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Riflessioni sui Nativi Americani

Riflessioni sui Nativi Americani

di Alessandro Martire  - indice articoli

 

L'archetipo della Grande Madre letto attraverso le antiche leggende dei nativi americani

Agosto 2011
Di Elisa Morucci
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Elisa MorucciElisa Morucci è nata a Firenze l’8 luglio 1977. Si è laureata in Filosofia Politica all’Università degli Studi di Firenze, dove precedentemente aveva studiato anche Storia dell’Arte. E’ pittrice (la sua prima personale è del 2002), fotografa (nel 2005 la prima esposizione fotografica presentata al Caffè Storico Letterario “Le Giubbe Rosse” di Firenze) ed attrice (ha fequentato il “Duse International”, Scuola Internazionale di Cinema e Teatro, diretto da Francesca de Sapio; ha recitato in film per il cinema quali, Malena di G. Tornatore; Le fate Ignoranti di Ferzan Ozpetec etc..). Tra i suoi principali interessi l’antropologia e le religioni comparate. Ha conosciuto il Dott.Alessandro Martire nel 2008, nello stesso anno è diventata socia dell’Associazione Culturale “Wabli Gleska”, Rappresentante Ufficiale in Italia della Nazione Lakota Sicangu Sioux Rosebud – South Dakota – Usa, nata nel 1995 per volontà del suo fondatore il Dott. Alessandro Martire, con l’intento di diffondere nel nostro Paese la cultura tradizionale del popolo Lakota Sioux, e promuovere rapporti internazionali per i diritti umani di un popolo la cui dignità è stata demolita per oltre mezzo secolo.

 

Grande Madre

 

Nuove odissee saranno necessarie per comprendere che la strada della tradizione è un rinnovarsi nel nome dell’uomo e del suo organicismo cosmico.
La via del cuore condurrà alla riscoperta del mito, come sogno collettivo di forza unificatrice e rinnovamento della conoscenza umana. Pilastri ben definiti segneranno la via. Il labirinto apparirà come intricata selva di mode collettive che ci schiacceranno nella materia, riducendoci a consumatori di massa.
Niente più cultura, niente più civiltà...
I nostri sensi sviliti, ci spoglieranno della visione unitaria dei ritmi cosmici e di natura.
Eppure questa visione sarà sempre rintracciabile nei miti e nelle leggende senza tempo che ogni società possiede ed ha il dovere di proteggere.
Il “ritorno a casa”, dove per molto tempo si insediò un falso padrone, che ci impose il suo modo di vivere, parlare, vestire, significherà il ritorno alla tradizione sapienziale (1).
Il tutto a cui aspiriamo è la semplicità più evidente e disarmante.

 

Il tempo ciclico dell’uroboros, legato al susseguirsi delle stagioni, al moto degli astri, ai rituali di morte e rinascita, sembra perduto; ma la nostra spiritualità, un tempo brutalmente condannata, non è mai stata del tutto estirpata.

Le tradizioni dei nativi americani, i loro preziosi rituali, come le loro storie e leggende, vivono ancora oggi, risvegliando le coscienze assopite.

Le popolazioni americane sono sempre state considerate alla stregua di selvaggi dagli Europei; fortunosamente il tempo ha messo in luce il grande patrimonio culturale e la grande religiosità di genti che condividevano una visione del mondo di cui avevano una radicata consapevolezza di essere parte integrante, ma non fondamentale (non esiste presso i nativi americani l’arroganza di delegare all’uomo il posto preponderante nel creato).

Ed è in questo contesto di profondo rispetto per il dono della vita e per la Madre Terra, che prende forza e si consolida nel tempo la figura archetipica della Grande Madre.

L’archetipo, costituito da una forte polivalenza simbolica, da una serie infinita di immagini, simboli, forme che interagiscono fra di loro, si intrecciano ed amalgamano, dalle sue manifestazioni appartenenti a contesti storici dipendenti dai vari popoli, razze, ma anche e forse soprattutto dal singolo individuo, dalla sua attività psichica conscia come inconscia, ha un suo ambito simbolico e mitico pur non riferendosi ad un’entità concreata esistente nel tempo e nello spazio (2). La componente contenutistica dei simboli che esso racchiude, attirano la coscienza che li fagocita ed elabora, ed è attraverso questa elaborazione che essa formula pensieri e concetti. I contenuti presenti in parte nell’archetipo sono secondo Jung un “trasformatore di energia” che fa sì che nell’inconscio vengano innescati tutti i meccanismi per codificare il simbolo.

L’archetipo della “grande madre”, così complesso da ricercare nel suo aspetto primo ed originale (proprio perché ogni figura nata da esso è parte integrante di una estesa cerchia simbolica, imperniata di forze polivalenti, ora positive, ora negative, caratterizzata spesso dalla dualità), rientra nella più vasta simbologia dell’archetipo del femminile, di cui Jung ci ricorda alcune tra le forme più tipiche (3).

Ogni simbolo correlato alla Grande Madre si associa alle caratteristiche del “materno”, che contengono la duplice natura positiva/negativa. È ancora Jung che ci descrive tale ambivalenza: “La magica autorità del femminile, la saggezza e l’elevatezza spirituale che trascende i limiti dell’intelletto; ciò che è benevolo, protettivo, tollerante; ciò che favorisce la crescita, la fecondità, la nutrizione; i luoghi della trasformazione magica, della rinascita; ciò che è segreto, occulto, tenebroso; l’abisso che crea angoscia, che seduce e divora; l’ineluttabile” (4).

La polivalenza simbolica di cui accennavamo prima, che accompagna l’archetipo della Grande Madre è il motivo per il quale, secondo Newman si rende necessario alla sua comprensione, il metodo della psicologia morfologica comparativa che, attraverso lo studio delle storia delle religioni, dell’etnologia, dell’archeologia e dell’antropologia, giunge ad interpretare i singoli simboli che permeano l’archetipo, prendendo forma nell’inconscio collettivo, sviluppandosi in motivi mitologici rituali.

E’ infatti possibile rintracciare figure primordiali archetipiche in ogni tempo ed in innumerevoli popolazioni del mondo, oltre a quella dei nativi americani. E’ altresì vero che, come dicevamo, essi possono nascere spontaneamente ed inconsciamente anche nel singolo individuo ed in tempi moderni, dandoci la conferma che l’archetipo è “eternamente presente” (5).

Grande Madre uroborosPer analizzare e comprendere meglio la complessa figura della Grande Madre sosteniamo con Newman si possa partire dall’archetipo dell’uroboros. L’antichissimo uroboros, rappresentazione potente dell’archetipo primordiale indifferenziato; il serpente circolare che mordendosi la coda da vita all’eterno ciclo, colui il quale racchiude in sé la dualità dell’elemento femminile e dell’elemento maschile, il positivo e il negativo, e dal quale successivamente furono estrapolate le figure della “Grande Madre” e del “Grande Padre”.

Tale immenso archetipo che si è manifestato alla coscienza è arrivato alla prefigurazione della Grande Madre, costituita come dicevamo, da elementi opposti; due caratteri che si compenetrano, formando un’unità fatta a sua volta di opposizioni, di arcaiche ambivalenze tra bene e male (6).

 

Le caratteristiche proprie dell’archetipo della Grande Madre, come quella della “fertilità” in primis, sono le stesse della Terra e pure della donna. A questo punto potremmo idealmente tracciare una linea che dalla Madre Terra passa per la donna ed arriva alla divinità, all’archetipo della Grande Madre; un sentiero magico che le donne sapevano percorrere...

La donna ha una struttura umana in continuo mutamento, non a caso dalla trasformazione della propria struttura ha origine la meravigliosa magia della vita.

Lo sviluppo psichico e biologico del femminile inoltre comprende un simbolismo sconosciuto al maschile, quello del sangue (7).

Parliamo del tempo lontano, in cui le donne seguivano gli insegnamenti della Grande Madre, il tempo in cui esse erano le depositarie della conoscenza del divino, che veniva loro insegnata sin dai primi anni della loro vita attraverso l’insegnamento orale.

Il tempo in cui le fasi della vita erano vissute con consapevolezza, ed il periodo della fertilità veniva celebrato con rituali sacri. In quel tempo le donne rendevano onore ai propri cicli vitali, che interpretavano come momenti magici, segreti, di scoperta delle segrete sostanze dispensatrici di vita e di morte. Il periodo del menarca rappresentava un momento di tacita contemplazione ed introspezione istintiva, legata alla naturale percezione del proprio corpo. Attraverso il ciclo esse avevano appreso come accedere a stati di coscienza sottili, grazie ai quali profetizzavano, ricevevano visioni in sogno, per sé stesse e la propria tribù. E’ probabile che le bellissime storie, come pure i racconti, i canti, i rituali sacri, nascessero proprio dall’elaborazione di tali simboli... Il sangue era dunque ritenuto principio di Conoscenza, luogo dove risiedeva il mistero della Creazione, primigenia sostanza dalla quale ogni forma di vita aveva origine. L’interna fioritura e sfioritura del ciclo femminile, che rendeva le donne simbolo di fertilità e sterilità, rispecchiava il succedersi delle stagioni, dei meravigliosi tempi della Natura. Guardiana del sacro ritmo terrestre che genera il mutamento perpetuo, la donna, apprendeva dalla Madre Natura il ciclo del tempo e della misura, osservando la Sacra Natura, ella imparava a conoscere sé stessa, guidava la sua vita e quella del suo popolo seguendo l’antico sentiero interiore tracciato dalla Madre Terra. Conosceva i ritmi della terra, le abitudini degli animali, le proprietà delle erbe; viveva in simbiosi con la terra, accettando e onorando il cammino iniziatico femminile. Le età della donna erano vissuti come periodi sacri durante i quali il divino era connesso ad esse con tutto il suo potere creativo.

Le donne sapevano che tutto ciò di cui necessitavano, risiedeva già in loro stesse... Nella cultura dei nativi il rapporto che la donna aveva con la Grande Madre è sempre stato celebrato. Alcuni riti sono giunti a noi, come quello delle fanciulle che celebrano il loro sangue per la prima volta (8).

Donna è colei che sa amare, godere, soffrire, partorire, proteggere, difendere, condividere, donare, ridere. La donna che ha imparato ad essere donna non separa, non allontana, al contrario, unisce, ha fede, ha perseveranza, e sa aspettare.

La donna che ha imparato ad essere donna sa come amare l’uomo che ha imparato ad essere uomo.

Allo stesso modo, la donna consapevole, ama il maschile che le è complementare.

 

Grande MadreTornando alle civiltà antiche, la donna costituiva l’elemento chiave per la sopravvivenza e l’organizzazione sociale della comunità. La preistoria è ricca di elementi che provano la profonda religiosità verso la Grande Dea Madre (9).

Come scrive Rodriguez :“le statuette femminili del paleolitico potranno essere arte per noi, ma la loro importanza cruciale, risiede nella loro qualità di testimoni muti, oltre che simboli centrali, del primo sistema di credenze religiose strutturate, che plasmò la psicologia umana. I concetti, i segni, e simboli che l’umanità paleolitica collegò alla fertilità, alla generazione ed al femminile, avrebbero posto la base che permise di ideare le prime formulazioni circa l’esistenza di una divinità datrice di vita. Nel corso di più di venti millenni non vi fu altro dio che la Dea Paleolitica. La potenza e la forza procreatrice dell’universo, la sua figura cosmogonica centrale” continua Rodriguez, ”era incarnata da una figura di donna e il suo potere di generare e proteggere, simboleggiato da attributi femminili” (10).

La Grande Dea era partenogenica, cioè capace di generare la vita a partire da sé stessa, e con questo acquisì nel tempo un enorme potere all’interno della funzione divina (11).

Risulta dunque inequivocabile, che la primissima rappresentazione divina affacciatasi all’umanità, ebbe le sembianze di una figura femminile. La Grande Madre rappresentò per moltissimo tempo il principio generatore dell’universo, in grado di controllare la vita e la morte e rendendo possibile la rigenerazione attraverso attributi tipici del femminile, quali la capacità di generare, nutrire, proteggere, non soltanto la vita umana ma anche la vita sul pianeta e nell’intero cosmo.

 

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NOTE
1) Pensieri sparsi tratti da: Alessio Di Benedetto, I numeri della musica e la formula del Cosmo. Dagli Egizi ai giorni nostri, ECIG Edizioni, Genova 2003.

2) “..Si potrebbe definire l’immagine originaria come intuizione che l’istinto ha di se stesso o come auto raffigurazione “. G. Jung, L’Archetipo della Madre, Bollati Boringhieri, Torino, 1990, p. 29.

3) ”..Possiede una quantità pressoché illimitata di aspetti. Alcune delle forme più tipiche : madre e nonna personali, matrigna e suocera, qualsiasi donna con cui esiste un rapporto, la nutrice o la bambina, l’antenata e la Donna Bianca. In un senso più elevato, figurato: la dea, in particolare la madre di Dio, la vergine (come madre ringiovanita per esempio Demetra o Core), Sophia (come madre/amante, anche del tipo Cibele/Attis, o come figlia/madre ringiovanita/amante). La meta dell’anelito di redenzione ( paradiso, regno di Dio, Gerusalemme Celeste). E in senso più lato la Chiesa, la patria, il cielo, la terra, il bosco, il mare, l’acqua, la materia, il mondo sotterraneo, e la luna. In senso più stretto: i luoghi di nascita o di procreazione: il campo, il giardino, la grotta, la roccia. L’albero, il pozzo profondo, il fonte battesimale, il fiore (rosa o loto) come ricettacolo; il cerchio magico. Ed in senso ancora più stretto: l’utero, il forno, ogni forma cava, ed ogni animale soccorrevole..”. Ivi, p. 32.

4) Ivi, p. 33.

5) Oggi sappiamo che sin dai tempi più remoti ( 30.000 a.C. ) l’idea dell’entità superiore, era basata su caratteristiche propriamente femminili, prima fra tutte quella della fertilità. La “Dea Unica” ha accompagnato la storia dell’essere umano per millenni, fino a quando, (dal III millennio a.C.) ha cominciato ad imporsi nell’immaginario collettivo, la figura del Dio maschio, (che per altro ha assorbito in sé qualità prettamente femminili come appunto la possibilità di dare la vita); cosicché la dea è divenuta madre, sposa, sorella ..del Dio! E’ questo il motivo per il quale non soltanto la Dea, ma la donna, hanno perso “potere”. Il concetto di Dio rispecchia in pieno la società dell’uomo, che a sua volta tende a rappresentalo a sua immagine e somiglianza ed a modellarlo a seconda delle sue necessità e timori. Con la trasformazione della società da matriarcale in patriarcale, (molto probabilmente coincisa con i processi di trasformazione politica, economica e chiaramente sociale, l’uomo ha acquisito maggior importanza a causa del controllo dei mezzi di produzione, del mestiere delle armi, del diritto di proprietà..) la dea dell’antichità e con essa la donna, sono divenute delle creature inferiori, sottomesse.

6) L’archetipo femminile è intriso di dualità; Newman ne rintraccia due caratteristiche importanti chiamate: carattere “elementare” e carattere “trasformatore”. Il carattere femminile è tutto ciò che è contenuto nel grande cerchio della “Grande Madre Uroborica”, è un’essenza contrassegnata dal “contenere”. Anch’esso vive di parti opposte ma è caratterizzato dal materno, ovverosia da un aspetto stabile e conservatore. Il carattere trasformatore invece, è il contrasto con il principio di conservazione della vita ed ha un dinamismo interno in cui riproduce il cerchio uroborico, ma allo stesso tempo produce altre forze, che generano ma anche divorano tutto ciò che le circonda. Questo carattere come ci spiega Newman nel suo scritto “La Grande Madre” “porta movimento ed inquietudine”.

7) Attraverso il sangue la fanciulla si trasforma in donna e successivamente in madre. La nascita del feto a sua volta porta trasforma la donna in madre, e così, le radici dell’archetipo femminile subiscono una nuova trasformazione in cui prende parte il carattere elementare con quelle funzioni di protezione e nutrimento del figlio di cui poco sopra parlavamo. Qui di nuovo il simbolismo del sangue diventa latte, dando vita ad un altro dei misteri primordiali, quello della trasformazione del cibo. La donna che riesce a comprendere ed a interiorizzare il carattere trasformatore, è dominata dal carattere elementare, e si presenta dunque come Grande Madre. Quando poi si abbandonerà al carattere trasformatore, perderà le proprietà matriarcali, proiettandosi così verso il mondo, in direzione di quel campo socio-economico che è proprio dell’uomo, del Padre archetipico che produce, mediante il lavoro, la sicurezza e la sussistenza per i figli. Analizzando tutto questo possiamo meglio comprendere le radici dell’archetipo della Grande Madre, che in sintesi nasce dall’uroboros, si sviluppa sul carattere elementare e su quello trasformatore; i due caratteri sono opposti e complementari, ed hanno entrambi un natura duplice, positive e negativa, nutrice e divoratrice.

8) La donna che sta vivendo i giorni di ciclo possiede un grande potere poiché è connessa direttamente all’energia primordiale della Grande Madre. La Donna Bianca o Donna Conchiglia bianca dei Navajo, è la personificazione divina della Terra; rappresenta l’eterno mutamento, la Ruota del Tempo, il mutare delle stagioni che cambiano con le sue vesti e l’assenza di Tempo che esiste oltre i limiti umani. Ella non invecchia mai perché ogni qual volta raggiunge una certa età si muove verso Est dove ritrova sé stessa fanciulla e riabbracciandola ne assume le nuove fresche sembianze. Nei rituali le giovani donne si identificano completamente con la Dea Madre, accogliendo il suo potere dentro di sé. In un similare rito Apache, la fanciulla incarna la divinità, attraverso la danza; per quattro giorni la ragazza danza sola e mentre danza sulla pelle di cervo con un bastone ornato di amuleti viaggia verso una nuova consapevolezza. Danzano si uniscono e diventano Una.

9) In scavi archeologici operati in insediamenti del paleolitico superiore, sono stati ritrovati una serie di elementi che richiamano il concetto di divinità femminile, costituiti per lo più da statuette. Successivamente (tra il 30.000 e il 26.000 a.C.) furono scolpite nella roccia all’interno delle caverne figurazioni di vulve femminili. P. Rodriguez ci parla del ritrovamento nei siti francesi di Langerie Basse e Trou Magrite, delle prime due “Veneri Paleolitiche” e ricorda che d’allora i ritrovamenti di figure femminili appartenenti all’epoca paleolitica sono stati 500 e più di 30.000 del neolitico.

10) P. Rodriguez, Dio è nato donna, I ruoli sessuali alle origini della rappresentazione divina, Editori Riuniti, Roma, 2000, p. 23.

11) L’uomo rimane fuori dalla grandezza del simbolismo dell’archetipo del femminile probabilmente per il concetto di verginità legato alla Grande Madre, come ci ricorda Newman: “Tale concezione basilare matriarcale, non pone in relazione la nascita del bambino con il rapporto sessuale. Ciò appare comprensibile, in particolare in una società primitiva, in cui la vita sessuale è promiscua ed inizia prima della maturità sessuale. La continuità di tale vita personale sessuale viene interrotta in modo imprevisto dall’inizio e dalla fine delle mestruazioni, così come dalla gravidanza. Entrambi i fenomeni si svolgono nell’intimo della sfera matriarcale femminile.. Per tale ragione la donna è sempre messa incinta da una potenza extraumana, non personale”.


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