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Psicologia - Processi mentali ed esperienze interiori.
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Vecchio 12-06-2004, 22.49.52   #1
lunaticamente
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Difficoltà di comunicazione.(esperienze personali)

Tutto è cominciato 25 anni fa.
Per molti di questi anni, dieci e più, non mi sono mai accorta che qualcosa aveva ceduto di schianto, ma forse è perché non è stato così di schianto, è accaduto gradualmente, complice il mio grado di preparazione culturale di allora, e la poca voglia che avevo di approfondire, e della famiglia con le scarse possibilità, e, e, e, un sacco di altre cose suppongo, magari pure Dio c’è in mezzo chi lo sa. Queste sono tutte giustificazioni che mi offro per non cadere preda a crisi depressive, anche se non ne ho mai sofferto non si può mai dire, certo è, che ne sento attualmente il peso e la possibilità che possano verificarsi, perché se dovessi credere che è tutta colpa mia, senza possibilità di scampo, non so, ma un bel suicidio coronerebbe la mia mediocre vita.
25 anni fa dicevo, è cominciato l’inferno, per dieci anni e più ho sempre creduto fosse il paradiso, anche supportata dalle dicerie degli altri, benché questi insistessero a chiamarlo: “paradiso artificiale” uscii da quell’inferno con l’aiuto di un ragazzo per me speciale, che mi ha fatto vivere l’inferno, ma che io continuavo a credere un paradiso, e anche qui ero supportata dalla massa, valanghe di parenti che dicevano che il matrimonio era la felicità, e anche a quello ho creduto, altri dieci lunghi anni di paradiso artificiale, che niente aveva di diverso dall’altro. Uno mi fondeva la mente e il fisico, l’altro la mente e il cuore. ( lì ho iniziato a leggere, ed ha iniziato a piacermi, moltissimo, anche se in effetti non ho mai imparato) Seguirono due anni di solitudine, varie disgrazie in famiglia, il mio divorzio, il rientro a casa coi miei genitori, non avevo tempo per deprimermi, e poi avevo imparato ad usare il pc, complice quel genio di mio fratello. Tuttavia mi rimaneva tempo per riflettere e pensare, mi accorsi così della mostruosa falla che si era generata, uno squarcio inarginabile, che anziché permettere l’entrata aveva consentito la fuoriuscita. Cominciai a sentirmi inadeguata, per venti lunghi anni non avevo mai avuto bisogno del mondo esterno, nel primo caso perché credevo di essere in paradiso, nel secondo perché era un prepotente e la gente secondo lui non ci serviva. (nemmeno il sole, nemmeno la luce)
Il contatto con la gente si rese indispensabile, un lavoro, una famiglia, una nuova condizione, dovevo quantomeno andare a fare la spesa no? Pagare le bollette, andare in farmacia, fare le analisi, ascoltare la gente parlare…già, ascoltare la gente parlare, sono diventata una ascoltatrice attenta, tanto, che allo stato attuale, (vivo un po’ di tensioni ultimamente) sto diventando intollerante, odio la gente che non sa ascoltare e non perdo occasione per farglielo notare.
Iniziai ad immergermi in internet, cercare cose, trattati, qualcosa che giustificasse il mio stato di salute, frequentai chat per confrontarmi con la gente, lì sembrava facessero molta meno paura che non dal vivo, (la gente) ma mi sbagliavo, era peggiore, lì non c’è un corpo a far da barriera, a confondere le idee, lì ti guardi direttamente al cuore, all’anima, ti è concesso poco per prendere respiro tra una frase e un’altra, o ti inventi la scusa del gabinetto :” scusa un sec, devo andare al bagno”, o, “scusa acqua, sai abbiamo parlato tanto che mi è venuta sete, -con icona sorrisino annessa-) ma se sei preso nel discorso, se non te la senti di mollare, allora non hai che un modo, sai quale? Ecco, appunto questo, aggiungere un “sai cosa?” ( perché tanto dall’altra parte è ovvio che ti diranno:” no, cosa?!, e tu intanto pensi, rifletti un attimo, e riparti) tra una frase e la successiva, così da riprendere un po’ il fiato e la mente, riequilibrare i pensieri e ripartire a capofitto. Tutto questo è spaventoso detto così, è di una freddezza micidiale, soprattutto se penso a chi mi ha insegnato tutto questo, al quale devo molto, molto di più di molto, ma neanche lui è stato in grado di arginare quella falla, tutt’al più (tuttalpiù), di metterci una pezza. Tutto ciò che ho appreso, grazie a lui, in questo poco tempo di vita insieme, svoltasi soprattutto in internet per via della distanza, andrà irrimediabilmente perduto, perché la mia memoria, ( mi vien da dire fa le bizze, ma sarebbe un eufemismo bello e buono) fa piangere, e non avrò più il suo sostegno, tanto che mi vien da dire che per lui, il suo rapporto con me, doveva appunto far piangere, forse è proprio questo che lo ha fatto disinnamorare.
Insomma, tiriamo le conclusioni va, io non voglio che mi si dica che “sono intelligente, non c’è niente che non vada in me, mi esprimo benissimo e chiaramente, o leggi, vedrai che migliorerai, la lettura aiuta sempre in questi casi, aiutati col garzanti ondine se a volte non capisci una parola, non è affatto vero che non sai esprimerti” etceteraceteracetera
Le mie mancanze sono altre, le mie difficoltà nella lettura, l’incapacità di rispondere a tono, la mancanza di idee mie, o opinioni, che non saprei difendere, la scarsissima memoria, l’incapacità di seguire un discorso fino in fondo, cominciato da me magari pure, un filo logico in ciò che dico se ciò che dico solo osa a voler ergersi un pelo più alto di ora. Il punto è che io sento di far parte di queste cose, sento che mi appartengono,o mi sono appartenute, e mi mancano, mi manca terribilmente non potermi godere un libro, e non un libro qualunque, anch’io ho i miei gusti, e nel frattempo ho anche acquistato gusti di altri, molto più elevati, ancora più difficili, è come se sentissi di aver avuto una vita antecedente a questa, dove tutto questo mi era possibile e ora mi è negato.
Non guardate solo le parole che scrivo, che sembrano magari avere un senso, Dio solo sa la fatica che faccio a metterle tutte in fila, a due a due, come disciplinati scolaretti, e sto anche raccontando, per così dire, fattacci miei, immaginatevi tutte queste difficoltà in un vis a vi, o in un gruppo di persone.
Ultimamente, e intendo in questi ultimi tre anni, ho visto chiaramente in me l’incompetenza e la poca preparazione che può avere un ragazzino di scuola elementare, al mio ragazzo, ( mi ostino a chiamarlo così solo perché non so che collocazione dargli, il mio amico mi pare riduttivo, ma è altresì vero che il mio ragazzo è eccessivo, ma un nome devo pur darglielo, per cui faccio così, lo chiamo vecchio e non se ne parli più) al mio vecchio ragazzo chiedevo perfino se mi insegnava l’aritmetica, ma soprattutto la grammatica, il lessico, la semantica, in pratica io non conosco il senso delle parole, le ho dimenticate per lo più, ora uso un vocabolario tutto mio, costruito con fatica e con gli aiuti pratici, lo sento riduttivo, proprio perché nel bel mezzo dei discorsi, troppe, troppe volte mi manca la parola per esprimere ciò che voglio dire, e la ricerca ossessiva della stessa, sempre, o meglio spesso, mi fa perdere il filo del discorso, è snervante, è avvilente, e non c’è verso di venirne fuori. Ho toccato tanti punti in questo monologo, troppi, il discorso andava sintetizzato in certi punti e approfondito in altri, ma a me per far tutto questo non mi basterebbe una settimana, ancora ora sto cercando le parole adatte per far capire dove, come mi senta menomata. Non so esprimere emozioni, non so esprimere sentimenti, non so esprimere ciò che provo, e non è colpa delle parole lo so, quelle ci sono e ce ne sono pure un sacco, le ho sentite e le riconoscerei se le risentissi, alcune sono meravigliose, altre impronunciabili o irripetibili tanto sono belle e se non provi quei sentimenti diventano irripetibili per te, ma ci sono, dio se ci sono, ma non me le ricordo, ricordo solo che ci sono ed è un tormento, anche della mia vita ricordo poche cose, della mia storia sentimentale ricordo poche cose, tutto ciò che ricordo, di tutto, che sia vita o amore o odio o paura o noia o allegria, è appunto il sentimento che lo ha provocato, l’emozione che ho provato, questo ricordo, è questo che non dimentico, ed è proprio questo che non so esprimere pur ricordandolo.
Ma mi rendo conto di non essermi spiegata.
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Vecchio 13-06-2004, 00.07.39   #2
iris_1
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Re: Difficoltà di comunicazione.(esperienze personali)

Io credo invece che tu ti sia spiegata benissimo, certo non potrò mai capire quello che realmente senti dentro di te, ma credo che questo sia normale; ognuno prova delle esperienze che sono irripetibili e anche se qualcun'altro (per pura ipotesi) si dovesse trovare nelle stesse identiche situazioni, le sensazioni che ne scaturirebbero sarebbero totalmente diverse dall'altro; questo perchè ognuno di noi è in sè un essere unico e irripetibile.
A volte il desiderio di spiegare ciò che proviamo è grande e il non esserne in grado ci deprime.
Credi che sia realmente necessario per te dover far capire a qualcun altro quello che provi? e sei consapevole del fatto che, per quanto tu ti possa avvicinare a questa ipotesi, non accadrà mai?
Esistono emozioni, sensazioni, sentimenti così forti, così intensi, che nessun termine, per quanto ricercato, possa esprimere; sono del parere che, per quanto sarebbe bello essere in grado di far capire perfettamente agli altri quello che proviamo, è giusto che sia così, perchè ciò che sentiamo dentro di noi è così grande che qualunque termine non sarebbe capace di essere altrettanto grande e lo sminuirebbe.
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Vecchio 13-06-2004, 00.11.03   #3
neman1
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uh, qui ci sarebbe molto da dire su di te...mi limitero' di esprimermi solo su questo punto: certo che avere un'opinione cosi bassa sulle tue capacita' comunicative ed apprendere dalle parole non ti migliorera' di sicuro. Io non ci vedo niente di male nel non avere spiccate capacita' linguistiche. Se la vogliamo girare anche cosi: anche stando nel silenzio si comunica. Come ne abbiamo parlato in altri 3ad: la parola conta relativamente. C'e' chi e' piu sensibile all'involucro e chi al contenuto. Punto. Credo che il tuo scrivere incasinato deriva dallo sforzo che compi, dal sentirti in dovere di raggiungere chissa' quale bravura nel esprimere le tue emozioni dato che ti vedo piu emotiva che altro. Direi che comunque ti fai capire bene. Pero' c'e' qualcosa che ti fa a pezzi, allora hai difficolta' di concentrazione e fatichi a trovare la calma. Ma questo allora non e' piu un problema di comunicazione. Ciao e stammi bene
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Vecchio 13-06-2004, 00.19.27   #4
nicola185
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Re: Difficoltà di comunicazione.(esperienze personali)

Citazione:
Messaggio originale inviato da lunaticamente
... Ho toccato tanti punti in questo monologo, troppi, il discorso andava sintetizzato in certi punti e approfondito in altri, ma a me per far tutto questo non mi basterebbe una settimana, ancora ora sto cercando le parole adatte per far capire dove, come mi senta menomata. Non so esprimere emozioni, non so esprimere sentimenti, non so esprimere ciò che provo, e non è colpa delle parole lo so, quelle ci sono e ce ne sono pure un sacco, le ho sentite e le riconoscerei se le risentissi, alcune sono meravigliose, altre impronunciabili o irripetibili tanto sono belle e se non provi quei sentimenti diventano irripetibili per te, ma ci sono, dio se ci sono, ma non me le ricordo, ricordo solo che ci sono ed è un tormento, anche della mia vita ricordo poche cose, della mia storia sentimentale ricordo poche cose, tutto ciò che ricordo, di tutto, che sia vita o amore o odio o paura o noia o allegria, è appunto il sentimento che lo ha provocato, l’emozione che ho provato, questo ricordo, è questo che non dimentico, ed è proprio questo che non so esprimere pur ricordandolo.
Ma mi rendo conto di non essermi spiegata.

Ho letto tre volte questo tuo lungo, come lo definisci tu, monologo.
La prima volta non ho capito e allora l'ho letto una seconda volta più lentamente, cercando di seguire il filo logico, cercando il filo logico e continuavo a non trovarlo. Eppure è scritto molto bene, mi dicevo, in un italiano perfetto, ma mentre finivo di leggere ho compreso che nonostante il tuo invito, non stavo ascoltando quello che c'era dietro le tante parole. E allora l'ho letto per la terza volta, lentamente, seguendo attentamente le pause ricercate con la punteggiatura, le molte virgole, ma soprattutto ascoltando e trovando il filo logico emotivo. E allora ho compreso, anzi no ho sentito un insieme di emozioni, un po' indefinite, miste tra tristezza, rassegnazione, speranza, amore, paura, coraggio ma mi manca qualcosa a tutte queste, un qualcosa che io traduco con una sola parola: silenzio. Quella che tu chiami falla inarginabile, io lo chiamo buco nell'anima, (titolo di un libro di Furio Ravera) e hai proprio ragione: certi vuoti sono incolmabili. Ma è proprio nella loro incolmabilità che io, pur dovendo attraversare terribili momenti di sconforto, trovo il coraggio e la forza di andare avanti; in certi momenti mi sento perfino fortunato perchè mi dico: io avrò sempre uno scopo nella vita, avrò sempre qualcosa da raggiungere a differenza di chi si sente arrivato con quattro cazzate conquistate. Nicola
nicola185 is offline  
Vecchio 13-06-2004, 01.51.47   #5
lunaticamente
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Citazione:
Messaggio originale inviato da neman1
uh, qui ci sarebbe molto da dire su di te...
Ho sempre rifiutato ogni tipo di farmaco, anche per il mal di testa, e gli psichiatri rientrano per me sotto questa etichetta, ma c’è un tempo per ogni cosa, ora è tempo di curarsi, per cui se intanto vuoi iniziare tu a farmi terapia potrei ringraziarti, visto che un appuntamento reale con uno psichiatra ce lo già e sarà a breve, così intanto mi fai vedere che cosa debbo aspettarmi, senza nessuna ironia nel caso volessi fraintendere.
Citazione:
mi limitero' di esprimermi solo su questo punto: certo che avere un'opinione cosi bassa sulle tue capacita' comunicative ed apprendere dalle parole non ti migliorera' di sicuro.
E’ vero, credo che l’opinione bassa che ho di me risieda sulla poca fiducia sulle mie capacità, sulla poca stima di me, e sull’idea che ho sempre dato agli altri di me che non ha mai corrisposto al vero, se non quando ero ancora molto piccola, poi chissà per quale misterioso motivo quell’idea hanno continuato ad averla e io non me la sono mai sentita di disilluderli, così mi son sempre ritrovata a far la parte della “dura” pur non essendola. E comunque non voglio apprendere dalle parole, semmai apprendere le parole, per far sì che in un confronto diretto, con qualsiasi, anche uno psichiatra, io sia in grado di trasmettere esattamente ciò che debbo, e non lasciare che sempre si travisi solo perché non ho imbroccato quei 7 o 8 aggettivi, o che peggio, mi senta in difficoltà già in partenza perché ritengo che il discorso sia troppo elevato per le mie capacità.
Citazione:
Io non ci vedo niente di male nel non avere spiccate capacita' linguistiche.

Neanche io.
Citazione:
Se la vogliamo girare anche cosi: anche stando nel silenzio si comunica.
Vero, soprattutto quando c’è intesa, ma se bisogna discorrere, io preferirei evitare di comunicare a gesti.
Citazione:
Come ne abbiamo parlato in altri 3ad: la parola conta relativamente.
La sostanza conta di più
Citazione:
C'e' chi e' piu sensibile all'involucro e chi al contenuto.
Appunto, la sostanza. Sostanzialmente un mezzocretino farà poca strada, avrà poco successo, non sarà accettato e ultimo ma non ultimo soffrirà perché crede di non essere capito quando invece non sa esprimersi.
Citazione:
Credo che il tuo scrivere incasinato deriva dallo sforzo che compi, dal sentirti in dovere di raggiungere chissa' quale bravura nel esprimere le tue emozioni dato che ti vedo piu emotiva che altro.
Meno male mi si dice che scrivo incasinato, era ora finalmente, tu non sai quanto sia sfinente sentirsi sempre e solo dire, “ma dai, ma no che non è vero” sentirsi trattare sempre come una ragazzina nel migliore dei casi, perché visto che non sono totalmente cretina so pure io che ho delle difficoltà per cui quando mi dicono che non è vero mi sento trattata da deficiente. E comunque, non è che voglia raggiungere chissà quale vetta, il mio desiderio più grande in realtà sarebbe scrivere con sicurezza, con facilità, non solo scrivere ovviamente. Sono emotiva.
Citazione:
Pero' c'e' qualcosa che ti fa a pezzi, allora hai difficolta' di concentrazione e fatichi a trovare la calma.
MI MANCANO GLI STRUMENTI, scusa il grido.
Citazione:
Ma questo allora non e' piu un problema di comunicazione.
Suggeriscimi un nuovo titolo, che lo cambio.
Ciao, lunga vita a te.

Ultima modifica di lunaticamente : 13-06-2004 alle ore 01.56.25.
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Vecchio 13-06-2004, 02.17.30   #6
lunaticamente
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Re: Re: Difficoltà di comunicazione.(esperienze personali)

Citazione:
Messaggio originale inviato da nicola185
io avrò sempre uno scopo nella vita, avrò sempre qualcosa da raggiungere a differenza di chi si sente arrivato

Anch'io avrò sempre uno scopo nella vita, purtroppo, avrei preferito evitare questo specifico scopo però, e magari accontentarmi di un paio di "cazzate"
E' troppo, troppo faticoso, ci fosse stato l'amore almeno, tutto si sarebbe ridimensionato, tutto sarebbe diventato sopportabile, con l'amore è come dividere a metà i pesi che si portano, vero no? ma non sarebbe comunque stato risolto. e poi straparlo, è notte...
buonanotte

grazie iris per le belle parole, non ho troppa confidenza con le donne, ( vedi il "duro" nella mia favola) ma anche fossi stata un uomo sarebbe stato difficile non capire che sei donna, hai modi completamenti differenti, anche dai miei.
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Vecchio 13-06-2004, 06.53.27   #7
mark rutland
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dici di sentirti linguisticamente inadeguata ...

...non direi; nel linguaggio comune tutti usiamo, per forza di cose, un vocabolario limitato perchè più semplice, immediato e veloce(semplicità e velocità di comprensione vanno sempre a braccetto)A nessuno verrebbe mai in mente di dire ad una persona'ho gradito il tuo eloquio ', ma piuttosto'mi è piaciuto il tuo discorso'.Tutti conosciamo tante parole , a conti fatti, ma difficilmente le usiamo veramente tutte.A volte , nel caso di parole di uso comune , invece,non ci vengono immediatamente sulle labbra ...eppure sono nella testa....pazienza,si usano perifrasi o sinonimi.
Per quanto attiene invece il tuo scrivere e il tuo parlare che dici privo della capacità di focalizzazione su una linea comune, anche questo non lo trovo un difetto;l'impressione che mi hai dato è quella di essere una persona che ha molto da dire, che sa trovare nelle pieghe delle parole, delle singole parole altri orizzonti , altri spunti per altri discorsi, altre finalità discorsive e che segue il flusso della sua coscienza e delle sue emozioni.

Sai chi faceva così? Virginia Woolf, non a caso i suoi sono romanzi definiti come 'flusso di coscienza',sembrano dei fiumi di parole che si perdono in rivoli ,alcuni dei quali si riconnettono al flusso principale, altri rimangono sospesi...a volte si segue un continuo cambio di rotta, di discorso....proprio come quando uno pensa.

non ci trovo nulla di male in te;sei una persona sensibile, consapevole delle sue emozioni che non reprime, con tanta voglia di comunicarle nella loro immediatezza....che problema c'è?

Ultima modifica di mark rutland : 13-06-2004 alle ore 07.00.19.
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Vecchio 13-06-2004, 09.16.16   #8
mark rutland
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rileggendo i tuoi interventi mi ha colpito il fatto che nel momento che imposti un discorso ti lasci appunto andare al flusso di coscienza;l'impostazione non segue un filo logico rettilineo quanto piuttosto l'urgenza di comunicazione apparentemente incoerente ma che in realtà una sua logica ce l'ha .

Quando invece hai replicato a Neman1 hai spezzettato il suo intervento, lo hai analizzato con precisione nelle sue implicazioni e replicato punto per punto, in maniera coerente,ordinata, organica e quasi settoriale.

Le capacità di analisi delle logiche che articolano il discorso nelle sue minuzie ci sono tutte in te e anche lasciarsi andare al flusso di coscienza non è del tutto male.Evidentemente però non lo vivi come una modalità espressiva efficace...vorresti essere più ordinata, decisa ecc anche nella parola.

Domanda;come consideri le persone ordinate(anche nella vita di relazione, non solo nei discorsi, ecc)?noiose, prive di accenti interiori o una meta irragiungibile? se le vedi come irragiungibili potrebbe darsi che in fin dei conti non ti interessa arrivare a quel punto:forse pensi di DOVER essere una persona di un certo tipo per compiacere te stessa, o l'immagine che hai di te, o che gli altri hanno di te , ma allo stesso tempo non ti interessa molto ESSERE in quel modo sia perchè significherebbe snaturarti, sia perchè implicherebbe un lavoro troppo lungo in termini di tempo o forse perchè vivi bene con te stesa , pur rinnegandoti o forse questo, manifestare le tue difficoltà è il tuo modo per chiedere attenzione, amore, comprensione che forse senti carenti nella tua vita....e cmq non ci sarebbe nulla di male anche in questo.....
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Vecchio 13-06-2004, 10.02.16   #9
lunaticamente
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La comunicazione, il linguaggio vero, quella di cui parlo io, credo sia composta da due cose fondamentali. Due canali: uno ricevente e uno emittente.
Per questioni di lavoro, alcuni mesi or sono feci un corso, di quelli gratuiti, che non puoi rifiutarti, per la sicurezza sull’azienda. All’interno di questo stesso corso c’era una psicologa, un’ora di corso delle 12 previste in totale. Aveva un compito ben preciso, spiegare cose ben precise, per un utilizzo invece non meglio identificato, per la serie” ognuno ne faccia ciò che crede” forse non era proprio così o così non sarebbe dovuto essere né in origine né nell’intento, ma in base a ciò che spiegò a quello che ci comunicò, ne venne fuori secondo me proprio questa ipotesi. Disse ( ma proprio in due parole, perché ricordo il concetto ma non come lo formulò) che nella comunicazione c’è sempre un ricevente e un emittente, che non son sempre gli stessi, si scambiano di frequente di ruolo, ma sempre un ricevente e un emittente servono perché ci sia comunicazione, il ricevente, come dice la parola stessa, è colui che riceve, l’emittente viceversa, e altrettanto ovviamente, è colui che comunica. Io comunico, ma prima di comunicare devo pensare a ciò che voglio comunicare, e il pensiero si sa, è difficilmente traducibile ( infatti per me Virginia Wolf è complicatissima da leggere, avevo cominciato con un suo saggio “Una stanza tutta per sé” ma dopo aver letto una decina di volte le stesse dieci pagine ho regalato il libro) ( la persona a cui l’ho regalato mi confidò in seguito di aver comperato altri libri della Wolf, perché le era piaciuta molto e non la conosceva, ne parlava estasiato, e io ho provato invidia, feroce invidia), per cui lo devo, per così dire, in tema di tecnologia, “scompattare”: estrapolare solo quelle parti che ritengo si possano comunicare, con facilità, con la certezza che abbiano un senso per chi mi sta davanti. La facoltà di rendere comprensibile un pensiero; nel linguaggio quotidiano questo naturalmente avviene in modo naturale, senza posarci sopra alcuna attenzione tanto è spontaneo, ma non sempre si discute di quotidiano, capita di voler affrontare tematiche, o solo discorsi più pieni, o anche discorsi tra amici, che possono vertere su mille e mille cose, alcune semplici altre molto meno, ascoltare qualcuno che ti parla di sé ad esempio, lo trovo spesso faticoso se non voglio scadere nel semplificare troppo e uniformare ciò che prova a ciò che provano tutti gli altri o che magari ho provato io.
Poi c’è il ricevente, che riceve ciò che viene emesso, già scompattato secondo le modalità altrui, che possono non combaciare con le tue modalità di apprendimento, o meglio, “ le esperienze di uno difficilmente o mai sono le esperienze dell’altro” possono essere simili, avvicinarsi un po’, o essere totalmente diverse, la lingua di origine, la cultura, la provenienza generano queste diversità, ma anche il grado di preparazione avuta e, acquisita. “La mappatura” in psicologia si chiama, la mappa mentale e individuale che ci portiamo dentro dalla nascita e che è perennemente in moto, in continuo aggiornamento assimilando ciò che ci succede intorno e fissandolo dentro di noi, sia che lo riteniamo valido oppure no, la mente spesso fa distingui, ma più spesso assimiliamo molto più di ciò che davvero ci interessa, ed è giusto che sia così. ( questa è solo una mia opinione, niente di scientifico certamente) Comunque, così come l’emittente ha un compito ingrato: estrapolare parti del suo pensiero e renderlo comprensibile, anche il ricevente non è da meno: assimilare ciò che è stato tradotto, passando prima attraverso il pensiero, venendo così ritradotto a sua volta in base alla mappa di origine di questi per passare infine alla coscienza e fissarlo.
Tutto questo detto così è molto logico, perfino molto bello, ma quando intercorrono certi meccanismi, quando il cervello ha subito dei traumi, quando molte cellule non ci sono più, e non si sa di preciso quali siano state spazzate via, converrete con me che il tutto si fa molto più complicato, molto più difficile.

Ho esagerato un po’ nella risposta a Nicola, stanotte inoltrata, in effetti questo è il mio cruccio, la cosa che sento più forte perché coinvolge tutto il mio essere da mattina a sera e non vorrei esagerare ancora ma sento che in parte modifichi anche la qualità dei miei stessi sogni, forse pretendo molto da me stessa come qualcuno ebbe modo di ipotizzare un tempo, ma effettivamente non è il mio obbiettivo primario quello di migliorare, forse lo è stato un tempo, ora sono pressoché più rassegnata all’idea che per quanto io faccia gli strumenti che avrebbero dovuto essere in mio possesso e che avrebbero potuto, invece non ci sono, per mie mancanze ovvio, non ho nemmeno mai studiato, mi manca il principio fondamentale per indirizzare nella giusta via tutti i vari collegamenti, cose che si imparano a scuola, per sentito dire.
Di fatto io continuo a considerarle “difficoltà di comunicazione”
Difficoltà, non impossibilità, ma è tutto estremamente difficile difficile.
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Vecchio 13-06-2004, 11.37.15   #10
Isao's_Seppuku
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Qui si sta tirando in ballo il principio d’indeterminazione di Heisenberg applicato alla scrittura, intesa come un processo di trasposizione d’un piano metafisico com’è quello del pensiero in un piano oggettuale: quanto più preciso un concetto, enumero i dettagli con maniacale precisione, tanto più noto lo scollamento tra l’oggetto reale e quello materializzato e battezzato dal mio pensiero. Viceversa, quanto più illumino indirettamente il mio oggetto d’indagine, ne sfumo i contorni e ne pongo in evidenza le intime contraddizioni su cui si regge e giustifica, le stesse che però potrebbero minarne la coerenza interna, facendolo svanire davanti ai miei occhi, tanto più sento di averlo compreso, anche se non sarò in grado di presentarlo in altro modo, né avvalendomi di un altro stile: dovrò confidare solamente sulla sensibilità del lettore. Gli argomenti trattati da saggi, articoli scientifici e giornalistici non sono soggetti al principio d’indeterminazione perché non si trovano a dover maneggiare gli oggetti del pensiero che non sono creati dalla ragione, pertanto il loro operare con processi deterministici in una scala macroscopica li sottrae totalmente all’ingrato, ma meraviglioso compito della letteratura.
L’impossibilità di comunicare le esperienze interiori tramite il realismo psicologico è la grande scoperta del Novecento in letteratura. Joyce credeva fosse possibile giungere alla realtà solo in alcuni rarissimi momenti “epifanici”, attimi in cui la verità delle cose ci soggioga come una rivelazione, e nella vita quotidiana si produce una manifestazione dello spirito che è ad un tempo momento realistico e momento d’intensa emozione, spesso collegata ad un piacere estetico. Il flusso di coscienza (vedi anche Faulkner), che altro non è che il pensiero grezzo come fluisce fuori dalla mente nello stadio preorale, lo stravolgimento delle regole formali della composizione, addirittura la creazione d’un nuovo linguaggio in cui confluivano suoni onomatopeici, termini mutuati dai più disparati campi del sapere, erano gli unici strumenti che a suo parere avrebbero potuto consentirgli di trasportare i momenti epifanici sulla carta.
Proust aveva i suoi “momenti d’infinito”, nei quali l’intelligenza dei sensi, profondamente distinta da quella della ragione, congiunge l’attimo presente con uno lontanissimo nel tempo, in virtù dell’affinità tattile e visiva tra questi, e gli restituiva le stesse identiche emozioni provate in quel momento passato, ripristinando una continuità temporale che è poi la vera realtà dello spirito, che non può e non deve conoscere il trascorrere delle stagioni. L’azione è spesso completamente assente dal suo grande capolavoro, le descrizioni straripano in una moltitudine di dettagli che fanno bruciare gli occhi e le analisi psicologiche sono al tal punto approfondite che i personaggi acquistano un grado di plasticità e volume che rasenta l’invadenza: il tempo si dilata dentro le pagine, e la voce narrante è fin da subito troppo intima, ti viene a raccontare di segreti che non sei sicuro di voler sentire. Ma lui non sbatte contro il principio di indeterminazione di H. perchè l’immaginazione e la memoria del suo alter ego, Marcel, trasfigurano continuamente i ricordi e gli eventi, incuranti di qualsiasi coerenza intellettuale che non sia quella dei “momenti d’infinto”, e perseguono sempre e comunque il soggettivismo relativistico, in virtù del quale al termine della lettura del “Alla ricerca del tempo perduto” non sapresti stilare un profilio biografico e psicologico di Marcel (il quale presuppone un’organizzazione coerente delle informazioni ed una sintesi asettica dell’inesprimibile varietà d’un essere umano), ma quest'ultimo ti sembra più reale e vero dell’amico che conosci dal tempo dell’infanzia.
Addirittura un scrittore tedesco, Bernhard, insiste profondamente sull’incomunicabilità dell’esperienza, e crea alcuni personaggi folli, al quale palesemente il lettore di primo acchito non riconosce alcuna credibilità, quali il principe di Sarau, che si producono in lunghissimi e solipsistici monologhi intrisi di tutto il pessimismo teutonico, professando l’inutilità della comunità umana e della comprensione reciproca che l’anima dei cittadini pretende di distillare, quando invece si tratta di una rozza trasudazione, di fronte ai dilemmi dello spirito e della morte. Al termine della lettura il risultato è ancora una volta un personaggio in cui ti riconosci profondamente, anche se tu fossi un’assistente sociale profondamente convinto dell’importanza del tuo compito.
In conclusione volevo dire alla nostra amica che lei vuole rimanere troppo fedele al suo io, dal momento che credo non gli riconosca la capacità di mutare continuamente, che crede troppo al potere battesimale della parola, come se solamente una di questa potesse toglierla dall’ impiccio, che il suo obiettivo è in realtà di fare letteratura, non semplicemente d’esprimersi, e per questa le mancano notevoli mezzi espressivi, nonché tecnici, ma soprattutto che non si è accorta che il motore della migliore letteratura è l’inesprimibile, il conflitto, la contraddizione, il paradosso, la sofferenza: dovrebbe quindi ringraziare le difficoltà della vita e quanti più tasselli del puzzle della sua esistenza non sono ritornati a posto, qualora si decidesse a scrivere o a parlare di se stessa. Cito Proust: "L'immaginazione, la riflessione, possono sì essere di per sé macchine meravigliose ma possono anche restare inerti. E' la sofferenza a metterle in moto. Si può quasi dire che le opere, come nei pozzi artesiani salgono tanto più in alto quanto più profondamente la sofferenza ha scavato nel nostro cuore.”
Deve inoltre capire che l’angoscia, il senso di non essere mai giunti al nocciolo di ciò che si vorrebbe dire, è esattamente ciò che gratifica di più dello scrivere: è quello che ti fa stare alla scrivania tremando, contorcendoti nel tentativo di sciogliere nodi gordiani di cui non ricordavi l’esistenza dentro la tua anima, straripando di gioia appena compi un minimo progresso, cosciente del grandioso tentativo a cui aspiri (sebbene tu non sia un’Artista), se non altro perché il tuo vicino di casa non sa fare altro che le parole crociate.
Io ho letto moltissimo (la grande letteratura), d’altronde non è il mio mestiere purtroppo, e ho trovato la mia realtà nella finzione degli altri. Ti auguro la stessa cosa. Ho come l’impressione di avertelo già detto, ma forse è un deja vous. Non capisco ancora da quale romanzo salti fuori.

Ultima modifica di Isao's_Seppuku : 13-06-2004 alle ore 11.53.21.
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