solo la necessità che un concetto indichi un contenuto mentale derivato da un'esperienza empirica. Non so se mi sono spiegato bene, ma la tua risposta non risponde alla tesi che volevi palesare, cioè la non necessità di una realtà che non sia contenuto mentale.
Ho scritto altrove su queste pagine, che uno degli errori più frequenti è quello di confondere il noumeno (kantianamente inteso) con la cosa in sé: il noumeno, inteso e kantianamente e etimologicamente, è il solo pensato; la cosa in sé è la realtà concreta, causa del fenomeno. Mondo noumenico e mondo reale non sono la stessa cosa,


Ma infatti questa voleva essere, più che altro, una discussione parallela a quella che poni tu. Se dovessi portare dei concreti punti a favore dell'inesistenza d'un mondo obbiettivo parlerei, come ho fatto, della teoria "panpsichysta", cioè del modo in cui una cosa del genere (l'esistenza dei soli contenuti mentali) è possibile senza dover postulare il noumeno.
Più difficile, come ho detto, è per me mostrare l'inconsistenza stessa del termine noumeno, ma una simile tesi mi viene in mente per i motivi che ho indicato e così volevo un po ragionarci con voi.

Detto questo aggiungo di non aver mai letto la "critica della ragion pura" di Kant, ma solo altri suoi libri tra cui, più volte, la "critica del giudizio", mentre solo qui nel forum, già altre volte, ho sentito dire che il noumeno di Kant sarebbe la "controparte" pensata di esso. Ciò è, da un punto di vista, ovvio; eppure nel momento in cui si afferma esso essere un contenuto mentale che si riferisce ad un altra cosa (il "vero" noumeno che hai presentato come "causa dei fenomeno", ma credo ciò sia riduttivo) mi pare che torni il problema di capire a cosa si riferirebbe quella parola; e se ad essa non può venir accostato nessun contenuto (mentale dovrei dire, ma ciò che mi piacerebbe fare è proprio distruggere il concetto di mentale in quanto esso dovrebbe per forza essere contrapposto al "non mentale", però parlando tendo a dire di voler distruggere quello di "non mentale" anche se ho messo in discussione la sfera del menatale esplicitamente qualche volta) allora dovremmo ammettere di star parlando a vuoto.


Aggressor is offline  
Vecchio 22-06-2014, 10.47.14   #76
green&grey pocket
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Citazione:
Originalmente inviato da giulioarretino
sono entrambe vere nel senso che non è possibile dimostrarne con sicurezza né la verità nella falsità, né scientificamente, né razionalmente, né logicamente, né matematicamente. Almeno credo, magari qualcuno l'ha dimostrato e io me lo sono perso.

Non è questione di dimostrazione in sè o assoluta, d'altronde di questo ne stai già parlando con Sgiombo, quanto di "scelta": noi possiamo scegliere l'uno o l'altro sistema, ma poi dobbiamo dimostrarne le leggi interne, la loro logica e se possibile fare le dovute comparazioni e differenze.
Come già detto, io critico il fatto che la tua logica per entrambi i riferimenti è la stessa.


Citazione:
Originalmente inviato da giulioarretino
Ovviamente suppongo che l'una sarà vera e l'altra falsa, ma non ci è dato sapere con sicurezza quale (discorso simile per Dio esiste oppure no? boh).
L'unica "metodologia" per scegliere tra una delle due che mi viene in mente è la seguente (in realtà sono 2 + 1 "metodi" diversi, volendo utilizzabili separatamente)
1. il nostro intuito profondo (che non saprei definire con precisione cosa sia... il livello più profondo e insondabile della mente, un misto di percezione istintiva e pensiero (auto)cosciente), lo stesso che ci dice che qualcosa esiste anziché il nulla e che questo qualcosa è quantomeno il cogito, ci dice anche che la realtà esterna, se esiste (ed esiste) allora è ontologicamente (e non solo convenzionalmente) plurale, diversa, non uguale a sé stessa (forse si potrebbe anche formalizzare con il principio di identità? ipotizzo). Perché rinnegare il nostro intuito profondo, bollarlo come fallace e scegliere l'esatto contrario? Non c'è motivo.

Il fatto è proprio sul cogito: che nella storia della filosofia occidentale, ha avuto una singolare piega dualista a partire da Cartesio.
Quindi l'intuito va bene, come già segnala Paul, e concordo, nella eccezione Peirciana, o Kantiana che sia.
Solo a titolo informativo, per Hegel sarebbe tutto diverso.
Il principio del terzo escluso va bene anche, in quanto è proprio su quello che ontologicamente deriviamo l'esistenza plurale degli oggetti.
Lasciamo per un attimo da parte il dualismo, argomento che risulterebbe ostico per te, e parliamo invece di questo pluralismo.
Indubitabilmente parrebbe normale la tua ipotesi, o quella più vicina ad un pensiero immediato, ma non scordarti, quello che dice anche un Aggressor, che la realtà di cui staremmo parlando in questo caso sarebbe di tipo fenomenologico.
Come ha giustamente detto David rischi anche tu di incorrere, come Aggressor, in un errore di sistema di competenza: cioè parti da presupposti fenomenologici per dimostrare l'omogeneità con quelli ontologici (il principio di non contraddizione).
In realtà dovrebbe essere il contrario.(Severino docet)

Ricapitoliamo intuito sì, ma quale campo di indagine? fenomenologico (prospettivismo psicologico, idealismo etc..)? ontologico (formalismo, pragmatismo etc...)? formale (razionalismo, criticismo neo-kantiano)?

Come lo sto interpretando io, siamo nel terzo campo, secondo me, le tue istanze porterebbero ad un razionalismo formale, laddove le regole del reale si determinano tramite una serie di forme dentro le forme, teoria affascinante certo, ma da dimostrare, e da meglio illustrare.

L'obiettivo allo stato delle cose, è che quindi stiamo ancora in fase di separazione dei campi, poi cercheremo un metodo di indagine.

Sempre tu sia interessato a farlo, se poi invece ritieni di mischiare tutte le considerazioni, beh allora io mi taccerò. Non sarei minimamente d'accordo.




Citazione:
Originalmente inviato da giulioarretino
2. è più utile (nel senso più appagante - proprio da un punto di vista di bieca ricerca del piacere, di autogratificazione) scegliere il pluralismo ontologico rispetto al monismo ontologico, perché alla fin fine la realtà ci apparirà sempre plurale. Possiamo autoconvincerci quanto ci pare (magari a ragione) che le differenze sono mere convenzioni/illusioni (utilissime anche se non ontologiche: senza saremmo perduti o fortemente limitati: come la matematica), ma a quel punto, come dici tu... che razza di verità è. Come una pietanza insipida e insapore. Se ammettiamo invece l'esistenza di diversi oggetti è in qualche misura concreta... beh quando ne daremo una descrizione (per esempio scientifica) potremmo pretendere di "aver colto" qualcosa di concreto, di esserci avvicinati un poco ad una maggiore comprensione delle cose

Beh tue interpretazioni personali! io non disdegno affatto il pensare sottile, metafisico, irrazionale, forse non dà le stesse soddisfazioni di ordine pratico e tecnico, ma emotivo sì, e per me è quello che conta.
(e anche questo non dimostra nulla)


Citazione:
Originalmente inviato da giulioarretino
3. (ma non ne sono tanto sicuro, più che altro la butto là) ora come ora il miglior (nel senso di più efficace, più di successo, che contemporaneamente soddisfa l'intuito, appaga la sete di conoscenza e le esigenze della vita quotidiana) approccio alla realtà, ovvero la Scienza, si fonda su una scelta pluralistica, ovvero ammette che "là fuori" esista una realtà, complessa e multiforme, non completamente dipendente dall'osservatore. Il successo può essere un indizio che la strada imboccato è quella giusta? Chiedo. Forse no. O forse sì.

sul fatto che io abbia altro lavoro da fare... nessun dubbio. E' per questo che ho iniziato la discussione: per ricevere spunti, critiche, nuove idee e magari anche soluzioni.

Sì questo si era capito! è chiaro che le tue emozioni rispondano di questo tipo di bisogno di descrizione della realtà.
Qui sto solo cercando di capire se in te vige l'urgenza della chiarificazione, o meno.(vedi domande al punto 1)
Come già ti dicevo, seppur la penso diametralmente all'opposto di te, sono pronto ad un dialogo intellettuale, che poi è il motivo per cui scrivo su questo forum.

green&grey pocket is offline  
Vecchio 22-06-2014, 11.24.32   #77
green&grey pocket
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Citazione:
Originalmente inviato da Aggressor
...
Devo precisare che col mio sistema non reputo <<Pegaso>> inconsistente....

Ok, anche se di solito si parla proprio di gradi di consitenza, pegaso è meno consistente, o meno inconsitente, del concetto di casa.
Comunque ho capito.


Citazione:
Originalmente inviato da Aggressor
[
[...
l'oggetto nascosto, in effetti, sarebbe solo quello noumenico, mentre i numeri (come Pegaso) si dovrebbero poter costruire da esperienze avute. E mi pare che mentre i numeri possano trovare una esemplificazione "pratica", cioè un correlato nell'esperienza diretta, lo stesso non possa dirsi, ancora, delle cose in sé o del noumeno.
Tuttavia ammetto che su questo dovrei ancora riflettere, infatti chiedevo anche a Sgiombo il suo parere, mentre a darmi una qualche speranza che sia la linea giusta (non per forza poi utilizzata correttamente in tutte le sue applicazioni da me) me lo da proprio ciò che affermi qui:

la Cosa kantiana è strettamente correlata con il suo sistema logico, sistema logico che non si basa sulla esperienza ma piuttosto sulla ragione pura e pratica.
cosa voglia dire pura e pratica, equivarrebbe a trovare una metodologia che si discosta da quella che hai scelto.

.....

No! i numeri come dice Kant sono sintetici apriori, cioè li possediamo naturalmente: non esiste in natura un cerchio perfetto, un quadrato etc...

Infatti il noumeno è proprio ciò che nè l'esperienza, nè la matematica può conoscere prima.
Questo concetto, rientra però nel razionalismo kantiano che è un mix tra ciò che viene dall'alto (categorie, universali, sintetici apriori) e dal basso (percezione, senso, esperienza, emozione).
Invece nel tuo caso sembra che le categorie dall'alto non vengano considerate.
Il noumeno è il non percepito dalla ragione alias.
Non dai sensi! come invece insisti tu.
Nel sistema kantiano, il noumeno è necessario perchè se lo escludessimo incorreremmo in un razionalismo idealista (cosa, nota, che è spesso rimproverata a kant, evidentemente non proprio giustamente!).
Ovvero la realtà sarebbe il contenuto come diresti tu mentale dell'uomo.
(e per Kant che in fondo rimane, per via delle origini, un protestante, ciò è impossibile.)
Che il noumeno sia il Dio protestante? ossia quello a cui la grazia è affidata senza possibilità di mediazione?(vedersi assolutamente il film della Kidman Dogville!) Mi pare proprio di sì.
Ma Kant non era un religioso, e tutto è sublimato a livello logico.
Per negazione dunque, come anche Sgiombo conviene.

Visto che sembri a digiuno, ti pongo l'altra faccia della luna: per Hegel non esiste l'oggetto nascosto che avvalori per negazione la realtà (come diresti tu mentalizzata), bensì esiste la negazione stessa, che è Spirito, Storia, abisso sulla morte.Ancora che tornano temi chiaramente religiosi.
Per Severino, ancorae in fine, la negazione è la contraddizione del monismo vivente.

In entrambi i casi che sia un ontologismo formale (kantiano) o "vivente" (hegeliano-severiniano), non stiamo parlando di formalismo tout court, ma di grande(grandissima) filosofia.

Insomma Aggressor, la direzione che hai preso è ancora piena di incognite e domande, quale strada sceglierai? una più intellettiva e ampia o una metodologica (meno ampia e più dura, e cioè più scienza in fin dei conti, più veloce nelle risposte alle domande del reale anche).

In entrambi i casi non potrai fare un mix di considerazioni, sarebbero assai improprie.

Concordo assai con David e Paul.


Citazione:
Originalmente inviato da Aggressor
In principio perché credo che se c'è qualcosa che porta conoscenza allora vale la pena di dargli un occhiata (se possibile) ed un filosofo è forse, più di altri, colui a cui conviene sbirciare un po ovunque.
Inoltre perché alcune ricerche che sto intraprendendo mi stanno portando a prestare attenzione a ciò che è l'esperienza e la coscienza, in quanto la realtà potrebbe essere fondata da queste cose.
.

Non lo so, a me il mentalismo mi sembra una gran bufala, di sicuro la filosofia gli è necessaria, ma il mentalismo alla filosofia, per niente.

Su queste chine, più difficilmente ti seguirei, anche se non è detto che non lo si possa fare.

Rimane il fatto che se utilizzi queste argomentazioni più a livello di "remora" che non di credenza effettiva(come infine mi sembra), è necessaria chiarezza espositiva.
(e una certa dose di orizzonte, orizzontalità comparativa tra campi di indagine).

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Vecchio 22-06-2014, 14.29.28   #78
Aggressor
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green&grey pocket
Il noumeno è il non percepito dalla ragione alias.
Non dai sensi! come invece insisti tu.


Lo so, ma se si riduce ciò su cui lavora la ragione a ciò che deriva dalle sensazioni ecco che torna il mio discorso. Ho certamente chiaro che il noumeno, solitamente e kantianamente, non è definito come "ciò che non cade sotto i sensi".


green&grey pocket
No! i numeri come dice Kant sono sintetici apriori, cioè li possediamo naturalmente: non esiste in natura un cerchio perfetto, un quadrato etc...

Mi pare che comunque si possano disegnare un cerchio e un quadrato pressoché perfetti dal punto di vista della percezione di essi. Se non si vuole ammettere questo, che è possibile vedere una figura geometrica perfetta, si potrebbe comunque argomentare che noi conosciamo queste cose "perfette" più tramite il modo in cui ci serviamo di esse (cioè calcolando l'area di un appezzamento di terra ecc.) che per ciò che "sarebbero davvero". Un po come nella fisica delle particelle, dove alcuni, almeno per un certo tempo, si sono rassegnati a descrivere certi oggetti se non tramite certe formule matematiche.
Mentre il numero credo possa venire appreso tramite esempi e, come pressoché ogni elemento del linguaggio, tramite l'uso che si fa empiricamente d'un certo sintagma. Potrei porre sotto gli occhi d'un bambino una mela e dire: "una mela", poi una pera e dire: "una pera", dopodiché una sedia ecc.. in questo modo il bambino impererà l'uso di quel termine in quanto, soprattutto, processo efficace nella società, e lentamente imparerà anche ad astrarlo sempre più dai casi particolari. Ma quanto questa astrazione sarà totale?
Mi sto rifacendo un po al modo di Wittenstein di intendere il linguaggio e i suoi concetti. Ma è mio interesse capire fin quanto una spiegazione del genere possa reggere; per ora quindi cerco di difendere questa tesi diversa dal sistema categoriale kantiano.



green&grey pocket
Non lo so, a me il mentalismo mi sembra una gran bufala, di sicuro la filosofia gli è necessaria, ma il mentalismo alla filosofia, per niente.

Non so se posso essere etichettato come mentalista, cosa intendi esattamente con questo termine?

green&grey pocket:
Insomma Aggressor, la direzione che hai preso è ancora piena di incognite e domande, quale strada sceglierai? una più intellettiva e ampia o una metodologica (meno ampia e più dura, e cioè più scienza in fin dei conti, più veloce nelle risposte alle domande del reale anche).

Preferisco la via filosofica a quella scientifica ammesso che vi sia una netta distinzione tra le due cose, ma mi piace integrare.

Ultima modifica di Aggressor : 23-06-2014 alle ore 02.33.53.
Aggressor is offline  
Vecchio 22-06-2014, 20.06.25   #79
giulioarretino
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Originalmente inviato da green&grey pocket
Non è questione di dimostrazione in sè o assoluta, d'altronde di questo ne stai già parlando con Sgiombo, quanto di "scelta": noi possiamo scegliere l'uno o l'altro sistema, ma poi dobbiamo dimostrarne le leggi interne, la loro logica e se possibile fare le dovute comparazioni e differenze.
Come già detto, io critico il fatto che la tua logica per entrambi i riferimenti è la stessa.

però la logica/metodo alla base di gran parte delle correnti filosofiche è lo stesso, ma spesso tali correnti pervengono a soluzioni diametralmente opposte.
Da medesimi assiomi e presupposti, a attraverso lo stesso metodo, si può giungere a conclusioni completamente diverse, o non essere capaci di discriminare efficacemente tra le varie ipotesi, alternative, paradossi o dubbi che si presentano lungo il percorso.

Se arrivasse una corrente filosofica che superasse questo problema, diventerebbe seduta stante "La" corrente filosofica, e acquisterebbe nel panorama conoscitivo uno "status" simile a quello della Scienza, se non addirittura superiore.

Quindi non vedo un grande problema per cui la logica di due soluzione contrapposte è la medesima. E' una caratteristica di tutti i grandi problemi filosofici e non solo. Bisogna operare un salto di fede, una scelta, senza che logica o evidenze empiriche possano fungere da discriminanti.
Quando va bene ci sono solo indizi e/o istinti/intuizioni primordiali senza evidenze contrarie, altre volte neppure quelli.

Citazione:
Il fatto è proprio sul cogito: che nella storia della filosofia occidentale, ha avuto una singolare piega dualista a partire da Cartesio.
Quindi l'intuito va bene, come già segnala Paul, e concordo, nella eccezione Peirciana, o Kantiana che sia.
Solo a titolo informativo, per Hegel sarebbe tutto diverso.
Il principio del terzo escluso va bene anche, in quanto è proprio su quello che ontologicamente deriviamo l'esistenza plurale degli oggetti.
Lasciamo per un attimo da parte il dualismo, argomento che risulterebbe ostico per te, e parliamo invece di questo pluralismo.
Indubitabilmente parrebbe normale la tua ipotesi, o quella più vicina ad un pensiero immediato, ma non scordarti, quello che dice anche un Aggressor, che la realtà di cui staremmo parlando in questo caso sarebbe di tipo fenomenologico.
Come ha giustamente detto David rischi anche tu di incorrere, come Aggressor, in un errore di sistema di competenza: cioè parti da presupposti fenomenologici per dimostrare l'omogeneità con quelli ontologici (il principio di non contraddizione).
In realtà dovrebbe essere il contrario.(Severino docet)

Ricapitoliamo intuito sì, ma quale campo di indagine? fenomenologico (prospettivismo psicologico, idealismo etc..)? ontologico (formalismo, pragmatismo etc...)? formale (razionalismo, criticismo neo-kantiano)?

Come lo sto interpretando io, siamo nel terzo campo, secondo me, le tue istanze porterebbero ad un razionalismo formale, laddove le regole del reale si determinano tramite una serie di forme dentro le forme, teoria affascinante certo, ma da dimostrare, e da meglio illustrare.

L'obiettivo allo stato delle cose, è che quindi stiamo ancora in fase di separazione dei campi, poi cercheremo un metodo di indagine.

Sempre tu sia interessato a farlo, se poi invece ritieni di mischiare tutte le considerazioni, beh allora io mi taccerò. Non sarei minimamente d'accordo.



ok, proviamo a chiarificare il procedimento. La domanda è la più generale possibile: cosa possiamo sapere sulle cose?
1. il punto di partenza da me scelto sono le intuizioni indubitabili o comunque le si voglia chiamare. Intuizioni/percezioni così profonde che ci appaiono come manifestamente vere, e che se messe in dubbio portano all'inconcepibilità, all'incomunicabilità, all'assenza di senso nella weltanschaaung che ne deriva (quindi non necessariamente come weltanschaaung "falsa". Semplicemente, inconcepibile, e/o inutilizzabile, e/o incomunicabile. In altre parole, un vicolo cieco gnoseologico, l'ammissione di non poter sapere nulla sulla cose).
2. "opero", "ragiono", procedo e soprattutto comunico attraverso la logica classica e i suoi principi. In linea di teorica forse potrei operare e procedere anche in modo diverso (per esempio, attraverso una combinazione tra la pittura espressionista, la musica sacra del 1600 e viaggi psicheledici tramite sostanza stupefacenti) e arrivare alle stesse identiche conclusioni, ma avrei grosse difficoltà a comunicare tutto ciò su un forum.


Bene, cominciamo.
1. Il primo indubitabile è che qualcosa esiste, e consiste quantomenonel cogito, nell'attività dell'Io penso cosciente. Pena la fine di ogni discorso su qualunque cosa.
2. Il secondo indubitabile è che la realtà intuita/percepita dal cogito non si identifica completamente (non serve ipotizzare un dualismo netto di stampo cartesiano: è sufficiente negare la perfetta identità) nel cogito stesso. Pena la fine di ogni discorso sensato e utile sulla realtà (salvo forse discorsi puramente introspettivi, sull'autocoscienza)
2.bis (corollario): realtà "esterna" e cogito possono in qualche misura rapportarsi reciprocamente
3. Terzo indubitabile è che la realtà, che è intuita/percepita come formata da oggetti diversi, sia effettivamente (ontologicamente) tale, e che dunque le parcellizzazioni/tassellizzazioni/coaguli della realtà che percepiamo non sono necessariamente e totalmente convenzionali, illusori, arbitrari (pur con tutti i problemi dell'indeterminatezza, del limite, del rapporto tra Soggetto e Oggetto). Pena la fine di ogni discorso con pretese ontologiche che vada al di là dell'affermazione contraria (ovvero che io percepisco la realtà nel modo X, ma so bene che trattasi di mere illusioni frutto della mia mente e che al di là c'è un Tutto monolitico, sempre identico a sé stesso)

Prendiamo questi tre indubitabili come assiomi non ulteriormente discutibili.
Esiste un Soggetto e degli Oggetti, porzioni di una realtà ontologicamente plurale, che possono entrare in rapporto tra loro.
Il rapporto Soggetto-Oggetto si declina (configura) poi grosso modo nel modo che ho espresso nella discussione con sgiombo. Che poi in sostanza si traduce nella visione del mondo scientifica; non quella scientista ma quella "consapevole" dei propri limiti, del realismo "debole" diciamo.

Possiamo dunque conoscere le cose, ma non nella loro completezza/noumeno (sempre nell'accezione specificata), e solo a partire dal nostro punto di vista


Direi quindi che non arrivo (e neppure voglio) dimostrare nulla in campo ontologico, ma solo a stabilire come dovrebbe essere ontologicamente la realtà (quali dovrebbero essere le condizioni/caratteristiche ontologiche della realtà) se si vuole pretendere di sapere/dire qualcosa di concepibile/sensato su di essa.


Citazione:
Beh tue interpretazioni personali! io non disdegno affatto il pensare sottile, metafisico, irrazionale, forse non dà le stesse soddisfazioni di ordine pratico e tecnico, ma emotivo sì, e per me è quello che conta.
(e anche questo non dimostra nulla)

infatti, è una motivazione personale. Se, tra le altri motivi, il monismo ontologico ti soddisfa maggiormente, libero di sceglierlo.

Citazione:
Sì questo si era capito! è chiaro che le tue emozioni rispondano di questo tipo di bisogno di descrizione della realtà.
Qui sto solo cercando di capire se in te vige l'urgenza della chiarificazione, o meno.(vedi domande al punto 1)
Come già ti dicevo, seppur la penso diametralmente all'opposto di te, sono pronto ad un dialogo intellettuale, che poi è il motivo per cui scrivo su questo forum.


sicuramente in me vige un sincero desiderio di confronto e curiosità.

quindi sì, se mi illustrassi come procedere (o come poter procedere, o come procederesti), ed eventuali alternative, sarebbe assai gradito!
giulioarretino is offline  
Vecchio 23-06-2014, 13.45.11   #80
Davide M.
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Citazione:
Originalmente inviato da giulioarretino
Bene, cominciamo.
1. Il primo indubitabile è che qualcosa esiste, e consiste quantomenonel cogito, nell'attività dell'Io penso cosciente. Pena la fine di ogni discorso su qualunque cosa.
2. Il secondo indubitabile è che la realtà intuita/percepita dal cogito non si identifica completamente (non serve ipotizzare un dualismo netto di stampo cartesiano: è sufficiente negare la perfetta identità) nel cogito stesso. Pena la fine di ogni discorso sensato e utile sulla realtà (salvo forse discorsi puramente introspettivi, sull'autocoscienza)
2.bis (corollario): realtà "esterna" e cogito possono in qualche misura rapportarsi reciprocamente
3. Terzo indubitabile è che la realtà, che è intuita/percepita come formata da oggetti diversi, sia effettivamente (ontologicamente) tale, e che dunque le parcellizzazioni/tassellizzazioni/coaguli della realtà che percepiamo non sono necessariamente e totalmente convenzionali, illusori, arbitrari (pur con tutti i problemi dell'indeterminatezza, del limite, del rapporto tra Soggetto e Oggetto). Pena la fine di ogni discorso con pretese ontologiche che vada al di là dell'affermazione contraria (ovvero che io percepisco la realtà nel modo X, ma so bene che trattasi di mere illusioni frutto della mia mente e che al di là c'è un Tutto monolitico, sempre identico a sé stesso
Prendiamo questi tre indubitabili come assiomi non ulteriormente discutibili.
Esiste un Soggetto e degli Oggetti, porzioni di una realtà ontologicamente plurale, che possono entrare in rapporto tra loro.
Il rapporto Soggetto-Oggetto si declina (configura) poi grosso modo nel modo che ho espresso nella discussione con sgiombo. Che poi in sostanza si traduce nella visione del mondo scientifica; non quella scientista ma quella "consapevole" dei propri limiti, del realismo "debole" diciamo.

Mah, anche se affermi di voler seguire una logica di tipo formale, non ho capito in cosa consiste la tua dimostrazione. Enunci tre postulati (che chiami indubitabili):
- esiste il cogito

- esiste una realtà percepita dal cogito che non si identifica col cogito

- questa realtà è effettivamente (ontologicamente) tale.

Poi da questi tre indubitabili deduci la "parcellizzazione fondamentale", cioè la non perfetta identità tra il cogito (l'io penso) e la realtà.
Poi da questa "parcellizzazione fondamentale", desumi che non ci sarebbe alcun motivo per il quale dubitare di ulteriori parcellizzazioni ontologiche, cioè ulteriori non perfette identità fra realtà esterne al cogito.
Ma con i tre indubitabili, non dimostri ulteriori parcellizzazioni ontologiche, perché dimostri solo la non (perfetta) identità tra un'attività pensante e l'oggetto pensato, ma un pluralismo ontologico puoi giustificarlo solo dimostrando una non (perfetta) identità tra oggetto pensato e oggetto pensato, e per fare ciò devi rimanere sempre all'interno di un'attività pensante, per tre motivi, primo perché sei partito da un'attività pensante, dalla certezza (indubitabile, postulata) della sua esistenza, secondo perché dalla sua esistenza hai dedotto l'esistenza di un'altra realtà da quella diversa (non perfettamente identica) e terzo perché dovresti dimostrare come una realtà, che non sia attività pensante, non si identifichi con un'altra realtà, che sia o meno attività pensante, e tutto questo al di fuori di un'attività pensante che hai postulato come certamente esistente.
Rimani sempre all'interno di un dualismo gnoseologico.
Davide M. is offline  

 



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