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Riflessioni su Dio

Di Jiddu Krishnamurti

Tratto da SU DIO ” Casa Editrice Astrolabio - Ubaldini Editore
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Questo è certamente un problema molto serio; non è questione di credere o non credere. Il credere o non credere sono processi dell’ignoranza, mentre la comprensione della qualità vincolante del tempo nel pensiero porta a quella libertà soltanto nella quale la scoperta è possibile. Ma la maggior parte di noi vuole credere solo perché è più comodo; ci dà un senso di sicurezza, un senso di appartenenza a un gruppo. Indubbiamente questa convinzione ci separa; voi credete in una cosa e io in un’altra. Così le credenze agiscono da barriera; è un processo di disintegrazione.
Quello che è quindi importante non è credere o non credere, ma comprendere il processo della mente. E la mente, è il pensiero che crea il tempo. Il pensiero è tempo, e qualsiasi cosa progettata dal pensiero deve appartenere al tempo; per tale ragione il pensiero non ha alcuna possibilità di andare oltre se stesso. Per scoprire quello che è al di là del tempo il pensiero deve giungere alla fine, e questa è una cosa estremamente difficile perché la fine del pensiero non giunge attraverso una disciplina, né attraverso il controllo, o il diniego, o la repressione. Il pensiero finisce solo quando comprendiamo l’intero processo del pensare, e per comprenderlo è necessaria la conoscenza di sé. Il pensiero è il sé, è la parola che identifica se stesso come il 'me`, e qualunque sia il livello, basso o alto, in cui è posto il sé, si troverà sempre nell’ambito del pensiero.
Per trovare Dio, ciò che è oltre il tempo, dobbiamo comprendere il meccanismo del pensiero - vale a dire, il processo di se stessi. Il sé e molto complesso; non si trova a un livello qualunque, ma è costituito da molti pensieri, molte entità, ognuna in contraddizione con le altre. E necessaria una costante consapevolezza di tutto, una consapevolezza senza scelta, né condanna o paragoni; ciò significa che vi deve essere la capacità di vedere le cose così come sono, senza distorcerle o interpretarle. Nel momento in cui giudichiamo o traduciamo ciò che abbiamo visto, lo distorciamo in base alla nostre esperienze precedenti. Per scoprire la realtà o Dio non dobbiamo avere credenze, perché l’accettazione o il diniego sono barriere che poniamo alla scoperta. Noi tutti vogliamo essere sicuri sia esteriormente sia interiormente, ma la mente deve capire che la ricerca della sicurezza è un’illusione. E soltanto la mente insicura, la mente completamente libera da ogni forma di possesso, quella che può scoprire - e questo è un arduo compito. Non significa che bisogna ritirarsi nei boschi o in un monastero, o isolarsi in qualche credo particolare; al contrario, nell’isolamento non può esistere nulla. Esistere è porsi in relazione; è soltanto nelle relazioni che possiamo spontaneamente scoprire noi stessi così come siamo. È proprio questa scoperta di noi stessi come veramente siamo, senza alcun senso di condanna o giustificazione, che porta a una fondamentale trasformazione in ciò che siamo. Questo è l’inizio della saggezza.

Domanda: La funzione della mente è pensare.
Ho passato molti anni pensando a quelle cose che noi tutti sappiamo — affari, scienza, filosofia, psicologia, arte, e via dicendo — e adesso penso molto a Dio. Studiando le testimonianze di un grande numero di mistici e di altri scrittori religiosi, mi sono convinto dell’esistenza di Dio, e posso dare al riguardo il contributo del mio pensiero. Cosa c’è di sbagliato in questo? Il pensare a Dio non aiuta a portare alla Sua realizzazione?

J. Krishnamurti: Può pensare a Dio? Può essere convinto dell’esistenza di Dio perché ha letto tutte le testimonianze? Anche l’ateo ha le sue testimonianze; probabilmente l’ateo ha studiato tanto quanto lei, e dice che Dio non esiste. Lei crede che vi sia Dio, e lui crede il contrario; entrambi avete le vostre convinzioni, entrambi avete passato del tempo pensando a Dio. Ma prima di pensare a qualcosa che non conoscete, dovete scoprire cosa sia il pensare, non è vero? Come potete pensare a qualcosa che non conoscete? Potete aver letto la Bibbia, la Bhagavad-gita, o altri libri in cui vari studiosi eruditi hanno abilmente descritto cosa è Dio, asserendo una cosa e smentendone un’altra; ma fintantoché non conoscete i meccanismi del vostro stesso pensiero, qualsiasi cosa pensiate di Dio potrebbe essere stupida e meschina, e generalmente lo è. Potete accumulare una grande quantità di prove sull’esistenza di Dio, e scrivere articoli davvero intelligenti sul tema, ma sicuramente la prima domanda sarà: come sapete che ciò che pensate è vero? Può il pensare portare all’esperienza di ciò che è inconoscibile? Il che non significa che voi dobbiate accettare
emotivamente o sentimentalmente delle sciocchezze su Dio. Quindi non sarebbe importante scoprire se la vostra mente è condizionata, piuttosto che cercare ciò che è non condizionato? Certamente se la vostra mente è condizionata, e lo è, per quanto possa indagare la realtà di Dio, potrà solo mettere insieme conoscenze o informazioni a seconda del proprio condizionamento. Perciò il vostro pensare a Dio è una completa perdita di tempo, un congetturare senza valore. È come il mio stare seduto in questo boschetto desiderando di essere sulla cima di quella montagna alle mie spalle. Se
voglio davvero scoprire cosa c’è sulla cima della montagna e oltre, devo scalarla. Starmene seduto qui a fare ipotesi, costruire templi, chiese, ed emozionarmi a proposito di tutto ciò, non serve a niente.
Quello che devo fare è alzarmi, camminare, lottare, sforzarmi, arrivare li e scoprire; ma poiché la maggior parte di noi non vuole farlo, ci accontentiamo di starcene qui seduti facendo congetture su qualcosa che non conosciamo. E io dico che questo congetturare è un ostacolo, un deterioramento della mente, non ha assolutamente alcun valore; conduce soltanto l’uomo a una maggiore confusione, a una maggiore sofferenza.
Dio è qualcosa di cui non si può parlare, che non può essere tradotto in parole, perché deve rimanere per sempre il non conosciuto. Nel momento in cui il processo di riconoscimento ha inizio, siete ritornati nell’ambito della memoria. Avete capito? Diciamo, per esempio, che voi avete un’esperienza momentanea di qualcosa di straordinario. In quel preciso istante non vi è nessuno che pensa: “Devo ricordarmi di questo”, vi è soltanto lo stato in cui si sperimenta. Ma non appena quel momento passa, il processo di riconoscimento si manifesta. Vi prego di seguirmi. La mente dice: “Ho avuto un’esperienza meravigliosa e vorrei che si ripetesse”, e così comincia la lotta per avere di più. L’istinto di acquisizione, il perseguimento del possesso, dell’ottenere di più, si manifesta per vari motivi: perché vi procura piacere, prestigio, sapere, perché vi fa diventare un’autorità, e tutte le altre sciocchezze del genere.
La mente persegue ciò di cui ha avuto esperienza, ma ciò di cui ha avuto esperienza è già passato, morto, andato. Per scoprire ciò che è, la mente deve morire a ciò di cui ha avuto esperienza. Non si tratta di qualcosa che può essere nutrito giorno per giorno, messo
insieme, accumulato, trattenuto, per poi parlarne e scriverci sopra.
Tutto quello che possiamo fare è vedere che la mente è condizionata, e comprendere il meccanismo del nostro stesso pensare attraverso la consapevolezza di sé. Devo conoscere me stesso non come mi piacerebbe essere idealmente, ma come sono realmente, per quanto brutto o bello, per quanto geloso, invidioso, avido. Ma è molto difficile vedere quello che siamo senza provare il desiderio di cambiario, e lo stesso desiderio di cambiamento è un’altra forma di condizionamento; ed è così che procediamo, andando da un condizionamento a un altro, senza mai fare esperienza di qualcosa che sia al di là di ciò che è limitato.

 

- Brano suggerito da Rocco

 

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