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 Riflessioni sulle Scienze - Commenti sugli articoli della omonima rubrica presente su WWW.RIFLESSIONI.IT - Indice articoli rubrica


Vecchio 20-06-2010, 19.30.45   #51
nexus6
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Riferimento: il gatto quantistico è paradossale, ma anche no

Una delle strane cose successe con il gatto di Schrodinger è che viene considerato un simbolo di quanto la meccanica quantistica abbia imposto un necessario cambio di visione nel guardare la realtà, quando in verità l'articolo di Schrodinger non fece che mettere in evidenza che lo schema di questa teoria non ha abbastanza elementi per descrivere ciò che avviene nel mondo microscopico e come questo sia “legato” a quello macroscopico. Ci si compiace della “stranezza” e questa, onestamente, è una cosa che non sono mai riuscito a capire.
Si è cercato, nei decenni, di -aggiungere- meccanismi che potessero completare lo schema, cioè che potessero rendere conto del fatto che l'evoluzione deterministica data dall'eq. di Schrodinger non può comprendere il momento di “rottura” della misura; anche in questo caso la visione ortodossa si compiace di aver introdotto il magico momento della riduzione, del “collasso”, come fosse un postulato che viaggia parallelo all'evoluzione perfetta della funzione d'onda, non specificando come, quando, in quali casi una interazione tra apparato macroscopico e sistema quantistico si possa considerare una “misura”, né quando un qualcosa si possa considerare strumento di misura.
Certo, a livello pratico, applicando del buon senso, caso per caso ci si può rendere conto di quale sia il confine tra apparato macro e sistema quantistico, ma questo non tocca il fatto che la teoria non incorpora chiaramente ciò che avviene a seguito di una misura: quando avviene il collasso e ad opera di cosa o chi?

Si procede veramente a colpi di filosofia, ribadendo ad ogni passo che, per principio, la nostra conoscenza della realtà microscopica è duale e che sia sbagliato tentare di chiarire le cose in altro modo, perché il ruolo dell'osservatore è fondamentale per determinare il “collasso” e talvolta è la coscienza stessa dell'osservatore ad esserlo, così che per una “vera misura”, cioè per uscire dal suo stato di sovrapposizione, l'universo abbia dovuto attendere l'avvento dell'uomo (magari con un dottorato, ironizzava Bell).
Ripeto, davvero non ho mai compreso come non si possa essere insoddisfatti della visione ortodossa della meccanica quantistica ed anzi come ci si possa compiacere della sua chiarezza. Perché, Albert, dimmi come si possa considerare un pensiero soddisfacente o dotato di un minimo senso, questa tua conclusione (Articolo sul paradosso di Achille e la tartaruga):
Citazione:
Originalmente inviato da Albert
“Non è necessario pensare che, là fuori, ci siano delle entità che “esistono” e si comportano in maniera determinata. Non è necessario pensare che “esista” il movimento; l’importante è che possiamo effettuare delle misure e prevederne il risultato. L’esempio di Achille e la tartaruga rappresenta un caso in cui questa concezione ci aiuta ad uscire da un vicolo cieco.
Davvero un bel modo di uscire da un vicolo cieco, quello di pensare che semplicemente “non esista”! Non ti accorgi che questo idealismo, alimentato dalla visione ortodossa, non elimina in alcun modo i problemi, ma anzi li amplifica enormemente? Poiché, scusa, su cosa effettuiamo delle “misure”? Su quali misteriose “entità che non esistono” compiamo delle previsioni che suppongono “esistenti”?
Mi sono veramente tanto lambiccato il cervello su come persone dotate, credo, di capacità critiche e di analisi non pensino che ci sia qualcosa di errato nel loro modo di pensare.
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Vecchio 20-06-2010, 21.02.25   #52
ulysse
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Riferimento: il gatto quantistico è paradossale, ma anche no

Citazione:
Originalmente inviato da nexus6
Ciao... perché ti devi preoccupare? Le cose che ho scritto, ormai un po' di tempo fa, erano dirette solo a cf73, che mi pareva fosse addentro... per il resto, visto il modo non divulgativo con cui ho scritto, andrebbero saltate a piè pari da chiunque non abbia qualche anno di Fisica alle spalle. Dunque non mi sembra il caso tu ti preoccupi; certo, se mi specificassi meglio il motivo della presunta preoccupazione, magari possiamo porvi rimedio......

AMICO NEXUS6….a me pare veramente di dovermi preoccupare!
Da un punto di vista tutto soggettivo già da alcuni anni sempre più leggo e sento parlare di m.q., ma non di una sola m.q. di cui potrei impadronirmi per alcuni concetti semplificatori e confinarli poi in un cantuccio della mia mente.

Ingenuamente credevo che "la strana cosa" fosse limitato al micromondo del subatomico e vivevo tranquillo…e invece apprendo dall’articolo di Alberto Viotto di cui richiamo un paio di frasi a dir poco conturbanti
cioè …non solo:
[B…..] una particella si può trovare in più di un posto contemporaneamente, un elettrone può passare attraverso barriere invalicabili…. effetti, però, confinati al mondo microscopico: nella realtà di tutti i giorni non percepiamo nulla di simile.[/b]

E si potrebbe dire meno male!
Ma invece subito si apprende che
Nel caso del paradosso di Schroedinger, invece, la m.q. sembra applicarsi ad un gatto “quantistico”, invadendo il campo delle normali esperienze. Per risolvere questo paradosso dobbiamo applicare il paradigma quantistico anche all’esperienza quotidiana.

Infatti:
Il meccanismo ideato da Schroedinger estende questa ambiguità al mondo macroscopico. Per cui, si è costretti ad utilizzare il modello quantistico anche per il gatto: fino a che non si effettua la misura (aprendo la camera d’acciaio), il gatto non è nè vivo nè morto: si trova in una mescolanza di stati. Il gatto va descritto da una funzione d’onda, che sarà una mescolanza dei due stati gatto-vivo e gatto-morto.

Per cui non solo, me medesimo, chiudendomi in bagno potrei essere coinvolto nel trasportatore molecolare di Star-Track e finire disperso per l’universo, ma anche la mia gatta chiusa nel trasportino per il veterinario potrebbe ritrovarsi descritta non come un animaletto peloso e miagolante, ma come una funzione d’onda…e solo all’apertura potrei saperlo.

Ovunque e da chiunque percepisco che i concetti relativi alla “maledetta cosa” sempre più si diffondono e si espandono a coprire l’intero campo dello scibile…dell’esistenza anzi… nella infinita confusione della ubiquità spazio-temporale ove indietro-avanti, destra-sinistra, sopra-sotto…sono insignificanti…non offrono alcun orientamento.

Confidavo un tempo nello stupore di Einstein secondo cui Dio non gioca a dadi! …e invece poi anche lui ha tradito.

Ed ora apprendo che persino il mio pensare, cosciente o incosciente che sia, deterministico o meno, non è affatto assimilabile ad un banale processo digestivo ad interazione chimico-fisica nell’ambito della materia cerebrale…, ma è funzione dalla instabilità o frequenza dei neuroni anche’essa indeterminata e casuale…come del resto instabile e indeterminato è lo stesso processo digestivo che io cerco invano di rendere consequenziale con pillole varie, ma pure esse indeterministiche quindi di effetto stocastico.

Infine, tralasciando inutili facezie, dopo infiniti studi per comprendere come funziona l’universo biofisico ed aver persino creduto che un qualcosa l’avessi appreso…ora mi si dice che comprendere il mondo non ha più significato dato che io stesso sono il mondo…e comunque indeterminato…non descrivibile …una funzione d’onda…stocastica!

E tu dici che non dovrei preoccuparmi?

Ma qui mi va tutto a catafascio: non posso esprimere un’idea, un concetto qualsiasi che mi pareva anche ovvio che subito mi si oppone che la “maledetta cosa” dice altrimenti: o lo fate apposta?
Invero ho giusto letto:
"Penso di poter dire senza sbagliarmi che nessuno comprende la meccanica quantistica!
Richard Feynman."


O non è cosi?


p.s.
in un prossimo post la questione filosofia
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Vecchio 21-06-2010, 16.30.11   #53
nexus6
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Riferimento: il gatto quantistico è paradossale, ma anche no

Citazione:
Originalmente inviato da Ulysse
Ingenuamente credevo che "la strana cosa" fosse limitato al micromondo del subatomico e vivevo tranquillo…e invece apprendo dall’articolo di Alberto Viotto di cui richiamo un paio di frasi a dir poco conturbanti
cioè …non solo:
[B…..] una particella si può trovare in più di un posto contemporaneamente, un elettrone può passare attraverso barriere invalicabili…. effetti, però, confinati al mondo microscopico: nella realtà di tutti i giorni non percepiamo nulla di simile.[/b]
Questa non è meccanica quantistica, sono solo sue interpretazioni molto distorte o proprio errori (una particella si può trovare in più di un posto contemporaneamente...dai...). Questi discorsi, caro Ulysse, sono sottili e complessi e ci vuole un po' di pazienza durante queste peregrinazioni, ma, visto che il tuo nickname rappresenta l'archetipo del viaggio, dovresti averne...

Ti tranquillizzo subito sul punto più scottante: “il paradigma quantistico” nessuno si sogna di applicarlo al mondo “quotidiano”, nemmeno il buon Schrodinger, figuriamoci! L'articolo di Albert vive, in effetti, su qualche fraintendimento, alcuni dei quali ho provato a spiegare nel post precedente, ed anche in quelli prima, pure di altre discussioni. Il senso di ciò che ho detto (sicuro di fraintendimenti) è il seguente: il mondo “quotidiano” è un mondo “classico” e pure la meccanica quantistica ha bisogno di questo fatto per la sua fondazione! (Albert, su questo punto il Landau che hai citato è cristallino).
L'ago o il display di uno strumento -devono- comportarsi in maniera classica ed è proprio la transizione tra il confortante mondo classico e quello degli oggetti “quantistici”, che la teoria non riesce bene a comprendere. Il paradosso sta proprio nel fatto che non ha senso applicare l'immagine “quantistica” al gatto, visto che questo è un oggetto “classico” e non può trovarsi in una magica sovrapposizione di “vita” e “morte”! E tale teoria non riesce a spiegare bene perché, questo è il punto cardine di tutto il discorso! Ci sono proposte di soluzione, ma tutte allo stato di ipotesi dibattute.

Non ti preoccupare, dunque: non sei un po' qua un po' là, un po' sopra ed un po' sotto, un po' vivo ed un po' morto! Queste idee, chiaramente senza senso, derivano da interpretazioni fuorvianti della matematica usata nella meccanica quantistica: aveva ben ragione Feynman, sappiamo usarla benissimo, fornisce previsioni con un incredibile grado di precisione, ma nessuno sa bene come interpretare, come “tradurre” il linguaggio della teoria, che è matematico, in una visione consistente e non assurda: in effetti, la mia tesi, che andrebbe discussa in un thread a parte, è che descrivere le cose in modo assurdo (una particella si può trovare in più di un posto contemporaneamente...) significa non aver spiegato un bel nulla, ma solo creare una gran confusione nella testa di chi vorrebbe capirci qualcosa.

Nella meccanica quantistica, parlando in modo un po' naif, ci sono delle regole per calcolare tante quantità e questi calcoli concordano incredibilmente con gli esperimenti: il punto è, te lo ripeto affinché sia chiaro, che non si riesce a comprendere in modo condiviso cosa quelle regole, quel formalismo matematico voglia dire.
Ed allora perché tutti questi casini? Perché si è cercata, psicologicamente, la via più facile ed ingenua per formarsi almeno un'immagine della teoria da presentare al pubblico; ad esempio, l'elettrone è in una sovrapposizione di stati della “posizione”? Ah, bene, allora sta dappertutto (ed in nessun posto), quando invece si dovrebbe semplicemente ammettere, anche per onestà intellettuale, che la teoria in sé non fornisce una immagine precisa della situazione, così come di tante altre.

Dunque, Ulysse, cerca di discriminare le cose assurde, le affermazioni sensazionalistiche, da quelle più prudenti, poiché in questo campo le seconde tendono ad essere più vicine al vero, dove per “vero” intendo aderenti a ciò che pensano gli addetti ai lavori nella loro quotidianità.

La cosa su cui riflettere è, semmai, come una teoria che non comprendiamo (nel senso suddetto) permetta previsioni così maledettamente precise... e questa è proprio una domanda affascinante.

Ciao, chiedimi pure altro (quando ho tempo rispondo).
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Vecchio 21-06-2010, 19.53.01   #54
Il_Dubbio
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Riferimento: il gatto quantistico è paradossale, ma anche no

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Originalmente inviato da ulysse
Ma qui mi va tutto a catafascio: non posso esprimere un’idea, un concetto qualsiasi che mi pareva anche ovvio che subito mi si oppone che la “maledetta cosa” dice altrimenti: o lo fate apposta?
Invero ho giusto letto:
"Penso di poter dire senza sbagliarmi che nessuno comprende la meccanica quantistica!
Richard Feynman."



Chi non è rimasto scioccato dalla meccanica quantistica, vuol dire che non l’ha capita.

Niels Bohr

non so se disse proprio così, e a chi rivolse questa frase, comunque tutto il tuo post precedente assomiglia ad uno shock da comprensione... , anche se, presumibilmente, Bohr si stava rivolgendo agli stessi fisici dell'epoca (forse addirittura ad Einstein) e non a noi comuni mortali. Però la frase rende sempre bene il concetto
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Vecchio 22-06-2010, 23.52.57   #55
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Riferimento: il gatto quantistico è paradossale, ma anche no

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Originalmente inviato da albert
Non un assunzione arbitraria, ma la confutazione di una idea che, sebbene connaturata in noi, è invece davvero arbitraria, fideistica, metafisica: l’idea che in linea di principio si possa sapere tutto.

Secondo me la nostra conoscenza è descrittiva e intuitiva.

La m.q. invece non è descrivibile se no tramite la matematica. Bisogna capire quanto la matematica invece sia "intuitiva".

Per esempio noi siamo intuitivamente costretti a pensare (tramite la mente dello scienziato) che quando operiamo una misurazione, stiamo effettivamente misurando qualcosa. Bell per esempio non era d'accordo, anzi pensava che questi termini rechino,alla comprensione, piu danni che benefici
Allora va bene, tentiamo di trovare un'altra strada: se eliminassimo il concetto intuitivo di misurazione, lo scienziato che ci starebbe a fare? Cosa fa lo scienziato di così particolare? Lui predispone l'apparato in modo che il sistema dia un risultato. Sembrerebbe che lo scienziato stia misurando qualcosa, ma effettivamente è errato pensare in questo modo. Non c'è -nulla- da "misurare". Non c'è alcuna particella che cammina nello spazio a cui può essere misurato, istante dopo istante, la quantità di moto. Noi "rileviamo" la quantità di moto, non la misuriamo nel senso classico del termine.

Tanto per ri-citare Bell, egli, prima della sua morte (avvenuta nel 90' se non ricordo male) commentando le idee di Ghirardi (la teoria del collasso spontaneo e stocastico) disse (recito a memoria): Schrödinger ne sarebbe stato entusiasta, in quanto offre una soluzione "matematica"... poi aggiunge (non so se ironicamente) secondo questa soluzione è come se il gatto sia vivo e morto "soltanto" per una frazione di tempo.

Chiaramente qualche buon filosofo potrebbe accontentarsi. Se è soltanto una frazione di tempo, dopo tutto risulta essere il male minore. O no?

Intuitivamente però il concetto di vivo/morto non lo elimino. Al massimo potrei dire che non esiste alcuna "frazione di tempo" dentro cui il gatto è vivo morto. Ma se eliminassi tutte le frazioni di tempo, tutte quelle che mi sono scomode, sarei l'uomo più felice della terra .

Proviamo però ad eliminare il tempo dalle nostre intuizioni malsane...cosa rimane? Un gatto vivo/morto in un istante atemporale.
Siccome noi viviamo però in un mondo che non ci permette di guardare istanti atemporali, non possiamo fotografare alcun gatto vivo/morto.
Per dire la verità non so se l'idea di Ghirardi preveda un tempo "misurabile" del presunto collasso. Se ciò fosse affermativo potremmo in linea di principio fotografare questo evento, guardare cioè dal "vivo" il gatto nella doppia veste: morto-vivo.
In pratica noi ci domandiamo (perchè poi è questa in realtà lo sconcerto vero) se le nostre intuizioni siano descrivibili dalla matematica, o se la matematica (alla base della m.q.) riesca da illuminare l'intuizione. Noi non sappiamo proprio cosa significhi, per esempio, essere nello stesso tempo vivo/morto. In pratica, e intuitivamente, ci sembra impossibile. Ora il punto di domanda è: la m.q. esclude queste contro-intuizioni?
No (a quanto pare), anzi, è da quando è nata che non fa altro che lottare contro le nostre intuizioni.
Quindi sembra proprio che dobbiamo rassegnarci a gatti vivi e morti nello stesso tempo... o per lo meno ad una frazione (non si sa quanto piccola e relativa a cosa) di tempo.

p.s.
non ho avuto modo di rileggere ciò che scrivevo e che avete scritto nei post precedenti... spero di non aver detto le solite cose, anche per non apparire troppo "pedante"
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Vecchio 23-06-2010, 12.26.57   #56
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Riferimento: il gatto quantistico è paradossale, ma anche no

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Originalmente inviato da Il_Dubbio
Quindi sembra proprio che dobbiamo rassegnarci a gatti vivi e morti nello stesso tempo... o per lo meno ad una frazione (non si sa quanto piccola e relativa a cosa) di tempo.
A mio parere, tentativi di descrizione del genere non possono avere significato in quanto contrastano con i più basilari principi della nostra logica: cosa vuol dire che una figura geometrica è contemporaneamente un quadrato ed un triangolo? O che un gatto è allo stesso tempo vivo e morto? Evidentemente sono affermazioni senza alcun senso, cioè non possono offrire descrizioni comprensibili di ciò che avviene. La teoria di Ghirardi cerca di risolvere il problema della misura combinando matematicamente l'evoluzione data dall'eq. di S con il momento della riduzione della funzione d'onda; riesce, sì, a fornire una descrizione unificata che non faccia intervenire l'imbarazzante postulato del “collasso”, ma credo che sia comunque attaccabile dal punto di vista filosofico: in effetti, si dice, gli oggetti macroscopici non stanno nel magico stato di sovrapposizione per non più di qualche milionesimo di secondo, mentre i sistemi quantistici possono tranquillamente persistere in questo stato per molto tempo. Ok, bene, ai fini pratici il problema sembra risolto, ma ai fini della descrizione di ciò che avviene la questione non è stata minimamente scalfita! Infatti ancora si dà l'immagine di un puntatore di uno strumento che, per quel milionesimo di secondo, punta sia qui che lì! E questo non è evidentemente soddisfacente, così come non lo è pensare ad un protone che non è né qui né là. La spiegazione ortodossa, nella versione migliore, anch'essa non è soddisfacente, ma almeno si rende conto che le cose non possono stare così neanche per quel milionesimo di secondo e per questo introduce postulati ad hoc per evitare imbarazzanti sovrapposizioni macroscopiche.

Ora, non è che la natura si debba uniformare al nostro pensiero, ovvero essere per forza comprensibile in maniera “soddisfacente”, ma, -credo-, le spiegazioni e descrizioni che a fatica creiamo devono essere coerenti almeno con i principi della logica, altrimenti non vedo come possiamo trarne qualcosa di sensato. Se, per un dato fenomeno, non riusciamo a fornire una spiegazione non assurda, dovremmo più onestamente ammettere che, per il momento, non abbiamo una “buona” descrizione di quello che avviene; poiché, se si consente l'entrata di qualcosa di irrazionale da qualche parte, molto facilmente si potranno invocare principi irrazionali un po' dappertutto (come infatti avviene in alcune interpretazioni della meccanica quantistica). A quel punto, per avere una descrizione della natura, faremmo prima a rivolgerci ad Alice nel paese delle meraviglie.

p.s. questo post completa il mio precedente.
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Vecchio 24-06-2010, 20.46.56   #57
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Riferimento: il gatto quantistico è paradossale, ma anche no

Citazione:
Originalmente inviato da nexus6
Ciao... perché ti devi preoccupare? ..........

AMICO NEXUS6
TI RINGRAZIO DEL POST "TRANQUILLIZZANTE"...che mi incentiva persino il sospetto che tanti paradossi e contraddizioni che appaiono nella descrizione della m.q. siano proprio dovuti ad interventi di tanti pseudo-filosofi che estrapolano a piacimento da quanto di incompreso appare da risoluzioni scientificamente perseguite.
Ritorno invece alla questione della "filosofia" nella scienza...da me sollevata in un post precedente.. ...

Citazione:
Originalmente inviato da nexus6
per venire alla risposta, credo, ed in questo sono supportato da qualche generazione di illustri fisici (Hertz, Poincaré, Einstein, Bohr, etc...) e filosofi (Popper, etc etc.....), che l'analisi filosofica sia fondamentale per la scienza e per chiunque la faccia, poiché si fa sempre filosofia anche se si crede di non farla

Nel mio precedente post ho tralasciato questa parte, che certo è la più interessante: mi ripromettevo di trattarla poi più a fondo…ma il tempo mi è sempre tiranno.
Cerco di sopperire ora, in parte, anche citando gli interrogativi che poni e che magari potrebbero essere oggetto di uno specifico thread dedicato.

Citazione:
In che senso la scienza “spiega”?
In che senso si riferisce alla realtà?
In quale senso esistono gli enti di una teoria?
Cosa è una teoria scientifica? Qual è la sua ontologia?
Si può considerare vera, verosimile, probabile o solo uno strumento di calcolo...?
In quale senso una ne “ingloba” un'altra?
Quali sono i criteri per preferire una teoria ad un'altra? Quali i criteri per demarcare una ipotesi scientifica, da una che non lo è?
Ed inoltre tutti gli interrogativi che riguardano discipline singole: la meccanica quantistica è forzatamente indeterministica?
Cosa vuol dire “misurare” in mq? Il gatto è vivo, morto... o cosa?
Cosa accade alla QFT se non viene rilevato il bosone di Higgs?
Cosa significa il principio di indeterminazione di Heisenberg e la mq nella sua interezza? …
e decine di altri interrogativi... .

Infatti credo che non posso che concordare: si fa sempre filosofia…ci si trasforma da meccanici a “pensatori”…via via che ci si rende conto…o... per rendersi conto: lo facciamo tutti in fondo…magari anche se sprovvisti di specifico supporto culturale e metodologico.
Tanto più che, ad un certo punto, non è solo questione di un teorico sapere, ma, il prospettate e creare aspettative utilitaristiche alla comunità intera...può diventare anche di estrema utilità pratica

La perplessità che esprimo circa l’intervento delle modalità proprie della filosofia nelle problematiche della scienza riguarda (a mio parere) più i filosofi puri, magari estranei per formazione, alla metodologia di ricerca ed espressione scientifica, piuttosto che gli scienziati medesimi (essi stessi “filosofi”) che non sfuggono e non sono sfuggiti in passato, al dibattito circa gli interrogativi cui accenni …relativi al significato, al come procedere, all’oggetto della scienza in relazione alla realtà cui si riferisce, al suo fine ed ai limiti sostenibili sul nostro pianeta.
...per quanto, ricordo che fin da Galileo abbiamo il "Metodo della Scienza"...che pur evoluto ed affinato, da allora, in certa parte, risponde agli interrogativi posti...dando vita alla esplosione della Scienza Galileana...che è poi la Scienza come oggi è generalmente intesa...nonstante l'interferire di varie divergenze filosofiche...oppure la m.q. diverge veramente?
Difficilmente potrebbe essere l’inverso... cioè che il filosofo approfondisca nel merito il dibattito scintifico…a meno di non assumere da parte del filosofo classico stesso un impegno di esperienza e di formazione nella metodologia di ricerca scientifica …la qual cosa sarebbe forse l’ideale…a meno che l'potetico eccellente filosofo non si trasformi poi in pessimo scienziato.

La mi perplessità, infatti, non riguarda tanto la necessità di sempre più profondo ripensamento nell'intrapresa e nell’evolversi scientifico con relative teorie ed esplicazioni, quanto il dubbio che la metodologia specificamente filosofica sia adeguata al trattamento delle problematiche della scienza: in fondo gli stessi filosofi della scinza arrivano a cose fatte.

Il punto è che mi par di notare nei dibattiti filosofici, anche di questo sito, la ricerca sistematica ed imprescindibile di un “assoluto” che mi pare estraneo alla metodologia della ricerca scientifica maggiormente permeata di relativismo o della coscienza del fallibilismo costituente il concetto base di ogni possibile autocorrezione e sviluppo.

In effetti quelli che citi come sostenitori del’intervento filosofico sono proprio gli ”scienziati” di piu alta eccellenza che non possono non essere anche essi stessi “filosofi” pienamente consci della necessità del dibattere le contraddizioni e le problematiche che possono insorge (e insorgono) sia nell’ambito dei loro campi di interesse che in relazione alla piu’ vasta cultura sia storicizzata che del nostro tempo.

Infatti, e in specie se l'eccellenza mentale supera quella della media degli orsi, non puoi esimerti dal fare e farti domande su cosa sia la scienza, su come si inserisca nella cultura del vivente in relazione agli altri saperi, su quali siano i significati dell’opera intrapresa o di specifica teoria ipotizzata…magari solo in nuce…o, al limite nel raffronto con l’universo biofisico…perseguendo e fondendo sia le metodologie proprie della filosofia...sia un più congeniale empirismo pragmatico.
Concludo citandoti ancora e concordando con quanto affermi….che però non ritengo frutto esclusivo di metodologia filosofica.
La mia formazione in prevalenza scientifica infatti non esclude, anzi ingloba ed esalta quanto dici, pur non utilizzando la parola “filosofia”, infatti:

1)- Perché doveva essere filosofico il dibattito fra Bohr ed Einstein in relazione alla m.q.? Io l’ho sempre inserito fra gli inevitabili dibattiti interscientifici…in specie quando si tratta di formulazione di teorie in evoluzione….
2)- Dici che intendi l'analisi filosofica in modo molto più attivo e decisivo di quanto ti sembra io faccia… è certo vero… solo che io parlerei piuttosto semplicemente di analisi o approfondimento scientifico…senza tirare in ballo la "filosofia".
3)- E’ anche certamente vero che l'analisi concettuale sul significato dei termini utilizzati è una parte fondamentale del lavoro dei fisici in questione...ma anche di ogni campo, direi.
4)- Soprattutto per quanto riguarda teorie di punta non ancora corroborate dagli esperimenti, le dispute (“squisitamente” filosofiche???), fatte anche con le armi della retorica, sono all'ordine del giorno per muovere e convincere l'opinione della comunità sulla bontà di una certa ipotesi, di una data interpretazione o per difendere un'idea dagli attacchi per qualche esperimento fallito.
5)- Alla fine, e questo lo dico io, lo stereotipo dello scienziato distratto che solo mette in fila algoritmi o del semplice ricercatore che non fa che maneggiare strumenti, è scomparso: oggi lo scienziato "pensa"…anche se non lo chiamiamo più filosofo!...(anche in passato, quando era filosofo, “pensava” in realtà …credo.)


Citazione:
D'altronde, come diceva Einstein, le idee della scienza sono libere creazioni del pensiero umano... sarà importante, o no, l'analisi di quello che pensiamo per orientare meglio la nostra attività teorica e pratica...? Non so tu, io penso di sì...

Ma certo che è così!
...penso pero’ anche che il complesso sapere che chiamiamo “SCIENZA” abbia altamente in sè le armi concettuali, dialettiche e semiotiche per ripensare, approfondire, orientare e diffondere i propri trovati teorici e pratici… certo mutuando da ogni altro sapere…anche dalla filosofia…ma senza, necessariamente, chiamarli in soccorso o delegando ad essi: l'intuizione, la capacità di osservazione, il ragionamento logico, la metodologia, la valutazione, l'esplicazione matematica, la flessibilità concettuale e interpretativa...sono caratteristici strumenti del pensiero scientifico...certo fallibile , ma anche autocorrettivo.

Mi pare, invero, che la “SCIENZA”, nelle sue varie branche…anche pseudo-scientifiche, assuma oggi una importanza prevalente nella formazione, definizione e indirizzamento delle “VISION” delle società avanzate.

Purtroppo, in Italia, il nostro immaginario collettivo..anche di alto livello… ancora non è in grado di apprezzare…con conseguenti esigui stanziamenti in ricerca e gravi nostre perdite…anche economiche: infatti i cervelli fuggono…fra l’altro!

Ultima modifica di ulysse : 25-06-2010 alle ore 18.19.14.
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Vecchio 26-06-2010, 17.36.23   #58
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Riferimento: il gatto quantistico è paradossale, ma anche no

Chiaro che un filosofo di professione faccia filosofia e non scienza; in effetti ho parlato di scienziati che si sono interrogati in modo prettamente filosofico su problematiche inerenti al loro lavoro, “uscendo” per un po' dai laboratori o alzando lo sguardo dalla marea di calcoli. Ho affermato che ciò sia concretamente importante per -direzionare- la loro attività e dunque la scienza. Ed anche per spiegare al pubblico come vengono spesi i loro soldi e come rapportarsi nei confronti degli “esperti”.
Tra i due giganti, Bohr ed Einstein, si è svolto anche e soprattutto uno scontro tra due differenti modi di guardare alla scienza, dunque tra due differenti meta-fisiche. Cosa sono i gedanken-experiment, esperimenti mentali, se non un finissimo modo filosofico di fare scienza? Cosa spinge certi fisici, pochi per la verità, nel cercare di “riformulare” la meccanica quantistica, se non la consapevolezza che la teoria abbia delle incoerenze interne? Eppure molti colleghi pensano che non ne abbia... dunque, chi ha ragione? Se per me le teorie sono solo un mero strumento di calcolo, allora sono disposto ad accettare anche profonde incoerenze, pur di avere una teoria potente; se invece credo, sempre secondo il mio pensiero filosofico, che una teoria debba fornire anche una rappresentazione della realtà, allora sarò disposto a spendere parte della mia attività per tradurre la matematica in concetti comprensibili da tutti. Questo è un dibattito extra-scientifico, cioè filosofico, poiché non c'è un modo “sperimentale” per discriminare queste due posizioni, si può solo procedere con il metodo filosofico, cioè con il ragionamento argomentativo. Tu a questo punto mi ribatterai che ciò, appunto, non riguarda la scienza e la sua attività, ma solo ciò che nel loro privato pensano i fisici ed io è proprio questo che contesto ed ho spiegato brevemente il perché nei post precedenti.

°°°

Inoltre, credo che alcune proposizioni filosofiche servano alla scienza stessa per la propria fondazione: la “semplicità”, ad esempio, è uno di quei concetti extra-scientifici che ci permettono di abbracciare una certa teoria piuttosto di un'altra e che, come una mannaia, mandano in pensione idee e concetti fino ad un attimo prima ritenuti “scientifici” e “reali”... ma perché la natura dovrebbe essere “semplice” ed economica? Perché tra due teorie che spiegano lo stesso insieme di fenomeni scegliamo quella più "ampia", più semplice, che ci consente di prevedere nuovi fenomeni? Questo è uno degli interrogativi più profondi della scienza e non si può rispondervi se non facendo della filosofia. Anche qui mi dirai che si tratta, appunto, di filosofia e non prettamente di scienza ed anche qui sarei in disaccordo, poiché l'utilizzo dei suddetti elementi discriminanti, extra-scientifici, determinano ciò che viene insegnato come scienza, cioè come teorie correnti!

Anche gli scienziati aspirano alla loro maniera ad “assoluti”, in modo sistematico ed imprescindibile. La ricerca di connessioni tra i fenomeni (perché dovrebbero essere presenti a tutti i livelli?), la sistemazione in principi e leggi il più possibile semplici (perché la ragione dovrebbe avere questa capacità in ogni ambito della natura?) sono tra le cose più importanti che ti fanno capire quanto anche nella scienza sia presente la “ricerca dell'assoluto”, cioè di conoscenze condivise e definitive sulla realtà, anche se con la tremenda consapevolezza di non poter essere certi della loro immutabilità. Siamo tutti uomini, aspiriamo tutti alle medesime cose anche se da prospettive che paiono molto diverse.

In fondo, la differenza con i filosofi sta nel modo di argomentare/giustificare il rispettivo patrimonio di conoscenze: per i filosofi l'edificio costruito deve essere internamente logico e coerente, ed in questo sono simili ai matematici, per gli scienziati, oltre a questa coerenza, è necessaria anche la ricerca della giustificazione “sperimentale”. Va detto che anche molti filosofi si espongono, comunque, alla prova della realtà, pur senza che sia presente tutta la liturgia e la retorica dell'”esperimento”.
nexus6 is offline  
Vecchio 05-07-2010, 06.45.16   #59
albert
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Riferimento: il gatto quantistico è paradossale, ma anche no

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Originalmente inviato da nexus6
perché il ruolo dell'osservatore è fondamentale per determinare il “collasso” e talvolta è la coscienza stessa dell'osservatore ad esserlo, così che per una “vera misura”, cioè per uscire dal suo stato di sovrapposizione, l'universo abbia dovuto attendere l'avvento dell'uomo (magari con un dottorato, ironizzava Bell).

Una parentesi. La mia conoscenza non può estendersi al di là di quello che percepisco. Tramite le mie percezioni (vedendo, ascoltando, leggendo) vengo a sapere anche quello che qualcun altro dice di avere percepito. (Può sembrare banale o non significativo, ma secondo me è un punto fondamentale. So che per Popper, ad esempio, non era così: se vuoi discutiamone.)

Se non posso percepire una cosa, né giudico credibili altri che mi dicono di poterla percepire, non ha senso dire che questa cosa “esiste”. Cercare l’”esistenza” al di là delle percezioni secondo me non ha senso. Se qualcuno ad esempio ipotizza che possano “esistere” degli universi così lontani che non potremo mai sapere assolutamente nulla di loro, secondo me dice una cosa priva di senso.

Una definizione di “esistenza” coerente con queste osservazioni consiste nel dire che una entità “esiste” se ci è utile per organizzare ciò che percepiamo. Questa definizione (“strumentale”) non è arbitraria come potrebbe sembrare, perché il mondo (cioè l’insieme delle nostre percezioni) è coerente. Non posso dire che la mia mano non esiste: la vedo, gli altri mi dicono che la vedono, la posso muovere per toccare delle cose.

Chiaramente tutto cambia se si ammette la possibilità del paranormale, se si pensa che degli oggetti si comportino in modo misterioso, che possiamo parlare con le anime del passato, che una persona vicina alla morte veda sé stessa fuori dal corpo o cose del genere. Io credo fermamente che fenomeni paranormali non esistano, vedi ad esempio tutte le prove del CICAP.

Per questi motivi, chiedersi che cosa “fosse” l’universo quando nessuno poteva osservarlo secondo me non ha senso. Semplicemente adesso facciamo delle osservazioni e creiamo una teoria che spiega quello che vediamo e quello che ipotizziamo che avremmo visto prima, e che fa delle previsioni corrette su nuove misure che possiamo effettuare.

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Originalmente inviato da albert
“Non è necessario pensare che, là fuori, ci siano delle entità che “esistono” e si comportano in maniera determinata. Non è necessario pensare che “esista” il movimento; l’importante è che possiamo effettuare delle misure e prevederne il risultato. L’esempio di Achille e la tartaruga rappresenta un caso in cui questa concezione ci aiuta ad uscire da un vicolo cieco.

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Originalmente inviato da nexus6
Davvero un bel modo di uscire da un vicolo cieco, quello di pensare che semplicemente “non esista”! Non ti accorgi che questo idealismo, alimentato dalla visione ortodossa, non elimina in alcun modo i problemi, ma anzi li amplifica enormemente? Poiché, scusa, su cosa effettuiamo delle “misure”? Su quali misteriose “entità che non esistono” compiamo delle previsioni che suppongono “esistenti”?

L’esempio di Achille, come quello del gatto di Schroedinger ed altri riportati nell’ebook (il sorite, il mentitore) mi sembravano casi in cui la concezione “strumentale” dell’essere è molto più adeguata della normale concezione “metafisica”, non derivata dalle percezioni. Questa concezione ci è profondamente connaturata ma provoca problemi, perché abbiamo la forte inclinazione ad assegnare attributi arbitrari a ciò che pensiamo che “esista”.

Se pensiamo che una particella “esista” in senso metafisico, ci viene naturale pensare che debba avere una posizione ed una velocità esattamente definite; se adottiamo la concezione strumentale non ci è difficile adeguare il nostro concetto di particella a quanto dice la mq. Se pensiamo che la distanza tra Achille e la tartaruga “esista” in senso metafisico, ci viene difficile pensare che ad un certo punto non la si possa più misurare. Se pensiamo che il famoso gatto “esista” in senso metafisico, ci è difficile accettare che non si possa sapere se sia vivo o morto.

Con la concezione strumentale non ci sono problemi in nessuno di questi casi, come in molti altri. Consideriamo ad esempio la famosa domanda: “La luna esiste quando non la guardiamo?”. E’ chiaro che la luna “esiste” anche in senso strumentale, la possiamo vedere, misurare e quindi ha senso crearci questo concetto. E quando non la vediamo c’è lo stesso? Certo che sì, non avrebbe senso crearci un concetto ballerino, da fare e disfare continuamente. Se penso che la prossima volta che la guarderò ci sarà ancora, allora per me esiste anche in questo momento.

Ciao
albert is offline  
Vecchio 05-07-2010, 17.33.00   #60
Il_Dubbio
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Riferimento: il gatto quantistico è paradossale, ma anche no

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Originalmente inviato da nexus6
A mio parere, tentativi di descrizione del genere non possono avere significato in quanto contrastano con i più basilari principi della nostra logica: cosa vuol dire che una figura geometrica è contemporaneamente un quadrato ed un triangolo? O che un gatto è allo stesso tempo vivo e morto? Evidentemente sono affermazioni senza alcun senso, cioè non possono offrire descrizioni comprensibili di ciò che avviene.

Io ho espresso il tuo stesso "sconcerto".

L'uguale sconcerto nel leggere la risposta che Odifreddi da su questo sito alle domande sul "senso della vita" (risposte che poi non ha voluto dare):
https://www.riflessioni.it/senso-dell...-odifreddi.htm

Lui dice: Una cosa precisa la posso però dire, a proposito di questa frase che sta sul vostro sito: "Una risposta non esiste solo quando non è possibile formulare la domanda". L'insegnamento più importante della logica e della scienza moderna, codificato nel teorema di Godel e nel principio di indeterminazione di Heisenberg, è esattamente l'opposto! E cioè, che anche le domande sensate possono non avere risposta. Anzi, che QUASI TUTTE le domande sensate (in un senso ben preciso e quantificabile in termini matematici, e non solo in vaghi termini metaforici) non ce l'hanno...

E' possibile che NON si stesse riferendo ai gatti, però è facile dal suo ragionamento constatare che, in linea generale, non tutte le domande che hanno un senso hanno una risposta.

Allora mettiti (metaforicamente) nei miei panni, o di esseri simili a me.
[tra l'altro questa domanda assurda me la sono gia posta qui: https://www.riflessioni.it/forum/filo...a-domanda.html ]
Ho sempre fatto domande (anche a me stesso) concedendomi risposte con il beneficio del dubbio; e credo se le siano fatte tutti gli uomini prima di me (alcuni "credendo" altri, come me dubitando). Ho sempre ritenuto che una domanda, anche se mal posta o insensata, sia importante per la crescita di ogni uomo in quanto solo ponendosi una domanda è possibile fornirsi di una risposta (proprio come è scritto in quella frase che Odifreddi ha commentato).
Ora però sembra che le cose siano cambiate... in peggio!

Un matematico (come Odifreddi) o un fisico, direbbe che le risposte sono all'interno del paradigma scientifico, che va solo studiato, approfondito, compreso e accettato. Quindi io che ho panni non da matematico e da fisico, devo accettare il "paradigma scientifico-matematico" che mi obbliga a studiare, approfondire, conoscere e accettare ciò che dice Odifreddi, cioè che nemmeno le domande sensate (che noi tutti ci facciamo, e penso anche lui) hanno risposta. In altre parole il matematico-fisico ha studiato e approfondito cosa? Che non c'è risposta?

Ecco che mi sembra naturale il rifiuto (direi ontologico) di approfondire, conoscere, studiare e accettare una materia che non da risposte. Secondo me se una materia( scientifica o metafisica che sia) non da risposte è inconcludente. Non serve a nulla. Non posso sforzarmi di conoscere una materia che non sappia dare risposte nemmeno alle domande "sensate".

Il problema è che il livello a cui si è giunti (ci metto Odifreddi, ma ci posso mettere anche Albert ) di conoscenza, ci impone o di ribellarci alla matematica e alla fisica, quindi cercare strade alternative, oppure di accettare che la verità-vera o realistica è che non c'è alcuna verità.
Io non mi devo preoccupare di farmi troppe domande, e se ho dei dubbi anche su questo, sono assolutamente fondati... tanto la verità non esiste.

Allora io chiedo a te che presumo sia un uomo di scienza o che comunque ha "approfondito-studiato-compreso" il paradigma scientifico-matematico, come ti poni innanzi a chi come te dice di aver "approfondito-studiato-compreso" lo stesso paradigma giungendo però a conclusioni differenti?
Il_Dubbio is offline  

 



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