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Riflessioni sul Senso della Vita

Riflessioni sul Senso della Vita

di Ivo Nardi

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Riflessioni sul Senso della Vita
Intervista a Guido Brunetti

Marzo 2013

 

Guido Brunetti è uno psicologo e scrittore. Ha tenuto lezioni nelle Università di Roma, Lecce e Salerno. Autorevoli studiosi - citiamo per tutti Raffaello Vizioli, neuro scienziato di fama mondiale - hanno definito Brunetti un “umanista - scienziato” e uno “scrittore completo”. Un altro scienziato, Edoardo Boncinelli, ha affermato che “Brunetti è uno dei pochi autori capaci di scrivere un libro sul cervello e la mente”. Ha esercitato attività sanitaria nella cura delle malattie mentali nei Centri medico-psico-pedagogici, Istituti per disadattati e insufficienti mentali, Centri di riabilitazione, ecc. Ha anche svolto attività presso il Ministero della Giustizia, il Tribunale di Roma e la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Dal 2012 cura su Riflessioni.it la rubrica "Le Finestre dell'Anima".

 

1) Normalmente le grandi domande sull’esistenza nascono in presenza del dolore, della malattia, della morte e difficilmente in presenza della felicità che tutti rincorriamo, che cos’è per lei la felicità?

E’ da sempre l’aspirazione dell’essere umano. In ogni uomo esiste una spinta interiore alla felicità. Un sentimento che al pari della tristezza raffigura un tratto della storia emotiva ed affettiva dell’individuo. E’ vero altresì che nessuno, come afferma G.B. Shaw, potrebbe sopportare un’intera vita di felicità. Sarebbe l’inferno. La carta costituzionale americana stabilisce che tutti gli uomini “godono del diritto alla ricerca della felicità”. Invero, l’uomo è attraversato - come conferma Beckett - di continuo da felicità e infelicità, da gioia e dolore. Un’alternanza che nella grande letteratura ha l’accento di una sinfonia labile e avvolgente nel tempo, nello spazio e nella vita.

In generale, il concetto di felicità si riferisce a uno stato di serenità interiore rispetto alla propria condizione esistenziale. Più che ai piaceri, riteniamo che la felicità sia connessa con la capacità del cervello (anima) di compiere quelle azioni e realizzare quelle aspirazioni che rendono la nostra persona eticamente compiuta. “Una felicità senza fine”, per l’Antico Testamento, è  poi quella che attende l’anima dopo la morte.

Il concetto di felicità nasce in Grecia. Talete legava questo stato mentale a un corpo sano, a un’anima bene educata e a una buona fortuna, Democrito lo definiva come il tenersi lontani da ogni difetto e da ogni eccesso, mentre Platone e Aristotele lo ritenevano legato alla virtù, alla bontà e alla bellezza. Con l’Umanesimo e il mondo moderno, la nozione di felicità è strettamente unita al piacere. In sostanza, essa è una condizione di calma e di serenità, l’opposto della inquietudine, dell’infelicità e del malessere, sentimenti fortemente esaltati dal Romanticismo. Non vi è felicità “più dolce della serenità e della gioia dell’animo” recita la Bibbia.

 

2) Professor Brunetti cos’è per lei l’amore?

E’ la materia prediletta dei poeti, che hanno descritto le mille sfumature di questo sentimento. “E’ una “follia passeggera”, che guarisce con il matrimonio, dice Bierge, mentre Catullo scrive: “E’ difficile guarire di colpo d’un amore durato a lungo”. L’amore è poi anche egoismo. Cercare nella donna infatti quel che non c’è in noi - rileva Čechov - non è amore, ma venerazione, perché bisogna amare chi ci è eguali.

L’amore è fragile e variabile, cresce o diminuisce, mai rimane costante. Per il Cristianesimo è peccato, ma è anche il vincolo della comunità religiosa, per Emily Dickinson; è tutta una “fatica” si lamenta García Lorca, invece per Longanesi è l’attesa di una gioia che quando arriva “annoia”. Nel Romanticismo,  questo stato d’ animo rappresenta il simbolo dell’Infinito, cioè dell’Assoluto o di Dio. Per Freud, è la sublimazione di una pulsione istintiva originaria che è la libido. Secondo alcune concezioni fondamentali, l’amore non annulla la realtà individuale, ma tende a soffocarla. L’altra ipotesi vede nell’amore una unità assoluta, cioè la coscienza. In questo senso, cessa di essere un fenomeno umano per porsi come fenomeno cosmico. Sublime il fascino che l’amore suscita nel canto della Saffo: “Scuote l’anima mia Eros”. “Un fuoco sottile, che sale rapido alla pelle. E ho buio negli occhi e il rombo del sangue alle orecchie”.

In realtà, sono molteplici, disparati e contrastanti i significati che il termine amore presenta sia nel linguaggio comune che nel pensiero filosofico. Essi possono indicano: 1. il rapporto intersessuale, 2. un’ampia serie di rapporti interpersonali; 3. cose inanimate o ideali; 4. amore per la propria professione;  5. amore del prossimo o amore di Dio; 6. amor di patria.

Per i filosofi greci, l’amore è la forza che muove le cose, il desiderio del bene, vincere la morte.

 

3) Come spiega l’esistenza della sofferenza in ogni sua forma?

E’ una delle tonalità principali della vita emotiva ed affettiva. Un sentimento negativo, che viene assunto come sintomo del carattere sfavorevole delle situazioni in cui l’essere umano si trova. La sofferenza - come dimostrano i fantastici metodi di brain imaging – altera le funzioni del cervello e di altri organi. In psichiatria, c’è il disturbo bipolare. L’individuo gode della felicità di essere triste e si lamenta dell’infelicità di essere felice. E’ un soggetto che esprime una tipologia umana universale, che esprime lo stato di “lacerazione” tra gioia e tristezza. La realtà è che l’essere umano, come conferma il neuro scienziato Jean-Didier Vincent, è un melanconico per natura: Homo melancholicus. La tristezza emerge poi soprattutto nel malessere esistenziale e nel disagio individuale.

La prima descrizione di questo sentimento compare nell’opera di Ippocrate: “Uno stordimento l’accompagna di continuo, inappetenza, insonnia, disperazione, rabbia, disagio”. E’ un malessere della mente (anima), sospeso tra Stimmung  e patologia. Da parte sua, Freud studia la tristezza come situazione di “perdita dell’oggetto”, a partire dal lutto.

La sofferenza - dall’ansia alla depressione,  alle psicosi - è in sostanza l’esito di una complessa serie di fattori polieziologici di natura genetica, biochimica, neurologica e sociale.

 

4) Cos’è per lei la morte?

Il progresso della medicina e della genetica ha prolungato la vita, ma la morte non è stata vinta. Questa è sempre in agguato sin dalla nascita, sempre pronta a porre fine ai giorni dell’uomo. Di qui, l’ansia e l’angoscia contro la malattia e la morte con la paura continua di soccombere. Ma ancora con la tenacissima volontà di vivere il più a lungo possibile. E’ un evento naturale. Ma c’è perennemente  il grande, illusorio desiderio di immortalità.

A venire in soccorso alla ragione spesso provvede la fede, cioè la speranza che la nostra anima sia immortale, come già aveva  sostenuto Platone. La morte come minaccia incombente è stata rappresentata da Tolstoj nell’opera “La morte di Ivan Il’ič”, nella quale il protagonista si ribella alla sfida della morte. Per gli autori che ammettono l’immortalità dell’anima, essa è vista come l’inizio di un ciclo di vita. La concezione biblica intende la morte come pena del peccato originale.

 

5) Sappiamo che siamo nati, sappiamo che moriremo e che in questo spazio temporale viviamo costruendoci un percorso, per alcuni consapevolmente per altri no, quali sono i suoi obiettivi nella vita e cosa fa per concretizzarli?

Gli obietti riguardano il futuro. Il futuro è per definizione immerso in un sistema di insicurezze. L’incertezza genera ansia e paure. Le aspettative poi possono non realizzarsi. C’è sempre la possibilità di qualcosa di imprevisto che possa sconvolgere i nostri progetti. Non esiste obiettivo o speranza senza paura, né paura - precisa Spinoza- senza speranza. “Fluttiamo e siamo agitati – aggiunge - come le onde del mare, inconsapevoli della nostra sorte e del nostro destino”. E tuttavia, il cervello umano possiede straordinarie risorse per realizzare il nostro destino. Ciò significa che la vera fonte di sicurezza deve essere  ricercata dentro di noi.

Come dobbiamo procedere? Anzitutto, analizzare e scrutare ciò che è precluso, poi conoscere le nostre qualità intellettive, sociali e morali, indagando i sentimenti e le cose (realtà) più nascoste. Gli obiettivi primari, per Seneca, sono la conoscenza, la contemplazione del mondo e  giovare agli altri. L’uomo saggio - egli dice - è “vicino a Dio, simile a Dio”. Evitare dunque ciò che è effimero e transitorio e realizzare il massimo degli obiettivi: il benessere spirituale. E’ una ricerca continua, lenta e faticosa, ma feconda di gratificazioni e di prospettive.

 

6) Abbiamo tutti un progetto esistenziale da compiere?

Il grande progetto esistenziale dell’uomo è stato teorizzato per la prima volta dai filosofi dell’antica Grecia. I quali hanno avviato la ricerca sull’origine delle cause prime dell’essere e sulle categorie e i progetti che governano la mente umana e la natura. E’ innanzitutto una filosofia fondata sulla trascendenza, su un aldilà metafisico e sugli insondabili misteri del divino.

Il progetto esistenziale riguarda essenzialmente l’aspirazione dell’anima a “ritornare” alla sua patria originaria. Si tratta di una concezione che Platone qualifica come èros (amore), un processo di “ascesa” verso  la “perfetta sapienza”. Eros è qualificato come un démone, un “mediatore” tra mondo umano e mondo divino.  Occorre quindi operare per ricercare tutto quello che può condurre l’uomo ad una perfezione maggiore. Punto di riferimento: il sentimento di umanità e la morale dell’altruismo. Che costituiscono, secondo Hume e Bentham, il fondamento della condotta umana.

 

7) Siamo animali sociali, la vita di ciascuno di noi non avrebbe scopo senza la presenza degli altri, ma ciò nonostante viviamo in un’epoca dove l’individualismo viene sempre più esaltato e questo sembra determinare una involuzione culturale, cosa ne pensa?

La nozione di “individualismo” attribuisce all’uomo un “prevalente valore” rispetto alla società. La tesi di fondo di questa concezione è che l’individuo ha “valore infinito” e la comunità “vale nullo”. I suoi aspetti riguardano: a) il soggetto ha titolarità dei diritti originari e inalienabili; b) rivendicazione all’individuo dell’iniziativa politica ed economica; c) tendenza a stabilire limiti all’azione statale anche nel campo dell’istruzione e della sanità.

L’individualismo è stato criticato perché pretendeva sia di far nascere la società da un insieme di “atomi sociali” sia di sottrarre l’individuo all’azione dello Stato. Invero, l’individualismo ha come imperativo quello di raggiungere uno status sociale elevato, di emergere, di aver successo. E’ l’esaltazione del narcisismo, che è una sindrome psichiatrica.

 

8) Il bene, il male, come possiamo riconoscerli?

Filosofi, scrittori e teologi di tutti i tempi e di tutti gli orientamenti hanno finora vanamente tentato di rispondere al fondamentale e angoscioso problema sulle origini e sui motivi dell’esistenza del male e del bene.

Sta di fatto che lo statuto metafisico della condizione dell’essere umano si fonda sui principi del bene e del male. Principi che sono in perenne lotta fra loro. Secondo una vasta letteratura  che va da Empedocle agli autori moderni e contemporanei due sono i principi che governano la vita dell’uomo: amore (filia) e discordia. Che corrispondono alle due pulsioni originarie teorizzate da Freud: pulsione di vita o di amore (eros) e pulsione di odio o di morte (thanatos).

Le meravigliose scoperte delle neuroscienze hanno confermato le intuizioni dei filosofi e degli scrittori ed hanno sostenuto che il cervello umano è una combinazione di bene e male. Il cervello – afferma il neuro scienziato MacLean - consta di tre strutture sovrapposte: il cervello rettiliano, così chiamato perché ha la forma e il comportamento di un rettile, è una pulsione distruttiva caratterizzata da aggressività e violenza; il cervello limbico e il neo-cervello, che è la parte più nobile e creativa del cervello.

Nei testi antichi, come l’Iliade e l’Odissea, il bene e il male dipendono dagli dei. In Grecia sia gli autori di tragedie sia quelli lirici analizzano gli aspetti dolorosi e drammatici dell’esistenza umana. La terra e il mare, per Esiodo, sono “pieni di male”. Per Socrate, Platone e tutta una schiera di altri filosofi, il male è l’ignoranza, il bene, la conoscenza. La patristica greca afferma che il male è opera dell’uomo e l’universo è in sé buono. Per S. Agostino, il male metafisico non esiste. Esso è la conseguenza dell’“imperfezione” dell’uomo. Il male morale non è voluto da Dio, ma è permesso come conseguenza del libero arbitrio. Questa concezione viene ripresa e sostenuta dai principali filosofi  del Medioevo e dell’età moderna.

Il male dunque è un principio che si oppone in perenne conflitto  al bene. Sul piano metafisico, esso è “privazione” di perfezione, è non-essere di fronte all’essere che è il bene. Sul piano fisico, sofferenza, dolore, morte; sul piano morale, peccato e trasgressione della norma. Il pensiero filosofico moderno e contemporaneo infine considera il male un “disvalore” nella condotta dell’uomo. A sua volta, il termine bene è introdotto da Aristotele per indicare ciò che viene desiderato di per se stesso e non in vista di un bene ulteriore. Per il nostro filosofo, il sommo bene è la felicità. S. Tommaso utilizza il concetto di bene per significare Dio stesso. Concludendo, per bene noi designiamo il fine dell’azione morale. Diciamo bene tutto ciò che possiede capacità morale.

 

9) L’uomo, dalla sua nascita ad oggi è sempre stato angosciato e terrorizzato dall’ignoto, in suo aiuto sono arrivate prima le religioni e poi, con la filosofia, la ragione, cosa ha aiutato lei?

L’essere umano è solo dal momento in cui viene al mondo, quando subisce la prima violenza che Freud chiamò “trauma della nascita”. Quando il bambino si sente abbandonato, quando cause organiche o psichiche o deprivazioni emotive ed affettive gli impediscono di percepire il mondo, egli risulta gravemente ostacolato nella crescita bio-psichica. L’esempio dei bambini-lupo e dei soggetti autistici esprimono in maniera drammatica il livello di sofferenza del bambino.

Nel rapporto “viso-viso”, “pelle-pelle”, “occhio-occhio” del neonato con la madre avviene l’incontro tra due anime, tra due corpi, tra due carni in subbuglio. La diade madre-bambino, prototipo di tutti i legami successivi, si fonda - come hanno dimostrato le neuroscienze - su meccanismi cerebrali innati ed ereditati nel corso dell’evoluzione. Questi sistemi vengono attivati da sostanze come l’ossitocina, molecola del “legame”, e la dopamina, il neurotrasmettitore del “desiderio”.

Anomalie genetiche, traumi, stati abbandonici, distorsioni familiari ed ambientali ecc., possono fornire una valida spiegazione della materia in questione. A questo proposito, Anna Freud scrive: “Un bambino nel primo anno di vita sente ogni tensione, bisogno o frustrazione come dolore”. Sono le cure materne a creare le condizioni di sviluppo e a sollevare il bambino da forme di angoscia, ripristinando lo stato di calma e di benessere.

Di fronte a carenze della funzione affettiva e protettiva materna si ha un’azione traumatica e dunque il processo di crescita mentale e psicologico può subire un arresto oppure può essere frenato o distorto. In sostanza, qualunque disturbo, squilibrio o scompenso si traduce in angoscia e disperazione o in un deficit del pensiero.

 

10) Qual è per lei il senso della vita?

Il senso dell’esistenza, ovvero l’itinerario umano, sociale, etico e spirituale dell’esistenza, deve consistere in un processo che deve partire dall’“opinione” (doxa), cioè da ipotesi basate su conoscenze incomplete. Quindi, procedere ad attuare il compito dell’uomo, che fondamentalmente è quello di “amare” la conoscenza nella sua totalità. Tutta la conoscenza - precisa Platone - si esprime poi come conoscenza dell’essere. All’essere corrisponde dunque la scienza, che è conoscenza vera. Al non – essere, l’ignoranza.

Il senso dell’esistenza si esprime si palesa attraverso un percorso di sviluppo e di formazione che muova l’essere umano dalla riflessione del mondo delle illusioni e delle cose futili e inconsistenti al mondo dell’essere e lo conduca a riconoscere la vetta più alta dell’essere. Che è il bene. Il quale   rende conoscibili le idee e i pensieri. L’uomo supera il mondo delle ombre attraverso la parte più nobile del cervello, dai neuro scienziati chiamato neo-cervello in contrapposizione al cervello “rettiliano”, una pulsione diabolica, una pulsione di morte (thanatos), di distruzione e autodistruzione.

Qual è allora il senso della vita? E’ il cammino dell’essere umano verso la conoscenza e la saggezza. L’uomo che conosce, l’uomo sapiente, è colui che proietta la sua “scelta di vita”, la scelta che ciascuno fa del proprio destino, nel mondo della perfezione e nel “mondo di là”.  Il destino dell’uomo tuttavia è determinato da più fattori: in parte è opera dei geni, in parte è opera dell’educazione e dell’esperienza e in parte è opera del caso. Il “senso” della vita poi dipende dalla cultura, dall’ambiente, da ciò che egli vuole essere in questa vita. La bussola che ogni essere umano deve assumere e condurre a termine risiede nel comportamento morale.


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