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Vecchio 05-04-2015, 12.42.57   #1
maral
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La contraddizione fenomenologica originaria

Riprendo, per non andare fuori tema, quanto accennato negli ultimi interventi sul significato di apodittico e anapodittico e in alcune considerazioni sviluppate nella riflessione sul relativismo in merito a quello che ho denominato contraddizione originaria.

La contraddizione (intesa propriamente come auto contraddizione) è una figura logica sempre falsa. Popper, in polemica con Hegel, nega che essa sussista sul piano fenomenico reale (non si dà comunque che qualcosa si presenti e non si presenti), Severino nega che essa sussista sia su un piano fenomenologico che logico essendo comunque nulla (non si può nemmeno pensare, pensando qualcosa, che quel qualcosa sia e non sia), mentre è certamente possibile contraddirsi (ossia dire il falso, ciò che si autonega).
Severino distingue però due tipi di contraddizioni, quelle del tipo menzionato che trovano nelle conclusioni la negazione delle proprie premesse, sempre eliminabili a suo avviso per via dialettica, e quelle che invece trovano nelle conclusioni la medesima contraddizione da cui si era partiti. E’ questo il caso della così da lui denominata “contraddizione C”. Questa è la contraddizione tra l’immediato logico del principio di non contraddizione e l’immediato fenomenologico di un sempre diverso apparire. Se questo ente è questo ente, esso non potrà che apparire nella totalità completa espressa dalle infinite negazioni che gli sono proprie, ma nel contempo, dovendo questo apparire pur sempre apparire, non si presenterà mai nella sua effettiva e concreta totalità fenomenologica. Ciò che appare fenomenologicamente come identicità logica dell’ente è pertanto proprio l’infinito sopraggiungere e tramontare di ogni ente, un infinito pervenire e oltrepassare degli eterni.
L’identità logica di ogni ente con se stesso tradotta nel principio di non contraddizione è quindi la base della “struttura originaria”, ma la contraddizione C ne è il motore, punto di congiunzione fondamentale tra logica e fenomenologia che mostra contraddittoriamente l’eterna identicità dell’ente tradotta in un sempre diverso apparire fenomenico. L’identico è dunque sempre identico a se stesso, ma lo può essere solo apparendo sempre diversamente da se stesso e questa è a mio avviso la ineliminabile contraddizione originaria che sta a fondamento della stessa struttura originaria in contraddizione con la pura logica separata del principio di non contraddizione.
Partendo dalla esperienza fenomenica ogni fenomeno può significare solo come storia di contraddittorio molteplice accadere che contraddice l’eterna identicità logica dell’ente. A questa foglia che mi appare ora verde e non può in alcun modo essere verde e non verde (o è l’uno o è l’altro) pur tuttavia appartiene il suo non apparire verde come sfondo significante necessario del suo attuale apparire verde, ossia del suo attuale significato. L’essenza di questa foglia, la sua struttura originaria, è pertanto la storia infinita degli apparire sempre contraddittori di questa stessa foglia. Essa non è quindi un concetto astratto che sovrasta alla maniera platonica i diversi contingenti apparire, ma al contrario è la storia unica e specifica di termini in contrasto che vengono via via a prevalere escludendosi reciprocamente, ma tutti compresi nella identicità originaria propria di questa foglia in cui si trovano in contraddizione.

Lascio a voi il commento di questo discorso che è solo abbozzato a livello di spunto per aiutarmi a individuarne, in contraddizione, le incongruenze.
maral is offline  
Vecchio 05-04-2015, 17.51.46   #2
Garbino
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Riferimento: La contraddizione fenomenologica originaria

X Maral

Come inizio non posso che augurare a te e a tutti coloro che ci seguono una Buona Pasqua e Pasquetta.

Per quanto riguarda ciò che tu hai argomentato io non trovo alcuna contraddizione logica. Se l' ente esiste le cose, a mio avviso, devono necessariamente stare in questo modo. Il mio dubbio, come ben saprai, è sulla esistenza stessa dell' ente.

Se non ricordo male lo si dava come un qualcosa di ipoteticamente valido proprio per poter iniziare un ragionamento. Ma da qui a dire che esiste ce n' è di strada.
E non mi è chiaro se Severino lo da comunque per certo e identificato, ma penso che tu potrai informarmi con la solita chiarezza espositiva che ti contraddistingue.

Il motivo per cui ritengo il ragionamento l' unico logico possibile è che dato l' ente e dato il divenire è chiaramente necessario che l' ente deve necessariamente essere sempre identico a sé stesso pur nella diversità del suo apparire. In caso contrario cadrebbe nella contraddizione ben più ardua da sostenere che non è sempre uguale a sé stesso.

Ringrazio per la cortese attenzione e a presto.

Garbino Vento di Tempesta.
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Vecchio 06-04-2015, 00.59.14   #3
paul11
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Riferimento: La contraddizione fenomenologica originaria

Ciao Maral,

una premessa.

Alcune cose le avevo qualche tempo fa scritte su Parmenide andandomi a rileggere i suoi frammenti. Ebbene sono rimasto innanzitutto sorpreso che molti filosofi lo commentino con il senno di poi, “mettendogli in bocca” concetti che non ha mai scritto.

Parmenide dice semplicemente che l'Essere è e lo identifica con il pensiero. L'essere che non è non può essere pensato. Punto e basta.,si ferma qui.
Parmenide non fa discorsi di contraddizioni e di principi, semplicemente ritiene che il pensiero non può pensare a ciò che non è :quì non c'è logica è un semplice ragionamento, ma investe il pensiero come astrazione e il fenomenico delle cose del mondo..

Ma adatto che quel "non è" corrispondeva al divenire e quel "è" all'eterno il problema dei filosofi fu di costruire una dialettica fra eterni e divenienti, che poi sarà fra anima, iperuranio, motore primo, ecc. e il fenomenico del mondo della natura.
Ma c’è anche un’altra distinzione che avevo premesso, negli eterni vengono collocate le astrazioni, il non visibile, i concetti, i principi, Dio, l’iperuranio, il motore primo,ecc. ; nel fenomenico viene collecato il diveniente, il finito, il destino.,il sensibile.

Insomma per i filosofi il problema fu di costruire un'architettura che tenesse in piedi il fenomenico allo strato più basso fino all'iperuranio e al motore primo degli eterni, in cui l'uomo generalmente era intermedio alle due parti..L’architettura è una piramide dove la singolarità governa i sottostanti sistemi che man mano sono “corrutibli” nel mondo diveniente, che viene allora simbolicamente visto, come espiazione, peccat oda espiare, dolore, cammino della conoscenza per salire i gradini verso la singolarità.

La logica non nasce quindi solo per dare senso compiuto ad un discorso, ad un ragionamento. Diventa lo strumento codificatore simbolico del sapere, della conoscenza, perché può trasformare in simboli i significati semantici dentro sintassi,costruendo modelli di rappresentazione del mondo. Forse a noi sembra scontato tutto questo, io lo ritengo fantastico, geniale, un’invenzione e un’innovazione che nasce fra le problematiche di conciliare ciò che era antitetico. Da quel momento la conoscenza diventerà possibile rappresentarla simbolicamente, come una mappa celeste, una mappa geografica, ma ancora di più, non è una fotografia statica, perché grazie alle matematiche è possibile seguire il moviment odella conoscenza, come un gps di un navigatore dentro la mappa, cioè è possibile governare e gestire i simboli con le proprietà matematiche.Non subito da Aristotele con la logica predicativa, ma già con i connettivi logici di Crisippo, ma s dovrà attender fino a Leibniz, Boole, Frege, fino alla modernità con i tentativo di unire prima la matematica dell’analisi nell’aritmetica e poi le matematiche nelle logica…..fino all’algoritmo della programmazione lineare, all’euristico della programmazione non lineare dentro i computer passando per la macchina di Turing.

Cosa è allora la logica, quali sono le premesse, cosa veramente investe del pensiero umano? Queste per me sono le domande fondamentali.
Perché tutto scaturisce dalla mente umana.

Ritornando al discorso iniziale, il concetto di contraddizione che diventa anche principio di non contraddizione è una escogitazione quindi per tenere insieme eternità e divenire, il divenire (quel non è parmenideo) diventa allora la contraddizione dell'essere e/o ente che esiste .Questo a mio parere è un punto fondamentale della cultura storica filosofica, per i suoi sviluppi anche interni ai pensieri dogmatici religiosi che verranno . La contraddizione diventerà ad esempio "il male", il male dell'esistenza dell'essere (ecco il Nietzsche “risentito” e poi Heidegger).e adatto che l'eterno è lassù, nella vetta della costruzione deduttiva logica allora nell'infimo c'è il demonio, il male, l'esistenza, il divenire fenomenologico.

Qui siamo ancora sul ponte che collega i miti antichi dentro la modernità, i simboli celesti sono lassù, i simboli della morte sono giù.

La logica quindi nasce da due aspetti fondamentali: un aspetto puramente ragionamento-linguistico ,come correttore e ordinatore di dimostrazioni e argomentazioni; i secondo aspetto è la sua applicazione all’interno dei simboli della conoscenza del mondo. Così come posso scrivere nell’aritmetica 1+1= 2 ,ed è un’astrazione ; se lo applico invece a 1mela +1 mela = 2 mele, l’astrazione entra nel mondo ,viene applicato a cose materiali e concetti astratti.


Allora Maral il problema che mi pongo è se la logica corrisponde davvero al mondo, se è completo e consistente non dentro al suo sistema ,ma la sua applicazione dentro la conoscenza intera umana, tanto da governarne la vita stessa.e rispondere agli interrogativi, oppure se sia ,come per me è, un formidabile codificatore simbolico della conoscenza .
Io trovo che sia un’estrema semplificazione del movimento dell’essere che diventa esistenza.
L’esercizio di Severino è aver fatto corrispondere la filosofia dentro la logica: la esaurisce come interrogativi?
Dovrei entrare tecnicamente nelle formulazioni logiche per vederne i simboli e come “si movimentano” per dirti qualcosa di più.
Se il il concetto logico fondamentale è che la contraddizione nasce da un ente eterno, che finchè sta lì è coerente e congruente a se stesso, che nel momento in cui appare mostra di sé solo una sua parte contraddicendo se stesso, io comincio già a non capirne il senso. Chi lo obbliga ad apparire quell’ente? La contraddizione diventa non un regolatore che gestisce identità dell’essere e del non essere, ma il motore primo e quindi è più potente dell’essere e degli enti. Ergo si dà superiorità al principio logico che invece dovrebbe solo governare la correttezza e la giusitificazione.
Chi determina la completezza dell’ apparire di un ente come sua contraddizione e di conseguenza la fine della contraddizione stessa se non la fine del divenire?
Ti dico che è affascinante, non scherzo, perché somiglia proprio ciò che avevo scritto in premessa della logica applicata ai dilemmi filosofici,ma filosoficamente e quindi uscendo dalla logica, rimango basito. Cosa ne è dei significati dell’esistenza, ad esempio la morale dov’è.
Se tutto corrisponde logicamente qualunque cosa noi facciamo è comunque una contraddizione poiché già noi stessi siamo una contraddizione, allora tutto è illusione, inconsistenza ,falsa esistenza, anche il chiederci delle cose e di noi stessi. La speranza diventa ingenua illusione , la passione inutile esercizio del sentimento.

Ultima modifica di paul11 : 06-04-2015 alle ore 11.40.44.
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Vecchio 06-04-2015, 14.23.37   #4
sgiombo
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Riferimento: La contraddizione fenomenologica originaria

@ Maral
Esprimo le mie considerazioni nettamente divergenti da quanto affermi sperando di favorire ulteriori ragionamenti e approfondimenti da parte tua, così come le tue tesi hanno stimolato la mia riflessione.

Sulla contraddizione penso che non sia tanto falsa quanto piuttosto insensata.
Un’ affermazione non autocontraddittoria, logicamente coerente ha un significato e può essere vera (per esempio “oggi a Cremona è una giornata di sole”) oppure falsa (“oggi a Cremona sta piovendo”; stando il fatto che oggi a Cremona splende un bel sole).
Ma una (pretesa) affermazione autocontraddittoria (per esempio “ora qui sta piovendo e contemporaneamente -sempre ora; e sempre qui- non sta piovendo” non ha un senso comprensibile, non significa nulla, è una mera sequenza disordinata, casuale di caratteri tipografici (o di vocalizzi) e dunque non può essere né vera né falsa (ma casomai reale o non reale) come qualsiasi fatto che non sia un’ espressione di significato predicante o giudicante (un predicato o giudizio).
Credo sia fondamentale distinguere da enti ed eventi in generale un particolare tipo di eventi che sono i pensieri, i quali oltre alla caratteristica comune agli altri eventi di accadere realmente (se accadono); o di non accadere realmente (se non accadono, essendo allora non-eventi reali, ovvero non essendo eventi reali), hanno anche la caratteristica loro peculiare di affermare l’ essere e/o accadere reale (o meno) di altri da essi stessi diversi enti e/o eventi. Per questo i pensieri, in particolare i pensieri predicanti o giudicanti, oltre ad accadere realmente (o meno) come tutti gli enti e/o eventi in generale, contrariamente a tutti gli altri enti e/o eventi hanno anche la caratteristica di essere veri o meno (=falsi), a seconda che ciò che (realmente, se accadono realmente) dicono della realtà sia anche ciò che (realmente) accade della realtà stessa o meno.
Ma pretesi giudizi o predicati che affermino della realtà contemporaneamente qualcosa e il suo contrario non significano nulla di comprensibile (sensato) e dunque non può darsi che ciò che (realmente) non dicono della realtà sia anche ciò che (realmente) accade della realtà stessa o meno; affermando e negando allo stesso tempo qualcosa della realtà, non ne dicono in realtà nulla (di sensato) che possa essere o meno anche ciò che (realmente) accade della realtà stessa, ma sono eventi come tutti gli altri e non fanno parte di quel peculiare tipo di eventi che sono i pensieri o giudizi e che possono essere veri o falsi.
In questo mi pare di concordare con Severino -sic!- che “non si può nemmeno pensare, pensando qualcosa, che quel qualcosa sia e non sia”, mentre “è certamente possibile contraddirsi”, cioè che possa accadere realmente (e di fatto accada) che ci si contraddica.

Non concordo invece sulla “contraddizione C”.
Non vedo infatti nessuna contraddizione fra l’immediato logico del principio di non contraddizione e l’immediato fenomenologico di un sempre diverso apparire.
Penso infatti che
“diverso” =/= “contraddittorio”.
Poiché con Eraclito constato (e credo) che “panta rei”, per “ente” intendo qualcosa di soltanto relativamente e limitatamente persistente o costante nell’ ambito dello scorrere continuo degli eventi, destinato comunque a mutare (prima o poi) e a finire di accadere realmente (così come ha cominciato).
Un “ente” assolutamente, integralmente persistente o costante è solo un’ astrazione del pensiero, nulla di reale (realmente accadente); e proprio perché in realtà tutto inizia-diviene-finisce, se si pretende di parlare di “enti” assolutamente costanti restando ancorati alla realtà, descrivendo ciò che realmente accade (cioè proponendo predicati veri) si è costretti a reintrodurre il mutamento che si cercava di esorcizzare sotto forma di “apparire che non si presenta mai nella sua totalità fenomenologica” proprio perché questa implica il mutamento.
La mia impressione (di non-conoscitore di Severino) è che in questo modo si finisca per descrivere la realtà, di fatto in divenire, solo in maniera alquanto cervellotica per potere salvare la pretesa contraddizione rappresentata in realtà dalla diversità (o negazione dell’ identità): un conto è (pretendere di) dire che qualcosa è e non è reale nel medesimo lasso di tempo (=contraddizione), un altro diverso conto è dire (effettivamente, sensatamente) che qualcosa è reale in un determinato lasso di tempo e non lo è in determinati altri, diversi lassi di tempo (mutamento o “diversità diacronica” =/= contraddizione) o che qualcosa (esempio: un quadrato) è diverso nello stesso lasso di tempo da qualcos’ altro (esempio: un cerchio: “diversità sincronica” =/= contraddizione).
La pretesa eterna identicità dell’ente (che non è reale ma solo pensata astrattamente, dal momento che panta -cioè tutte le cose, tutti gli enti- rei) si deve inevitabilmente tradurre contraddittoriamente in un sempre diverso suo apparire fenomenico proprio per cercare (vanamente) di conciliare il falso (=detto non conformemente alla realtà) della fissità (dell’ ente) che si vorrebbe predicare con il vero (= detto conformemente alla realtà) del suo mutare cui ci si vorrebbe adeguare (che pure si vorrebbe predicare, per l’ appunto contraddittoriamente); detto volgarmente: per cercare di far quadrare i conti (della fissità predicata) che non tornano (di fronte alla realtà del mutamento).

La contraddizione (“originaria” di Severino) non è dunque per me fra logica e fenomenologia, il che non avrebbe senso: una contraddizione, anche etimologicamente è sempre interna a un discorso, a un “dire” (qualcosa e il suo contrario), mentre la contrarietà o comunque diversità fra dire ed essere reale è un’ altra cosa: é la falsità (del dire). La contraddizione è bensì interna al discorso di Severino (dunque interamente e unicamente “intralogica”) che pretenderebbe di conciliare fissità (pretesa) e mutamento (reale).

Secondo me i fenomeni in generale non significano alcunché: semplicemente accadono.
Sono solo quei peculiari fenomeni che costituiscono la parole, i pensieri, i discorsi (e in qualche vaga misura altre forme non linguistiche e magari non solo umane di espressione e comunicazione del pensiero) che hanno significati, che significano (simboleggiano, indicano) qualcosa di ulteriore e diverso dal puro e semplice loro proprio essere o accadere.

Secondo me il molteplice (sincronicamente) e mutevole (diacronicamente) accadere reale dei fenomeni non contraddice, bensì è diverso (diversa “cosa”) dall’ “l’eterna identicità logica dell’ente”, non reale in sé ma unicamente come concetto,” contenuto di pensiero”, non reale se non in quanto pensato (reale può essere il pensarlo accadere, non è l’ accadere di essa).
La foglia è verde (“e basta”): il (concetto di) “non-verde” è necessario al (tuo) pensiero per potere intendere (pensare, dare un significato alle parole che lo esprimono) l’ essere “verde” della foglia (e di altro), dal momento che omnis determinatio est negatio.
I fatti sono la foglia, con le sue diversità da tutto ciò che non è e con il suo mutare nel tempo. La sua essenza, la sua struttura originaria (con i suoi diversi, molteplici, contingenti apparire) mi sembrano solo modi alquanto ingarbugliati e cervellotici di descrivere la sua diversità da altre cose reali e il suo divenire reale, cercando di conciliarlo con la pretesa sua identità assoluta e immutabile che è solo un’ astrazione mentale.
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Vecchio 07-04-2015, 11.32.35   #5
maral
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Riferimento: La contraddizione fenomenologica originaria

Citazione:
Originalmente inviato da Garbino
Per quanto riguarda ciò che tu hai argomentato io non trovo alcuna contraddizione logica. Se l' ente esiste le cose, a mio avviso, devono necessariamente stare in questo modo. Il mio dubbio, come ben saprai, è sulla esistenza stessa dell' ente.

Se non ricordo male lo si dava come un qualcosa di ipoteticamente valido proprio per poter iniziare un ragionamento. Ma da qui a dire che esiste ce n' è di strada.
E non mi è chiaro se Severino lo da comunque per certo e identificato, ma penso che tu potrai informarmi con la solita chiarezza espositiva che ti contraddistingue.
Bè Severino non solo afferma che l'ente esiste, ma che esiste necessariamente al plurale (proprio in quanto l'esistenza ha necessariamente bisogno del contraddittorio). D'altra parte mi pare che negare l'ente significa pure negarne la negazione, in quanto la "negazione dell'ente" è possibile solo se l'ente è affermato (e pure è necessario un ente che lo affermi o lo neghi), altrimenti cosa si sta negando e come si può mai negare niente?
Ciò su cui sempre si può dubitare (e a mio avviso è necessario dubitare) non è l'ente in quanto tale (l'ente in sé), ma la sua descrizione (l'ente per noi), che non può che essere parziale e relativa per quanto necessaria affinché qualcosa appaia per essere negata.
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Vecchio 07-04-2015, 13.33.57   #6
maral
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Paul11, salto la premessa, che pure contiene considerazioni importanti e passo a quello che mi pare il nocciolo della questione che vieni ad esporre, ossia che rapporto ha la logica con il mondo quale è.
Da un lato mi pare che la logica esige una sua autoreferenzialità, quella del pensiero che riflette su se stesso per poter riflettere sul mondo in modo da dargli una base che si fonda da sé, ma dall'altro la logica è pur sempre una forma fenomenologica dell'apparire del mondo: il pensiero logico fa parte della fenomenologia di quel mondo instabile che vorrebbe formalmente stabilizzare codificandolo. E qui la contraddizione già si manifesta ed essa non è solo logica, ma certamente pure fenomenologica ed esistenziale: la mappatura logica non corrisponde al territorio da mappare (cosa che vale ovviamente per ogni mappa che possa orientarci), ma è anche elemento di quel territorio stesso a cui manca il senso compiuto.
1+1=2 è certo un'astrazione, ma ancora lo è una mela + una mela= due mele (davvero vediamo due mele o forse non sempre una mela e un'altra mela, sempre un po' simile e e un po' diversa dalla prima e quindi irriducibiloe al segno duale?). La logica quindi non corrisponde al mondo, ma è parte necessaria del mondo che si rappresenta.
Tu chiedi chi obbliga l'ente ad apparire (e dunque a rappresentarsi e a rappresentarsi secondo contraddizione)? Penso l'ente stesso, la sua originaria esistenza in quanto tale, il suo essere che è sempre un esserci. L'ente non può scegliere tra esserci e non esserci, esso è in quanto c'è e solo essendo può venire negato nel suo significare.
La contraddizione è l'ente che esprime se stesso nella sua totalità e non può farlo se non essendo contraddetto, essa non lo sovrasta, ma gli coincide. Ogni apparire della contraddizione richiede il suo superamento, ma il superamento continua a far riapparire la contraddizione. Può sembrare una condizione davvero disperante questa e l'esistenza solo una sorta di insensata fatica di Sisifo, eppure, proprio perché il superamento sempre si ripete secondo un diverso apparire, non lo è, è al contrario una speranza che non muore mai proprio in quanto mai compiutamente realizzata in nessun assoluto, poiché l'assoluto è lo stesso continuo cammino che si contraddice, non il traguardo in cui ci si illude che ogni contraddizione, ogni assurdo, sia finalmente risolto.
Dunque la morale sottesa può solo essere lasciare che si manifesti quel camminare, senza anteporvi traguardi assoluti ove il percorso ha termine, poiché l'unico assoluto che dà senso è solo in questo camminare in cui sempre, in qualche modo ci contraddiciamo.
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Vecchio 08-04-2015, 11.37.18   #7
paul11
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Originalmente inviato da maral
Paul11, salto la premessa, che pure contiene considerazioni importanti e passo a quello che mi pare il nocciolo della questione che vieni ad esporre, ossia che rapporto ha la logica con il mondo quale è.
Da un lato mi pare che la logica esige una sua autoreferenzialità, quella del pensiero che riflette su se stesso per poter riflettere sul mondo in modo da dargli una base che si fonda da sé, ma dall'altro la logica è pur sempre una forma fenomenologica dell'apparire del mondo: il pensiero logico fa parte della fenomenologia di quel mondo instabile che vorrebbe formalmente stabilizzare codificandolo. E qui la contraddizione già si manifesta ed essa non è solo logica, ma certamente pure fenomenologica ed esistenziale: la mappatura logica non corrisponde al territorio da mappare (cosa che vale ovviamente per ogni mappa che possa orientarci), ma è anche elemento di quel territorio stesso a cui manca il senso compiuto.
1+1=2 è certo un'astrazione, ma ancora lo è una mela + una mela= due mele (davvero vediamo due mele o forse non sempre una mela e un'altra mela, sempre un po' simile e e un po' diversa dalla prima e quindi irriducibiloe al segno duale?). La logica quindi non corrisponde al mondo, ma è parte necessaria del mondo che si rappresenta.
Tu chiedi chi obbliga l'ente ad apparire (e dunque a rappresentarsi e a rappresentarsi secondo contraddizione)? Penso l'ente stesso, la sua originaria esistenza in quanto tale, il suo essere che è sempre un esserci. L'ente non può scegliere tra esserci e non esserci, esso è in quanto c'è e solo essendo può venire negato nel suo significare.
La contraddizione è l'ente che esprime se stesso nella sua totalità e non può farlo se non essendo contraddetto, essa non lo sovrasta, ma gli coincide. Ogni apparire della contraddizione richiede il suo superamento, ma il superamento continua a far riapparire la contraddizione. Può sembrare una condizione davvero disperante questa e l'esistenza solo una sorta di insensata fatica di Sisifo, eppure, proprio perché il superamento sempre si ripete secondo un diverso apparire, non lo è, è al contrario una speranza che non muore mai proprio in quanto mai compiutamente realizzata in nessun assoluto, poiché l'assoluto è lo stesso continuo cammino che si contraddice, non il traguardo in cui ci si illude che ogni contraddizione, ogni assurdo, sia finalmente risolto.
Dunque la morale sottesa può solo essere lasciare che si manifesti quel camminare, senza anteporvi traguardi assoluti ove il percorso ha termine, poiché l'unico assoluto che dà senso è solo in questo camminare in cui sempre, in qualche modo ci contraddiciamo.


Ciao Maral ,
a mio parere bisogna per forza entrare nella logica dialettica: bisogna "prendere il toro per le corna" se vi sono incongruenze logiche.
Il testo di F. Berto su "Severino e la logica dialettica", lo ritengo fondamentale.
.

Il primo principio fondamentale : la Relazione Semantica Fondamentale (RSL) che è : a <--> -a
a coimplica la sua negazione , perchè è necessario fra un qualunque significato a e la sua negazione infinita non-a ; perchè in non -a c'è l'intero del contraddittorio , la totalità del suo altro.
La coimplicazione vuol dire che le due posizioni sono vicendevoli.

Già quì il problema collide con la logica formale sul piano del principio d'identità in quanto a comiplica una sua negazione, cioè è una contraddizione formale e nascono infatti problematiche fra l'analitica (formale) e la dialettica. La logica dialettica vorrebbe comprenderla e in qualche modo superare quella formale poichè nega la RSF, ma perchè c'è un diverso concetto della negazione.

Il secondo principio è l'Olismo Semantico (OS) definito come la determinatezza del significato che coimplica l'intero campo semantico

a = a <--> (x) (x = x)

L'ente , in quanto determinato e incontraddittorio (quì c'è il principio di identità) coimplica l'intero dell'essere (inteso come TOTALITA' del determinato e incontraddittorio). Il significato dell'ente sta per OGNI significato, mentre l'intero è appunto la TOTALITA' concreta del significare.


Hegel già scriveva che "se venisse distrutto un granello di polvere rovinerebbe l'intero universo".
Se l’ente qualunque non fosse (più) un esser sé, allora l’intero dell’essere (“universo”) non sarebbe (più) un esser sé: afferma l’implicazione fra la determinatezza (l’esser sé) del significato (dell’ente), e la determinatezza (l’esser sé) dell’intero campo semantico (l’“universo”, l’intero dell’essere).
Ma deve essere anche chiaro che ciò è una tautologia.

Non so voi, ma io ci vedo "echi" con le culture antiche indiane e qualcosa di quantistico. C'è un aspetto ontologico in quanto la semantica è anche ontologia ,ma anche e forse soprattutto dal mio personale punto di vista qualcosa di epistemologico. L'umanità percepisce,acquisisce conoscenza, per poterla farla sua ,per comprenderne i significati. Così continuiamo a conoscere sempre più significati. Ecco mi pongo una domanda, questa continua ma mai esaustiva conoscenza è solo in termini quantitativi o qualitativi?
Per arrivare a quell'essere sè incontraddetto, quante contraddizioni dovremmo acquisire? Infinite sembrerebbe, ma allora forse è un aspetto qualitativo che dobbiamo comprendere e non una quantità enorme di conoscenza , di apparenze, di informazioni?
Sempre ammesso che sia risolvibile quell'arrivare a "essere sè" incontraddetto.
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Vecchio 08-04-2015, 20.07.07   #8
maral
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Riferimento: La contraddizione fenomenologica originaria

Ti ringrazio Sgiombo per le tue osservazioni critiche sulle quali ho riflettuto.
Il punto centrale mi sembra questo:
Citazione:
Secondo me i fenomeni in generale non significano alcunché: semplicemente accadono.
E' centrale poiché la contraddizione riguarda proprio i significati, non gli eventi o gli enti in sé, sono proprio i significati a contraddirsi. Dunque il problema sta se è ammissibile come reale un evento senza significato. A mio avviso (seguendo Severino ed Hegel) no, ossia non è possibile separare l'evento dal suo significare e questo significare implica non solo logicamente, ma pure (e forse soprattutto) fenomenologicamente la totalità del suo contraddittorio che viene dialetticamente via via ad apparire, ma che è compreso fin dall'inizio nell'ente stesso (in quanto l'ente coincide fenomenologicamente proprio con il suo totale significare).
Dunque la realtà e il dire e il pensare in merito a essa non li ritengo separabili: la realtà è sempre connessa con ciò che si manifesta al pensiero (che è già nell'immediato rendersi conto di un qualcosa, nell'atto del percepire). Questo non significa che un evento non sia distinguibile da ciò che dell'evento si dice o si pensa, ma che l'evento comprende sempre ciò che di esso si dice o si pensa nei vari modi in cui si può dire e pensarlo e in tal senso implica sempre il suo contraddirsi che è la sua manifestazione, il suo apparire.
Se puoi seguirmi partendo dal presupposto che ho indicato (l'inseparabilità dell'evento dal suo significare) anche il ragionamento di Severino che semplicemente ne vede le implicazioni forse può apparirti meno artificioso: una diretta conseguenza logica dell'assunto originario. Proprio fenomenologicamente ogni evento si presenta come significato (che è il risultato di tutti i significati che lo contraddicono).
Per inciso aggiungo che l' autocontraddizione è certamente definibile insensata da un punto di vista fenomenologico (e per questo uno dei suoi termini viene fenomenologicamente oltre che logicamente negato), ma è falsa dal punto di vista logico formale (infatti se un ragionamento contraddice le sue premesse, esso è logicamente falso).
Scusa se vado un po' di fretta, spero di essere stato chiaro. Magari potremo tornarci sopra con esempi.

Ultima modifica di maral : 08-04-2015 alle ore 22.00.49.
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Vecchio 08-04-2015, 21.53.06   #9
maral
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Riferimento: La contraddizione fenomenologica originaria

paul11 , anch'io ci sento un richiamo ad antiche culture indiane in questo discorso ed è giusto notare come scrivi che la chiave sta in un diverso modo di intendere la negazione rispetto alla logica formale per la quale la relazione semantica fondamentale , retta dal principio del reciproco annullamento degli opposti, non può che essere falsa. La negazione intesa secondo la logica formale, vede l'ente come qualcosa che esclude l'universo altro da sé, pena il suo annientamento (o A o NON A), il suo caotico svanire, e viceversa vede l'universo altro come qualcosa che non può che escludere questo ente, mentre la logica dialettica vede nella reciproca negazione tra ente e universo altro il fondamento di entrambi, ciò che fa di ogni ente ciò che è, che ne determina la totale eterna identità originaria, cosicché l'ente nel suo vero significare comprende l'universo intero che per la logica formale è separato dalla negazione.
Nietzsche come sappiamo critica aspramente questa posizione hegeliana in cui l'affermativo è determinato dal negativo, la critica in nome della volontà affermativa di potenza dell'ente, ma proprio per spingere questa volontà affermativa alle sue estreme conseguenze perviene alla teoria dell'eterno ritorno che, per rendere eterno l'atto di volontà affermativa sul suo contraddittorio, ne rivela la eterna insensata inconcludenza. La volontà suprema dell'oltreuomo sta appunto nel volere per scelta proprio questa assoluta inconcludenza che continuamente si contraddice, che continuamente ripete in ogni attimo il suo assurdo privo di senso, di qualsiasi fine che ponga una fine. E qui, secondo me, possiamo trovare l'aggancio profondo con la dimensione esistenziale dell'uomo, ove la contraddizione assume il significato camusiano di un assurdo che eternamente si ripete e che eternamente si vuole ripetere esattamente come per Sisifo, condannato nel mito dagli dei a replicare eternamente la sua insensata fatica. Morti gli dei, Sisifo continua pur sempre a ripetere il suo faticoso e insensato percorso (il continuo ripetersi della contraddizione che gli ripresenta eternamente ciò che lo nega), poiché lo vuole, poiché solo in esso eternamente si ritrova. E per questo Camus conclude il mito con quelle famose parole: "Bisogna immaginare Sisifo felice", Sisifo infatti, mentre torna a valle per ricominciare a spingere il masso, si riconosce nella contraddizione che lo nega e nel volerla ancora e ancora trova la felicità di un conoscersi in un'unione affermativa che proprio non compiendosi mai lo restituisce eternamente a se stesso, alla sua eterna volontà di compierla.
E' veramente un volo di uccello per accenni questo che ti presento, un volo che meriterebbe ben più profonde disamine: la contraddizione come figura del falso nella logica formale che appare come l'insensato fenomenologico, velo di maya chiamato a celare il vuoto induista o quantistico ove il caos è totale e l'assurdo dell'alienazione esistenziale che culmina da un lato con l'assoluta negazione della posizione nichilista e dall'altro (in opposto e in contraddizione) con la più pura gioia dell'esistenza. Ma un filo conduttore tra questi momenti così diversi a mio avviso sussiste, bisogna immaginare Sisifo felice di non concludere mai la sua pena, pur lottando e soffrendo eternamente per venirne a capo.
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Vecchio 09-04-2015, 18.41.56   #10
sgiombo
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Riferimento: La contraddizione fenomenologica originaria

@Maral

Proverei ad avanzare qualche obiezione che spero possa essere interessante come ulteriore spunto di riflessione (anche solo per me stesso, per chiarirmi meglio le idee), utile anche per comprendere le reciproche divergenze (evidentemente inconciliabili e che sarebbe ingenuo pretendere di superare).

Affermi che “Dunque il problema sta se è ammissibile come reale un evento senza significato".

Dal mio punto di vista (invece) a necessitare di un significato è (soltanto) la conoscenza di un evento (“generico”); conoscenza che a sua volta é un (ulteriore) evento, ma molto particolare appartenendo a quegli eventi decisamente peculiari rispetto a tutti gli altri, che sono i pensieri, enunciati proposizioni, predicati o giudizi: potremmo denominarli “eventi specifici” in contrapposizione (= diversità, non necessariamente contraddizione) agli “eventi generici”.
Per me non significa invece alcunché (non è necessariamente dotato di significato) il reale accadere di un evento “generico” (l’ accadere di un evento in generale, che quindi si dà anche degli eventi “specifici” in quanto fatti “in sé” e non “in quanto ai loro contenuti”, poiché anch’ essi, se accadono, accadono realmente, anch’ essi sono anche -ma non solo!- caratterizzati dal fatto di essere -o meno- reali “in generale” al modo di tutti gli altri eventi: anche gli “eventi specifici” sono comunque inoltre, anche “eventi generici”; o se vogliamo tutti gli eventi sono “genericamente” eventi, ma solo alcuni lo sono anche “specificamente”, sono anche “eventi concettuali”. E secondo me un significato appartiene necessariamente solo a questi ultimi).



“ente coincide fenomenologicamente proprio con il suo totale significare”.

Il mio dissenso sta nel fatto che per me il significare è proprio della parola, evento specifico concettuale (anche, oltre che ovviamente e inevitabilmente anche generico) che indica o allude a un ente o evento (o a una o più caratteristiche astratte di enti o eventi) da essa distinto e che ne costituisce appunto il significato (un “gatto” è cosa diversa dalla sequenza di questi cinque caratteri tipografici: “G”, “A”, “T”, “T” ed “O”) e che si stabilisce arbitrariamente per convenzione (tra parlanti), in parte mediante ostensione o allusione a enti e/o eventi empirici concreti, in parte per definizione , cioè mettendo in determinatamente relazione più altri concetti (qui ci sarebbe da approfondire quanto di ostensivo-immediatamente empirico e quanto di concettuale-generale-nozionale, in maggiore o minor misura a seconda dei casi, v’ è nel “confezionamento” -o stabilimento- dei significati delle parole, cioè nei concetti, più o meno concreti o più o meno astratti, che esse significano).



“Dunque la realtà e il dire e il pensare in merito a essa non li ritengo separabili: la realtà è sempre connessa con ciò che si manifesta al pensiero (che è già nell'immediato rendersi conto di un qualcosa, nell'atto del percepire). Questo non significa che un evento non sia distinguibile da ciò che dell'evento si dice o si pensa, ma che l'evento comprende sempre ciò che di esso si dice o si pensa nei vari modi in cui si può dire e pensarlo e in tal senso implica sempre il suo contraddirsi che è la sua manifestazione, il suo apparire.”
“Proprio fenomenologicamente ogni evento si presenta come significato (che è il risultato di tutti i significati che lo contraddicono)”.


Per me invece vi sono o per lo meno in teoria vi possono essere enti ed eventi che non si manifestano al pensiero. Per esempio credo esistano infinite galassie, stelle, pianeti, mari e monti in parte di questi pianeti, ecc. che mai nessuno ha visto né vedrà, ai quali mai nessuno ha pensato né penserà (a ciascuno di essi nella sua concretezza, ciascuno dei quali dotabile di un suo particolare nome proprio, non in generale al loro insieme astratto come sto facendo io adesso).
Altri notevoli elementi di dissenso da parte mia: il contraddirsi (mi scuso se qui semplicemente mi ripeto; spero di riuscire a evitarlo in futuro) per me può essere proprio solo degli enti o eventi specifici o concettuali, dei pensieri o discorsi (circa eventi o circa altri pensieri: “metapensieri”); ma pensieri o discorsi in realtà indebitamente pretesi essere tali, che però allora si autoannullano perdendo alcun significato e per così dire “degradandosi a enti o eventi generici” (perché solo nel dire, nel pensare, e non genericamente nell’ accadere, può essere compreso il dire qualcosa e il suo contrario: i fatti generici, che non significano, non dicono alcunché, a maggior ragione non possono dire qualcosa e il suo contrario).
Inoltre la diversità propria dei concetti non necessariamente è contraddizione, necessariamente è solo differenza: “omnis determinatio est negatio” nel senso che il significato di qualsiasi concetto è necessariamente relativo ad altri concetti e per comprendere qualsiasi concetto è necessario comprenderne le differenze (anche le contrarietà) da altri concetti; sono soltanto i predicati o giudizi, cioè le attribuzioni (del fatto) di essere o accadere realmente ai (significati o "contenuti nozionali" di) concetti (a determinati concetti) che possono essere contraddittori (ma allora non si tratta più di autentici pensieri o discorsi -significanti!- e si degradano a eventi generici) o meno.
Il singolo concetto “gatto” è diverso dal concetto “cane” e se lo si comprende necessariamente si devono comprendere anche numerosi concetti da esso diversi, complessivamente astraibili in quello generalissimo di “non-gatto”.
Ma:
a) un gatto (reale) non è il concetto di “gatto” ed esistono gatti reali indipendentemente dal fatto che qualcuno pensi il concetto di “gatto” con tutte le nozioni astraibili nel concetto di “non-gatto” che questo necessariamente implica;
b) la diversità del concetto di “gatto” dal concetto di “cane” e anche dal concetto generalissimo di “non gatto” non è una contraddizione; una contraddizione è invece affermare: “qui ora c’ è un gatto e anche non c’ è un gatto (ovvero anche c’è un non-gatto; per esempio, fra gli infiniti possibili: c’ è un cane, oppure non c’ è nulla)”. E questo indipendentemente dal fatto che qui ora ci sia un gatto reale o meno, cioè dalla verità o falsità di ciascuna delle affermazioni reciprocamente contraddittorie (e singolarmente sensate).
Per la verità anche singoli (pseudo-!) concetti possono essere autocontraddittori, come lo pseudoconcetto di cane-gatto o di cerchio-quadrato (ma per l' appunto non sono autentici concetti, dotati di significato, ma enti o eventi generici insignificanti (scarabocchi, come in questi casi qui sipra, o vocalizzi).


”se un ragionamento contraddice le sue premesse, esso è logicamente falso”.

Necessariamente se le premesse erano vere.
Ma se erano false non necessariamente é fenomenologicamente (ontologicamente) falso: Tutti gli uomini sono immortali (falso); Socrate è un uomo (vero); dunque Socrate è mortale (contraddittorio rispetto alla premessa maggiore, che è falsa, e vero).
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