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Vecchio 11-09-2014, 21.55.15   #41
sgiombo
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SECONDA PARTE

Maral:
I fenomeni sono semplicemente la realtà per come ci appare (nel toccarla come, nel pensarla o immaginarla), possono essere a tutti i livelli immediati, o mediati, ossia richiamati da altri fenomeni per implicazione, oppure nascosti ove il rimanere nascosto significa restare su uno sfondo indefinito dal quale scaturisce in luce il significato di ciò che appare, la sua rappresentazione in luce, di un oggetto presente qui e ora. E' vero, quello che vediamo, sentiamo e pensiamo preso di per sé è comunque rappresentazioni del reale e non il reale, ma proprio questo è quanto dovrebbe farci sentire che il reale non può non esserci, è il suo stesso continuo rappresentarsi che lo implica e noi siamo dentro al gioco in cui ci troviamo rappresentati come soggetti sullo sfondo dei quali gli oggetti (anche il mio io di cui sono cosciente come di un me di cui posso parlare e pensare) si manifestano. Lo sfondo è l'indispensabile retroscena della ribalta sulla quale continuamente si giocano tutte le rappresentazioni ove tutto appare in movimento, perché ogni rappresentazione ne richiama subito un'altra nascondendone un'altra ancora, Questa sedia su cui ora siedo esiste perché c'è un mondo che essa richiama ed da cui è richiamata a mesentiresso di altre rappresentazioni, un mondo di cui normalmente, nel mio consueto livello di cosciente disattenzione, non mi accorgo per nulla e proprio per questo vedo tocco, penso e sento proprio e solo una sedia, non altro. Questa sedia, come ogni altro essente è l'universo intero, ma è solo una sedia ben rappresentativamente delimitata che posso vedere, sentire e pensare.

Sgiombo:
Qui il mio dissenso è pressocché totale.

Toccare la realtà e pensarla, immaginarla sono cose ben diverse: per quanto anche i pensieri, esattamente come gli oggetti materiali, siano (insiemi di) sensazioni fenomeniche per le quali vale l’ “esse est percipi”, come notò Hume, tuttavia un calcio nel sedere (reale solo in quanto) pensato è ben diversa cosa rispetto a un calcio nel sedere reale (in sé; anche indipendentemente dal fatto che eventualmente possa pure essere oggetto di pensiero); mi sembra fra l’ altro che su questo concordi anche tu.

Malgrado il concetto (credo metaforico) di “rappresentazione in luce”, le tue parole a proposito dei fenomeni “possono essere a tutti i livelli immediati, o mediati, ossia richiamati da altri fenomeni per implicazione, oppure nascosti ove il rimanere nascosto significa restare su uno sfondo indefinito dal quale scaturisce in luce il significato di ciò che appare, la sua rappresentazione in luce, di un oggetto presente qui e ora” mi appaiono del tutto oscure.

Ti invito a a fare un’ operazione logica analoga a quella che proponi circa la realtà di ciò che reale solo in quanto concetto, nozione, oggetto di pensiero:
“quello che vediamo, sentiamo e pensiamo preso di per sé” è comunque reale in quanto tale, cioé insieme di sensazioni fenomeniche per le quali vale, al solito, l’ “esse est percipi” (sono sempre più soddisfatto di averlo scelto come “firma!).
Può esserci anche altro di reale (cosa in sé o noumeno), se è questo che intendi per “il reale” (anche se non si può dimostrare), ma allora esso non è più (casomai è diversamente) reale dei fenomeni stessi (accade, se è reale, esattamente come accadono i fenomeni, per i quali peraltro non vale il dubbio -!-, né più né meno, cioé ontologicamente e non solo logicamente o comunque concettualmente: non unicamente in quanto oggetto di pensiero).

Il reale (tutto: i fenomeni certamente; ed eventualmente, se c’è, il noumeno) non può non esserci semplicemente perché c’ è di fatto (dire che non c’è -ovvero che ciò che c' é non c' é- sarebbe autocontraddittorio, non ha senso, non è possibile dirlo) e non solo il noumeno perché ci sono i fenomeni (i quali, per quel che si può dimostrare, potrebbero pure essere reali anche in assenza di noumeno, anche se la cosa in sé non è reale: non la implicano necessariamente).
Ma forse per "manifestazioni apparenti" e "realtà (il reale)" intendi qualcos' altro -per me oscurissimo- che fenomeni e noumeno.

Altrettanto impenetrabilmente oscure trovo purtroppo le tue parole finali a partire da “Lo sfondo…“
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Vecchio 14-09-2014, 11.41.11   #42
maral
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Ma che significa che “gli enti” hanno “alcuni particolari modi di significare”?
Io capisco che significano qualcosa solo alcuni particolarissimi enti (concettuali, di pensiero), e cioè le parole, i discorsi, non tutti gli enti, non gli enti in generale.
Tutti gli enti significano ossia si presentano come segni per altri enti, se per significare intendiamo letteralmente farsi segno e per segno l'espressione di richiamo reciproco degli enti. Le parole, i discorsi, le immagini, i concetti sono questi segni che a loro volta implicano il loro essere enti con un proprio ulteriore significare a mezzo di altre parole, discorsi immagini. La cosa (l’ente) si presenta al mondo come parola/ immagine e la parola/ immagine appare così a sua volta come cosa. Un “calcio nel sedere” è cosa e parola/immagine, non si può tenerle separate, non si può separare l’ente (qualunque esso sia) dal suo rappresentarsi, dal suo segno, anche se il segno (finché solo per tale è preso) non tocca sensibilmente tanto che le parole "un calcio nel sedere" non fanno male al sedere. E ogni ente ha il suo modo particolare di farsi segno e proprio questa particolarità lo designa proprio per quello che è (parola, immagine, sogno, concetto, sensazione e via dicendo).
E’ per questo che comunque la realtà dei fatti parla a mezzo dei discorsi che la rappresentano. La realtà comprende il suo manifestarsi rappresentativo e comprende quindi il vero e il falso ove il vero e il falso sono attributi che misurano la congruenza rappresentativa determinata dai contesti di senso in cui gli enti appaiono. L’attuale re di Francia non esprime una contraddizione intrinseca immediata tra il significato di 2 attributi come il verde non verde, ma la contraddizione tra un attributo di contesto (l’attualità) con tutto ciò che implica e a cui allude per designare gli enti che lì possono trovarsi e un attributo di un ente (re di Francia) che in quel contesto rappresentativo di attualità non può venirsi a trovare, ossia non può venire coerentemente rappresentato. (Possiamo anche ribaltare i termini e considerare se l'ente "mondo attuale" può ritrovarsi nel contesto definito dall'insieme storico dei "monarchi di Francia" dando o meno luogo a incongruenze semantiche che ne pregiudicano la verità)
La realtà dei fatti a cui ci si appella per esprimere un giudizio di verità (se vero è dire vero di ciò che di fatto è vero) è in tal senso, come tu stesso dici, la realtà non di cose in sé, ma di un contesto di senso di sfondo che ammette certe rappresentazioni attributive come congruenti (e dunque vere) e altre no. Il giudizio di verità è pertinente solo alle rappresentazioni, non alla realtà, ma questo non fa della verità un qualcosa di irreale, casuale e arbitrario, ma esattamente il contrario.

Citazione:
Originalmente inviato da sgiombo
Ma la matematica e la geometria traggono le loro inferenze logiche da definizioni e postulati che sono libere creazioni di fantasia (di fatto derivati dall’ astrazione di concetti generali da oggetti sensibili particolari concreti, ma anche dalla libera messa in relazione (associazione, distinzione, “combinazione”, “rapportazione creativa”) di essi operata dalla fantasia, arbitrariamente (salvo i limiti ovviamente ineludibili della coerenza logica e quindi della significanza effettiva dei concetti e predicati che li costituiscono).
Non capisco bene cosa intendi come “libere creazioni della fantasia” e "libere messe in relazione...operate dalla fantasia". I postulati di Euclide ad esempio parlano di punti, linee, piani, angoli http://it.wikipedia.org/wiki/V_postulato_di_Euclide e individuano tra loro delle relazioni vincolanti. Gli assiomi di Peano http://it.wikipedia.org/wiki/Assiomi_di_Peano parlano di zero, numeri naturali, successori e insiemi. Non mi sembrano libere creazioni della fantasia o almeno non nel senso in cui si intendono ad esempio le chimere, i draghi o Sherlock Holmes, quanto piuttosto definizioni necessarie per delimitare dei campi di senso e significato specifici con strette conseguenze logiche (a meno che non si pensi che la logica sia una mera creazione di fantasia quanto la saga di Star Treck). Certo c’è il problema da dove nascono queste definizioni. Dai sogni di Euclide e Peano? Dalla loro volontà fantasticante? Dal loro modo arbitrario di percepire, definire e controllare il mondo per pure astrazioni? Oppure sono originarie a se stesse ed Euclide e Peano si sono limitate a tradurle senza inventarsi nulla? Non credo che queste domande possano avere una risposta certa, oggettiva.
La stessa accidentalità che tu pensi si manifesti nella corrispondenza tra queste “opere di fantasia soggettiva” e ciò che percepiamo accadere potrebbe non essere per nulla mera accidentalità casuale. Come potremmo mai appurarlo? Il mondo si manifesta di sicuro anche secondo rappresentazione matematica, anche se certo non solo e nemmeno fondamentalmente, nonostante quello che alcuni vogliono pensare, ma perché questo manifestarsi matematico dovrebbe essere casuale? Cosa significa il termine casuale applicato in questo contesto?

Citazione:
Originalmente inviato da sgiombo
Ti invito a a fare un’ operazione logica analoga a quella che proponi circa la realtà di ciò che reale solo in quanto concetto, nozione, oggetto di pensiero:
“quello che vediamo, sentiamo e pensiamo preso di per sé” è comunque reale in quanto tale, cioé insieme di sensazioni fenomeniche per le quali vale, al solito, l’ “esse est percipi” (sono sempre più soddisfatto di averlo scelto come “firma!).
Può esserci anche altro di reale (cosa in sé o noumeno), se è questo che intendi per “il reale” (anche se non si può dimostrare), ma allora esso non è più (casomai è diversamente) reale dei fenomeni stessi (accade, se è reale, esattamente come accadono i fenomeni, per i quali peraltro non vale il dubbio -!-, né più né meno, cioé ontologicamente e non solo logicamente o comunque concettualmente: non unicamente in quanto oggetto di pensiero).
Tentando di essere più chiaro: il fenomeno è precisamente e semplicemente "ciò che appare in luce” (nel suo modo specifico di apparire in luce che è diverso da fenomeno a fenomeno) e apparire in luce significa accadere, tutto qui. E fin qui non mi sembra che siamo così distanti, al di là forse nel risultarci di maggiore o minore rilevanza certi modi di apparire in luce, a certi modi di accadere in relazione ai contesti di significato a cui facciamo riferimento. Il punto essenziale che forse ci differenzia (essendo sgiombo e maral due accadimenti-fenomeni diversi) è che a me sembra evidente che l’apparire in luce necessiti necessariamente di qualcosa che resta al buio. Che ci sia ma non appaia, altrimenti nulla può mostrarsi in luce. E il fatto che deve esserci qualcosa che rimane al buio a fare da sfondo oscuro appare così esso stesso in luce, ossia in luce appare la presenza del buio, appare chiaro che c’è un buio che fa da sfondo a ciò che sta in luce, il buio, lo sfondo oscuro è dunque fenomeno esso stesso e quindi non è niente (che nega di essere fenomeno), ma ente.
Il noumeno allora (se proprio vogliamo conservare questo termine) non lo intendo quindi come invisibile e indicibile realtà in sé che precede i fenomeni, ma sfondo fenomenico indispensabile, fenomeno esso stesso, come in una rappresentazione teatrale in cui oltre alla scena in primo piano vi è tutto un indispensabile mondo che le fa da sfondo ponendo proprio questa scena in primo piano e la realtà le comprende tutte sfondo e accadimenti: quello che si manifesta in primo piano come quello che alla luce di questo accadere si manifesta come oscurità, ma da cui emergono altri primi piani che spingono ciò che qui e ora è in primo piano sullo sfondo secondo necessità. Per un attore che sale sulla ribalta ce ne è un altro che esce di scena, ma questi non diventa nulla, solo rientra nello sfondo del palcoscenico a determinare come sfondo lo spettacolo per come accade. Tutto resta a livello rappresentativo, perché l’ontologia del reale sta nello spettacolo stesso (che non è e non può essere il niente fatto spettacolo) offerto dalla fenomenologia e non fuori da esso. Non so se così è almeno intuitivamente più chiaro.

Ultima modifica di maral : 14-09-2014 alle ore 11.51.42.
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Vecchio 14-09-2014, 21.24.42   #43
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Maral:
Tutti gli enti significano ossia si presentano come segni per altri enti, se per significare intendiamo letteralmente farsi segno e per segno l'espressione di richiamo reciproco degli enti. Le parole, i discorsi, le immagini, i concetti sono questi segni che a loro volta implicano il loro essere enti con un proprio ulteriore significare a mezzo di altre parole, discorsi immagini.

Sgiombo:
Circa parole, discorsi, immagini e concetti la cosa mi risulta chiara. Ma non tutti gli enti significano altri enti: non gli altri enti diversi da parole, discorsi, immagini e concetti; per esempio mentre comprendo bene cosa significhi la parola “ombrello”, non ho la più pallida idea di che cosa possa significare un oggetto come un’ ombrello (che non porti scritte o simboli pubblicitari, sportivi o i qualsiasi altro genere, ovviamente; nel qual caso comunque sarebbero queste ultime, e non l’ ombrello su cui comparissero, ad avere un significato).



Maral:
La cosa (l’ente) si presenta al mondo come parola/immagine e la parola/immagine appare così a sua volta come cosa. Un “calcio nel sedere” è cosa e parola/immagine, non si può tenerle separate, non si può separare l’ente (qualunque esso sia) dal suo rappresentarsi, dal suo segno, anche se il segno (finché solo per tale è preso) non tocca sensibilmente tanto che le parole "un calcio nel sedere" non fanno male al sedere. E ogni ente ha il suo modo particolare di farsi segno e proprio questa particolarità lo designa proprio per quello che è (parola, immagine, sogno, concetto, sensazione e via dicendo).
E’ per questo che comunque la realtà dei fatti parla a mezzo dei discorsi che la rappresentano.

Sgiombo:
Buio pesto (in me).
Uno può dare o ricevere (realmente) un calcio nel sedere senza che nessuno parli (letteralmente “faccia parola”) di quel calcio nel sedere; e parlare di o pensare a calci nel sedere è ben diversa cosa dal dare e (in modo particolarmente eclatante) ricevere calci nel sedere.
Qualsiasi cosa può apparire senza che ci si pensi o se ne parli; per esempio tante cose che si vedono andando ogni giorno al lavoro immersi nei pensieri di ciò di cui ci si dovrà occupare in giornata: questa, e tanta altra, è tutta “realtà dei fatti” che non “parla a mezzo dei discorsi che la rappresentano”; e anche nel caso di quelle parti della realtà a cui si pensa o di cui si parla, non sono essi a pensare o parlare, bensì i soggetti dei discorsi che si fanno circa di esse (discorsi di cui esse sono oggetto).



Maral:
La realtà comprende il suo manifestarsi rappresentativo e comprende quindi il vero e il falso ove il vero e il falso sono attributi che misurano la congruenza rappresentativa determinata dai contesti di senso in cui gli enti appaiono. L’attuale re di Francia non esprime una contraddizione intrinseca immediata tra il significato di 2 attributi come il verde non verde, ma la contraddizione tra un attributo di contesto (l’attualità) con tutto ciò che implica e a cui allude per designare gli enti che lì possono trovarsi e un attributo di un ente (re di Francia) che in quel contesto rappresentativo di attualità non può venirsi a trovare, ossia non può venire coerentemente rappresentato. (Possiamo anche ribaltare i termini e considerare se l'ente "mondo attuale" può ritrovarsi nel contesto definito dall'insieme storico dei "monarchi di Francia" dando o meno luogo a incongruenze semantiche che ne pregiudicano la verità).

Sgiombo:
Certo della realtà fanno parte anche discorsi e conoscenze circa la realtà, discorsi che possono essere (essi soli, e non la realtà di cui parlano, la quale semplicemente è oppure non è) vero o falsi.
E falsità è “incongruenza” (se vogliamo usare questo termine che non mi sembra molto felice perché fa pensare a interazioni) fra predicati o giudizi e realtà di cui predicano o giudicano.



Maral:
La realtà dei fatti a cui ci si appella per esprimere un giudizio di verità (se vero è dire vero di ciò che di fatto è vero) è in tal senso, come tu stesso dici, la realtà non di cose in sé, ma di un contesto di senso di sfondo che ammette certe rappresentazioni attributive come congruenti (e dunque vere) e altre no.

Sgiombo:
Vero non è solo dire vero di ciò che di fatto è vero; questo è un caso molto particolare di verità; in generale è dire reale di ciò che di fatto è reale (o non reale di ciò che di fatto non é reale).

No, non credo proprio di aver mai detto che la realtà dei fatti (eventualmente) predicata veracemente essere reale sarebbe “la realtà non di cose in sé ma di un contesto di senso” (???).
Ho invece sostenuto che la realtà dei fatti conoscibile con certezza immediata è fenomeno, è fatta di sensazioni reali solo in quanto tali e allorché accadono (in atto). La cosa in sé o noumeno non può essere né dimostrata essere reale, né tantomeno constatata; dunque non se ne può avere certezza (se è reale, allora il predicarla reale è conoscenza vera, se non la è allora il predicarla reale è falso e il predicarla non reale è vera conoscenza: non possiamo sapere di avere o di non avere queste conoscenze vere circa la cosa in sé, ma se due persone predicano l’ una che essa è reale e l’ altra che non è reale, allora certamente una di essa ha una conoscenza vera, l’ altra fa un’ affermazione falsa).
Conoscenza vera non è la stessa cosa di conoscenza certa: può anche darsi senza certezza.

(continua)

Ultima modifica di sgiombo : 15-09-2014 alle ore 10.32.17.
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Vecchio 14-09-2014, 21.34.05   #44
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Continuazione

Maral:
Non capisco bene cosa intendi come “libere creazioni della fantasia” e "libere messe in relazione...operate dalla fantasia". I postulati di Euclide ad esempio parlano di punti, linee, piani, angoli e individuano tra loro delle relazioni vincolanti. Gli assiomi di Peano parlano di zero, numeri naturali, successori e insiemi. Non mi sembrano libere creazioni della fantasia o almeno non nel senso in cui si intendono ad esempio le chimere, i draghi o Sherlock Holmes, quanto piuttosto definizioni necessarie per delimitare dei campi di senso e significato specifici con strette conseguenze logiche (a meno che non si pensi che la logica sia una mera creazione di fantasia quanto la saga di Star Treck). Certo c’è il problema da dove nascono queste definizioni. Dai sogni di Euclide e Peano? Dalla loro volontà fantasticante? Dal loro modo arbitrario di percepire, definire e controllare il mondo per pure astrazioni? Oppure sono originarie a se stesse ed Euclide e Peano si sono limitate a tradurle senza inventarsi nulla? Non credo che queste domande possano avere una risposta certa, oggettiva.
La stessa accidentalità che tu pensi si manifesti nella corrispondenza tra queste “opere di fantasia soggettiva” e ciò che percepiamo accadere potrebbe non essere per nulla mera accidentalità casuale. Come potremmo mai appurarlo? Il mondo si manifesta di sicuro anche secondo rappresentazione matematica, anche se certo non solo e nemmeno fondamentalmente, nonostante quello che alcuni vogliono pensare, ma perché questo manifestarsi matematico dovrebbe essere casuale? Cosa significa il termine casuale applicato in questo contesto?

Sgiombo:
La fantasia non si esprime solo nella -e non serve solo alla- arte, ma anche nella scienza.
Certo che ci sono differenze fra la fantasia applicata alle matematiche e quella applicata alla letteratura e alle altre arti (e probabilmente nel primo caso si devono rispettare più numerosi e rigorosi limiti di coerenza). Ma anche le definizioni di “punto” come “ciò che non ha parti”, di retta come “ciò che ha lunghezza senza larghezza”, di “superficie”, come “ciò che ha soltanto lunghezza e larghezza”, di “cerchio” come insieme dei punti equidistanti da un determinato altro punto detto “centro”, di “angolo retto” come “angolo di ampiezza pari a ciascuno dei quattro formati dall’ incidenza in un punto di due rette, qualora essi siano tutti uguali fra loro”, ecc. sono frutti di fantasia creativa, non meno di personaggi letterari come Ulisse od Otello.
Sono certo che Euclide e Peano non hanno tradotto nulla di “originario a se stesso” e già scritto da qualche parte (e in che lingua? E dove -in quale luogo fisico- l’ avrebbero trovato e letto?), ma hanno formulato i loro assiomi e definizioni lavorando -anche, oltre che di intelligenza e rigore logico- di fantasia creativa (non sfrenata, ovviamente ma vincolata alle questioni teoriche che hanno affrontato e genialmente risolto); se vogliamo proprio dire che li hanno trovati da qualche parte, allora li hanno trovati in un “luogo” non fisico ma metaforico costituito dalla loro intelligenza e fantasia creativa (o meglio la loro mente pensante e cosciente, con i suoi ricordi di oggetti particolari-concreti precedentemente percepiti, astrazioni, ragionamenti).

Affermo che accidentale è l’ utilizzabilità di costrutti matematici precedentemente stabiliti a (-la conoscenza scientifica di) aspetti della realtà fisica successivamente indagati.
Ma in generale le astrazioni e le loro elaborazioni creative (fra le altre quelle matematiche; ma non solo, anche quelle artistiche) derivano a posteriori da osservazioni di enti ed eventi particolari-concreti.
Che in generale si facciano astrazioni dal particolare-concerto e che le si elaborino creativamente non è casuale (né per me in alcun modo problematico).



Maral:
Tentando di essere più chiaro:il fenomeno è precisamente e semplicemente "ciò che appare in luce” (nel suo modo specifico di apparire in luce che è diverso da fenomeno a fenomeno) e apparire in luce significa accadere, tutto qui. E fin qui non mi sembra che siamo così distanti, al di là forse nel risultarci di maggiore o minore rilevanza certi modi di apparire in luce, a certi modi di accadere in relazione ai contesti di significato a cui facciamo riferimento. Il punto essenziale che forse ci differenzia (essendo sgiombo e maral due accadimenti-fenomeni diversi) è che a me sembra evidente che l’apparire in luce necessiti necessariamente di qualcosa che resta al buio. Che ci sia ma non appaia, altrimenti nulla può mostrarsi in luce. E il fatto che deve esserci qualcosa che rimane al buio a fare da sfondo oscuro appare così esso stesso in luce, ossia in luce appare la presenza del buio, appare chiaro che c’è un buio che fa da sfondo a ciò che sta in luce, il buio, lo sfondo oscuro è dunque fenomeno esso stesso e quindi non è niente (che nega di essere fenomeno), ma ente.

Sgiombo:
Ma io non vedo nessuno sfondo scuro, almeno di giorno; solo di notte vedo il buio che fa da fondo scuro alla luna e alle stelle; ma dubito si tratti di ciò di cui parli.

Maral:
Il noumeno allora (se proprio vogliamo conservare questo termine) non lo intendo quindi come invisibile e indicibile realtà in sé che precede i fenomeni, ma sfondo fenomenico indispensabile, fenomeno esso stesso, come in una rappresentazione teatrale in cui oltre alla scena in primo piano vi è tutto un indispensabile mondo che le fa da sfondo ponendo proprio questa scena in primo piano e la realtà le comprende tutte sfondo e accadimenti: quello che si manifesta in primo piano come quello che alla luce di questo accadere si manifesta come oscurità, ma da cui emergono altri primi piani che spingono ciò che qui e ora è in primo piano sullo sfondo secondo necessità. Per un attore che sale sulla ribalta ce ne è un altro che esce di scena, ma questi non diventa nulla, solo rientra nello sfondo del palcoscenico a determinare come sfondo lo spettacolo per come accade. Tutto resta a livello rappresentativo, perché l’ontologia del reale sta nello spettacolo stesso (che non è e non può essere il niente fatto spettacolo) offerto dalla fenomenologia e non fuori da esso. Non so se così è almeno intuitivamente più chiaro.

Sgiombo:
Purtroppo non lo è (per me, ovviamente).
L’ unico senso che riesco a dare a queste tue parole è che non credi esista altro che i fenomeni.
Scrivi infatti che il “buio di sfondo” è esso stesso apparenza fenomenica (e da esso talora qualcosa passa in primo piano alla luce mentre altro vi rientra dopo essere stato in primo piano alla luce precedentemente. Ma poiché tutto ciò palesemente non è quel che vediamo, credo si tratti di una metafora; che però non riesco proprio a tradurre in nulla di letterale e sensato).

Ultima modifica di sgiombo : 15-09-2014 alle ore 10.36.30.
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Vecchio 15-09-2014, 16.25.18   #45
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Originalmente inviato da sgiombo
Circa parole, discorsi, immagini e concetti la cosa mi risulta chiara. Ma non tutti gli enti significano altri enti: non gli altri enti diversi da parole, discorsi, immagini e concetti; per esempio mentre comprendo bene cosa significhi la parola “ombrello”, non ho la più pallida idea di che cosa possa significare un oggetto come un’ ombrello (che non porti scritte o simboli pubblicitari, sportivi o i qualsiasi altro genere, ovviamente; nel qual caso comunque sarebbero queste ultime, e non l’ ombrello su cui comparissero, ad avere un significato).

Anche gli enti diversi da parole, immagini e concetti significano/rimandano a/richiamano altri enti.
Ad esempio il fumo rimanda al fuoco, il tuono al fulmine, un mozzicone di sigaretta fumante a una presenza, un ombrello alla pioggia, ecc...

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Vecchio 15-09-2014, 19.43.55   #46
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Originalmente inviato da jeangene
Anche gli enti diversi da parole, immagini e concetti significano/rimandano a/richiamano altri enti.
Ad esempio il fumo rimanda al fuoco, il tuono al fulmine, un mozzicone di sigaretta fumante a una presenza, un ombrello alla pioggia, ecc...



Beh, é un po' diverso.

Le parole hanno propriamente significati loro attribuiti per convenzione (arbitrariamente; il caso delle parole onomatopeutiche, il cui significato ha qualche "affinità naturale" o più precisamente consonanza con il termine significante stesso costituisce un' eccezione alla regola; che é quella del carattere meramente convenzionale, arbitrario dell' assegnazione dei significati ai vocaboli).

Invece nel caso degli altri esempi che proponi si tratta di inferenze di fatti da altri fatti. In questi ultimi casi non siamo di fronte, se non in senso meramente metaforico, a "significati" propri di fatti (intendendosi in realtà, letteralmente deduzioni o induzioni di fatti non immediatamente evidenti da altri fatti immediatamente evidenti); letteralmente, in senso proprio un significato l' hanno solo le parole e i discorsi, non i fatti in generale.
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Vecchio 15-09-2014, 21.20.25   #47
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Originalmente inviato da sgiombo
[b]
... per esempio mentre comprendo bene cosa significhi la parola “ombrello”, non ho la più pallida idea di che cosa possa significare un oggetto come un’ ombrello (che non porti scritte o simboli pubblicitari, sportivi o i qualsiasi altro genere, ovviamente; nel qual caso comunque sarebbero queste ultime, e non l’ ombrello su cui comparissero, ad avere un significato).
Gli enti significano a mezzo delle parole e prima ancora a mezzo delle loro immagini. Certo se consideri da una parte gli enti e dall'altra le parole o le immagini che ad essi si riferiscono non possono significare nulla, sono nulla (del tutto insignificanti) e pure le parole sono significanti vuoti senza gli enti che designano. Il significare è proprietà intrinseca di ogni ente. Ombrello ad esempio, come dice jeangene, può richiamare una passeggiata sotto la pioggia una passeggiata sotto la pioggia altre situazioni ancora e così via all'infinito. La parola fa parte dell'ente, è il significato che gli è proprio. ossia, come già detto:

Maral:
La cosa (l’ente) si presenta al mondo come parola/immagine e la parola/immagine appare così a sua volta come cosa. Un “calcio nel sedere” è cosa e parola/immagine, non si può tenerle separate, non si può separare l’ente (qualunque esso sia) dal suo rappresentarsi, dal suo segno...

Citazione:
Sgiombo:Qualsiasi cosa può apparire senza che ci si pensi o se ne parli;

No, nessuna cosa può apparire senza significato, senza che si faccia segno fosse anche per un solo istante. Se la cosa accade, accade sempre come segno, altrimenti è sfondo. Un calcio nel sedere poi è sempre un segno di strepitosa evidenza, ha un significato proprompente che richiama una marea di significati. La “realtà dei fatti” parla eccome se vuole proporsi come fatto significando di essere tale.

Citazione:
Sgiombo:
Certo della realtà fanno parte anche discorsi e conoscenze circa la realtà, discorsi che possono essere (essi soli, e non la realtà di cui parlano, la quale semplicemente è oppure non è) vero o falsi...
Ma i discorsi non sono separati dalle cose che dicono, non sono un mondo separato, sono le cose che dicono. Cosa e parola (o immagine che nell'uomo è soprattutto immagine verbale) vanno sempre insieme. Il giudizio di verità valuta la congruenza tra le parole affinché la cosa si presenti in modo non contraddittorio, ossia non insignificante.

Citazione:
Sgiombo:
Vero non è solo dire vero di ciò che di fatto è vero; questo è un caso molto particolare di verità; in generale è dire reale di ciò che di fatto è reale (o non reale di ciò che di fatto non é reale).
Mi riferisco al vero perché non trovo abbia molto senso dire che qualcosa è reale, tutto è reale a modo suo, laddove il giudizio di verità valuta appunto il senso che è proprio del dire, del rappresentare, non della realtà ontologica in sé.

Citazione:
La cosa in sé o noumeno non può essere né dimostrata essere reale, né tantomeno constatata; dunque non se ne può avere certezza
Non può essere dimostrata essere vera (perché nulla se ne può dimostrare senza rappresentarla, ossia senza che non sia più cosa in sé), ma reale lo è, necessariamente. Altrimenti la realtà non esisterebbe e questo sarebbe assurdo.

Citazione:
Conoscenza vera non è la stessa cosa di conoscenza certa: può anche darsi senza certezza.
Una verità incerta? Come può essere vera una verità incerta? Per la verità in senso filosofico non possono esserci vie di mezzo.

Citazione:
Sgiombo:
La fantasia non si esprime solo nella -e non serve solo alla- arte, ma anche nella scienza.
Io la chiamerei piuttosto intuito matematico che fa riferimento a delle astrazioni. Possiamo considerare che queste astrazioni nascono da cose concrete e sensibili, ma anche che esistono di per sé e si presentano alla mente del matematico che le sa vedere e quindi le applica a cose concrete e sensibili. Non vedo come potremmo giudicare e dimostrare con certezza quale delle due ipotesi è vera e quale falsa, al di là di modi individuali di sentire.
Chiedi in quale luogo fisico si trovano, ma la mente non è forse un luogo fisico? Non è un luogo dello spazio tempo per nulla metaforico? Possiamo pensare che lì si trovi da sempre il punto geometrico senza bisogno di costruirlo, basta saperlo vedere?

Citazione:
Che in generale si facciano astrazioni dal particolare-concerto e che le si elaborino creativamente non è casuale (né per me in alcun modo problematico).
Non è problematico in quanto ti è consueto, ma l'essere consueto nasconde la problematicità, non la elimina per nulla.

Citazione:
Sgiombo:
Ma io non vedo nessuno sfondo scuro, almeno di giorno; solo di notte vedo il buio che fa da fondo scuro alla luna e alle stelle; ma dubito si tratti di ciò di cui parli.
Lo sfondo scuro a cui mi riferisco non è un telo nero di tessuto messo dietro le cose, ma è tutto ciò che non appare definito, che però deve esserci altrimenti nulla potrebbe apparire. Hai presente il rapporto figura sfondo? Lo sfondo è semplicemente il mondo a cui non fai attenzione e che ignori mentre guardi una figura, ma senza quello sfondo non vedresti nemmeno la figura (e se guardi lo sfondo è quello che prima ti appariva come figura ad apparirti come sfondo, sfondo e figura sono intercambiabili).

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Sgiombo:
L’ unico senso che riesco a dare a queste tue parole è che non credi esista altro che i fenomeni.
Scrivi infatti che il “buio di sfondo” è esso stesso apparenza fenomenica (e da esso talora qualcosa passa in primo piano alla luce mentre altro vi rientra dopo essere stato in primo piano alla luce precedentemente. Ma poiché tutto ciò palesemente non è quel che vediamo, credo si tratti di una metafora; che però non riesco proprio a tradurre in nulla di letterale e sensato).
No, la realtà in sé esiste oltre la rappresentazione fenomenica che è realtà per noi che si manifesta nel totale rappresentarsi fenomenico di quel continuo gioco tra l'apparire in luce degli enti e il loro eclissarsi nello sfondo. Non dovrebbe essere così difficile, è una metafora percettiva: come si percepiscono le cose? Traccia un disegno su un foglio di carta e considera il rapporto figura sfondo, considera la figura che hai tracciato, poi lo sfondo come figura tutto qui, si implicano sempre reciprocamente nel significare, è immediato. Qui puoi trovare alcuni esempi curiosi già disegnati:
http://it.images.search.yahoo.com/yhs/search;_ylt=A7x9UnzSNhdU0lIA9G BHDwx.;_ylu=X3oDMTBsYWhiN2NvBH NlYwNzYwRjb2xvA2lyMgR2dGlkAw--?_adv_prop=image&fr=yhs-ddc-ddc_bd&va=figura+sfondo&hspart =ddc&hsimp=yhs-ddc_bd
maral is offline  
Vecchio 15-09-2014, 21.31.39   #48
maral
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Originalmente inviato da sgiombo
Beh, é un po' diverso.

Le parole hanno propriamente significati loro attribuiti per convenzione (arbitrariamente; il caso delle parole onomatopeutiche, il cui significato ha qualche "affinità naturale" o più precisamente consonanza con il termine significante stesso costituisce un' eccezione alla regola; che é quella del carattere meramente convenzionale, arbitrario dell' assegnazione dei significati ai vocaboli).

Invece nel caso degli altri esempi che proponi si tratta di inferenze di fatti da altri fatti. In questi ultimi casi non siamo di fronte, se non in senso meramente metaforico, a "significati" propri di fatti (intendendosi in realtà, letteralmente deduzioni o induzioni di fatti non immediatamente evidenti da altri fatti immediatamente evidenti); letteralmente, in senso proprio un significato l' hanno solo le parole e i discorsi, non i fatti in generale.
Scusate se mi intrometto, ma non è assolutamente così nessuna parola che non sia un puro simbolo algebrico è arbitraria e nemmeno l'onomatopeutica può spiegarne in linea di principio l'attribuzione: ombrello è forse onomatopeutico con l'oggetto ombrello? Che senso ha? O è forse casuale? Ombrello equivale forse a tkyuminzz? Forse che il nome di un oggetto è preso a piacere tra varie combinazioni di fonemi? Quando mai? nemmeno quando il primo ominide pronunciò la prima parola che significasse qualcosa lo fece a caso!
Le parole sono legate alle cose che esprimono, non separate. Le inferenze dei fatti, degli accadimenti sono inferenze tra cose che si esprimono: ombrello-pioggia-sole-gita in campagna-vacanze-famiglia ... Sono proprio le cose-accadimenti a essere legate, a esprimere relazioni e solo per questo significano qualcosa e non nulla, nulla di casuale.
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Vecchio 16-09-2014, 08.52.18   #49
jeangene
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Originalmente inviato da sgiombo
Beh, é un po' diverso.

Le parole hanno propriamente significati loro attribuiti per convenzione (arbitrariamente; il caso delle parole onomatopeutiche, il cui significato ha qualche "affinità naturale" o più precisamente consonanza con il termine significante stesso costituisce un' eccezione alla regola; che é quella del carattere meramente convenzionale, arbitrario dell' assegnazione dei significati ai vocaboli).

Invece nel caso degli altri esempi che proponi si tratta di inferenze di fatti da altri fatti. In questi ultimi casi non siamo di fronte, se non in senso meramente metaforico, a "significati" propri di fatti (intendendosi in realtà, letteralmente deduzioni o induzioni di fatti non immediatamente evidenti da altri fatti immediatamente evidenti); letteralmente, in senso proprio un significato l' hanno solo le parole e i discorsi, non i fatti in generale.

orologio-tempo-Einstein-nazismo-...
orologio-compleanno-torta-grafico-...
orologio-rolex-Svizzera-cioccolato-...
...
...-nazismo-Einstein-tempo-orologio
...-grafico-torta-compleanno-orologio
...-cioccolato-Svizzera-rolex-orologio
...

Mi sembra di essere a Reazione a catena!

É interessante notare come da un singolo ente (orologio) derivino una infinità di catene di rimandi e quindi di significati che si svelano nel tempo. Naturalmente la catena Orologio-tempo-Einstein-nazismo sarà celata a un bimbo di cinque anni, ma non lo sarà la catena Orologio-compleanno-torta. E' evidente che più conosciamo il mondo più si svelano questi rimandi.

Come dice Maral: Le inferenze dei fatti, degli accadimenti sono inferenze tra cose che si esprimono ... Sono proprio le cose-accadimenti a essere legate, a esprimere relazioni e solo per questo significano qualcosa e non nulla, nulla di casuale.
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Vecchio 16-09-2014, 19.19.15   #50
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@ Maral e Jeangene

Voi continuate a confondere un uso meramente metaforico dei termini “significare” e “significato” con il loro significato (mi dispiace per l’ inevitabile gioco di parole) letterale.

E con le metafore si possono fare allusioni e suggestioni più o meno fantasiose e creative (si possono fare dei bei racconti in prosa o delle belle poesie) ma non si affrontano rigorosamente i problemi ontologici e gnoseologici (non si fa della buona filosofia; se per “buona filosofia” si intende una filosofia rigorosamente razionalistica, che se invece ritenete che una buona filosofia possa essere irrazionalistica, allora devo concludere che è inutile continuare a discutere: parliamo lingue diverse, per usare una metafora che mi sembra inequivocabile; non è che in filosofia un atteggiamento razionalistico vieti in assoluto l’ uso di metafore: vieta solo di confondere eventuali significati metaforici di parole ed espressioni con i loro significati letterali).

Gli enti in generale possono suggerire induzioni e deduzioni (di altri enti ed eventi; o anche concetti più o meno astratti), ma non significano assolutamente nulla (in senso letterale): semplicemente sono quel che sono “e basta”.
Gli unici enti che significano (letteralmente) qualcosa sono determinati enti assai peculiari: vocaboli, discorsi, immagini, simboli e affini.
Per esempio l’ oggetto detto (in italiano) ombrello può per associazione di idee ricordare una passeggiata sotto la pioggia (ma anche una rapina a qualcuno che vi abbia assistito sotto la pioggia, un incidente stradale a chi ne abbia subito uno sotto la pioggia, ma anche l’ amore a qualcuno che abbia conosciuto la donna che ama sotto la pioggia e un’ infinità di altre cose -chi più ne ha più ne metta!- a seconda dei casi. Invece la parola “ombrello” ha solo ben pochi significati arbitrariamente stabiliti per convenzione (e ritrovabili nei vocabolari, ove si parlerà di oggetti per ripararsi dalla pioggia, oppure dal sole, o di uso metaforico per riparo in senso lato, ma certamente non di passeggiate, né di incidenti stradali, né di rapine, né di amore e chi più ne ha più ne metta).
Lo stesso discorso vale evidentemente per le associazioni di idee proposte da Jeangene (orologio-tempo-Einstein-nazismo-compleanno-torta-grafico-rolex-Svizzera-cioccolato e chi più ne ha più ne metta): si tratta appunto di associazioni di idee e non di significati, i quali sono ben altra cosa!.

Gli enti in generale (per esempio tutti quelli di cui sopra dall’ ombrello al cioccolato) non ”si presentano” affatto “al mondo come parola/immagine e la parola/immagine appare così a sua volta come cosa”: esistono "e basta".
E l’ evento del ricevere di un calcio nel sedere è tutt’ altra cosa, ben diversa e che può stare benissimo separata dall’ espressione verbale (detta o scritta) “calcio nel sedere”, come ben sa chiunque ne abbia (ahilui!) ricevuti, anche se dal concetto di “calcio nel sedere” si possono ricavare le più disparate associazioni di idee (che generalmente non fanno male; e se anche ne fanno, si tratta comunque di tutt’ altro genere di dolore da quello procurato dal fatto di ricevere un calcio nel sedere; non si tratta certo di un dolore fisico).

Ribadisco il fatto ovvio ed evidentissimo a chiunque che spessissimo si hanno -eccome!- sensazioni senza badarvi, e dunque senza attribuirvi nemmeno alcuna associazione di idee (o "significato", se proprio volete insistere, in senso meramente metaforico); se facessimo caso a tutto ciò che vediamo e la nostra attenzione non fosse limitata a una piccola parte di ciò che percepiamo probabilmente impazziremmo; e comunque riusciremmo ad assolvere bene ben pochi, purché semplicissimi, impegni pratici.

I discorsi non sono affatto le cose che dicono, di cui parlano: prova a dire a un creditore “ti ho pagato il debito” anziché a mettere in atto il fatto di pagargli il debito (se si trattasse degli strozzini legalizzati di Equitalia saresti proprio in un bel guaio!).
E il giudizio di verità non “valuta” affatto “ la congruenza tra le parole” (questa la valuta casomai il giudizio di coerenza logica), bensì la congruenza fra le parole e i fatti (non affatto sempre necessariamente presente! Quante balle si sentono continuamente in TV, neanche tanto ben raccontate? E quante opinioni sono state credute pressocché universalmente per secoli che poi si sono rivelate false?).

“il giudizio di verità” (o falsità) non “valuta” affatto “il senso che è proprio del dire, del rappresentare, non della realtà ontologica in sé” ma invece proprio la realtà ontologica in sé per stabilire se è conforme o meno al “senso che è proprio del dire, del rappresentare” verbalmente.

*******************

Maral:
[La cosa in sé o noumeno] reale lo è, necessariamente. Altrimenti la realtà non esisterebbe e questo sarebbe assurdo.

Sgiombo:
Se non esiste la cosa in sé o noumeno possono comunque benissimo esistere, cioè essere reali, costituire la realtà in toto, i fenomeni. Dunque la cosa in sé o noumeno non è affatto necessariamente reale (può benissimo darsi che non lo sia per niente).
A parte il fatto che la realtà ossia ciò che è reale, qualsiasi cosa sia, fosse pure il nulla, esisterebbe per l’ appunto comunque, senza la ben che minima assurdità, anche qualora fosse costituita dal nulla.



Maral:
“Una verità incerta? Come può essere vera una verità incerta? Per la verità in senso filosofico non possono esserci vie di mezzo.

Sgiombo:
La verità è una cosa (o c’è o non c’ è senza vie di mezzo; salvo che per la logica fuzzy, della quale non può fregarcene di meno), la certezza un’ altra.
Se Tizio dice: “il noumeno esiste realmente” e Caio dice “il noumeno non esiste realmente”, non ho certezza alcuna circa l’ esistenza o meno del noumeno, ma ho comunque la certezza che una verità è stata detta (o da Tizio oppure da Caio), ma è appunto incerto se questa verità indubbia sia quella dell’ affermazione di Tizio o quella dell’ affermazione di Caio).



Maral:
Io la chiamerei piuttosto intuito matematico che fa riferimento a delle astrazioni. Possiamo considerare che queste astrazioni nascono da cose concrete e sensibili, ma anche che esistono di per sé e si presentano alla mente del matematico che le sa vedere e quindi le applica a cose concrete e sensibili. Non vedo come potremmo giudicare e dimostrare con certezza quale delle due ipotesi è vera e quale falsa, al di là di modi individuali di sentire.
Chiedi in quale luogo fisico si trovano, ma la mente non è forse un luogo fisico? Non è un luogo dello spazio tempo per nulla metaforico? Possiamo pensare che lì si trovi da sempre il punto geometrico senza bisogno di costruirlo, basta saperlo vedere?

Sgiombo:
La mente non è un luogo fisico; è un insieme di eventi fenomenici; i luoghi fisici sono nei fenomeni materiali (non per niente detti da Cartesio “res extensa”) non in quelli mentali (“res cogitans”).
Il punto geometrico non l’ ha mai visto nessuno; lo si intuisce come concetto, nozione; ma non perché giunga autonomamente alla coscienza come in sogno, bensì perché lo si persa e lo si definisce in seguito a una serie di ragionamenti a partire -in ultima istanza- da sensazioni di oggetti concreti.



Maral:
[Che in generale si facciano astrazioni dal particolare-concerto e che le si elaborino creativamente] Non è problematico in quanto ti è consueto, ma l'essere consueto nasconde la problematicità, non la elimina per nulla
.
Sgiombo:
La nasconderebbe senza eliminarla se (per assurdo) questa problematicità esistesse; ma non esiste proprio.



Maral:
Lo sfondo scuro a cui mi riferisco non è un telo nero di tessuto messo dietro le cose, ma è tutto ciò che non appare definito, che però deve esserci altrimenti nulla potrebbe apparire.
Hai presente il rapporto figura sfondo? Lo sfondo è semplicemente il mondo a cui non fai attenzione e che ignori mentre guardi una figura, ma senza quello sfondo non vedresti nemmeno la figura (e se guardi lo sfondo è quello che prima ti appariva come figura ad apparirti come sfondo, sfondo e figura sono intercambiabili).

Sgiombo:
E’ per lo meno discutibile che “tutto ciò che non appare definito, che però deve esserci altrimenti nulla potrebbe apparire”.
Comunque sfondo e primo piano fanno parte dell’ esperienza fenomenica cosciente (visiva): dove starebbero le “rappresentazioni riuscite per quanto sempre dubitabili (poiché solo di rappresentazioni comunque si tratta)” e il ”reale rappresentato” al quale “d'altro canto proprio in quanto rappresentazioni esse riferiscono e non a se stesse”, ecc. di cui mi parlavi e che la metafora sfondo oscuro/primo piano luminoso dovrebbe cercare di spiegarmi?



Maral:
No, la realtà in sé esiste oltre la rappresentazione fenomenica che è realtà per noi che si manifesta nel totale rappresentarsi fenomenico di quel continuo gioco tra l'apparire in luce degli enti e il loro eclissarsi nello sfondo.

Sgiombo:
Affermazione apodittica, che: o é creduta per fede (ma non è il mio caso): oppure necessita di essere dimostrata.

Maral:
Non dovrebbe essere così difficile, è una metafora percettiva: come si percepiscono le cose? Traccia un disegno su un foglio di carta e considera il rapporto figura sfondo, considera la figura che hai tracciato, poi lo sfondo come figura tutto qui, si implicano sempre reciprocamente nel significare, è immediato. Qui puoi trovare alcuni esempi curiosi già disegnati:

Sgiombo:
Una metafora non è una dimostrazione (e poi si tratta sempre, come ho già notato, unicamente, puramente e semplicemente di percezioni fenomeniche coscienti -comprendenti sfondo e primo piano- nell' ambito delle quali quali non vedo come si possa distinguere fra “rappresentazioni” e “reale rappresentato”).

Ultima modifica di sgiombo : 17-09-2014 alle ore 09.30.02.
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