Riflessioni in forma di conversazioni
di Doriano Fasoli
Interviste a personaggi della cultura italiana e straniera - Indice
Come è arcaico l'uomo moderno: sull'opera di Lévy-Bruhl, Mauss e Foucault. Il dono e la relazione amicale.
Conversazione con Mariapaola Fimiani
di Doriano Fasoli per Riflessioni.it
- luglio 2005
La nozione di arcaico, assimilata per lo più alle culture primitive, ha sempre suggerito la differenza, la diversità, l'alterità: l'ipotesi di Mariapaola Fimiani, autrice del volume L'arcaico e l'attuale. Lévy-Bruhl, Mauss, Foucault (pubblicato da Bollati Boringhieri) è che la dimensione arcaica penetri il nostro presente e ne costituisca la differenza interna, il modo della frammentazione, l'interruzione dei sistemi o dei regimi di verità e di potere. In questo senso, spiega la Fimiani (che insegna Filosofia morale all'Università di Salerno), "l'arcaico non è solo il tema delle riflessioni etnologiche sui rituali, sulla magia, sul mito, ma è una nozione distintiva che indica il dinamismo impuro del nostro tempo, il luogo di una manovra critica che fa del presente, come direbbe Foucault, il tempo dell' 'attualità'. Per questo l'arcaico è l'attuale e l'attualità è l'arcaismo del presente".
Mariapaola Fimiani ha curato, con Thomas E. Jessop, l’edizione citica in lingua italiana del Viaggio in Italia di Berkeley (1979). Tra i suoi lavori vanno ricordati: Il posto dell’esperienza (1980), Previsione e adorazione. Note su Mauss (1983), L’infondatezza del sapere magico (1984), Marcel Mauss e il pensiero dell’origine (1984), Paradossi dell’indifferenza (1994), Foucault e Kant. Critica clinica etica (1997).
Lévy-Bruhl, Mauss, Foucault: qual è, essenzialmente, il terreno comune su cui si muovono questi tre autori, professoressa Fimiani?
I tre autori, nella successione concettuale che propongo, aiutano a ripensare lo statuto della differenza singolare, di quella singolarità che, dopo Nietzsche, si è imposta nella cultura contemporanea come fonte del valore. Il destino del nostro tempo è forse sospeso al difficile compito di riattivare un "antagonismo del singolare": nel dibattito odierno - troppo diviso fra tradizioni funzionaliste ed ermeneutiche, strutturaliste e neoromantiche - la singolarità oscilla tra l'equivalente e l'irrepetibile. È in atto un processo contraddittorio di moltiplicazione e di distruzione dei singoli, il cui effetto allarmante è la incapacità di superare le forme contrattuali (il rispetto delle regole e dei diritti) o, al contrario, le forme fusionali (si pensi alle nuove etnie e ai cosiddetti conflitti neotribali) dell'essere-in-comune. Lévy-Bruhl lascia evidenziare le componenti teoriche a sostegno della prossimità fusionale, comune a una certa tradizione romantica e ad ogni metafisica della vita. Mauss e Foucault ci accompagnano in un percorso dove il tema della comunità come "relazione a distanza", commerce à la muette, si arricchisce della valorizzazione morale del singolo.
A distanza di oltre vent’anni dalla scomparsa di Michel Foucault, cosa rimane oggi, principalmente, del suo insegnamento?
Fino agli anni Ottanta Foucault è stato letto come il teorico dell'archeologia dei saperi moderni e della microfisica del potere, critico dei sistemi di verità e di potere, delle istituzioni totali e della biopolitica. Gli ultimi scritti mi hanno fatto ripensare a un nocciolo kantiano (a partire dall'introduzione inedita all'Antropologia di Kant; ne ho scritto nel mio Foucault e Kant del 1997, in traduzione francese nel 1998), che segnala, a mio parere, una prevalente istanza morale e il sostanziale bisogno di nuove forme di costituzione etica del soggetto. Il tema foucaultiano più importante - su cui, cioè, oggi vale ancora riflettere - è la questione della forza flessa, introdotta dalla Clinica e ridiscussa negli scritti etici. Il concetto di moderazione e di mitigazione della forza mi sembra indispensabile per ripensare gli esiti della liberazione sfrenata della singolarità e il rischio di una riproduzione crescente della violenza, per così dire, alla periferia del mondo.
Lei scrive: "Si ha ragione di dire che il tempo dell'Occidente è il 'tempo dell'abbandono' e il tempo dell' 'occultamento del politico e della vocazione pratica del pensiero' ". Può spiegare?
Il "bando" è prescrizione, decreto, ma anche atto di una sovranità illimitata e infondata, che vige senza significato. Il "bandito" è semplicemente l'interdetto, l'espulso, il maledetto, la vittima. La relazione di abbandono è il segnale di come per la vita singolare sia bloccato l'accesso alla città, alla polis, alla comune produzione simbolica e normativa. Riattivare la mescolanza tra il vivente e la città - andare oltre la relazione di bando - significa riaprire nel presente quel tempo che è il "quadro di una tessitura", dove si mescolano l'uno e i molti, le regole e le invenzioni, un tempo che vada, perciò, oltre la scissione tra lo strapotere della legge e la forza del desiderio, oltre la obbligazione di ordini istituiti e la deriva del nomadismo: un tempo di "partizione", piuttosto che di "dispersione" o di "costrizione".
Dal capostipite e celebre "Saggio sul dono" del 1923 di Mauss a "Lo scambio simbolico e la morte" di Baudrillard a "Lo spirito del dono" di Jacques Godbout (in collaborazione con Alain Caillé) al volume di Starobinski "A piene mani": questi alcuni riferimenti bibliografici sul dono. Che cosa sancisce il dono?
Ho assunto il dono come paradigma della relazione amicale, perché il donare lega l'essere-in-comune a quel trasporto simbolico - la cessione della cosa donata - che, nel mio discorso, rimane essenziale ai fini di una appartenenza che vada oltre la forma del patto o della fusione. Il protagonismo della cosa - che qui resta evento e luogo dell'eterogeneo - mi è sembrato essenziale a quella vicinanza-lontananza che è l'interruzione del "comuniale".
Lo storico delle religioni romeno Mircea Eliade disse che il sacro è una struttura della coscienza. Lei come lo definirebbe?
Il sacro esprime, non c'è dubbio, un modo di essere e di pensare. Nel mio contesto il sacro è adottato come la dimensione stessa dell'essere singolare, quella Dimension di memoria heideggeriana che occupa la misura di un "frammezzo", di un trascorrere fra, del disporsi alla sospensione del proprio.
"Sentirsi è conoscersi": qual è il senso di questa affermazione che apre alcune pagine del suo libro dedicate alle tecniche del corpo?
Non è sufficiente, ai fini della valorizzazione critica ed etica del nuovo soggetto, sentirsi vivere; questo sentirsi appartiene alla disseminazione e alla esteriorizzazione totale dell'uomo che, così, si unisce al corpo mistico del tutto, come ci aveva fatto intendere Lévy-Bruhl. È necessario che si aggiunga un conoscersi, che non pervenga, certo, a un supporto identitario di qualche tipo, ma che sia sostegno di un'arte del vivere e che si alimenti di quell'esperienza triangolare che per Foucault è la sintesi di libertà, verità, potere. L'esercizio del souci de soi è certamente una condizione plurale - la cura è invito alla cura ed è eros come pulsione per l'altro -, ma questa essenziale duplicità della cura e dell'eros, la radicalità dell'essere in comune, trova il segreto supporto solo nella sporgenza su un mondo.
Doriano Fasoli
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