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Vecchio 17-09-2014, 11.00.22   #51
maral
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@ Maral e Jeangene

Voi continuate a confondere un uso meramente metaforico dei termini “significare” e “significato” con il loro significato (mi dispiace per l’ inevitabile gioco di parole) letterale.

E con le metafore si possono fare allusioni e suggestioni più o meno fantasiose e creative (si possono fare dei bei racconti in prosa o delle belle poesie) ma non si affrontano rigorosamente i problemi ontologici e gnoseologici (non si fa della buona filosofia; se per “buona filosofia” si intende una filosofia rigorosamente razionalistica, che se invece ritenete che una buona filosofia possa essere irrazionalistica, allora devo concludere che è inutile continuare a discutere: parliamo lingue diverse, per usare una metafora che mi sembra inequivocabile; non è che in filosofia un atteggiamento razionalistico vieti in assoluto l’ uso di metafore: vieta solo di confondere eventuali significati metaforici di parole ed espressioni con i loro significati letterali)...
Lascerei da parte il discorso sulle buone filosofie assolutamente razionalistiche, perché per lo più le buone filosofie assolutamente razionalistiche tendono irresistibilmente (per chi crede nel valore assoluto della razionalità, cosa che trovo assai discutibile e pure irrazionale) sempre a coincidere con il proprio modo di pensare e capire e siccome ognuno ha il suo modo (irrazionalistico) di pensare, si finisce in polemiche del tutto irrazionali. In realtà sappiamo che la razionalità misura semplicemente la coerenza tra premesse e conclusioni inferite di modo tale che esse non contraddicano le premesse stesse annullandone il significato. Di per sé né premesse né conclusioni sono razionali o irrazionali in quanto la razionalità è data dalla valutazione dei rapporti formali tra esse con riferimento al principio di identità per rilevare se si presentano contraddittori (quindi falsi) o no (quindi veri), e questo vale in tutto e per tutto anche per la logica fuzzy, checché qualcuno ne abbia detto.
Mi soffermo invece sul concetto di metafora: una metafora è un accostamento di significati che hanno qualcosa di simile (una parziale sovrapposizione semantica), dunque l'errore logico sarebbe prendere questa parziale sovrapposizione per identità semantica, ma non per somiglianza e quindi richiamo tra gli enti che proprio in quanto enti significano tra loro. Per essere chiari, se dico "Achille in battaglia è un leone" sarebbe irrazionale pensare che Achille in battaglia coincide letteralmente in ogni senso con un grosso felino (sarebbe contraddizione essendo Achille Achille e un leone un leone), mentre è vero che tra l'ente Achille e l'ente leone esiste una parziale sovrapposizione di significato ed è proprio questa parziale sovrapposizione che li richiama insieme, legandoli, connettendol per cui Achille richiama davvero il leone.
Ora, si potrebbe dire che stiamo in realtà solo usando delle parole, che sono le parole che si richiamano e non gli enti, ma a mio avviso non è assolutamente così, proprio perché le parole non vivono in un loro mondo separato dalle cose come stanno, le parole sono (almeno nella dimensione umana) immagine dell'ente e non si può in alcun modo separare l'essenza dall'immagine che essa dà di se stessa, le essenze si presentano sempre e solo come immagini, come parole e rappresentazioni, altrimenti non si presentano, altrimenti appaiono niente. E il richiamarsi dei significati a mezzo di metafore non è un liberissimo gioco di soggetti zuzzurelloni, fantasiosi e un bel po' imbroglioni (anche se a volte può esserlo e possiamo anche tentare di vedere quando e come accade), ma esigenza fondamentale della realtà stessa, esigenza per apparire, esigenza di una realtà in sé di essere realtà per sé attraverso l'altro e dunque è la base stessa della fenomenologia, è realtà che si dà come fenomeno e rappresentazione e non può darsi in altra maniera se non quella di rappresentarsi. Per questo tutti gli enti, nessuno escluso, se sono enti e non niente, son anche immagini, simboli e discorsi, così solo si presentano. Cosa poi ci sia oltre questo presentarsi per logica elementare non possiamo dirlo, perché è ovvio che dicendolo rappresentiamo, ma dobbiamo ammettere che c'è sempre per logica e razionalità elementare: la realtà non è solo rappresentazione, proprio perché la rappresentazione rappresenta (significa) qualcosa e non niente. Se il niente si presentasse sarebbe contraddizione e se si presentasse la contraddizione come vera essa sarebbe immediatamente falsa proprio perché vera. Tutto questo è logica pura, pura e rigorosissima razionalità, non è pretesa di fede che la realtà esista e si manifesti in quanto tale, se così non fosse nulla, nemmeno che essa non esiste avrebbe senso e nemmeno che nulla avrebbe senso.

Posso così riassumere i passaggi logici:
1-GLI ENTI NON SONO NIENTE (premessa fondamentale)
2- se non sono niente sono quel qualcosa che è identico a ciò che sono
3- se sono qualcosa questo qualcosa necessariamente si manifesta come significato, ossia come costante richiamo relazionale (segno) tra gli enti stessi, ove il segno si esprime proprio a mezzo di parziali sovrapposizioni e contrapposizioni semantiche
4- La totalità dei segni esprime la fenomenologia completa dell'ente, dunque l'ente esattamente per come è. La totalità dell'apparire è totalità dell'essente per come è, sono la stessa cosa.

A questo si aggiunga che:
PREMESSA:
A- il darsi fenomenico presuppone una contrapposizione figura sfondo che origini significati, ossia una contrapposizione dialettica tra almeno due enti diversi, da cui uno emerge come figura definita dall'altro (o altri) che come sfondo lo definiscono, lo delimitano, ne tracciano un contorno o limite (quello che ho metaforicamente indicato come apparire in luce, apparire alla coscienza, mettila come vuoi, che necessita di un qualcos'altro che resta al buio, resta nel subconscio, che non appare e non apparendo delimita quello che appare)
B- Dalla combinazione della precedente conclusione (4) con La premessa (A) si deduce non contraddittoriamente che la totalità dei segni che compete all'ente, la sua fenomenologia completa, ossia l'ente per come veramente è nella sua totale identità semantica non può apparire in alcun modo in base alla necessità imprescindibile di uno sfondo che non appare ma che pur tuttavia deve apparire e appare infatti via via come un infinito percorso di significati che non si esaurisce e non termina mai.

Tutto questo indica che le cose sono eventi relazionali infiniti e lo sono proprio perché significano qualcosa e non niente, pure un calcio nel sedere non finisce mai di rappresentare e quel qualcosa che continuamente significano è ciò che realmente sono, non possono significare altro di diverso, non si può significare ciò che non si è.

Se rilevi in questo ragionamento qualcosa di irrazionale che contraddice le premesse da cui è impostato mi farà piacere se me lo indicherai.
Se non lo condividi poiché il tuo modo di sentire il mondo e le cose è diverso mi va benissimo, la diversità è il valore fondamentale affinché un mondo di cose appaia e si manifesti in tutto il suo splendore.
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Vecchio 17-09-2014, 19.46.32   #52
sgiombo
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Maral:
Lascerei da parte il discorso sulle buone filosofie assolutamente razionalistiche, perché per lo più le buone filosofie assolutamente razionalistiche tendono irresistibilmente (per chi crede nel valore assoluto della razionalità, cosa che trovo assai discutibile e pure irrazionale) sempre a coincidere con il proprio modo di pensare e capire e siccome ognuno ha il suo modo (irrazionalistico) di pensare, si finisce in polemiche del tutto irrazionali. In realtà sappiamo che la razionalità misura semplicemente la coerenza tra premesse e conclusioni inferite di modo tale che esse non contraddicano le premesse stesse annullandone il significato. Di per sé né premesse né conclusioni sono razionali o irrazionali in quanto la razionalità è data dalla valutazione dei rapporti formali tra esse con riferimento al principio di identità per rilevare se si presentano contraddittori (quindi falsi) o no (quindi veri), e questo vale in tutto e per tutto anche per la logica fuzzy, checché qualcuno ne abbia detto.

Sgiombo:
Non ho mai parlato di razionalismo “assoluto” né di “valore assoluto della razionalità”.
Ci possono essere modi di pensare più o meno razionalistici; ovviamente non è umanamente possibile un razionalismo assoluto o perfetto; per quanto mi riguarda tuttavia credo (irrazionalisticamente) di dover cercare di essere il più razionale possibile nei miei pensieri e nelle mie azioni.

Sono perfettamente d’ accordo con la considerazione che “la razionalità misura semplicemente la coerenza tra premesse e conclusioni inferite di modo tale che esse non contraddicano le premesse stesse annullandone il significato. Di per sé né premesse né conclusioni sono razionali o irrazionali in quanto la razionalità è data dalla valutazione dei rapporti formali tra esse con riferimento al principio di identità per rilevare se si presentano contraddittori […] o no”
Non sono invece d’ accordo con le precisazioni “(quindi falsi), (quindi veri)”.
La coerenza logica garantisce la correttezza delle conclusioni delle inferenze dalle premesse ma non affatto la loro verità; esse sono vere solo alla condizione che le premesse siano vere; se -come può benissimo darsi- queste sono false, allora la correttezza logica delle inferenze non ne garantisce in alcun modo la verità (es.: tutti gli uomini sono immortali; Socrate è un uomo; Socrate è immortale. La conclusione -da una premessa falsa e una vera- è logicamente corretta ma falsa).



Maral:
Mi soffermo invece sul concetto di metafora: una metafora è un accostamento di significati che hanno qualcosa di simile (una parziale sovrapposizione semantica), dunque l'errore logico sarebbe prendere questa parziale sovrapposizione per identità semantica, ma non per somiglianza e quindi richiamo tra gli enti che proprio in quanto enti significano tra loro. Per essere chiari, se dico "Achille in battaglia è un leone" sarebbe irrazionale pensare che Achille in battaglia coincide letteralmente in ogni senso con un grosso felino (sarebbe contraddizione essendo Achille Achille e un leone un leone), mentre è vero che tra l'ente Achille e l'ente leone esiste una parziale sovrapposizione di significato ed è proprio questa parziale sovrapposizione che li richiama insieme, legandoli, connettendol per cui Achille richiama davvero il leone.

Sgiombo:
D’ accordo.
Ma dire che l' oggetto “ombrello” significa letteralmente l' evento “passeggiata sotto la pioggia” nel senso in cui le parole hanno un significato letterale, mentre lo significa solo metaforicamente, nel senso che ne evoca il ricordo, è per l’ appunto confondere significato metaforico e significato letterale (della parola “significare”): sarebbe proprio come dire che Achille è letteralmente un grosso felino.




Maral:
Ora, si potrebbe dire che stiamo in realtà solo usando delle parole, che sono le parole che si richiamano e non gli enti, ma a mio avviso non è assolutamente così, proprio perché le parole non vivono in un loro mondo separato dalle cose come stanno, le parole sono (almeno nella dimensione umana) immagine dell'ente e non si può in alcun modo separare l'essenza dall'immagine che essa dà di se stessa, le essenze si presentano sempre e solo come immagini, come parole e rappresentazioni, altrimenti non si presentano, altrimenti appaiono niente. E il richiamarsi dei significati a mezzo di metafore non è un liberissimo gioco di soggetti zuzzurelloni, fantasiosi e un bel po' imbroglioni (anche se a volte può esserlo e possiamo anche tentare di vedere quando e come accade), ma esigenza fondamentale della realtà stessa, esigenza per apparire, esigenza di una realtà in sédi essere realtà per sé attraverso l'altro e dunque è la base stessa della fenomenologia, è realtà che si dà come fenomeno e rappresentazione e non può darsi in altra maniera se non quella di rappresentarsi. Per questo tutti gli enti, nessuno escluso, se sono enti e non niente, son anche immagini, simboli e discorsi, così solo si presentano. Cosa poi ci sia oltre questo presentarsi per logica elementare non possiamo dirlo, perché è ovvio che dicendolo rappresentiamo, ma dobbiamo ammettere che c'è sempre per logica e razionalità elementare: la realtà non è solo rappresentazione, proprio perché la rappresentazione rappresenta (significa) qualcosa e non niente. Se il niente si presentasse sarebbe contraddizione e se si presentasse la contraddizione come vera essa sarebbe immediatamente falsa proprio perché vera. Tutto questo è logica pura, pura e rigorosissima razionalità, non è pretesa di fede che la realtà esista e si manifesti in quanto tale, se così non fosse nulla, nemmeno che essa non esiste avrebbe senso e nemmeno che nulla avrebbe senso.

Sgiombo:
Ovviamente le parole si riferiscono ad enti reali (fosse pure in quanto concetti, astrazioni, nozioni, ecc.; non necessariamente in quanto enti effettivamente esistenti, reali non solo concettualmente ma anche ontologicamente), altrimenti non sarebbero parole.
Ma non è vero il reciproco: non so bene cosa possano essere le “essenze”, ma comunque gli enti ed eventi (in generale: salvo parole, immagini, ecc. che sono enti o eventi assai peculiari a questo riguardo) di per sé non si presentano affatto come parole (come immagini si, nel senso che sono insiemi di percezioni fenomeniche: “esse est percipi”; ma per la precisione solo gli enti ed eventi visivi); e possono benissimo accadere (realmente) anche senza che ne esista la parola che li denota (p. e. i canguri esistevano realmente anche prima che un europeo chiedesse a un aborigeno australiano che bestie fossero -o come si chiamassero- e questo gli rispondesse “canguro”, che fra l’altro significava “non capisco”; ed esistevano anche prima che i primi aborigeni australiani attribuissero loro un nome; ovviamente diverso da “canguro”).

Più in generale la realtà (fenomenica) esiste ovvero appare senza alcun bisogno di esprimersi, attraverso metafore o letteralmente; anzi esiste e per lo più (tutta tranne gli uomini e forse a un livello rudimentale “pre-linguistico” altri animali) non si esprime affatto, non parla, esiste “e basta” (nel senso letterale di “esprimersi” e “parlare”; ma confondere tali significati letterali con significati metaforici sarebbe come dire che Achille in battaglia è un grosso felino).

(CONTINUA)

Ultima modifica di sgiombo : 18-09-2014 alle ore 18.20.51.
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Vecchio 17-09-2014, 19.59.16   #53
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CONTINUAZIONE

Maral:
Posso così riassumere i passaggi logici:
1-GLI ENTI NON SONO NIENTE (premessa fondamentale)
2- se non sono niente sono quel qualcosa che è identico a ciò che sono
3- se sono qualcosa questo qualcosa necessariamente si manifesta come significato, ossia come costante richiamo relazionale (segno) tra gli enti stessi, ove il segno si esprime proprio a mezzo di parziali sovrapposizioni e contrapposizioni semantiche
4- La totalità dei segni esprime la fenomenologia completa dell'ente, dunque l'ente esattamente per come è. La totalità dell'apparire è totalità dell'essente per come è, sono la stessa cosa.

Sgiombo:
Gli enti sono enti; credo che intendi dire (nella premessa fondamentale) che non sono “il nulla” (in italiano, ove spesso la doppia negazione non afferma ma nega, dire “gli enti non sono niente” significa che “gli enti sono il nulla”, ma questo sarebbe una patente contraddizione).
La tesi 2 mi sembra una pura e semplice tautologia.
Ma la tesi n° 3 non consegue affatto dalle prime due: perché mai il qualcosa che sono gli enti (in generale: non le parole ecc.) dovrebbe “manifestarsi come significato”? In senso letterale; che altrimenti ti prego di uscire finalmente dall’ ambiguità e dire letteralmente quel che intendi dire; altrimenti non è possibile intendersi).
Quel che segue nella tesi 3 non lo capsico.
Che la totalità dei fenomeni (che appaiono) sia la totalità dei fenomeni è una mera tautologia; ma non è detto che la totalità dei fenomeni coincida con la totalità della realtà (potrebbero esserci anche cose in sé).



Maral:
A questo si aggiunga che:
PREMESSA:
A- il darsi fenomenico presuppone una contrapposizione figura sfondo che origini significati, ossia una contrapposizione dialettica tra almeno due enti diversi, da cui uno emerge come figura definita dall'altro (o altri) che come sfondo lo definiscono, lo delimitano, ne tracciano un contorno o limite (quello che ho metaforicamente indicato come apparire in luce, apparire alla coscienza, mettila come vuoi, che necessita di un qualcos'altro che resta al buio, resta nel subconscio, che non appare e non apparendo delimita quello che appare)
B- Dalla combinazione della precedente conclusione (4) con La premessa (A) si deduce non contraddittoriamente che la totalità dei segni che compete all'ente, la sua fenomenologia completa, ossia l'ente per come veramente è nella sua totale identità semantica non può apparire in alcun modo in base alla necessità imprescindibile di uno sfondo che non appare ma che pur tuttavia deve apparire e appare infatti via via come un infinito percorso di significati che non si esaurisce e non termina mai.

Tutto questo indica che le cose sono eventi relazionali infiniti e lo sono proprio perché significano qualcosa e non niente, pure un calcio nel sedere non finisce mai di rappresentare e quel qualcosa che continuamente significano è ciò che realmente sono, non possono significare altro di diverso, non si può significare ciò che non si è.

Se rilevi in questo ragionamento qualcosa di irrazionale che contraddice le premesse da cui è impostato mi farà piacere se me lo indicherai.
Se non lo condividi poiché il tuo modo di sentire il mondo e le cose è diverso mi va benissimo, la diversità è il valore fondamentale affinché un mondo di cose appaia e si manifesti in tutto il suo splendore.

Sgiombo:
Nei fenomeni ci sono ovviamente primi piani e sfondo (ma solo in quelli visivi: in quelli uditivi, tattili, gustativi, olfattivi, propiocettivi –per non parlare di quelli mentali o di pensiero- dove mai starebbero primi piani e sfondi?); ma che c’ entra il preteso “originarsi di significati”? (Di nuovo se usi “significato” in senso metaforico, dimmi quel che devi dirmi -una buona volta!- in senso letterale!).
Inoltre lo sfondo appare fenomenicamente quanto il primo piano, e non “resta al buio, resta nel subconscio, che non appare e non apparendo delimita quello che appare”, anche perché se non apparisse non potrebbe delimitare il primo piano, il quale assurdamente apparirebbe non delimitato (non sarebbe più un “primo piano”).

La tesi B francamente mi sembra un’ assurda accozzaglia di contraddizioni: (“…necessità imprescindibile di uno sfondo che non appare ma che pur tuttavia deve apparire e appare infatti via via come un infinito percorso di significati che non si esaurisce e non termina mai”). Lo sfondo:
a) E’ necessariamente imprescindibile; ma
b) Non appare; e tuttavia
c) Appare (giacché deve apparire) come un infinito percorso ecc. (e dunque, non solo appare, ma è anche infinito!).
E’ necessario (a), ma non appare (b), ma appare (c); addirittura appare (ad ulteriore contraddizione con la b) come un infinito (già l’ apparire finito di qualcosa che non appare è un’ evidente contraddizione, ma addirittura l’ apparire infinito di qualcosa che non appare…).

Si può benissimo significare quel che non si è; anzi di solito si significa quel che non si é; per esempio "calcio nel sedere" è un' espressione verbale (sono tre parole) e significa un evento che non é un' espressione verbale (non sono tre parole).
"Parola" significa quello che é; ma si tratta di un caso decisamente raro e peculiare.
E si può benissimo essere senza significare alcunché.

Credo di averti indicato numerosi casi di contraddizioni e di irrazionalità nei tuoi ragionamenti.
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Vecchio 18-09-2014, 23.19.56   #54
maral
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Originalmente inviato da Sgiombo

Sono perfettamente d’ accordo con la considerazione che “la razionalità misura semplicemente la coerenza tra premesse e conclusioni inferite di modo tale che esse non contraddicano le premesse stesse annullandone il significato. Di per sé né premesse né conclusioni sono razionali o irrazionali in quanto la razionalità è data dalla valutazione dei rapporti formali tra esse con riferimento al principio di identità per rilevare se si presentano contraddittori […] o no”
Non sono invece d’ accordo con le precisazioni “(quindi falsi), (quindi veri)”.
La coerenza logica garantisce la correttezza delle conclusioni delle inferenze dalle premesse ma non affatto la loro verità; esse sono vere solo alla condizione che le premesse siano vere; se -come può benissimo darsi- queste sono false, allora la correttezza logica delle inferenze non ne garantisce in alcun modo la verità (es.: tutti gli uomini sono immortali; Socrate è un uomo; Socrate è immortale. La conclusione -da una premessa falsa e una vera- è logicamente corretta ma falsa).

Ma su base puramente logica non esiste altro modo per valutare la verità se non quello di valutare se una data premessa produce, a seguito di un ragionamento analitico formalmente corretto, una conclusione che la nega e in tal caso essa si dice logicamente falsa.
Non è in linea di principio logico falso concludere che Socrate è immortale, se A) tutti gli uomini sono immortali. Il motivo per cui tu senti falsa la premessa A) è che la confronti con una premessa B) di tipo opposto che a priori (e non per logica) ritieni più vera, perché constati alla luce della tua esperienza che nessun uomo è immortale e quindi, dato B e non A, nemmeno Socrate può esserlo. Ma su una base formalmente logica non si può dimostrare se è vero A) oppure B) presi in sé e per sé, tra loro si contraddicono, ma nessuna delle due premesse di per sé si auto contraddice.
Poi ovviamente si può dire che la logica non è sufficiente per esprimere la verità, occorre anche l’esperienza (soggettiva e più o meno condivisa) di come stanno le cose e questa è un’altra premessa (con delle conseguenze molto importanti), ma che la logica non può dimostrare di per sé né vera né falsa.


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D’ accordo.
Ma dire che l' oggetto “ombrello” significa letteralmente l' evento “passeggiata sotto la pioggia” nel senso in cui le parole hanno un significato letterale, mentre lo significa solo metaforicamente, nel senso che ne evoca il ricordo, è per l’ appunto confondere significato metaforico e significato letterale (della parola “significare”): sarebbe proprio come dire che Achille è letteralmente un grosso felino.
Infatti non mi pare di averlo mai detto: ombrello significa ombrello e non passeggiata sotto la pioggia, ciò non toglie che il significato di ombrello evoca il significato di passeggiata sotto la pioggia e viceversa e se i significati sono inseparabili dagli enti che li esprimono significa anche che l’oggetto ombrello a mezzo del suo significare evoca l’evento passeggiata sotto la pioggia. Evocare non vuol dire che li fa coincidere, restano quello che sono, ma si richiamano l’un l’altro, si fanno reciprocamente segno (e questo è il senso in cui intendo qui la parola significare: un reciproco richiamarsi degli enti mantenendo però la loro peculiare identità).

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Ovviamente le parole si riferiscono ad enti reali (fosse pure in quanto concetti, astrazioni, nozioni, ecc.; non necessariamente in quanto enti effettivamente esistenti, reali non solo concettualmente ma anche ontologicamente), altrimenti non sarebbero parole.
Ma non è vero il reciproco: non so bene cosa possano essere le “essenze”, ma comunque gli enti ed eventi (in generale: salvo parole, immagini, ecc. che sono enti o eventi assai peculiari a questo riguardo) di per sé non si presentano affatto come parole (come immagini si, nel senso che sono insiemi di percezioni fenomeniche: “esse est percipi”; ma per la precisione solo gli enti ed eventi visivi); e possono benissimo accadere (realmente) anche senza che ne esista la parola che li denota (p. e. i canguri esistevano realmente anche prima che un europeo chiedesse a un aborigeno australiano che bestie fossero -o come si chiamassero- e questo gli rispondesse “canguro”, che fra l’altro significava “non capisco”; ed esistevano anche prima che i primi aborigeni australiani attribuissero loro un nome; ovviamente diverso da “canguro”).
Più in generale la realtà (fenomenica) esiste ovvero appare senza alcun bisogno di esprimersi, attraverso metafore o letteralmente; anzi esiste e per lo più (tutta tranne gli uomini e forse a un livello rudimentale “pre-linguistico” altri animali) non si esprime affatto, non parla, esiste “e basta” (nel senso letterale di “esprimersi” e “parlare”; ma confondere tali significati letterali con significati metaforici sarebbe come dire che Achille in battaglia è un grosso felino).
Ciò che sostengo è che gli enti per apparire (alla coscienza) come fenomeni si presentano in qualche modo sempre rappresentati dalla coscienza stessa (ossia appare in modo parziale il loro apparire e non il loro essere) e che tale rappresentazione in ambito umano è soprattutto attuata dal linguaggio dunque nell’umano l’ente appare principalmente come espressione linguistica inscindibile dall’ente stesso.
Il fatto che il canguro sia da noi nominato “canguro”, mentre canguro per gli indigeni non si riferisce a quell’animale, ma significa “non capisco”, quindi un ente ben diverso, indica solo l’apporto culturale soggettivamente diverso che rientra nel significare delle parole, ma non ne mette in discussione la potenza evocativa che sarà suscitata da parole diverse a seconda dei linguaggi. Tra l’altro il “non capisco” descrive perfettamente la situazione che quell’animale era venuto a determinare: l’europeo non capiva che animale fosse, l’aborigeno non capiva cosa l’europeo gli chiedesse in merito a quell’animale, sarà pure stato un caso, ma una parola più appropriata per denominare quell’animale che si manifestava in quella situazione difficilmente poteva essere trovata. Ovviamente le parole descrivono sempre aspetti fenomenologici particolari e non la totalità dell’oggetto che denominano e proprio per questo lo definiscono.
(continua)
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Vecchio 18-09-2014, 23.20.37   #55
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Ma la tesi n° 3 non consegue affatto dalle prime due: perché mai il qualcosa che sono gli enti (in generale: non le parole ecc.) dovrebbe “manifestarsi come significato”? In senso letterale; che altrimenti ti prego di uscire finalmente dall’ ambiguità e dire letteralmente quel che intendi dire; altrimenti non è possibile intendersi).
Shematizzo i passaggi, vediamo se è più chiaro
3a- se gli enti esistono devono manifestarsi, è il loro stesso esserci che non può escludere il loro apparire per ciò che sono.
3b- L’apparire di un ente è il suo mostrarsi ad altri enti
3c- questo mostrarsi ad altri enti è ciò che intendo per significare (fare segno di sé ad altri). Il segno che l’ente A fa a un ente B, C ecc. è il significato di A per B, C ecc.. Nota bene che non sto dicendo che il significato di A coincide con A, ma che è il suo segno che manifesta A a B, la sua rappresentazione semantica. La parola ombrello non è l’ombrello ma il segno che lo manifesta a chi quell’ombrello eventualmente vuole prendere con sé quando esce mentre fuori piove ed è una delle manifestazioni che compete all’essere ombrello.

Citazione:
Che la totalità dei fenomeni (che appaiono) sia la totalità dei fenomeni è una mera tautologia; ma non è detto che la totalità dei fenomeni coincida con la totalità della realtà (potrebbero esserci anche cose in sé).
La totalità dei segni che competono a un ente esprime la sua totale fenomenologia, sono tutti i suoi significati (nel senso che ho dato sopra alla parola significato), La totalità fenomenologica non è solo la totatlità dell’apparire di quell’ente (ossia di essere per gli altri enti), ma coincide con ciò che esso è in se stesso e per se stesso, proprio in quanto ne è completa espressione, non lascia niente fuori di quell’ente e pertanto coincide con ciò che è. Il problema è che questa totalità fenomenologica non può apparire tutta insieme. E il motivo ho cercato di spiegarlo nella seconda parte del ragionamento ove ho detto che affinché qualcosa appaia qualcos’altro non appare, entrando nello sfondo in modo tale da fissare dei contorni a ciò che appare in primo piano, questo sfondo delimita l’apparire di quell’ente che appare in primo piano, ne traccia i contorni.
L’ombrello ha per sfondo tutto ciò che non è ombrello e che, mentre appare questo ombrello appare come sfondo per questo ombrello che stiamo per prendere magari perché fuori piove. Ho usato riferimenti visivi non a caso, ma perché la modalità visiva è quella più tipicamente collegata alla coscienza rappresentativa umana, in realtà c’è una fenomenologia figura sfondo che riguarda anche l’udito e in qualche modo penso pure il tatto perché la percezione, anche propiocettiva, è sempre percezione di una differenza, di un contrasto da cui emerge una figura. In termini più astratti questo sfondo è la totalità indefinita di tutto ciò che è altro da quell’ente che non appare in modo differenziato e definito. Se da questo sfondo emerge un altro ente specifico, ad esempio un bastone che stava vicino all’ombrello (richiamato proprio da questo significato di vicinanza all’ombrello) è l’ombrello che entra nello sfondo e non appare più come ombrello, sparisce nello sfondo, e in primo piano c’è il bastone.
Abbiamo prima detto che l’ente per come è (dunque in essenza) viene espresso dalla totalità delle sue manifestazioni, ma poiché ognuna di queste manifestazioni appaia a ciò che appare si deve accompagnare uno sfondo che appare sì come sfondo generico, ma non appare nella completa specificità della pluralità che lo costituisce.
Hegel diceva che ogni ente è dato dalla totalità di ciò che lo contraddice (ogni contraddizione dell’ente dà all’0ente un suo specifico significato) e questa totalità è appunto lo sfondo da svelare, ma per svelare veramente l’ente dobbiamo sapere in cosa consiste concretamente questa totalità in ogni suo particolare, non limitarci a un’ astrazione globale e indifferenziata, per sapere davvero cos’è questo ente occorre che tutti i sui significati (e dunque gli enti diversi a cui fanno segno) emergano dallo sfondo in cui si nascondono indifferenziati. Devono, ma fenomenologicamente non possono, perché ciò che appare ha sempre bisogno di uno sfondo per apparire, ciò che è concepito ha sempre bisogno di qualcosa che resti inconcepito dietro di esso, la luce ha sempre bisogno del buio che non è luce, l’ombrello di tutta quell’infinità di cose che non sono ombrello e che restano nascote affinché qualcosa appaia come ombrello e il rappresentato di qualcosa che non è rappresentato, esattamente lo sfondo.
Questo da un lato rende la vera essenza di ogni cosa di fatto inesprimibile, poiché ogni significare è sempre parziale, sempre incompleto, anche se per stretta necessità ontologica la cosa non può non essere espressa a mezzo di tutti i suoi significat, di tutte le sue rappresentazioni, di tutta la sua fenomenologia, proprio perché ogni cosa è fino in fondo tutta la cosa che è e come tale deve apparirei. La fenomenologia è certamente contraddizione (deve essere totalmente specifica, ma non può di fatto esserlo), ma è una contraddizione che continuamente si risolve … riproponendosi all’infinito la propria contraddizione. L’essenza completa di una cosa non è altro che il percorso infinito di tutte le sue rappresentazioni, il suo infinito e continuo significare fenomenologico che nessun particolare significato può mai esaurire.
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Nei fenomeni ci sono ovviamente primi piani e sfondo (ma solo in quelli visivi: in quelli uditivi, tattili, gustativi, olfattivi, propiocettivi –per non parlare di quelli mentali o di pensiero- dove mai starebbero primi piani e sfondi?);
...
Inoltre lo sfondo appare fenomenicamente quanto il primo piano, e non “resta al buio, resta nel subconscio, che non appare e non apparendo delimita quello che appare”, anche perché se non apparisse non potrebbe delimitare il primo piano, il quale assurdamente apparirebbe non delimitato (non sarebbe più un “primo piano”).

L' ente per essere manifesto/sentito/percepito deve necessariamente emergere da uno sfondo dal quale prendere forma. L' esempio del rapporto figura-sfondo é appunto solamente un esempio, in questo caso infatti figura e sfondo sono entrambi manifesti/sentiti/percepiti mentre nel fenomeno ciò che é manifesto/sentito/percepito é solamente il fenomeno (la figura) mentre lo sfondo rimane nascosto. Ciò che dello sfondo é manifesto (alla ragione) non é altro che la sua necessaria presenza affinché qualcosa appaia.

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Originalmente inviato da maral
Se da questo sfondo emerge un altro ente specifico, ad esempio un bastone che stava vicino all’ombrello (richiamato proprio da questo significato di vicinanza all’ombrello) è l’ombrello che entra nello sfondo e non appare più come ombrello, sparisce nello sfondo, e in primo piano c’è il bastone.

Non ti seguo, ombrello e bastone sono entrambi nel mio campo di coscienza, sono entrambi fenomeno e quindi non possono essere quello sfondo di cui stiamo parlando.
jeangene is offline  
Vecchio 19-09-2014, 12.38.11   #57
maral
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Originalmente inviato da jeangene
ombrello e bastone sono entrambi nel mio campo di coscienza, sono entrambi fenomeno e quindi non possono essere quello sfondo di cui stiamo parlando.
Tentavo solo di dare una descrizione fenomenologica dell'emergere degli enti dallo sfondo e del loro rientrarvi. Il bastone è richiamato dalla vicinanza con l'ombrello, questo fa sì che emerga come figura del campo rappresentativo, mentre l'ombrello passa sullo sfondo del bastone. Può anche accadere che ombrello e bastone appaiano entrambi presenti in primo piano, in tal caso a essere immediatamente figura è la relazione che li lega e che li richiama entrambi come suoi oggetti.
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Vecchio 20-09-2014, 12.53.39   #58
sgiombo
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Maral:
Infatti non mi pare di averlo mai detto: ombrello significa ombrello e non passeggiata sotto la pioggia, ciò non toglie che il significato di ombrello evoca il significato di passeggiata sotto la pioggia e viceversa e se i significati sono inseparabili dagli enti che li esprimono significa anche che l’oggetto ombrello a mezzo del suo significare evoca l’evento passeggiata sotto la pioggia. Evocare non vuol dire che li fa coincidere, restano quello che sono, ma si richiamano l’un l’altro, si fanno reciprocamente segno (e questo è il senso in cui intendo qui la parola significare: un reciproco richiamarsi degli enti mantenendo però la loro peculiare identità).

Sgiombo:
Dunque mi pare di capire finalmente che con la metafora del “significare” degli enti intendi dire che essi sono reciprocamente in relazioni (di varia natura: contiguità spaziale e/o temporale, somiglianza, contrarietà, ecc.).
Mi sembra ovvio, (metaforicamente) sotto gli occhi di tutti.




Maral:
Ciò che sostengo è che gli enti per apparire (alla coscienza) come fenomeni si presentano in qualche modo sempre rappresentati dalla coscienza stessa (ossia appare in modo parziale il loro apparire e non il loro essere) e che tale rappresentazione in ambito umano è soprattutto attuata dal linguaggio dunque nell’umano l’ente appare principalmente come espressione linguistica inscindibile dall’ente stesso.

Sgiombo:
Ma l' apparire degli enti (fenomenici) alla coscienza é tutto ciò che costituisce gli enti in quanto fenomenici (“esse est percipi”); e che ci sia realmente qualcos' altro oltre di essi (il noumeno o -come credo tu lo intenda- un qualcosa degli enti che trascenda il loro apparire) sarebbe tutto da dimostrare. Ma invece non é dimostrabile in quanto il pensare che la realtà in toto si esaurisca negli enti ed eventi fenomenici non é autocontraddittorio, dunque si tratta di un' ipotesi del tutto possibile (per poter dimostrare che esista anche qualcosa degli enti che trascende il loro apparire fenomenico ma é cosa in sé o noumeno bisognerebbe che l' ipotesi che la realtà in toto si esaurisca nei fenomeni fosse autocontraddittoria, bisognerebbe che il concetto di "fenomeni esistenti senza alcunché d' altro di noumenico reale oltre ad essi" fosse autocontraddittorio, ovvero che il concetto di “fenomeni” implicasse necessariamente quello di “noumeno” esistente realmente oltre ad essi” o che quello di “ente fenomenico” implicasse necessariamente quello di “dotato anche di un qualcosa di reale in sé”; il che non é).

Non capisco cosa possa significare che “tale rappresentazione [l' apparire fenomenico degli enti] in ambito umano è soprattutto attuata dal linguaggio dunque nell’umano l’ente appare principalmente come espressione linguistica inscindibile dall’ente stesso.
Anche coloro che, in ambito umano, non sono dotati di linguaggio (ad esempio bimbi piccoli, adulti affetti da afasia, rarissimi -per fortuna!- uomini cresciuti selvaggiamente in branchi di animali) hanno (lo si ammette tranquillamente tra persone considerate sane di mente pur senza che sia possibile dimostrarlo) esperienze fenomeniche coscienti comprendenti enti ed eventi che dunque non si attuano affatto attraverso il linguaggio: tali enti ed eventi fenomenici non appaiono per niente come espressione linguistica inscindibile dagli enti stessi. Il linguaggio é un' eventuale "di più" che può essere ad essi applicato, non una loro caratteristica ineludibilmente necessaria.




Maral:
Schematizzo i passaggi, vediamo se è più chiaro
3a- se gli enti esistono devono manifestarsi, è il loro stesso esserci che non può escludere il loro apparire per ciò che sono.
3b- L’apparire di un ente è il suo mostrarsi ad altri enti
3c- questo mostrarsi ad altri enti è ciò che intendo per significare (fare segno di sé ad altri). Il segno che l’ente A fa a un ente B, C ecc. è il significato di A per B, C ecc.. Nota bene che non sto dicendo che il significato di A coincide con A, ma che è il suo segno che manifesta A a B, la sua rappresentazione semantica. La parola ombrello non è l’ombrello ma il segno che lo manifesta a chi quell’ombrello eventualmente vuole prendere con sé quando esce mentre fuori piove ed è una delle manifestazioni che compete all’essere ombrello.

Sgiombo:
Gli enti di cui dici che “se esistono devono manifestarsi, è il loro stesso esserci che non può escludere il loro apparire per ciò che sono”, evidentemente, per definizione sono enti fenomenici, insiemi di sensazioni.
Che l' apparire degli enti (fenomenici) sia il loro mostrarsi ad altri enti (soggetti di coscienza, non fenomenici ma reali in sé) non é dimostrabile: non c' é nulla di autocontraddittorio nell' ipotesi che esistano solo esperienze fenomeniche coscienti (l’ apparire degli enti fenomenici) caratterizzate nel loro divenire da una sorta di leibniziana “armonia prestabilita” fra l’ una e l’ altra, senza che sia reale alcunché d' altro, alcuna cosa in sé o noumeno (compresi i soggetti delle esperienze fenomeniche coscienti, oltre agli oggetti).
Comunque che esistano soggetti ed oggetti noumenici delle esperienze coscienti lo credo letteralmente “per fede”, e dunque sono d’ accordo con te se, come mi pare di capire, il significato letterale delle espressioni metaforiche “significato o significare da parte degli enti (fenomenici)” è semplicemente che essi sono in reciproche relazioni nell’ ambito di ciascuna esperienza fenomenica cosciente e, limitatamente al coso di quelli materiali-naturali (la cartesiana res extensa), anche intersoggettivamente fra le diverse esperienze fenomeniche coscienti: lo credo anche se l’ esistenza di altre esperienze coscienti oltre quella (“propria”) immediatamente esperita e l’ intersoggettività dlle loro componenti materiali non sono dimostrabili.

Tuttavia m sembra necessario precisare che, qualora (non é dimostrabile) esistano anche oggetti e soggetti delle esperienze fenomeniche coscienti, reali anche allorché non accadono esperienze coscienti in atto, allorché non esistono i loro (in senso soggettivo od oggettivo) fenomeni, allora essi sono diversi dai fenomeni stessi: sono entità noumeniche.

Ma il rapporto fra parole e loro significati é tutt' altra cosa di quello fra fenomeni e noumeno: le parole sono integralmente ed unicamente costituite da fenomeni, esattamente come gli oggetti fenomenici che significano (tutte, tranne le parole “noumeno”, “cosa in sé” ed eventuali sinonimi).
La parola non compete all' oggetto che significa, se non qualora qualche parlante gliela attribuisce arbitrariamente per convenzione (finché gli uomini non inventarono il linguaggio le montagne erano ben reali -in quanto fenomeni nelle loro esperienze coscienti- senza che esistesse alcuna parola che fosse “una delle manifestazioni che compete all’essere montagna”: erano montagne al 100%, non mancava ad esse nulla perché fossero montagne, anche se non esisteva la parola “montagna” in nessuna lingua).





Maral:
La totalità dei segni che competono a un ente esprime la sua totale fenomenologia, sono tutti i suoi significati (nel senso che ho dato sopra alla parola significato), La totalità fenomenologica non è solo la totatlità dell’apparire di quell’ente (ossia di essere per gli altri enti), ma coincide con ciò che esso è in se stesso e per se stesso, proprio in quanto ne è completa espressione, non lascia niente fuori di quell’ente e pertanto coincide con ciò che è. Il problema è che questa totalità fenomenologica non può apparire tutta insieme. E il motivo ho cercato di spiegarlo nella seconda parte del ragionamento ove ho detto che affinché qualcosa appaia qualcos’altro non appare, entrando nello sfondo in modo tale da fissare dei contorni a ciò che appare in primo piano, questo sfondo delimita l’apparire di quell’ente che appare in primo piano, ne traccia i contorni.

Sgiombo:
Ma non é detto che l' apparire fenomenico degli oggetti che percepiamo sia tutto ciò che esiste: potrebbero anche esistere cose in sé o noumeno (non é dimostrabile né che esistono né che non esistono).
E la totalità (meramente potenziale, mai di fatto in atto, dal momento che i possibili punti di vista sono infiniti) dei modi in cui un ente fenomenico materiale può apparire in una coscienza fenomenica, non ne fa qualcosa di reale in sé (un noumeno): tutti e ciascuno degli infiniti potenziali modi di essere percepito di un ente fenomenico restano (sono insiemi di) sensazioni fenomeniche.


Inoltre lo sfondo, da cui si distingue il primo piano si vede, ed esiste solo nella visione; nelle altre modalità sensoriali materiali non ha senso questa distinzione e men che meno nelle sensazioni mentali (se si impiegano questi concetti lo si fa solo in senso metaforico, con un ben diverso significato di quello letterale che compete solo alle sensazioni visive).
E nella visone anche lo sfondo e non solo il primo piano appare (altrimenti non avrebbe senso parlare di “primo piano”).

(continua)
sgiombo is offline  
Vecchio 20-09-2014, 13.04.24   #59
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Continuazione

Maral:
L’ombrello ha per sfondo tutto ciò che non è ombrello e che, mentre appare questo ombrello appare come sfondo per questo ombrello


Sgiombo:
Appunto, come ho appena rilevato (alla fine della prima parte di questa risposta) e in contraddizione con quanto appena più sopra da te affermato (“affinché qualcosa appaia qualcos’altro non appare, entrando nello sfondo in modo tale da fissare dei contorni a ciò che appare in primo piano”; evidenziazione col grassetto mia).





Maral:
Ho usato riferimenti visivi non a caso, ma perché la modalità visiva è quella più tipicamente collegata alla coscienza rappresentativa umana, in realtà c’è una fenomenologia figura sfondo che riguarda anche l’udito e in qualche modo penso pure il tatto perché la percezione, anche propiocettiva, è sempre percezione di una differenza, di un contrasto da cui emerge una figura. In termini più astratti questo sfondo è la totalità indefinita di tutto ciò che è altro da quell’ente che non appare in modo differenziato e definito.

Sgiombo:
Dunque ancora una volta parli metaforicamente (a proposito di “sfondo” e “primo piano” in modalità sensoriali diverse dalla vista; la precisazione era necessaria per intendersi).
Ma anche nelle altre modalità sensoriali la percezione (e la conoscenza di ciò che è percepito, che non é esattamente, immediatamente la stessa cosa) delle differenze fra i loro contenuti od oggetti necessita che si percepiscano tutti gli oggetti reciprocamente distinti (non avrebbe senso dire che distinguo il rumore della macchina che passa sotto casa -purtroppo!- dalla musica che sto ascoltando all' impianto stereofonico se non sento entrambi ma solo il rumore, o viceversa).





Maral:
Se da questo sfondo emerge un altro ente specifico, ad esempio un bastone che stava vicino all’ombrello (richiamato proprio da questo significato di vicinanza all’ombrello) è l’ombrello che entra nello sfondo e non appare più come ombrello, sparisce nello sfondo, e in primo piano c’è il bastone.

Sgiombo:
Potrò non focalizzarvi l' attenzione per concentrarla sul bastone, ma se questo é vicino all' ombrello e anche l' ombrello, sullo sfondo, é comunque ancora nel mio campo visivo, allora continuo a percepirlo eccome!




Maral:
Abbiamo prima detto che l’ente per come è (dunque in essenza) viene espresso dalla totalità delle sue manifestazioni, ma poiché ognuna di queste manifestazioni appaia a ciò che appare si deve accompagnare uno sfondo che appare sì come sfondo generico, ma non appare nella completa specificità della pluralità che lo costituisce.

Sgiombo:
A queste parole riesco ad attribuire l' unico significato sensato, comprensibile (ma banalmente tautologico; o convenzionalmente definitorio): che sfondo e primo piano sono parti diversi della visione.





Maral:
Hegel diceva che ogni ente è dato dalla totalità di ciò che lo contraddice (ogni contraddizione dell’ente dà all’0ente un suo specifico significato) e questa totalità è appunto lo sfondo da svelare, ma per svelare veramente l’ente dobbiamo sapere in cosa consiste concretamente questa totalità in ogni suo particolare, non limitarci a un’ astrazione globale e indifferenziata, per sapere davvero cos’è questo ente occorre che tutti i sui significati (e dunque gli enti diversi a cui fanno segno) emergano dallo sfondo in cui si nascondono indifferenziati.

Sgiombo:
Anche Spinoza sosteneva che “omnis determinatio est negatio” e concordo (se é questo che intendi con Hegel) che la conoscenza di qualsiasi oggetto é tanto più completa quanto più comprende le sue relazioni con tutti gli altri oggetti.





Maral:
Devono, ma fenomenologicamente non possono, perché ciò che appare ha sempre bisogno di uno sfondo per apparire, ciò che è concepito ha sempre bisogno di qualcosa che resti inconcepito dietro di esso, la luce ha sempre bisogno del buio che non è luce, l’ombrello di tutta quell’infinità di cose che non sono ombrello e che restano nascoste affinché qualcosa appaia come ombrello e il rappresentato di qualcosa che non è rappresentato, esattamente lo sfondo.

Sgiombo:
Ma scusa, proprio perché distinguo l' ombrello in primo piano da tutti gli altri oggetti sullo sfondo, bisogna che veda anche questi ultimi, che essi non restino nascosti (altrimenti vedrei solo l' ombrello e non potrei collocarlo in relazione a nient' altro, in particolare distinguerlo da nient' altro).

(Credo -spero; altrimenti non ci capiamo- che usi “concepire” come sinonimo di “percepire”, “sentire”).




Maral:
Questo da un lato rende la vera essenza di ogni cosa di fatto inesprimibile, poiché ogni significare è sempre parziale, sempre incompleto, anche se per stretta necessità ontologica la cosa non può non essere espressa a mezzo di tutti i suoi significat, di tutte le sue rappresentazioni, di tutta la sua fenomenologia, proprio perché ogni cosa è fino in fondo tutta la cosa che è e come tale deve apparirei. La fenomenologia è certamente contraddizione (deve essere totalmente specifica, ma non può di fatto esserlo), ma è una contraddizione che continuamente si risolve … riproponendosi all’infinito la propria contraddizione. L’essenza completa di una cosa non è altro che il percorso infinito di tutte le sue rappresentazioni, il suo infinito e continuo significare fenomenologico che nessun particolare significato può mai esaurire.

Sgiombo:
Qui non capisco proprio (vera essenza delle cose? Ogni significato é parziale, ovvero finito? Ma anche moltissimi oggetti sono finiti, anche se considerabili da infiniti punti di vista.).
Comunque certo, le conoscenza umane (di altre non ho notizia) possono solo essere limitate, parziali, l’ onniscienza non ci è data, certo, se è questo che intendi. Ma non conosco nessuno, tranne forse un certo nostro ex interlocutore (ma anche lui -é necessario precisarlo per chiarezza- in senso metaforico, non letterale: non é pazzo) che si ritenga onnisciente.

Perché mai i fenomeni (la fenomenologia) dovrebbero essere totalmente specifici (credo nel senso di rilevati in tutte le loro connessioni e rapporti con tutto il resto dei fenomeni)?!?!?!

“Una contraddizione che continuamente si risolve … riproponendosi all’infinito la propria contraddizione” non capisco cosa possa significare, ma “a orecchio” “mi suona” (altra metafora!) assurdo.
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Vecchio 20-09-2014, 13.07.59   #60
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Originalmente inviato da jeangene
L' ente per essere manifesto/sentito/percepito deve necessariamente emergere da uno sfondo dal quale prendere forma. L' esempio del rapporto figura-sfondo é appunto solamente un esempio, in questo caso infatti figura e sfondo sono entrambi manifesti/sentiti/percepiti mentre nel fenomeno ciò che é manifesto/sentito/percepito é solamente il fenomeno (la figura) mentre lo sfondo rimane nascosto. Ciò che dello sfondo é manifesto (alla ragione) non é altro che la sua necessaria presenza affinché qualcosa appaia.

Ma che razza di esempio (proposto a scopo esplicativo, di chiarimento) è un esempio di qualcosa che non solo è diverso ma addirittura contrario a ciò che dovrebbe esemplificare (allo scopo di renderlo più comprensibile, rendendo invece ovviamente la cosa più incomprensibile)?
Boh?
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