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Riflessioni sulla Psicosintesi

Riflessioni sulla Psicosintesi

di Fabio Guidi     indice articoli

 

Eros, o l'archetipo unitivo - 1

Marzo 2012

 

Eros, o l'archetipo unitivoIniziamo il nostro viaggio nel mondo degli archetipi, di cui la coppia Eros-Thanatos costituisce, a mio parere, il bipolarismo archetipico fondamentale, il conflitto psicosintetico per eccellenza. In questo e nei prossimi contributi cercherò di rendere ragione di questa mia affermazione. Iniziamo con Eros.
Nella mitologia greca, Eros, il più giovane degli dei, era rappresentato come un fanciullo, spesso alato e armato di arco e frecce, con le quali accendeva negli dei e negli umani la passione amorosa, senza risparmiare alcuno. Era figlio di Ares e Afrodite - entrambi legati all’aspetto passionale, l’una riguardo all’amore e l’altro alla guerra - e fin da piccolo rivelò la sua natura capricciosa e crudele, al punto che Zeus consigliò ad Afrodite di sopprimerlo (la dea, però, lo salvò nascondendolo in un fitto bosco).

La più antica teogonìa lo vede generato da Caos, che, nel senso etimologico, indica l’abisso tenebroso che sta all’inizio di tutte le cose e contiene in sé gli elementi in una confusa miscela. Eros, in questo caso, appare come un dio cosmogonico, ben anteriore agli dei uranici, come la forza primordiale che unisce, il principio della forza attrattiva che spinge gli elementi a combinarsi. In altre parole, assume un significato ben più ampio del precedente e non a caso, nei misteri eleusini, viene adorato come «il Primogenito».

Platone, nel Convito, ci offre la sua visione di Eros, attraverso i racconti di alcuni ospiti di un banchetto. Aristofane, per esporre la sua posizione, narra il gustosissimo mythos degli esseri androgini:

 

«Inizialmente l'umanità comprendeva […] l'androgino, un sesso a sé, la cui forma e nome partecipavano del maschio e della femmina: ora non è rimasto che il nome che suona vergogna. La forma degli umani era un tutto pieno: la schiena e i fianchi a cerchio, quattro bracci e quattro gambe, due volti del tutto uguali sul collo cilindrico, e una sola testa sui due volti, rivolti in senso opposto; e così quattro orecchie, due sessi, e tutto il resto analogamente, come è facile immaginare da quanto s'è detto. Camminavano anche ritti come ora, nell'una e nell'altra direzione; ma quando si mettevano a correre rapidamente, come i saltimbanchi fanno capriole levando in alto le gambe, così quelli veloci ruzzolavano poggiando su quei loro otto arti. […] Possedevano forza e vigore terribili, e straordinaria superbia; e osavano sfidare gli dèi.

Pertanto Giove e gli altri dèi andavano arrovellandosi che dovessero fare ed erano in grave dubbio perché non se la sentivano di ucciderli e farli sparire fulminandoli, né potevano lasciarli insolentire. Ma finalmente Giove, pensa e ripensa: “Se non erro, dice, ce l'ho l'espediente perché gli uomini, pur continuando a esistere ma divenuti più deboli, smettano questa arroganza. Ora li taglierò in due e così saranno più deboli e cammineranno ritti su due gambe”. Ciò detto prese a spaccare gli uomini in due, come quelli che tagliano le sorbe per conservarle. Quando dunque la natura umana fu tagliata in due, ogni parte, vogliosa della propria metà le si attaccava e, gettandosi le braccia attorno, si avviticchiava con l'altra, nella brama di fondersi insieme. […] Ecco dunque da quanto tempo l'amore reciproco è connaturato negli uomini: esso ci restaura l'antico nostro essere perché tenta di fare di due una creatura sola e di risanare così la natura umana.

Ognuno di noi è dunque la metà [symbolon] di un umano resecato a metà com'è al modo delle sogliole: due pezzi da uno solo; e però sempre è in cerca della propria metà, […] di congiungersi cioè e di fondersi con l'amato per formare, di due, un essere solo. E la spiegazione di questo sta qui, che tale era l'antica nostra natura, e noi eravamo tutti interi: a questa brama di interezza, al proseguirla, diamo il nome di Amore [Eros]. Prima di allora, lo ripeto, eravamo uno; ma ora per la nostra arroganza il dio ci ha divisi e dispersi. Ecco perché bisogna esortare ogni uomo ad essere rispettoso deglidèi, per evitare questa rappresaglia e per raggiungere quel bene di cui ci è guida e maestro Eros. […] Ecco, noi potremmo essere felici solo se conducessimo a perfezione il nostro Eros e se ciascuno di noi si imbattesse con l'essere gemello, restaurando così l'antica natura. […] Ed allora se volessimo celebrare le lodi di un dio autore di questa felicità, ad Amore [Eros] giustamente le canteremmo, perché egli ci guida verso la nostra antica natura, il nostro vero essere.»

 

Il messaggio contenuto in questo passo del dialogo platonico, anche se espresso simbolicamente, è sufficientemente chiaro. L’uomo non è intero: è “il synbolon di un umano resecato a metà”. Il termine greco ‘synbolon’ deriva dal verbo ‘synballo’, che vuol dire «mettere insieme». Può essere utile ricordare che il synbolon, nell’antica Grecia, corrispondeva ad un’attuale tessera di riconoscimento. Si spezzava un oggetto in due parti (poteva essere un anello, una moneta, un sigillo…) e ciascuna metà costituiva un synbolon, che, unito all’altro, diventava un segno di riconoscimento tra due contraenti di un patto, un accordo, un matrimonio... Quindi, ogni synbolon anela alla totalità, alla completezza, e ha bisogno dell’altra parte, deve essere “messo insieme” all’altra metà per ricreare l’unità originaria.

Anche in psicosintesi il simbolo è un ‘segno di riconoscimento’: attraverso il simbolo l’individuo si riconosce, si ‘mette insieme’, si integra, ricucendo i pezzi disuniti della propria personalità. Nel lavoro psicosintetico bisogna prestare particolare attenzione a quelle rappresentazioni psichiche archetipiche che emergono dall’inconscio e mostrano di possedere una funzione sintetica o anagogica, ‘simbolica’ appunto. Tali archetipi hanno la funzione di ricomporre l’unità dell’individuo, restituendogli l’identità smarrita.

Ecco, in tale prospettiva Eros rappresenta l’archetipo unitivo, questo impulso potente verso la completezza, l’integrazione, l’unità interiore e, insieme, la felicità perduta. Dice Rollo May, uno dei massimi esponenti della psicologia esistenziale:

 

“L’eros è quella potenza in noi che fa desiderare la totalità, quell’impulso… a integrare ciò che altrimenti tenderebbe a disintegrarsi. […] L’eros è la forza unificante per eccellenza.”.

 

L’espressione più comune dell’archetipo unitivo resta la tensione di due amanti che desiderano superare la separazione e l’isolamento in cui tutti noi versiamo in quanto individui. Tuttavia, tale archetipo è presente in ogni tendenza ad uscire da sé, ad espandersi, come eterna spinta all’accrescimento, anche all’interno della ricerca interiore, in quanto desiderio verso l’unità della psiche e la pienezza esistenziale. Eros è dunque quella nostalgia dolorosa per la pienezza del nostro essere e quel desiderio struggente di ricreare tale pienezza.

Approfondiremo nel prossimo contributo.


     Fabio Guidi

 

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