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Psicologia - Processi mentali ed esperienze interiori.
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Vecchio 14-05-2006, 20.57.07   #41
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OT:
forse ho capito xke abbiamo 2 visioni un pò diverse...quando tu qualke post fa mi dici di leggere anke altri autori ke hanno portato avanti la ricerca in psicoanalisi, suppongpo ke ti riferisca a JUNG (anzi, ne sono sicuro );
...

x tornare nel topic...AUGURI FREUD!!

Nel caso specifico, mi riferivo più che altro ai post-freudiani, infatti ti cho consigliato di leggere Green, non Jung Sono fissata, ma non così tanto!! Non ti consiglio Lacan perchè è difficilissimo da leggere e anche perchè io non lo amo. Però sarebbe fondamentale. Lacan ha sul transfert una visione un po' diversa.

Il tema della discussione era: il merito della psiconalisi è, come dice Galimberti, la possibilità di controllare-governare le pulsioni, o è invece, come dice Hillman, il diritto di cittadinanza dell'irrazionale nella cultura? Insomma, la psicoanalisi ha ancora il potere dirompente che ha avuto in passato? La rivoluzione copernicana di Freud (l'io non è padrone in casa sua) è riuscita o ha fallito?


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Vecchio 15-05-2006, 21.51.42   #42
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Vecchio 16-05-2006, 12.34.34   #43
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Beh, si tratta di riflettere su quale sia il ruolo della psicoanalisi nella cultura di oggi. Che forse è più interessante che discutere la definizione freudiana di transfert
I due atteggiamenti, quello di Galimberti e quello di Hillman, rappresentano bene due diverse posizioni culturali. Anche due diversi atteggiamenti verso la vita.
A me questo sembra molto interessante!

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Vecchio 17-05-2006, 17.53.15   #44
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Beh, si tratta di riflettere su quale sia il ruolo della psicoanalisi nella cultura di oggi.

purtroppo, nel senso comune, la psicoanalisi continua ad essere idealizzata e sopravvalutata

Ultima modifica di fuoriditesta : 17-05-2006 alle ore 17.59.14.
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Vecchio 18-05-2006, 01.19.51   #45
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Messaggio originale inviato da Fragola
Beh, si tratta di riflettere su quale sia il ruolo della psicoanalisi nella cultura di oggi. Che forse è più interessante che discutere la definizione freudiana di transfert
I due atteggiamenti, quello di Galimberti e quello di Hillman, rappresentano bene due diverse posizioni culturali. Anche due diversi atteggiamenti verso la vita.
A me questo sembra molto interessante!


cara Fragola: tu hai, in questo forum, lo stesso spessore divulgativo che riesce ad avere, nell'ambito delle scienze "dure" l'amico Nexus.
Anche tu, al pari di lui, sai rendere in un modo eccezionalmente intuitivo, articolato, corretto e semplice, concetti rarefatti e riflessioni di per se stesse estremamente complesse.
Inoltre, tu pure sai farlo in modo assai equilibrato e longanime, con la pacatezza che invidio (come ciò che, perseguito, ci sfugge sempre).

Quale è il posto di Freud nel panorama scientifico e culturale odierno?
Vorrei dirvi quale sia il mio punto di vista.
A diciotto anni lessi, credo, quasi tutto ciò che era possibile rintracciare all'epoca, in italiano ed in tedesco, di questo autore.
Ne ero letteralmente affascinato.
Innumerevoli furono i percorsi successivi che seguii sul piano filosofico, personale e scientifico.
Inapparentemente, oserei dire, i mesi di studio indefesso che colorirono quella breve stagione della mia vita sbiadirono quasi senza critica.
Oggi ne recupero la memoria e constato quanto il suo lavoro sia infinitamente lontano dai suoi stessi propositi: vi ricordo che Freud era un fisiologo ed il suo intento epistemologico non smise mai di essere "patogenetico".
Intendo dire che, lungo tutto il suo percorso, l'opera di Freud non si dissociò mai dall'intenzione di coniugarsi con "equivalenti neurofisiologici" ed essa è ovunque punteggiata da tracce possibili in tale senso.
Come Pollicino, egli si inoltrò nella foresta della mente disseminando di briciole di pane (del suo pane) il percorso che andava compiendo: nella speranza che i suoi seguaci, in possesso di strumenti gnoseologici più potenti dei suoi, potessero ridisegnare in qualche modo la sua avventura, descrivendola come un ardito "precorrimento".
Non fu, non è così.
L'ultimo, vero, grande epigono di Freud non fu alcuno dei tanti pulviscolari psicoanalisti che, meteore sempre più evanescenti, si sono presentati al cospetto del buio del sapere, ad una cultura sempre più sconfinante con quella antropologicamente (in senso strutturalista) determinata.
L'ultimo fu Edelmann.
Un immunologo: ma forse il più grande scienziato della mente degli anni '70.
E', di fatto, l'ultimo che cita Freud.
Ma gli elementi scientifici di cui Edelmann è antesignano e su cui la contemporaneità lavora, esulano totalmente dai suoi stessi riferimenti freudiani.
Dal punto di vista della Ricerca (targata Mondo2006) in Neuroscienze, Freud è un Holzweg: un sentiero che si perde nel fitto della boscaglia, che si dilegua in essa, con le sue briciole sparse ovunque confusamente, purtroppo.
Credo che il prossimo secolo lo citerà essenzialmente come un fenomeno del costume e ne confinerà l'interesse all'ambito letterario e storico.
Quello successivo, però, io credo che riconoscerà la grandezza e la fragilità dell'intento: quello di costruire una "storia" (in senso hegeliano) della genesi della mente dal magma informe e dalla brutalità della materia di cui gli strumenti della conoscenza erano a quei tempi costituiti.
Saprà, io credo, riconoscere la grandezza dell'intento, a dispetto della debolezza dei mezzi e dell'aleatorietà dei risultati.
In fin dei conti, se il sogno prometeico impronta oggi i tragitti delle neuroscienze, lo si deve anche al confronto esemplare con l'idea freudiana di una sintesi superomistica della genesi della "struttura psichica" che si sviluppa in modo armonicamente affine ai modelli embriogenetici e neurofisiologici noti al suo tempo.

Il "transfert", cara Fragola, è il vero colpo di genio di Freud: ciò che travalica l'ambito meramente epistemico per dispiegarsi in quello clinico: compiendo un "salto" che Freud stesso non seppe mai spiegare.
Un salto, inteso come "discontinuo", nel senso proprio del "natura non facit saltus" di haeckeliana, ma scolastica, anche, memoria.
Del transfert soltanto Freud non tentò mai di dare "briciole" di pane al fisiologo: lo distrasse dal "clima" del suo tempo, facendone il deus ex machina del senso "terapeutico" della psicoanalisi stessa.
In realtà sappiamo che Husserl lavorava già, parallelamente sul concetto di "einfuehlung", riprendendo, nel suo nuovo idealismo fenomenologico, l'antica "mimesi" platonica.
Lo sappiamo e sappiamo pure che Freud era un grande lettore oltre che un grande scrittore (forse è ignoto che la "Wiederholungzwang", la "coazione a ripetere", era farina del sacco di Kierkegaard?).
Ma il modo in cui Freud rese "duttile" e tecnicamente "efficace" tale strumento rimane opera di una maestria clinica degna dei grandi del suo secolo: Charcot, Janet, MayerGross, Bini, Virchow...

I suoi seguaci e "continuatori" saranno probabilmente citati come epigoni e, in una certa misura, già sono in grande parte percepiti così: Freud è oggi celebrato proprio laddove egli meno se lo sarebbe atteso.
Eppure, proprio in questo "oggi" che ha smesso di confrontarsi direttamente con la sua opera, questo "oggi" che cita assai più i suoi studi giovanili sulla cocaina che tutte le sue opere successive di psicoanalisi, questo "oggi" ha smesso di "rimuoverlo" e ne ha sbiadito il ricordo, ma senza poterne dimenticare le intenzioni.
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Vecchio 18-05-2006, 11.28.17   #46
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Vecchio 18-05-2006, 13.07.35   #47
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Messaggio originale inviato da Weyl
Quale è il posto di Freud nel panorama scientifico e culturale odierno?
Vorrei dirvi quale sia il mio punto di vista.
A diciotto anni lessi, credo, quasi tutto ciò che era possibile rintracciare all'epoca, in italiano ed in tedesco, di questo autore.
Ne ero letteralmente affascinato.
Innumerevoli furono i percorsi successivi che seguii sul piano filosofico, personale e scientifico.
Inapparentemente, oserei dire, i mesi di studio indefesso che colorirono quella breve stagione della mia vita sbiadirono quasi senza critica.
Oggi ne recupero la memoria e constato quanto il suo lavoro sia infinitamente lontano dai suoi stessi propositi: vi ricordo che Freud era un fisiologo ed il suo intento epistemologico non smise mai di essere "patogenetico".
Intendo dire che, lungo tutto il suo percorso, l'opera di Freud non si dissociò mai dall'intenzione di coniugarsi con "equivalenti neurofisiologici" ed essa è ovunque punteggiata da tracce possibili in tale senso.
Come Pollicino, egli si inoltrò nella foresta della mente disseminando di briciole di pane (del suo pane) il percorso che andava compiendo: nella speranza che i suoi seguaci, in possesso di strumenti gnoseologici più potenti dei suoi, potessero ridisegnare in qualche modo la sua avventura, descrivendola come un ardito "precorrimento".
Non fu, non è così.
L'ultimo, vero, grande epigono di Freud non fu alcuno dei tanti pulviscolari psicoanalisti che, meteore sempre più evanescenti, si sono presentati al cospetto del buio del sapere, ad una cultura sempre più sconfinante con quella antropologicamente (in senso strutturalista) determinata.
L'ultimo fu Edelmann.
Un immunologo: ma forse il più grande scienziato della mente degli anni '70.
E', di fatto, l'ultimo che cita Freud.


Che i pensatori post freudiani o che si sono discostati da Freud possano essere definiti “pulviscolari” e “meteore evanescenti”, mi sembra veramente un po’ eccessivo.


Avrei bisogno, per favore, che tu mi spiegassi che cosa significa la frase “si sono presentati al cospetto del buio del sapere, ad una cultura sempre più sconfinante con quella antropologicamente (in senso strutturalista) determinata”. Non ho capito. Certamente non si può negare la strettissima relazione tra la psicoanalisi post freudiana francese con lo strutturalismo. Vedi Lacan e de Saussure. Né si possono negare influenze forse reciproche tra il lavoro di Jung e quello di Levi-Strauss. Ma perché “buio del sapere”? Che immagine cerchi di evocare e perché?

E comunque diciamo che a me sarebbe interessato tenere un campo più ampio, parlando di cultura. Considerare una Weltanschauung (visione del mondo), e non fermarmi ad un lavoro “di nicchia” (in quando molto poco conosciuto) come quello di Edelmann. Che, certo, non è l’ultimo che cita Freud!! Vero è che tendenzialmente le neuroscienze e la psicologia positivista lo citano prevalentemente “in negativo”, come si cita una superstizione per dimostrare la validità di una tesi scientifica, con l’ingenuità e la prepotenza di chi ha bisogno di gettare fango sulle vecchie idee per dar valore alle nuove perché le nuove, da sole, non stanno in piedi! Ma comunque lo cita! Come lo cita la filosofia, la letteratura, il cinema. Le neuroscienze e la psicologia positivista non rappresentano la totalità della cultura, grazie a Dio!!

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Ma gli elementi scientifici di cui Edelmann è antesignano e su cui la contemporaneità lavora, esulano totalmente dai suoi stessi riferimenti freudiani.
Dal punto di vista della Ricerca (targata Mondo2006) in Neuroscienze, Freud è un Holzweg: un sentiero che si perde nel fitto della boscaglia, che si dilegua in essa, con le sue briciole sparse ovunque confusamente, purtroppo.
Credo che il prossimo secolo lo citerà essenzialmente come un fenomeno del costume e ne confinerà l'interesse all'ambito letterario e storico.
Quello successivo, però, io credo che riconoscerà la grandezza e la fragilità dell'intento: quello di costruire una "storia" (in senso hegeliano) della genesi della mente dal magma informe e dalla brutalità della materia di cui gli strumenti della conoscenza erano a quei tempi costituiti.
Saprà, io credo, riconoscere la grandezza dell'intento, a dispetto della debolezza dei mezzi e dell'aleatorietà dei risultati.
In fin dei conti, se il sogno prometeico impronta oggi i tragitti delle neuroscienze, lo si deve anche al confronto esemplare con l'idea freudiana di una sintesi superomistica della genesi della "struttura psichica" che si sviluppa in modo armonicamente affine ai modelli embriogenetici e neurofisiologici noti al suo tempo. .

Molto poetico, molto evocativo! Ma poco comprensibile A meno che tu non ti prenda la briga di spiegare il contenuto degli “elementi scientifici di cui Edelmann è antesignano e su cui la contemporaneità lavora” e della “Ricerca (targata Mondo2006) neuroscientifica”. Se lo fai, te ne ringrazio, perché di neuroscienze ho una conoscenza abbastanza “scolastica”.

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Il "transfert", cara Fragola, è il vero colpo di genio di Freud: ciò che travalica l'ambito meramente epistemico per dispiegarsi in quello clinico: compiendo un "salto" che Freud stesso non seppe mai spiegare.
Un salto, inteso come "discontinuo", nel senso proprio del "natura non facit saltus" di haeckeliana, ma scolastica, anche, memoria.

Ma Freud che c’azzecca con “l’ambito meramente epistemico”??? Tutto il lavoro di Freud è empirico e si svolge nell’ambito clinico! Tutto.

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Del transfert soltanto Freud non tentò mai di dare "briciole" di pane al fisiologo: lo distrasse dal "clima" del suo tempo, facendone il deus ex machina del senso "terapeutico" della psicoanalisi stessa.
In realtà sappiamo che Husserl lavorava già, parallelamente sul concetto di "einfuehlung", riprendendo, nel suo nuovo idealismo fenomenologico, l'antica "mimesi" platonica.
Lo sappiamo e sappiamo pure che Freud era un grande lettore oltre che un grande scrittore (forse è ignoto che la "Wiederholungzwang", la "coazione a ripetere", era farina del sacco di Kierkegaard?).
Ma il modo in cui Freud rese "duttile" e tecnicamente "efficace" tale strumento rimane opera di una maestria clinica degna dei grandi del suo secolo: Charcot, Janet, MayerGross, Bini, Virchow...

Scusa, non so proprio cosa significhi "einfuehlung".
Non saprei proprio dirti se Freud avesse letto Kierkegaard. Se ben ricordo, prima che fosse portato alla ribalta dalle correnti esistenzialiste, Kierkegaard era veramente poco conosciuto in Europa. Per di più non è un filosofo di lingua tedesca. Tu ricordi a quando datano le traduzioni di Gottsched? Io no. Ma, anche se fosse? C’è una certa differenza tra la riflessione filosofica e l’indagine clinica Il concetto di coazione a ripetere in Freud, così come tutti gli altri, ha origine dal lavoro clinico e quindi un’origina empirica. Freud non si stanca mai di ripetere, in tutti i suoi scritti, che il momento metapsicologigo non deve mai prendere il sopravvento sulla ricerca sul campo, sulla clinica. Che la psicoanalisi non è speculazione teorica.

(segue ->)
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Vecchio 18-05-2006, 13.08.51   #48
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I suoi seguaci e "continuatori" saranno probabilmente citati come epigoni e, in una certa misura, già sono in grande parte percepiti così: Freud è oggi celebrato proprio laddove egli meno se lo sarebbe atteso.
Eppure, proprio in questo "oggi" che ha smesso di confrontarsi direttamente con la sua opera, questo "oggi" che cita assai più i suoi studi giovanili sulla cocaina che tutte le sue opere successive di psicoanalisi, questo "oggi" ha smesso di "rimuoverlo" e ne ha sbiadito il ricordo, ma senza poterne dimenticare le intenzioni.

I suoi seguaci saranno probabilmente citati come seguaci? (Scusa se traduco, ma non è detto che tutti sappiano cosa vuol dire “epigoni”.) I seguaci certamente! Ma esistono ancora seguaci di Freud nella psicoanalisi moderna? O i suoi “continuatori” hanno influito così tanto sul pensiero e sulla cultura da modificare il punto di vista della psicoanalisi? Per non parlare di chi poi ha “preso le distanze”. Ma, di fatto, dalla psicoanalisi hanno preso avvio tutte le attuali forme di psicoterapia. E non possiamo negare quanto la psicoterapia abbia voce in capitolo, se non nella ricerca scientifica, nella vita quotidiana. Quanto, per citare una cosa per tutte, il concetto di malattia psicosomatica (la cara vecchia isteria!) sia diffuso tra i medici come tra la gente comune.

Ma è proprio la frase con cui concludi che è quella da cui io volevo partire. Poco mi importa della celebrazione dell’uomo. Il lavoro di Freud, benché Freud fosse un positivista, ha scardinato il pensiero positivista del diciannovesimo e del ventesimo secolo. Lui stesso lo ha chiamato “una rivoluzione copernicana” che ha anticipato riflessioni epistemologiche complesse, come quelle sulla interrelazione tra osservatore e fenomeno osservato. Soprattutto là dove osservatore e fenomeno osservato coincidono
Ha spalancato la via d’accesso ad un mondo cui prima non si poteva pensare ci avvicinarsi in modo scientifico. Certo, ci sono ancora, e forse per qualche decennio ancora ci saranno, molte inerzie ad accettare la semplice idea che questo campo di esplorazione esista. La tentazione riduzionista è molto forte perché concede il delirio dell’onnipotenza umana.
Eppure, la cultura moderna, per quanto possa snobbare come ingenuo il pensiero di Freud, ne ha introiettato i concetti fondamentali e, volente o nolente, non può più prescindere da questi.

Il vero contributo di questo tuo intervento all’interrogativo che ci hanno proposto Hillman e Galimberti è stato quello di mostrare e mettere a nudo la forma mentis che sta sotto all’opinione di Galimberti. E di questo ti ringrazio.

Ultima modifica di Fragola : 18-05-2006 alle ore 13.13.53.
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Vecchio 19-05-2006, 18.09.23   #49
fuoriditesta
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quoto in pieno Fragola
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Vecchio 21-05-2006, 17.04.55   #50
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Un po' riduttivo

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I suoi seguaci saranno probabilmente citati come seguaci? (Scusa se traduco, ma non è detto che tutti sappiano cosa vuol dire “epigoni”.) I seguaci certamente! Ma esistono ancora seguaci di Freud nella psicoanalisi moderna? O i suoi “continuatori” hanno influito così tanto sul pensiero e sulla cultura da modificare il punto di vista della psicoanalisi? Per non parlare di chi poi ha “preso le distanze”. Ma, di fatto, dalla psicoanalisi hanno preso avvio tutte le attuali forme di psicoterapia. E non possiamo negare quanto la psicoterapia abbia voce in capitolo, se non nella ricerca scientifica, nella vita quotidiana. Quanto, per citare una cosa per tutte, il concetto di malattia psicosomatica (la cara vecchia isteria!) sia diffuso tra i medici come tra la gente comune.

Ma è proprio la frase con cui concludi che è quella da cui io volevo partire. Poco mi importa della celebrazione dell’uomo. Il lavoro di Freud, benché Freud fosse un positivista, ha scardinato il pensiero positivista del diciannovesimo e del ventesimo secolo. Lui stesso lo ha chiamato “una rivoluzione copernicana” che ha anticipato riflessioni epistemologiche complesse, come quelle sulla interrelazione tra osservatore e fenomeno osservato. Soprattutto là dove osservatore e fenomeno osservato coincidono
Ha spalancato la via d’accesso ad un mondo cui prima non si poteva pensare ci avvicinarsi in modo scientifico. Certo, ci sono ancora, e forse per qualche decennio ancora ci saranno, molte inerzie ad accettare la semplice idea che questo campo di esplorazione esista. La tentazione riduzionista è molto forte perché concede il delirio dell’onnipotenza umana.
Eppure, la cultura moderna, per quanto possa snobbare come ingenuo il pensiero di Freud, ne ha introiettato i concetti fondamentali e, volente o nolente, non può più prescindere da questi.

Il vero contributo di questo tuo intervento all’interrogativo che ci hanno proposto Hillman e Galimberti è stato quello di mostrare e mettere a nudo la forma mentis che sta sotto all’opinione di Galimberti. E di questo ti ringrazio.

Il tuo intervento meriterebbe ben altro spessore di risposta!
Occorrerebbe un intero, complesso saggio.
Ad ogni modo, proverò almeno a chiarire alcuni punti.
Iniziamo da quelli semplici.

Einfuehlung significa, letteralmente, "con-sentimento", ma il termine ha preso ormai l'abituale concezione di "empatia".
Personalmente concordo con tale lemma, sebbene le ragioni che condussero un secolo fa a scegliere la lingua graca allo scopo di uniformare il concetto, siano oggi venute meno.
Comunque, il lavoro di Husserl in fenomenologia era già alquanto discusso negli anni '70 dell'800 in tutto il mondo culturale tedesco, per cui certamente Freud ne respirò, quantomeno, l'atmosfera.
Quanto a Kierkegaard, è pur vero che scrisse in danese, ma ti ricordo alcuni fattori:
- la lingua danese non è tanto lontana dal tedesco, mentre il contesto culturale nel quale la Danimarca è calata era all'epoca quello germanico;
- K. era noto negli ambienti accademici berlinesi già negli anni '40 dell'800, per via di una polemica con Schelling, alla quale fu dato moltissimo risalto;
- già negli ani '50 K. divenne celebre nei paesi anglosassoni, grazie, soprattutto, all'entusiasmo di Ibsen, il quale sollecitò molto gli ambienti culturali a confrontarvisi;
- infine, le traduzioni complete in tedesco delle opere di K. furono disponibili già a partire dal 1861, dunque quando Freud era un bambino.
Poco probabile, quindi, che il nostro non lo conoscesse.

Un accenno agli aspetti più complessi.
Edelmann riteneva che la propria teoria dei "gruppi selettivi" avrebbe potuto riprodurre, in termini neurobiologici, gli elementi fondanti delle teorie freudiane.
Se ne disse certo in molti lavori e, probabilmente, fu anche questo ostacolo concettuale che ne limitò i percorsi di ricerca.
Si tratta di un autore di importanza capitale per l'ambito neuroscientifico: per intenderci, tutti i lavori concernenti le reti neurali, i vari Darwin (primo, secondo, terzo, etc.), robot capaci di apprendimento, provengono dai suoi lavori.
Le citazioni di Edelmann non sono letterarie, ma scientifiche: il suo è stato, in un certo senso, l'ultimo tentativo di ricondurre Freud all'ovile da cui questi era partito, ossia l'ambito della ricerca.
Per il resto, infatti, la sua opera ha abbandonato, credo, definitivamente, questo ambito, il quale è di "nicchia" nello stesso senso in cui di "nicchia" può essere ritenuta la teoria della Relatività Generale.
Il fatto che freud sia ancora molto vivo epresente nell'ambito culturale più generale è un fatto oggettivo, ma poco interessante.
Anche la principessa Diana è tutt'ora molto presente nelle discussioni di costume, ma la cosa lascia abbastanza indifferente il ricercatore.
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