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Riflessioni sulla Mente

Riflessioni sulla Mente

di Luciano Peccarisi -  indice articoli

 

Perché gli animali non temono Dio

aprile 2010

  • Paura ed angoscia

  • Una mandorla per sentinella

  • Interpretare la paura

  • Un nuovo equilibrio

Il sentimento più antico e profondo radicato nell’uomo è la paura, e il genere più antico e forte di paura è la paura dell’ignoto (1)

 

Su quest’angoscia di dannazione le gerarchie ecclesiastiche cattoliche avevano scoperto la possibilità di imbastire un’autentica industria: il cosiddetto commercio delle indulgenze, divenuto uno dei massimi cespiti della Chiesa di Roma (2)

 

Siamo gli unici animali a provare nuove emozioni, non geneticamente determinate. Molte sono positive, tuttavia la scoperta di essere organismi ‘a termine’ ha creato un’emozione tragica. Che noi moriremo, come muoiono gli altri, l'abbiamo scoperto da un pezzo. Si vede dai dipinti rupestri; e poi le sepolture, l’ossessione egiziana e delle grandi civiltà passate. Per vivere meglio, abbiamo allora negato la morte e inventato l’anima, Dio, l’arte, la musica, l’umorismo, il successo, ecc. Tutti momenti di sospensione dell’angoscia esistenziale. Gli altri animali provano angoscia quando sono chiusi in gabbia, ma in libertà non hanno bisogno di Dio.

 

pauraPaura ed angoscia

Dalla sensazione al riconoscimento del pericolo trascorre tempo, e perderne troppo può essere fatale. Gli stimoli di minaccia, intercettati dagli organi di senso, seguono due vie nel cervello. Una rapida e una più lenta. La via rapida evita di pensare. Gli animali sono sempre all’erta, un rumore, un odore, un tocco, un compagno che fugge e subito si scappa. Nessun indugio è permesso; non c’è tempo di aver paura. Un rumore improvviso alle spalle, ci fa scartare bruscamente di lato. Magari è lo scoppio di un palloncino e, quando ce n’accorgiamo, la tensione si rilassa. Tuttavia se abbiamo evitato un’auto che ci ha sfiorato la paura la sentiamo sul corpo: tachicardia, sudore, vuoto nella pancia, tremori. La gazzella sfuggita per miracolo ad un attacco, dopo un po’ si ferma, valuta e poi, un po’ scossa, riprende la sua vita. Sembra tranquilla, riprende a brucare, rimane all’erta ma non perennemente spaventata. Ha reagito alla minaccia. Per noi, che siamo animali speciali, c’è una minaccia grave a cui non possiamo reagire. Convive con noi, dovunque andiamo. Non siamo nati preparati ad affrontarla, si forma poco a poco. Ci sta dentro a prescindere da quel che possediamo. Liberarsene è impossibile. E’una questione di tempo e di spazio. L’animale ha paura per qualcosa, per un certo tempo, in un dato luogo; noi viviamo una paura senza oggetto, senza tempo e senza spazio. Ci accompagna, che ne siamo consci o no, di giorno e di notte. Cerchiamo di continuo di rimuoverla, ma quella caparbiamente ritorna, e lavora di sotto. E’ una paura cronica, non colta, ma lascia il segno; è una sottile angoscia. E’ diventata lei il pericolo e lo stress costante. Cerchiamo di sostituirla con una paura concreta, affrontabile, e la troviamo nella paura di essere derisi, della povertà, delle malattie, dei malintenzionati, del tempo, delle sventure, dell’alimentazione, del futuro. Di paure ne troviamo tante, quante ne vogliamo, ma in realtà abbiamo paura della paura; siamo in un allarme permanente: la nostra malattia è l’aver paura. A volte si scompensa biologicamente e si manifesta sul corpo come ansia e depressione.

 

Una mandorla per sentinella

La paura biologica è la più antica delle nostre emozioni. Le e-mozioni ci spingono appunto all’azione. L’evoluzione ha predisposto gli organismi in modo che la paura avesse la precedenza su qualsiasi altra cosa. Davanti ad una minaccia si lascia tutto e si scappa o si lotta. “L’amigdala può spingerci all’azione mentre la neocorteccia, leggermente più lenta, ma in possesso d’informazioni più complete, prepara il suo piano di reazione più raffinato” (3). E’ formata da un complesso di neuroni ed è, pressappoco, quanto una mandorla (amigdala è la parola latina per mandorla). E’ stata chiamata così appunto per la sua forma a mandorla dall’anatomista Burdach, nel 1819. Come un accampamento di soldati solitario, si trova fuori della caserma generale dei neuroni: la corteccia cerebrale. Quest'ultima, che ricopre come un mantello l’intero cervello, dirige le relazioni col mondo esterno. I suoi neuroni inviano, tramite lunghi prolungamenti (gli assoni), come fili di corrente, gli ordini e ricevono le informazioni. L’architettura del cervello conferisce all’amigdala una posizione privilegiata, di sentinella ma capace di agire in prima persona, senza aspettare ordini dall’alto. E’essa infatti la stazione della via breve, non precisa ma rapida, che ci fa agire prima della percezione cosciente della paura. Riceve segnali dagli occhi, dall’orecchio e dagli altri organi di senso, prima della corteccia. Non può aspettare ragionamenti, ma deve agire presto, quasi automaticamente.

 

Interpretare la paura

L’uomo sa di essere un animale ‘provvisorio’, perché, localizzato nel suo emisfero sinistro (dove si trovano i centri del linguaggio, nella maggioranza dei casi), possiede un “interprete(4). “La mia tesi” dice Gazzaniga, uno dei massimi studiosi di cervelli divisi, “ è che il cervello umano sia costretto ad interpretare i comportamenti reali e a costruire una teoria che ne spieghi il perché” (5). L’interprete che possiedono gli animali invece non spiega niente. Se portiamo in giro il gatto o il cane in auto, quello guarda fuori come se fosse una cosa normale. Non si pone domande. Il nostro invece ci vuol spiegare tutto. Lavora duramente e tenta di capire il mondo. “Genera in noi l’illusione di avere il controllo d’ogni nostra azione e ragionamento, così da porci al centro di una sfera d’azione talmente grande da non avere confini” (6). Il nostro civilizzato interprete vuole interpretare tutto. Perfino la morte, ma mentre una paura dipendente dall’occasione è interpretabile, quella senza oggetto è un problema. Il nostro povero interprete ci dice chi siamo, fornisce una storia, una continuità, ma ad un certo punto trova il vuoto, non sa più andare avanti. La sua funzione narrativa e razionalizzante è, in genere, capace di dare un senso alle percezioni e inserirle in un racconto coerente. Ma di fronte al mistero si blocca, deve inventare. Nella reazione alla paura geneticamente impressa non c’era quella della morte. Gli esseri viventi hanno imparato ad aver paura dei pericoli, ma non della morte che è un’eventualità contro di cui non si può lottare e nemmeno scappare.  Nel suo sforzo d’interpretazione, l’emisfero sinistro, a dir la verità, può trovarsi in difficoltà anche per problemi minori. A volte improvvisa e produce false ricostruzioni, inventandosi di sana pianta falsi ricordi. L’emisfero destro è molto più veridico e aderente a ciò che lo circonda, vive nel “qui ed ora”, immerso nel concreto; ciò che gli interessa è quello che è presente. In questo senso e stato detto che "la coscienza del cervello sinistro sorpassa di gran lunga quella del cervello destro” (7). Intendendo per coscienza quella cosmica, che caratterizza l’essere umano. I test in pazienti con cervello diviso “mostrano che il cervello destro sembra reagire in modo simile a quello del ratto, rispondendo più strettamente a ciò che è lì presente” (8) e non cercando di individuare storie, schemi interpretativi, strategie, ordini o significati.

 

Un nuovo equilibrio

“Per un essere come l’uomo, che forgia il suo destino a forza di riflessione e riflessività, la conoscenza che ne consegue è insopportabile proprio come ogni cruda lucidità” (9).
L’animale è un essere equilibrato di corpo e di mente. L’umano non è più un animale puro, è uscito infatti col senno dal suo habitat. Gli è rimasto l’equilibrio del corpo, non quello della mente. L’equilibrio del corpo si scoprì storicamente con le funzioni delle ghiandole endocrine, legate ad un sottile gioco di pesi e contrappesi. Se ad esempio la tiroide funziona troppo (ipertiroidismo) o funziona poco (ipotiroidismo) l'organismo si ammala. Anche nel cervello vi sono fenomeni in equilibrio. Quelli della veglia e del sonno. Quelli dell’umore. Se il tono dell’umore varca una certa soglia, si ha euforia fino alla mania, se troppo poco, tristezza fino alla depressione. L’uomo con la mente linguistica ha cambiato l’anima e si è costituito uno spirito che è entrato in un corpo animale, scombussolandolo. Anche gli animali hanno un’anima, costituita da quel complesso emotivo e comportamentale tipico d’ogni esemplare. Non differisce troppo dalla nostra: “Un cane”, dice Lorenz, “ possiede un’anima, grosso modo, uguale alla mia, e probabilmente la supera persino nella capacità d’amore disinteressato” (10). Lo spirito però è un’altra cosa: è un’anima lavorata dal linguaggio e dalla cultura; non lo possiedono gli animali, né i cani e neppure le scimmie antropoidi. E’ lo spirito che ha creato lo squilibrio, perciò l’uomo è l’unico animale ammalato. Non c’è essere umano, premio Nobel o analfabeta, a non saper pensare in modo articolato e interrogativo. Il turbamento è in tutti, in modo latente o manifesto. Qualcuno soccomberà ai margini. Qualcun’altro scoppierà e poi diranno: ma chi l’avrebbe mai detto! La maggioranza tuttavia prova a compensarsi in una forte convinzione, quasi un delirio: religioso, artistico, politico, affaristico, sportivo; si ubriaca d’idee illusorie. Già Prometeo cercò di neutralizzare l’angoscia della morte; dice il coro “ Che tipo di farmaco hai scovato per questa malattia?”, risponde Prometeo: “Ho posto in loro cieche speranze” (11). Prometeo dona agli uomini, dice Galimberti, giovamento contro quella malattia che è “la previsione della morte” (12). Non ci rimane che constatare, come dice Heidegger, di “essere-per-la-morte (13), di avere il coraggio delle non illusioni, quello di accettare la non conoscenza, di accettare di avere paura e disinnescarla, per quanto si può, con i mezzi che abbiamo a disposizione e con entusiasmo. “Esplorare con cautela il pericolo ci richiede di usare tutta la capacità creativa del nostro pensiero” (14).

 

     Luciano Peccarisi

 

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NOTE

1) L’orrore soprannaturale in letteratura di H.P. Lovecraft, 1927

2) De Marchi l. (1984) Scimmietta ti amo, Longanesi, Milano

3) Goleman D. (1995) Emotional Intelligence, tr. it. 1999, Intelligenza Emotiva, R.C.S. Libri

4) Gazzaniga, M.S. (1998) The Split brain revisited, Scientific American, Juli, issue: 50-55

5) Gazzaniga M.S. (1985) The Social Brain, Basic Book, New York, tr. it. 1989, Il Cervello Sociale, Giunti, Firenze, p. 76

6) Gazzaniga M.S. (1998) The Mind’Past, The Regents of the University of California, tr. it. 1999 La mente inventata, Guerini e ass., Milano, p. 151

7) Boncinelli E. (1999) Il cervello, la mente e l’anima, Mondadori, pag. 270

8) Pally R. (2000) The Mind-Brain Relationship, Institute of Psychoanalys, tr. it. 2003, Il rapporto mente-cervello, G.Fioriti Editore, Roma p. 144

9) Muriel Barbery, L’eleganza del riccio, edizioni e/o, 2008, Roma, p. 242

10) Lorenz K. ( 1983) Il declino dell’uomo, tr. it. 1984, Mondadori, Milano, p. 123

11) Eschilo, Prometeo incatenato, Testo greco a fronte, 2004, Bur, Rizzoli, Milano

12) Galimberti U. (1999) Psiche e teche. L’uomo nell’età della tecnica, Feltrinelli, Milano p. 79

13) Heidegger M. (1927) Essere e tempo, tr. It. 1976, Longanesi, Milano, p. 323

14) Ciceri M.R. (2001) La paura, il Mulino, Bologna, p. 126


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