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Riflessioni Filosofiche

Riflessioni Filosofiche   a cura di Carlo Vespa   Indice

 

Rorty e l'ironia liberale

di Massimo Fontana - Dicembre 2014

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The linguistic turn

 

Richard Rorty si distingue presto negli Stati Uniti per il tentativo di andare oltre la tradizione filosofica americana, quella analitica, verso autori come Heidegger e Derrida, nell’intento perseguito anche da John Dewey di realizzare una filosofia contaminata e in continua rielaborazione.

La filosofia analitica negli USA si pone come obiettivo di mettere a punto tecniche di dimostrazione della verità esatte e basate sulla matematica o sulla logica, con un interesse prioritario per la dimensione linguistica e per il raggiungimento di un grado di oggettività almeno pari a quello della scienza. Una filosofia che ha il suo presupposto nel pensiero dei fondatori della logica moderna: Frege e Russell, che rifondano la logica tentando di ricondurre anche i simboli aritmetici a un linguaggio primo, una nuova logica simbolica. Il primo tentativo di ridurre anche la matematica alla logica è di Gottlob Frege, confutato proprio da Bertrand Russell, che tenta poi a sua volta l’impresa, e invano, nei Principia Mathematica.

La logica simbolica vorrebbe essere il linguaggio primo dal quale tutti gli altri dipendono e consiste nello studio per mezzo di simboli delle esatte condizioni in cui gli schemi delle argomentazioni sono da considerarsi validi. La logica simbolica si occupa del mondo reale. I concetti reali esisterebbero, come idee platoniche, anche se non li pensassimo (similmente alle verità matematiche che Cartesio ritiene esistenti a prescindere da noi, sia che si dorma, sia che si sia svegli).

Frege e Russell influenzano anche gli ambienti del positivismo logico del Circolo di Vienna e pensatori come Carnap (che fu professore di Rorty a Chicago e maestro di Quine) e Neurath, impegnati in ricerche di fisica teorica e di logica simbolica. La linea del positivismo logico (o empirismo logico) di questa scuola può essere sintetizzata in un intento, quello di ridurre la filosofia a un'analisi del linguaggio scientifico. Non c’è un abbandono dell’antico sogno filosofico di rinvenire verità necessarie, anche se queste sono esclusivamente analitiche, linguistiche.

Rudolf Carnap bolla come pseudoproposizioni metafisiche prive di senso le tesi di Heidegger in Was Ist Metaphysik, soffermandosi in particolare sull'uso ambiguo del termine nichts (nulla), usato indifferentemente come sostantivo e come avverbio, maiuscolo e minuscolo. Questo nella convinzione che gli enunciati metafisici siano privi di senso. L'intento è quello di costruire un linguaggio che tolga di mezzo questi inconvenienti, che preveda solo termini descrittivi che si riferiscano a oggetti la cui cognizione è diretta e non impossibile.

Carnap ritiene che la messa a punto di un linguaggio chiaro e corrispondente dissolva ogni tradizionale problema filosofico (generato, appunto, da un uso improprio del linguaggio).

Il circolo viennese ha rapporti con gruppi e studiosi di tutto il mondo, in particolare con la scuola dei logici polacchi, tra i quali Tarski, con studiosi americani quali Morris, Quine ed Ernest Nagel, inglesi come John Wisdom di Cambridge e Ryle e Ayer di Oxford.

Con l'avvento del nazismo in Germania il gruppo si scioglie.

La diffusione delle tesi di Frege e Russell nell'area inglese (Oxford e Cambridge) avviene a partire dagli anni Trenta, con il contributo determinante del primo Ludwig Wittgenstein, quello del Tractatus logicus-philosophicus (1922).

Wittgenstein è uno spartiacque, da una parte riprende Frege e Russell, influenzando i pensatori del positivismo logico con il suo Tractatus, dall'altra, nel 1953, pone le basi di una svolta nella filosofia analitica denominata filosofia del linguaggio ordinario (Ricerche filosofiche).

Nel secondo dopoguerra la scuola inglese cambia rotta assestandosi sulla linea del secondo Wittgenstein, con pensatori come Ryle, Austin, Strawson, Hare ed Ayer.

L'attenzione è ancora sul linguaggio, ma non inteso come linguaggio metascientifico. C’è una nuova attenzione sulla frase, sulla convenzione linguistica, per un approccio affine ai giochi linguistici delle Ricerche filosofiche. Si accusano i filosofi analitici di aver creato degli pseudo problemi ostinandosi a non riconoscere il linguaggio d’uso, nella vana rincorsa di un linguaggio perfetto e corrispondente.

Negli Stati Uniti intanto si procede nel solco tracciato dal positivistico logico e a Chicago, a partire dal 1938, alcuni neopositivisti in fuga dalla Germania nazista lavorano alla pubblicazione della Enciclopedia internazionale della scienza unificata collaborando con Russell, Dewey e il fisico Niels Bohr.

L'intenzione è quella di ricondurre tutte le scienze allo stesso metodo.

Quine, nel suo saggio del 1951, Due dogmi dell'empirismo:

 

1) Non riconosce il riduzionismo insito nell'atomismo del positivismo logico, secondo il quale per ogni singola proposizione esiste il riferimento a un singolo evento sensoriale che avvalora la proposizione stessa (una conferma empirica). Quine sostiene invece l'importanza del contesto e del sistema in cui la proposizione è posta, per un approccio più olistico (non sempre occorre una conferma empirica).

2) Prende le distanze da Carnap e contesta il fatto che vi sia differenza tra giudizi analitici, per cui una proposizione è considerata vera in sé, a prescindere dalla conferma empirica, e giudizi sintetici, laddove per verificare la proposizione occorre una conferma empirica.

 

Quine considera importanti anche le diverse interpretazioni e descrizioni, gli impianti teorici in competizione l'uno con l'altro e non solo la singola proposizione estrapolata dal contesto originale o sua la conferma empirica.

Per Quine la filosofia, l'epistemologia, è una disciplina come le altre e non esiste un punto d’osservazione privilegiato dal quale sentenziare liberamente, nemmeno attraverso la teoria logico-semantica di Frege.

Diversamente da Rorty, tuttavia, Quine mantiene una certa diffidenza nei confronti della dimensione storica e sociale. Il suo pensiero confida in discipline fondative come la fisica, la biologia, la psicologia.

Un altro protagonista della scuola analitica meno ortodossa negli USA è Sellars e anche il suo pensiero, come quello di Quine, influenza Rorty. Sellars non riconosce elementi di esperienza in grado di autogiustificarsi e di fondare una conoscenza. Sellars sostiene che la conoscenza ha inizio con l'uso delle parole (nominalismo psicologico). Se poi consideriamo il fatto che le parole sono parte di una pratica sociale diffusa, comprendiamo che la conoscenza ha lo stesso destino del linguaggio.

Dunque per Sellars nulla è dato dall'esperienza e la conoscenza è una pratica sociale acquisita attraverso il linguaggio. Non esistono elementi non-proposizionali nella conoscenza, neanche nella dimensione “mentale”.

Sostanzialmente tutta la filosofia linguistica si occupa ancora dei problemi del linguaggio, ma all'interno di questa vi sono ormai due scuole ben distinte:

 

La filosofia analitica, per la quale la risoluzione definitiva dei problemi filosofici equivale alla ricerca di un linguaggio corrispondente, definitivo.

 

La filosofia del linguaggio ordinario, per la quale i problemi filosofici sono problemi relativi ai significati delle parole, i quali variano con i contesti e le consuetudini linguistiche.

 

Quest’ultimo è il contesto in cui matura la posizione di Rorty, che si inserisce nel dibattito interno tra i due filoni della filosofia del linguaggio dalla parte di intellettuali come Quine e d’accordo sull’inutilità del concentrare la discussione filosofica nell'isolamento e nell'analisi del linguaggio; allo stesso modo partecipa anche alla discussione sulla dualità mente-corpo degli anni Sessanta, assumendo una posizione antidualistica (meglio parlare di cervello che di mente).

Se Rorty nella prima metà degli anni Sessanta è coinvolto in queste contese, dal 1967, con l'introduzione a The Linguistic Turn, affronta per la prima volta le tematiche della filosofia analitica e della svolta linguistica in funzione di un loro definitivo superamento, ad attrarlo è la possibilità di abbandonare l'atteggiamento distaccato e pretenzioso della filosofia teoretica, epistemologica e delle scienze.

Si riconosce già in Rorty un atteggiamento anti accademico che lo accomuna ai pensatori del pragmatismo americano, anche precedenti a Dewey, filosofi come Peirce e soprattutto come James ed Emerson, mai propriamente a loro agio negli ambienti intellettuali del loro tempo. E se in Rorty è meno presente lo spiccato individualismo di Emerson e James (ai quali la filosofia stava in un certo senso stretta), rimane tuttavia l’esigenza di ridurre le pretese della filosofia di fondare tutte le altre discipline.

La svolta linguistica della filosofia analitica è l'ultimo tentativo, dopo la metafisica, di fornire giustificazioni a una disciplina che si vorrebbe nuovamente fondante e rigida, costruita ancora una volta su quelle che Dewey avrebbe definito menzogne fuori dal tempo.

Rorty rifiuta già nel 1967 l'esistenza di un metodo definitivo di accertamento delle conoscenze filosofiche e scientifiche che, nella migliore delle situazioni, possono ambire a un consenso temporaneo e mai definitivo su ciò che si può ritenere giustificatamente vero. Su questo punto è il dissenso da Quine, che non smette di confidare in un'oggettività scientifica ultima.

Per Rorty la filosofia nella ricerca della verità ha prodotto solo conoscenze aggiornabili.

Il tentativo filosofico di azzerare per ripartire alla ricerca di una nuova purezza originale e di una connessione più profonda e reale è destinato a fallire, a prescindere dal fatto che sia intrapreso in ambito analitico (angloamericano) o fenomenologico o esistenzialista o marxista (continentale).

I filosofi della tradizione analitica e della svolta linguistica recente hanno il merito di avere riformulato tutti i problemi della storia della filosofia da Platone a Cartesio sino ai giorni nostri, cogliendo l'importanza del fattore linguistico; hanno voluto dimostrare che la tradizione può essere ridiscussa in ogni momento, in presenza di una nuova chiave di lettura (o paradigma, come direbbe Kuhn).

Si dissolvono vecchi problemi filosofici nati con le incomprensioni generate dal linguaggio filosofico tradizionale e ne nascono di nuovi.

Rorty arriva già a porre la questione legata al futuro della filosofia stessa (se non può più essere proposta attraverso i vecchi sistemi di pensiero e non può nemmeno ambire all'oggettività delle discipline scientifiche, che sviluppi potrà avere?).

In The Linguistic Turn si fanno strada gli interrogativi sugli esiti della filosofia.

Nel 1967 l’interesse per l’ultima fase del pensiero di Wittgenstein, sino a concludere con lui che la ricerca filosofica non può esercitarsi dall'alto di una posizione privilegiata, o spettatoriale, come avrebbe detto Dewey, e che la filosofia tradizionale è stata per lo più un tentativo di ricercare invano qualcosa nascosto sotto il linguaggio, qualcosa che il linguaggio veramente esprimerebbe.

L'adozione della svolta linguistica presuppone la convinzione che con questa ricerca non ci sia più niente da cercare e da trovare. Rorty inizia il cammino che lo porterà a una presa di distanza dalla tradizione analitica americana per una riscoperta del pragmatismo di James, Peirce e soprattutto Dewey e a discussioni con filosofi come Davidson (un allievo di Quine che propone la dissoluzione definitiva dell'empirismo, in disaccordo con il suo maestro), Putnam, Dummett e Kripke.

Vi è poi l'interesse per autori continentali come Derrida, Gadamer, Hegel, Heidegger, Nietzsche, Sartre, Habermas. Si tratta di una fase di rielaborazione e quei filosofi danno a Rorty la possibile via d'uscita. In questo senso vi sono diversi saggi del periodo che va dal 1974 al 1976 (raccolti poi nel volume Consequences of Pragmatism, Minneapolis 1982) in cui sono considerati tre autori in particolare: Heidegger, Dewey e Wittgenstein.

Heidegger. Rorty lo considera un filosofo dal quale non è ancora possibile prescindere e che ha il merito di aver intuito i limiti del pensiero teoretico e di aver tentato una svolta post-filosofica, affidandosi a poeti come Holderlin anziché a filosofi. Ma per Rorty neanche Heidegger riesce a eludere la convinzione che vi sia comunque un pensiero fondante dopo la metafisica.

A Dewey Rorty riconosce il merito di avere spostato l'attenzione su nuovi contesti come quello politico-sociale, di aver intuito la necessità d’intraprendere un percorso filosofico non solo accademico e dunque di aver tralasciato il rapporto tra pensiero e realtà per interessarsi al confronto tra modi alternativi di pensare. Con Dewey Rorty recupera la tradizione del pragmatismo americano, che si era venuta a trovare in una posizione di secondo piano all'inizio del Novecento, in parte per i caratteri spiccatamente antiprofessionali del pragmatismo, che in questo modo si poneva in contrapposizione con il mondo accademico, in parte perché oscurato dalla nuova logica simbolica di Bertrand Russell e soprattutto per l'arrivo in America di intellettuali del positivismo logico come Carnap e Neurath, in fuga dal nazismo.

Wittgenstein. Rorty riconosce nel suo lavoro un altro modo di fare filosofia e si riferisce all'ultima fase del pensiero di Wittgenstein, quello del linguaggio come attività e forma di vita autonoma, dei giochi linguistici, della casualità, della molteplicità degli stessi linguaggi (e persino della matematica come gioco linguistico). Per l’ultimo Wittgenstein il significato delle parole consiste nel loro uso: un termine qualsiasi assume un significato anziché un altro, non perché ne ha uno originalmente o si riferisce a un concetto preciso, ma per com'è usato nella conversazione. Rimane da paragonare tra loro i diversi giochi linguistici per stabilire una priorità di un linguaggio su un altro, in base agli scopi contingenti prefissi.

Heidegger, Wittgenstein e Dewey sono accomunati dal fatto che tentano di dare una propria versione per la risoluzione dei problemi del loro tempo senza per questo voler imporre un nuovo metalinguaggio alla comunità filosofica.

Della fine degli anni Settanta è l'interessamento di Rorty per Derrida, apprezzato per le sue critiche radicali alla filosofia del linguaggio, presentata come nuovo pensiero fondante, erede della metafisica e dell'epistemologia. Anche Derrida ritiene che non vi sia un modo o una nuova illusione, dopo Cartesio e Kant, di trovare un punto d'osservazione esterno alle nostre rappresentazioni, che ci permetta di giudicarne la correttezza. Derrida sostiene che non vi è nulla oltre il linguaggio, nessun margine. Vi sono solo i linguaggi come realtà indipendenti e sconnesse. Derrida realizza spericolati giochi di parole, validi solamente in/per se stessi.

Prendendo in prestito il termine da Kuhn, Rorty vede Derrida come il propositore di un linguaggio anormale contrapposto a quello normale e fondativo della filosofia tradizionale.

Della seconda metà degli anni Settanta è anche l'avvicinamento a Foucault e l'incontro con Habermas.

Almost as soon as I began to study philosophy, I was impressed by the way in which philosophical problems appeared, disappeared, or changed shape, as a result of new assumptions or vocabularies (Richard Rorty, Philosophy and the Mirror of Nature, Princeton 1979, p. XIII, traduzione di G. Millone e R. Sallizone:quando cominciai a studiare la filosofia, rimasi subito impressionato dal modo in cui i problemi filosofici comparivano, sparivano o cambiavano aspetto con il rinnovamento dei presupposti e dei vocabolari. Richard Rorty, La filosofia e lo specchio della natura, Milano 1986, p. 3).

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