TESTI per riflettere
Ricordi Sogni Riflessioni
Di Carl Gustav Jung
Da Ricordi Sogni Riflessioni - Rizzoli
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In virtù del suo spirito riflessivo l'uomo si è sollevato dal mondo animale, e con la sua intelligenza dimostra che in lui la natura ha conferito un'alta ricompensa proprio allo sviluppo della coscienza. Attraverso questa l'uomo prende possesso della natura, in quanto riconosce l'esistenza del mondo, e, in certo qual modo, lo conferma al Creatore. Con ciò il mondo diventa mondo fenomenico, perché senza una riflessione cosciente esso non esisterebbe. Se il Creatore fosse cosciente di Sé, non avrebbe bisogno di creature coscienti; ne è verosimile che le vie estremamente indirette della creazione - la quale profonde milioni di anni per lo sviluppo di innumerevoli specie e creature - procedano da una intenzione rivolta a uno scopo. La storia naturale ci narra di una casuale e provvisoria trasformazione delle specie per centinaia di milioni di anni, di divoratori e divorati. La storia biologica e politica dell'umanità è una elaborata ripetizione dello stesso fenomeno. Ma la storia dello spirito offre un quadro diverso. In essa interviene il miracolo della coscienza riflettente, la seconda cosmogonia. L'importanza della coscienza è così grande che non si può fare a meno di supporre che da qualche parte (in tutta la smisurata e apparentemente senza significato organizzazione biologica, si nasconda l'elemento significativo, e che questo abbia alla fine trovata la via per manifestarsi al livello degli animali a sangue caldo, dotati di un cervello differenziato, via trovata come per caso, non prevista e voluta, e pure presagita, sentita e tentata per un «oscuro impulso».
Non penso, con le mie considerazioni sul significato e sul mito dell'uomo, di aver detto una verità definitiva, ma ritengo che questo è quanto si possa e si debba dire alla fine del nostro eone dei Pesci, in vista del prossimo eone dell'Acquario, che è una figura d'uomo, e segue il segno dei Pesci (una coniunctio opposi forum, fatta di due pesci contrapposti) che sembra raffigurare il «Sé». Con un gesto regale versa il contenuto della sua brocca nella bocca del Pisci austrinus, che simboleggia un figlio, un contenuto ancora inconscio. Da questo contenuto inconscio emergerà, dopo che sarà passato un altro eone di più di duemila anni, un futuro i cui tratti sono indicati dal simbolo del Capricorno: un aigokeros, un animale favoloso, il Capra-pesce, che unisce i monti e le profondità del mare, una bipolarità costituita da due elementi animali cresciuti insieme, cioè impossibili a distinguersi. Questo strano essere potrebbe facilmente costituire l'immagine primordiale di un Dio-creatore, che si contrappone all'«uomo», all'Anthropos. Su questo problema c'è in me silenzio, così come c'è nei dati empiria a mia disposizione, cioè nei prodotti dell'inconscio di altri uomini o nei documenti storici che conosco. Se una intuizione non si realizza, la speculazione è vana; ha senso solo quando si hanno a disposizione dati oggettivi, come, ad esempio, nel caso dell'eone dell'Acquario.
Non sappiamo quanto a lungo possa protrarsi il processo della presa di coscienza, e dove possa condurre l'uomo. Questi è un elemento nuovo nella storia della creazione, senza termini di paragone. Pertanto non possiamo sapere quali siano le sue possibilità, ne quali siano le prospettive per la specie dell'Homo sapiens. Ripeterà il destino delle altre specie arcaiche, che una volta fiorivano sulla terra e ora sono estinte? A tale possibilità la biologia non può addurre argomenti contrari. Il bisogno di affermazioni mitiche è soddisfatto quando ci costruiamo una visione del mondo che spieghi adeguatamente il significato dell'uomo nel cosmo, una visione che scaturisca dalla nostra interezza psichica, cioè dalla cooperazione della coscienza e dell'inconscio. La mancanza di significato impedisce la pienezza della vita, ed è pertanto equivalente alla malattia. Il significato rende molte cose sopportabili, forse tutto. Nessuna scienza sostituirà mai il mito. Non «Dio» è un mito, ma il mito è la rivelazione di una vita divina nell'uomo. Non siamo noi a inventare il mito, ma esso parla a noi come «verbo di Dio». Il «verbo di Dio» viene a noi, e non abbiamo modo di distinguere se, e in che modo, si differenzi da Dio. Non vi è nulla in questo «Verbo» che non possa essere considerato noto e umano, tranne il modo col quale spontaneamente ci sollecita e ci costringe. Sfugge al nostro arbitrio. Non si può spiegare una «ispirazione»; sappiamo solo che una «trovata» non è il risultato del nostro raziocinio, ma che ci viene «da qualche altra parte». Se ci capita di avere un sogno premonitore, come possiamo attribuirlo alla nostra stessa intelligenza? Dopo tutto sovente solo dopo che è passato molto tempo ci rendiamo conto che il sogno rappresentava un'antiveggenza o una tele veggenza.
Il «Verbo» viene a noi; noi lo subiamo, perché siamo preda di una profonda incertezza: con un Dio che è una complexio oppositorum «tutto è possibile», nel significato più pieno dell'espressione: la verità e l'inganno, il male e il bene. Il mito è o può essere ambiguo, come l'oracolo di Delfi, o come un sogno.
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