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Tommaso d'Aquino
Filosofo, santo, dottore della Chiesa (Aquino 1225 - Fossanova 1274). Secondo numerosi autori e storici calabresi, San Tommaso d'Aquino è nato a Belcastro in provincia di Catanzaro nell'ottobre del 1226, nel castello di proprietà dei suoi genitori, cioè donna Teodora Caracciolo dei conti di Loritello di Catanzaro, principessa di Barbaro e di Teate, e Landolfo d'Aquino, conte di Loreto e Signore di Belcastro.
[Segnalazione del Dott. Ivan Ciacci, sindaco di Belcastro]
Massimo rappresentante della scolastica medievale, discendente dalla famiglia dei conti d'Aquino, Tommaso compì i suoi studi dapprima a Montecassino, quindi a Napoli, dove Federico II aveva fondato l'Università. All'età di 18 anni entrò nell'ordine domenicano e, dopo un soggiorno nel suo castello di Roccasecca, dove si dedicò allo studio delle Sentenze e dei testi aristotelici (tradotti da Michele Scoto), lasciò l'Italia (1246). Continuò a Colonia gli studi filosofici e teologici e fu discepolo di Alberto Magno. Nel 1252 giunse a Parigi per iniziare l'insegnamento di teologia e insieme a Bonaventura fu aggregato come Maestro all'Università. In questo periodo iniziò la stesura del De ente et essentia e della Summa contra gentiles. Dopo il triennio d'insegnamento fu chiamato presso la Curia e proseguì i suoi spostamenti (Anagni, Viterbo, Orvieto). Fu il periodo dei Commenti ad Aristotele. Intanto aveva terminato la Summa contra gentiles e composto varie Quaestiones, il trattato politico De regimine principum nonché il Commento a Dionigi. Al 1266 circa risale l'inizio della Summa theologica, il capolavoro. Di nuovo a Parigi per un altro triennio, dovette sostenere gli attacchi mossi alla dottrina aristotelica dagli agostiniani e prendere le distanze dall'averroismo di Sigieri (De unitate intellectus contra averroistas, 1269). Nel 1270, l'arcivescovo di Parigi, Stefano Tempier, condannò 13 proposizioni degli aristotelici, sospette di averroismo. Nel frattempo Tommaso aveva composto alcuni opuscoli filosofici sull'eternità del mondo, sul principio d'individuazione, ecc. Nel 1272 fu richiamato in Italia per organizzare gli studi generali di Napoli e di Orvieto e far rifiorire l'Università napoletana. Invitato da Gregorio X al Concilio di Lione, si mise in viaggio, ma a Fossanova le condizioni della sua salute, già malferma, si aggravarono e morì. Nel 1323 fu beatificato da Giovanni XXII e gli fu attribuito il titolo di "dottore angelico". Festa il 28 gennaio.
FILOSOFIA E TEOLOGIA
L'importanza del pensiero di Tommaso nella tradizione cattolica e nella storia della filosofia si fonda sulla sistemazione, operata da Tommaso, di un intero patrimonio culturale. Servendosi del pensiero di Aristotele, adeguatamente cristianizzato dall'interno, Tommaso poté fornire un ordine di risposte chiare e definitorie alla filosofia. Uno dei suoi intenti primari (e ciò aveva già precedenti nella scolastica) era l'accordo tra teologia e filosofia, rivelazione e ragione. Mediante lo spirito stesso dell'aristotelismo Tommaso volle fornire agli interrogativi primi dell'uomo risposte che sul piano della ragione naturale si accordassero con i dati della rivelazione. Contro ogni spiritualismo platonico e mistico che poteva portare a confondere i due piani distinguendo la teologia, come riflessione sul discorso fatto da Dio all'uomo, dalla filosofia, come sforzo umano di conoscere la verità, fissò in definizioni le risposte che la ragione umana con le sue forze poteva, secondo lui, attingere. Per Tommaso infatti la filosofia non può oltrepassare il campo naturale. Al di là delle verità che la filosofia può dimostrare (per esempio che Dio esiste, che è uno, eterno, ecc.), ci sono verità che si possono credere per fede e mai dimostrare, sebbene si possa dimostrare la loro non contraddittorietà intrinseca: per esempio che il mondo non sia eterno, che Dio sia uno e trino, ecc. La filosofia è ancilla theologiae. Lo spirito stesso dell'aristotelismo è in Tommaso: anzitutto assegna alla filosofia un compito scientifico, dimostrativo; quindi opera secondo distinzioni e categorie logiche, dove tutto è determinato in base al principio di contraddizione e nessuno spazio è lasciato a un'esperienza immediata e naturale della natura divina. Come è chiaro, proprio l'aristotelismo, prima che una filosofia, è per Tommaso la possibilità di sistemare una volta per tutte razionalmente le cose che vanno considerate vere in accordo con la teologia cattolica. Se ancora Agostino, da speculativo e platonico, poteva dire che Dio è in tutte le cose, che è il più intimo dell'anima, dove il concetto di trascendenza non poteva avere una consistenza logico-razionale; se la tradizione mistica insisteva sull'uomo immagine di Dio, il cui essere è nulla in sé, poiché l'unico essere è Dio, l'esemplare che si riflette nell'immagine e la costituisce; Tommaso, servendosi di Aristotele, stabilisce anzitutto la logica della trascendenza e della distinzione dell'essere di Dio da quello della creatura. Il suo termine è quello di analogia. Egli sostiene che non c'è identità di essere tra Dio e la creatura, ma neppure alterità totale, poiché è Dio che dà l'essere alla creatura. Tommaso compì l'opera razionalistica dell'individuazione di uno spazio proprio, naturale, della creatura. Sarà sufficiente considerare la trascendenza come mera cornice e ulteriorità rispetto alla consistenza naturale dell'uomo, perché si abbia quella prospettiva che sarà propria di tanta filosofia cattolica medievale e moderna. Orbene, proprio fondandosi sui concetti aristotelici di essenza ed esistenza, adeguatamente riformati, Tommaso stabilisce chiaramente quello che è il principio basilare del suo sistema, la distinzione reale di essenza ed esistenza, dal quale principio deriva netta la distinzione ontologica di Dio dalla creatura. È un tema che Avicenna aveva introdotto, ma Tommaso se ne serve in modo radicale. Avicenna aveva distinto l'essere necessario di Dio dall'essere contingente della creatura, ma aveva concepito l'esistenza, che in Dio è identica all'essenza, come accidentale nelle creature, dove l'essenza è partecipata. Di qui il platonismo emanatistico che Tommaso vuole sopprimere. Aristotele aveva spiegato l'essere in termini di potenza e atto, materia e forma, facendo corrispondere a questi termini quelli di essenza ed esistenza. L'atto è l'essere; più un ente è, più è in atto; Dio è atto puro, pura forma senza materia. L'essenza è in atto quando è, quando esiste. Tutti gli enti dopo Dio, non essendo atto puro, sono potenza, materia, essenza, che passa all'atto, alla forma, alla sussistenza. Ma per Aristotele l'esistenza, l'atto non è altro che la forma, l'essenza stessa che sussiste. Dio è la purezza di questo atto, gli enti dopo di lui sono del pari sostanze, ma nelle quali l'atto viene all'esistenza, vale a dire è accolto da una possibilità di essere, che è una informità, una materia. Qui interviene Tommaso con il principio scolastico della distinzione reale tra essenza ed esistenza. Nella creatura l'essenza è il quo est, ciò per cui sono quel che sono, ma il loro sussistere, il loro atto, è il gesto creatore di Dio. Per Tommaso essenza e potenza coincidono; l'atto è invece l'esistenza che si aggiunge ed è la creazione fuori di Dio. Dio che è atto puro, è ens per se subsistens, essenza implicante l'esistenza; la creatura è composizione di essenza ed esistenza. Al quo est si aggiunge il quod est, il fatto che sono, e che non dipende dalla loro quiddità, ma dalla messa in opera divina, che produce l'ente, facendo della quiddità, pura potenzialità, una forma esistente. La forma, l'identità della creatura, sorge realmente con l'esistenza che determina la quiddità a questo e a quello. Per cui la materia è principio d'individuazione solo per le creature corporee; non la materia come loro quiddità (natura corporea) ma la materia quantitate signata, che è l'esistenza di questo o quel corpo determinato. Nelle creature spirituali invece non c'è materia; l'individuazione è il puro crearne l'esistenza. Così per Tommaso forma e materia non corrispondono a essenza ed esistenza, ma sono entrambe l'essenza di quelle creature che oltre a una natura spirituale (anima) hanno una natura corporea. Essenza che richiede ancora un'esistenza. In tal modo la separazione dell'essere di Dio da quello della creatura è stabilita e con essa la trascendenza. Da Aristotele ancora Tommaso trae la sua gnoseologia, che s'incentra sul tema dell'astrazione. Conoscere è astrarre l'universale, la specie, la quiddità delle cose. L'universale è ante rem in Dio, in re come costitutivo dell'ente, post rem nell'intelletto che lo astrae. È questo il realismo scolastico che Tommaso svolge affermando che l'universale come tale non è in atto nell'ente, perché esiste solo l'individuo, non la specie. L'universale è in atto nell'intelletto quando lo conosce. La conoscenza è allora adeguazione dell'intelletto e della cosa. L'intelletto è intelligibilità, è solo possibile, come intendeva Aristotele, e passa in atto, è intelligenza, quando accoglie le specie. Per Tommaso dunque l'intelletto può conoscere l'essere in sé; anzi a questo è destinato, ma l'intelletto umano, legato al corpo come anima, non può accogliere le specie se non servendosi dei dati della sensibilità, dai quali astrae le quiddità. Per questo può conoscere solo le quiddità che cadono sotto i sensi. E qui Tommaso distingue nettamente il campo della ragione naturale: essa conosce perfettamente le quiddità del mondo; ciò che la supera sfugge alla dimostrabilità, all'evidenza, alla conoscenza. Perciò di ciò che supera l'uomo non abbiamo secondo Tommaso che un'imperfetta notizia, la quale riguarda solo il fatto dell'esistenza. Di Dio infatti possiamo dimostrare che esiste, partendo da ciò che il mondo ci fa vedere, ma non possiamo dire nulla sulla sua natura. Ciò che diciamo di questa è teologia, discorso che facciamo su Dio, perché è Dio che l'ha fatto a noi, rivelando qualcosa di sé. La ragione può solo trovare che ciò che è per fede non le è contrario, ma possibile. A proposito dell'esistenza di Dio Tommaso riprende appunto le vie aristoteliche: argomentando sul movimento risaliamo a un motore primo che non è mosso da altro; argomentando sugli effetti e le cause, a una causa prima; ragionando sulla contingenza, all'essere necessario; argomentando sulla perfezione degli enti, all'ente perfettissimo; argomentando sul fine di ogni cosa, al fine assoluto. La definizione che Tommaso dà dell'uomo è aristotelica: l'uomo ha una forma, che è l'anima, e una materia, che è il corpo. L'intelletto come virtù superiore dell'anima è così legato al corpo, col quale compone un ente unico. Da Aristotele tuttavia Tommaso dissente quando afferma che le tre virtù, vegetativa, sensitiva, intellettiva, dell'anima non sono nell'uomo tre principi distinti, ma quella intellettiva superiore esercita anche le altre due inferiori. Qui è intervenuta l'esigenza cristiana di fondare l'anima come principio sostanziale unico, cosicché possa essere salvaguardata la fede nell'immortalità, la sopravvivenza al corpo, l'indipendenza ontologica rispetto al corpo. Conseguentemente alla distinzione tra piano soprannaturale e piano naturale, l'etica di Tommaso comprende una parte naturale, vale a dire un ordine di principi pratici che risiede già nella natura razionale dell'uomo, indipendentemente dall'ordine teologico che si aggiunge mediante la grazia. La caduta non ha cancellato né l'esistenza di tali principi nella ragione, per cui l'uomo sa cosa è bene e cosa è male, né la disposizione della volontà a seguire i principi pratici evidenti di per sé. Nella ragione è impressa la legge naturale. La caduta non ha tolto la natura ma l'ha solo inficiata, per cui occorre la grazia che la risollevi. Tale risollevamento nella fede, nella speranza, nella carità, desta la natura stessa; dice Tommaso: "la grazia non distrugge ma perfeziona la natura". La forte inclinazione che Tommaso possiede a considerare buono tutto ciò che è naturale lo porta a estendere il suo interesse su ogni ambito dell'uomo. Il suo talento classificatorio, la sua capacità di operare distinzioni su distinzioni lo conducono per un verso a differenziare tutti questi ambiti, per l'altro ad analizzarli uno dopo l'altro.
ESTETICA
Il bello per Tommaso è ciò che si contempla con interesse, che soddisfa e dà godimento e quieta in noi il desiderio. Mezzi alla fruizione del bello sono la vista e l'udito, ma la stessa intelligenza può essere attratta verso il bello quando la verità le si presenta in chiarezza e armonia di pensiero; bellezza si riscontra anche nella vita contemplativa, nella quale il lumen interiore dispone ogni cosa nell'armonia delle sue proporzioni. In sé l'opera d'arte non è morale né immorale, lo diventa solo se aiuta l'uomo nel suo perfezionamento o ve lo distoglie. In questo senso vi saranno un bello "formale", che si ferma alla sola bellezza, e un bello "integrale", che partecipa nel contempo e della bellezza e del bene. vedi anche Estetica
POLITICA
Nei confronti del problema politico Tommaso parte da due presupposti, che egli considera assodati: il valore positivo della società umana; la dipendenza dello Stato dalla Chiesa. Tommaso non ha difficoltà ad ammettere l'autonomia del diritto naturale, fondato sulla ragione, rispetto al magistero ecclesiastico. Quello che gli preme di dimostrare è la razionalità della soggezione dello Stato alla Chiesa. Il ragionamento di Tommaso è semplice: Cristo è il signore di tutti gli uomini e il papa è il suo vicario in terra. Quindi il papa è signore di tutti gli uomini, compresi re e imperatori. A questo argomento generale il filosofo ne aggiunge un altro di natura particolare: il papa ha la cura del fine ultimo di tutti gli uomini; re e imperatori curano invece solo fini intermedi (ordine della convivenza, benessere generale, ecc.). I fini particolari sono subordinati al fine ultimo, quindi re e imperatori devono essere sottomessi al papa.
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