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Alleanza tattica

di Guido Martinoli - giugno 2010

Anche nel terzo millennio infuria l’irrisolto conflitto tra filosofia e religione. Da un lato i filosofi, col saggio Emanuele Severino, rivendicano il diritto di pensare e discutere col massimo di libertà e coraggio, senza soggiacere a dogmi o verità tramandate o rivelate, prive di un fondamento razionale e che si giocano tutto su una delle fedi “in commercio”, dalla cristiana, all’islamica o all’esoterica. Sempre loro i filosofi difendono le sudate conquiste della ragione, sia buone che cattive o in disaccordo con la morale. Poco importa se la più recente e paradossale è quel crogiolo di relatività (non relativismo), di nichilismo e di pensiero debole, che pare essere la scoperta più ambita della speculazione mentale. L’intellighenzia filosofica non solo incassa il fallimento nella costruzione di uno straccio di senso dell’essere, ma addirittura considera meritorio l’aver frantumato tutte le proposte, sia fisiche che metafisiche, faticosamente partorite dagli antichi pensatori. Da Leopardi a Heidegger è stata una gara a chi demoliva di più, di quel poco che rimaneva del passato, fortunosamente scampato al precedente rullo compressore.
Ma il virus masochistico ha fatto tabula rasa anche nelle chiese, dove il potere del sacro si è ridotto al lumicino. Che Dio fosse moribondo, l’aveva annunciato Marx; che fosse morto, l’aveva confermato Nietzsche e qualche decennio fa Guccini l’ha anche cantato. Ormai è manifesto il rantolo delle religioni, ridotte ad annaspare nella politica e nell’economia per tamponare il disastro. Il principio d’autorità si è dissolto e con esso son caduti l’atavico timor di Dio e le altre paure che “sostenevano” i devoti, quella di perdere il ruolo sociale, il lavoro, la stessa vita e, perché no, il mitico paradiso. Le eresie, le abiure e le scomuniche sono fossili preistorici come pure, e per fortuna, le ecatombi del Colosseo e i roghi dell’inquisizione.
E adesso, che succede? Come reagiscono le due parti in campo? Hanno capito l’ennesima lezione della storia? Cambieranno strategia? Pare proprio di no, ahimè, ahinoi e ahiloro.
Come se nulla fosse, continuano la loro annosa e sterile guerra fredda, convinti più che mai di detenere ciascuno la verità (che essa sia unica almeno sono d’accordo) e considerare l’altro un millantatore, malvagio e irrecuperabile. Come i due capponi di Renzo Tramaglino, che si stuzzicano a vicenda anziché collaborare, anche Severino e Benedetto si azzuffano, infantili e insipienti, ignari, o presunti tali, che il loro vero nemico sia altrove. Seppure avversari, essi (filosofia e religione, ragione e fede) incarnano pur sempre l’ultima speranza per il pensiero e lo spirito critico. Ma sopra di loro aleggia una comune minaccia, un Renzo metaforico, che essi ben conoscono e non possono evitare.
Si tratta di quell’ameba silenziosa, dilagante e tentacolare che sta calmando, soffocando e snaturando milioni e forse miliardi di cervelli, ovunque sulla terra e da decenni. È il nefasto cancro del “non pensiero” e del vuoto esistenziale e di valori. È il disimpegno e la sconfitta delle menti, che impesta e infetta ogni giorno migliaia di bestioline inutili a forma di uomo (o donna), che vagano come zombi dalle Seychelles, a Las Vegas, a Rimini al Grande Fratello. Scimmiette pensanti ma plagiate da quell’illusorio bisogno, artificialmente indotto come vitale ma inutile e devastante, che chiamano “divertimento” (da de-verto, giro lo sguardo altrove dal “problema”) e che rappresenta il monumento più sublime al vuoto, al nulla e al male. Emblematica è la scontata domanda che tutti quelli si fanno al rientro di uno dei tanti inutili viaggi turistici: “Ti sei divertito?”. Non già se ti sei arricchito nel sapere o, peggio, nel capire chi sei o il mondo.
Ma torniamo al male: già, ma quale male? Non certo il male per antonomasia, quello opposto al bene, cui si deve riconoscere un minimo di grinta e di volontà. Per capirci quello di Giuda o di Bruto e Cassio (Dante). L’attuale male dilagante è quello più sottile, invisibile e che non fa rumore. Per Severino è la “droga tecnica” mentre per Benedetto è il Relativismo. È l’ignavia (Dante l’aveva già capito), l’apatia, la superficialità di pensiero e d’azione e quell’agitarsi gratuito e assurdo che da un vuoto porta a un altro. È la volontà conscia o inconscia d’arrendersi all’ignoto, all’impotenza o al destino, d’accontentarsi di vivere dell’effimero, godendosela, magari percependo fumosamente che, dovendo tutti morire, niente abbia senso.
È quella “tremenda banalità del male” di cui parla Hanna Arendt, descrivendo la tragica indifferenza del nazista Eichmann, il “funzionario dei trasporti”, che organizzò l’olocausto e che perciò fu impiccato a Gerusalemme nel ‘62. Forse lo stesso distacco imbelle e rassegnato accomuna quel gerarca a quei miliardi di pseudo persone, regrediti allo stato bestiale e vaganti senza meta. Verrà mai il giorno che Benedetto e Severino stringeranno alfine una storica “santa” alleanza tra ragione e fede (tattica e non strategica ben inteso), per dichiarare guerra, attaccare e debellare quel comune, poderoso e insieme subdolo nemico?

 

Guido Martinoli


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