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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 20-09-2013, 13.40.55   #1
0xdeadbeef
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Scienza e filosofia (fisica e metafisica)

Si ha spesso l'impressione (talvolta la si ha anche leggendo gli interventi in questo forum) che, nell'età
contemporanea, non si sia più capaci di distinguere la filosofia dalla scienza.
Si ha l'impressione che le persone pensino che la filosofia sia, come dire, sorpassata dai tempi. Che tutto
il sapere; tutto l'amore per il sapere; riguardi solo e soltanto la scienza. La quale, disponendo di strumenti
efficaci di osservazione empirica, ha ormai completamente sostituito una filosofia che, mancando degli stessi
strumenti, poteva soltanto intuire, o ipotizzare, quel che, oggi, è "dimostrato".
Naturalmente, questa visione, diciamo, "nazional-popolare" ha il respiro corto. E lo ha proprio a partire
dal concetto di "dimostrazione".
Il concetto di "dimostrazione" è il concetto classico che la filosofia greca ha della scienza.
Platone affermava che le opinioni, nel momento in cui vengono "legate" (da nessi logici) diventano "fisse",
e che quindi diventano scienza. Aristotele (in concordanza con il principio della "sostanza") affermava che
la conoscenza è conoscenza delle cause per cui un oggetto non può essere diverso da com'è. E chiamava tale
conoscenza "conoscenza dimostrativa".
Naturalmente ci si è resi conto, in seguito, di come tale teoria poggi proprio sul concetto di "sostanza
necessaria" (Aristotele), e quindi ci si è resi propensi a considerare una metodologia diversa da quella
classica di "dimostrazione": la metodologia della "analisi descrittiva" (Bacone, e in seguito Newton, per il
quale l'analisi descrittiva consiste: "nel fare esperimenti ed osservazioni, e nel trarne conclusioni
generali per mezzo dell'induzione").
Di particolare rilievo, in seno alla metodologia dell'analisi descrittiva, sono le tesi del fisico, e filosofo,
Ernst Mach, che afferma: "i metodi attraverso i quali il sapere viene a costituirsi sono di natura economica
(poichè nascono dalla situazione di squilibrio tra il numero delle reazioni biologicamente importanti e la
varietà illimitata delle cose esistenti - ecco perchè la "categorizzazione" è alla base di ogni sapere). E'
da questo concetto che egli arriva ad affermare "addirittura" la decadenza di ogni differenza fra l'elemento
fisico e quello psichico...
Successivamente a ciò, si è meglio esplicitato il carattere dubitativo della scienza, nonchè il suo
carattere "autocorrettivo". E si è proposto come criterio della validità scientifica il concetto di "falsificazione",
cioè il concetto secondo il quale una proposizione è scientifica solo se si pone, preliminarmente, la
condizione che essa possa essere contraddetta (la scienza, dice Popper, non è diretta alla verifica, ma alla
falsifica - cioè lo scienziato non cerca verifiche ad una tesi che egli dà per certa, ma cerca elementi
che quella tesi potrebbero contraddire: la prospettiva è ribaltata rispetto all'induzione, propria dell'analisi
descrittiva).
Naturalmente, questo genere di riflessione è estraneo alla scienza (la scienza, come afferma altrove Maral,
è incapace di riflettere su se stessa). Tuttavia, anche all'interno dello stesso pensiero filosofico si
tende a privilegiare un approccio (l'epistemologia) che trova nella scienza il solo fondamento possibile del
sapere.
In relazione a questo, la mia domanda è: che fine fa la "scienza prima", la metafisica? Davvero non sentiamo
più il bisogno di essa? Davvero essa non ha più nulla da dirci?
Se, io trovo, intendessimo le cose secondo una primigenia distinzione fra "physis" e "nomos", allora
vedremmo che della metafisica non è possibile fare a meno; e che la filosofia, oltre a non poter ridursi a
mera scienza (ma questo solo chi pensa in maniera "nazional-popolare" lo può supporre), non può nemmeno
ridursi alla sola riflessione sul sapere scientifico.
Un saluto a tutti voi.
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Vecchio 21-09-2013, 16.22.36   #2
sgiombo
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Si ha spesso l'impressione (talvolta la si ha anche leggendo gli interventi in questo forum) che, nell'età
contemporanea, non si sia più capaci di distinguere la filosofia dalla scienza.
Si ha l'impressione che le persone pensino che la filosofia sia, come dire, sorpassata dai tempi. Che tutto
il sapere; tutto l'amore per il sapere; riguardi solo e soltanto la scienza. La quale, disponendo di strumenti
efficaci di osservazione empirica, ha ormai completamente sostituito una filosofia che, mancando degli stessi
strumenti, poteva soltanto intuire, o ipotizzare, quel che, oggi, è "dimostrato".
Naturalmente, questa visione, diciamo, "nazional-popolare" ha il respiro corto. E lo ha proprio a partire
dal concetto di "dimostrazione".
Il concetto di "dimostrazione" è il concetto classico che la filosofia greca ha della scienza.
Platone affermava che le opinioni, nel momento in cui vengono "legate" (da nessi logici) diventano "fisse",
e che quindi diventano scienza. Aristotele (in concordanza con il principio della "sostanza") affermava che
la conoscenza è conoscenza delle cause per cui un oggetto non può essere diverso da com'è. E chiamava tale
conoscenza "conoscenza dimostrativa".
Naturalmente ci si è resi conto, in seguito, di come tale teoria poggi proprio sul concetto di "sostanza
necessaria" (Aristotele), e quindi ci si è resi propensi a considerare una metodologia diversa da quella
classica di "dimostrazione": la metodologia della "analisi descrittiva" (Bacone, e in seguito Newton, per il
quale l'analisi descrittiva consiste: "nel fare esperimenti ed osservazioni, e nel trarne conclusioni
generali per mezzo dell'induzione").
Di particolare rilievo, in seno alla metodologia dell'analisi descrittiva, sono le tesi del fisico, e filosofo,
Ernst Mach, che afferma: "i metodi attraverso i quali il sapere viene a costituirsi sono di natura economica
(poichè nascono dalla situazione di squilibrio tra il numero delle reazioni biologicamente importanti e la
varietà illimitata delle cose esistenti - ecco perchè la "categorizzazione" è alla base di ogni sapere). E'
da questo concetto che egli arriva ad affermare "addirittura" la decadenza di ogni differenza fra l'elemento
fisico e quello psichico...
Successivamente a ciò, si è meglio esplicitato il carattere dubitativo della scienza, nonchè il suo
carattere "autocorrettivo". E si è proposto come criterio della validità scientifica il concetto di "falsificazione",
cioè il concetto secondo il quale una proposizione è scientifica solo se si pone, preliminarmente, la
condizione che essa possa essere contraddetta (la scienza, dice Popper, non è diretta alla verifica, ma alla
falsifica - cioè lo scienziato non cerca verifiche ad una tesi che egli dà per certa, ma cerca elementi
che quella tesi potrebbero contraddire: la prospettiva è ribaltata rispetto all'induzione, propria dell'analisi
descrittiva).
Naturalmente, questo genere di riflessione è estraneo alla scienza (la scienza, come afferma altrove Maral,
è incapace di riflettere su se stessa). Tuttavia, anche all'interno dello stesso pensiero filosofico si
tende a privilegiare un approccio (l'epistemologia) che trova nella scienza il solo fondamento possibile del
sapere.
In relazione a questo, la mia domanda è: che fine fa la "scienza prima", la metafisica? Davvero non sentiamo
più il bisogno di essa? Davvero essa non ha più nulla da dirci?
Se, io trovo, intendessimo le cose secondo una primigenia distinzione fra "physis" e "nomos", allora
vedremmo che della metafisica non è possibile fare a meno; e che la filosofia, oltre a non poter ridursi a
mera scienza (ma questo solo chi pensa in maniera "nazional-popolare" lo può supporre), non può nemmeno
ridursi alla sola riflessione sul sapere scientifico.
Un saluto a tutti voi.



PRIMA PARTE

Questa impressione di cui parli secondo la quale nel pensiero attualmente dominante in Occidente la filosofia sarebbe sorpassata e il conoscere razionale si limiterebbe alla scienza é condivisa (con totale disapprovazione del suo oggetto) anche da me, che pure credo di collocarmi in una posizione approssimativamente “intermedia” fra “iperumanisti - antiscientisti” e “ipernaturalisti – scientisti”, con i entrambi i quali ho duramente polemizzato nel forum (chiedo scusa per questi termini virgolettati, sicuramente caricaturali e dunque fastidiosi per entrambi i denotati: li uso solo per intenderci, senza implicazioni polemiche in questo caso specifico).

Per parte mia di razionalista (credo) conseguente ritengo che la scienza vada essa stessa sottoposta a critica razionale onde valutarne significato, limiti, condizioni alle quali può essere considerata vera (cosa che i ricercatori scientifici in quanto tali non fanno; talora lo fanno, praticando comunque in questi casi “non professionalmente“, e a mio avviso spesso di fatto malamente, la filosofia della scienza. Non farlo ma aderire acriticamente alla conoscenza scientifica, come fanno quelli che vengono detti “scientisti”, costituisce a mio avviso una forma di irrazionalismo; o per lo meno di razionalismo molto limitato, non affatto conseguente).

In proposito mi piace citare (credo di averlo già fatto anche qui nel forum) un' affermazione del mio amatissimo Friedrich Engels polemica verso gli scienziati positivisti del suo tempo i quali, trascurando e disprezzando la filosofia come "vecchio carpame antropomorfo superato" (ma in realtà di umanismo e non di antropomorfismo si tratta), finivano per cadere inevitabilmente vittime dei peggiori residui volgarizzati e mal compresi di filosofie da gran tempo superate; e questo tanto più quanto più disprezzavano la filosofia.

Da questo fra l' altro consegue, secondo me, che i ricercatori che disprezzano e trascurano la filosofia (di fatto la stragrande maggioranza) tendano ad iperpecializzarsi e a finire per vedere non l' albero, ma addirittura la singola venatura della singola foglia dell' albero, ignorando non solo la foresta, ma anche l' albero, e financo il particolare ramo che la regge ed il resto della foglia che eccede il piccolo tratto di venatura di loro competenza; e di conseguenza anche a fare affermazioni talora ridicolmente insensate ed assurde (in particolare nelle interviste che cercano di rilasciare con una certa “ingordigia” e nei loro scritti divulgativi).

E questo ovviamente è tanto più vero quanto più si pronunciano circa questioni di carattere generale, come l' origine dell' universo, la natura dei costituenti (pretesi) ultimi della materia o il cosiddetto “principio antropico” (considero quest’ ultimo l' esempio più paradigmatico di questa inevitabile caduta in preda ai peggiori residui volgarizzati di filosofie di gran lunga superate e sostanzialmente irrazionalistiche conseguente alla pretesa di fare a meno della filosofia di cui parla -anche "profeticamente" per il nostro tempo- Engels).

I limiti di validità della conoscenza scientifica, generalmente ignorata da scienziati e scientisti, secondo me comprendono (non consentono di superare) l' intersoggettivo e il misurabile secondo rapporti esprimibili mediante numeri (e di conseguenza matematicamente calcolabile), cioè il mondo materiale naturale (in sostanza la cartesiana res extensa); il quale non costituisce affatto la totalità di ciò che é reale (chi lo ritenga, a torto, é costretto: o a identificare erroneamente la coscienza e il pensiero immediatamente con la materia -cerebrale- o con aspetti funzionali -fisiologici oppure computazionali- di essa o con qualcosa che del tutto oscuramente e vagamente ne “emergerebbe” o vi “sopravverrebbe”, o addirittura (é il caso degli “eliminativisti”, come i Churchland) a negarne l'esistenza contravvenendo l' evidenza dei fatti (la scienza non tratta delle esperienze coscienti soggettive, dei qualia che le costituiscono; ergo: peggio per le esperienze coscienti soggettive! Esattamente proprio nello stesso identico modo, con lo stesso identico atteggiamento -quanto mai irrazionalistico!- con cui gli aristotelici contemporanei di Galileo dicevano: “Aristotele non ha parlato di ciò che si vede col telescopio; ergo: peggio per ciò che si vede col telescopio!”.

Un altro limite é costituito dalla non dimostrabilità (ma assumibilità arbitraria, “per fede”) di alcuni presupposti indispensabili per la possibilità della conoscenza scientifica (conditoines sine qua non perché essa sia vera conoscenza), a cominciare dall' inferenza per induzione, direttamente discendente dalla critica humeiana del concetto di causa e a sua volta direttamente all’ origine all' origine del falsificazionismo popperiano da te citato.


(Continua; che bello poter discutere di nuovo direttamente con l' amico Mauro, che saluto cordialmente!).

Ultima modifica di sgiombo : 22-09-2013 alle ore 09.08.54.
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Vecchio 21-09-2013, 16.29.20   #3
sgiombo
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Originalmente inviato da 0xdeadbeef
Si ha spesso l'impressione (talvolta la si ha anche leggendo gli interventi in questo forum) che, nell'età
contemporanea, non si sia più capaci di distinguere la filosofia dalla scienza.
Si ha l'impressione che le persone pensino che la filosofia sia, come dire, sorpassata dai tempi. Che tutto
il sapere; tutto l'amore per il sapere; riguardi solo e soltanto la scienza. La quale, disponendo di strumenti
efficaci di osservazione empirica, ha ormai completamente sostituito una filosofia che, mancando degli stessi
strumenti, poteva soltanto intuire, o ipotizzare, quel che, oggi, è "dimostrato".
Naturalmente, questa visione, diciamo, "nazional-popolare" ha il respiro corto. E lo ha proprio a partire
dal concetto di "dimostrazione".
Il concetto di "dimostrazione" è il concetto classico che la filosofia greca ha della scienza.
Platone affermava che le opinioni, nel momento in cui vengono "legate" (da nessi logici) diventano "fisse",
e che quindi diventano scienza. Aristotele (in concordanza con il principio della "sostanza") affermava che
la conoscenza è conoscenza delle cause per cui un oggetto non può essere diverso da com'è. E chiamava tale
conoscenza "conoscenza dimostrativa".
Naturalmente ci si è resi conto, in seguito, di come tale teoria poggi proprio sul concetto di "sostanza
necessaria" (Aristotele), e quindi ci si è resi propensi a considerare una metodologia diversa da quella
classica di "dimostrazione": la metodologia della "analisi descrittiva" (Bacone, e in seguito Newton, per il
quale l'analisi descrittiva consiste: "nel fare esperimenti ed osservazioni, e nel trarne conclusioni
generali per mezzo dell'induzione").
Di particolare rilievo, in seno alla metodologia dell'analisi descrittiva, sono le tesi del fisico, e filosofo,
Ernst Mach, che afferma: "i metodi attraverso i quali il sapere viene a costituirsi sono di natura economica
(poichè nascono dalla situazione di squilibrio tra il numero delle reazioni biologicamente importanti e la
varietà illimitata delle cose esistenti - ecco perchè la "categorizzazione" è alla base di ogni sapere). E'
da questo concetto che egli arriva ad affermare "addirittura" la decadenza di ogni differenza fra l'elemento
fisico e quello psichico...
Successivamente a ciò, si è meglio esplicitato il carattere dubitativo della scienza, nonchè il suo
carattere "autocorrettivo". E si è proposto come criterio della validità scientifica il concetto di "falsificazione",
cioè il concetto secondo il quale una proposizione è scientifica solo se si pone, preliminarmente, la
condizione che essa possa essere contraddetta (la scienza, dice Popper, non è diretta alla verifica, ma alla
falsifica - cioè lo scienziato non cerca verifiche ad una tesi che egli dà per certa, ma cerca elementi
che quella tesi potrebbero contraddire: la prospettiva è ribaltata rispetto all'induzione, propria dell'analisi
descrittiva).
Naturalmente, questo genere di riflessione è estraneo alla scienza (la scienza, come afferma altrove Maral,
è incapace di riflettere su se stessa). Tuttavia, anche all'interno dello stesso pensiero filosofico si
tende a privilegiare un approccio (l'epistemologia) che trova nella scienza il solo fondamento possibile del
sapere.
In relazione a questo, la mia domanda è: che fine fa la "scienza prima", la metafisica? Davvero non sentiamo
più il bisogno di essa? Davvero essa non ha più nulla da dirci?
Se, io trovo, intendessimo le cose secondo una primigenia distinzione fra "physis" e "nomos", allora
vedremmo che della metafisica non è possibile fare a meno; e che la filosofia, oltre a non poter ridursi a
mera scienza (ma questo solo chi pensa in maniera "nazional-popolare" lo può supporre), non può nemmeno
ridursi alla sola riflessione sul sapere scientifico.
Un saluto a tutti voi.


SECONDA PARTE

C'é poi un' altro aspetto dello scientismo acritico che però a mio avviso va piuttosto ascritto ai rapporti sociali dominanti intrinsecamente irrazionalisti e del tutto inadeguati (pericolosissimamente per le sorti dell' umanità!) al livello ormai da tempo raggiunto dalle conoscenze scientifiche e dalla conseguente capacità umana di trasformazione (nel bene e nel male, a nostro vantaggio e a nostro svantaggio) del mondo in cui viviamo.
Questo é costituito dalla pretesa di applicare le tecniche che la scienza ci mette a disposizione o per lo meno ci perfeziona, affina, potenzia (spesso storicamente hanno di fatto preceduto e favorito le conoscenze scientifiche pure o teoriche, anzichè viceversa) indiscriminatamente, onde “fare acriticamente tutto ciò che é possibile fare” (l' irrazionalità di un siffatto atteggiamento mi pare semplicemente lapalissiana), indipendentemente da qualsiasi considerazione etica, ma anche da qualsiasi considerazione pacchianamente individualistica-edonistica, nichiliistica, dettata dalla più gretta e meschina “volontà di potenza” circa gli effetti indesiderati ma inevitabili a maggiore o minore distanza di tempo e di spazio di ogni applicazione tecnica-pratica delle conoscenze scientifiche.

Mi sembra del tutto evidente che questo non sia imputabile alla scienza ma all'uso che della scienza inevitabilmente impone di fare un' organizzazione sociale basata sulla proprietà privata dei mezzi di produzione (mi scuso con i politicamente corretti per lo spiacevole effetto vagamente “retrò” che può fare loro -non certo a me!- questa terminologia) e sulla ricerca del massimo profitto individuale (di ciascuna impresa in concorrenza con tutte le altre, senza alcun calcolo e alcuna coordinazione delle produzioni e dei loro effetti complessivi prossimi e remoti, voluti e non voluti) a breve termine temporale e ad ogni costo (etico, sociale, ambientale).

Quella che tu chiami “metafisica” credo possa identificarsi (altrimenti non ti capisco), oltre che con la filosofia della scienza e più in generale la gnoseologia e la logica, con le “scienze (così impropriamente dette) umane”: storia, sociolologia, politica, psicologia, etica, estetica, ecc.: tutti campi del sapere nei quali gioca un ruolo decisivo il pensiero (la cartesiana res cogitans), il quale non presenta quegli elementi di intersoggettività chiaramente riconoscibili e "stabilibili" e di misurabilità numerica e conseguente calcolabilità matematica che consentono la conoscenza scientifica del mondo naturale materiale (la res extensa) ma che non per questo non sono possibili oggetti di conoscenza generale-astratta (sia pure, com’ è ovvio, non matematicamente formalizzabile e calcolabile, e dunque con notevoli elementi di vaghezza e incertezze, incomparabilmente maggiori di quelli delle “scienze naturali”: in questi campi non si possono definire leggi esprimibili con equazioni matematiche né applicarle per CALCOLARE -letteralmente- eventi). Conoscenze che malgrado ciò non sono (anzi!) meno importanti delle conoscenze scientifiche naturali per operare scelte le più adeguate possibili per il benessere umano (che mi sembra lapalissiano non possa derivare dall' acritica applicazione dei mezzi che le tecniche ci forniscono alla realizzazione di qualsiasi cosa se ne possa ottenere a casaccio).

Ultima modifica di sgiombo : 22-09-2013 alle ore 09.12.25.
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Vecchio 22-09-2013, 01.51.01   #4
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@ Sgiombo
Dunque, carissimo Giulio, mi è davvero difficile trovare nella tua risposta (o "nelle") un qualche elemento
sul quale io non sia d'accordo.
Di particolare rilievo, trovo, è il tuo porre l'accento sulla questione dei rapporti sociali, che mi riporta
alla mente quanto diceva E.Mach a proposito della decadenza di ogni differenza fra l'elemento fisico e quello
psichico.
Non che con ciò, naturalmente, io voglia insinuare che, ad esempio, la terra gira su se stessa perchè la
volontà di Copernico ha deciso in tal modo. Ma, certo, non porsi come "problema" quel che Heisemberg disse
chiaramente nel suo "principio di indeterminazione" (in estrema sintesi: l'osservato dipende dall'osservatore),
vuol dire riportare la scienza allo stadio aristotelico della determinazione. Con gli annessi e i connessi
che quella visione implicava (l'affermazione della Verità scientifica - e non a caso aveva torto il telescopio...).
Non nutrire però alcuna speranza: mai la "comune vulgata" farà lo sforzo di comprendere, a fondo, quel che
la stessa scienza ci ha detto (ho forse citato qualche filosofo?). E sempre sarai bollato come "retrò" (che
è, esso stesso, termine anti-scientifico).
Ma perchè succede questo (eccola, la metafisica....)? A mio avviso, succede perchè una volta tramontate le
Verità "indiscutibili" (quelle religiose in primis, ma anche quelle che ci vengono dai cosiddetti "valori
della tradizione") abbiamo avuto bisogno di sostituirle con qualcosa di equivalente. Ed ecco allora la Verità
scientifica, affermata oggi più che mai, ed in barba alla stessa storia della scienza.
Dice Maral altrove: "un buon chimico non ha bisogno di conoscere la storia della chimica". Esattamente come
un buon scienziato non ha bisogno di conoscere la differenza filosofica fra "verità" e "validità". Anzi, i
"padroni del vapore" saranno ben contenti che egli parli di "verità", piuttosto che di "validità", se quella
verità verrà a buon pro loro (ed è facile che così avvenga - "accidenti" a parte - visto che si finanzia un
certo programma di ricerca piuttosto che un altro).
Ti sei mai chiesto perchè in un paese come gli USA, che bene o male sono di grande tradizione liberale (e
quindi di grande tradizione filosofica "empirista"), hanno così grande successo certe teorie retrive ed
anti-scientifiche che trovano la loro espressione politica nel "neoconservatorismo"?
Hai letto come, negli ultimi tempi, le posizioni del Papa siano state ferocemente attaccate anche all'interno
del cattolicesimo americano? E perchè avviene questo, lì dove, diciamo, "non dovrebbe accadere"?
La mia risposta è quella cui accennavo poco sopra: all'uomo non basta una aleatoria "validità"; l'uomo vuole
vivere di certezze. E se le certezze non vengono più da Dio o dalla tradizione, ecco allora che la certezza
viene ri-costruita altrove (l'Inflessibile si ricostituisce sempre, direbbe Severino).
Ora, mi sto rendendo conto che l'esempio americano non è fra i più esplicativi (cioè, lo è, ma a prima vista
sembrerebbe contraddire quel che dico, e avrei bisogno di fare ulteriori specificazioni), perchè il neoconservatorismo
predica (sembra predicare) i valori della tradizione, mentre qui stiamo discutendo della Verità scientifica
(diciamo allora che avremmo bisogno di guardare agli USA di qualche decennio fa). Una Verità scientifica che,
dunque, ha sostituito le Verità che, soprattutto con Nietzsche, sono "morte con Dio".
Non vedi tutta questa smania di "sicurezza" (negli ultimi tempi l'unica "sicurezza" è quella di morire di
fame...)? Non ti fa pensare ad un bisogno "intrinseco" dell'uomo?
Insomma Giulio, ti ho dato una risposta confusa, e certamente non soddisfacente (sarà l'ora?). Vedi tu se riesci
a cavarne un qualche spunto di riflessione.
Ti saluto affettuosamente (vado a letto, che domani mi aspetta quel che ben sai...), ciao.
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Vecchio 22-09-2013, 08.08.21   #5
Eretiko
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Originalmente inviato da 0xdeadbeef
In relazione a questo, la mia domanda è: che fine fa la "scienza prima", la metafisica? Davvero non sentiamo
più il bisogno di essa? Davvero essa non ha più nulla da dirci?
Se, io trovo, intendessimo le cose secondo una primigenia distinzione fra "physis" e "nomos", allora
vedremmo che della metafisica non è possibile fare a meno; e che la filosofia, oltre a non poter ridursi a
mera scienza (ma questo solo chi pensa in maniera "nazional-popolare" lo può supporre), non può nemmeno
ridursi alla sola riflessione sul sapere scientifico.
Un saluto a tutti voi.

Innanzitutto non si capisce cosa intendi quando dici che riguardo alla scienza si pensa in modo "nazional-popolare", e detto riguardo a uno dei paesi piu' anti-scientifici (Italia) sembra quasi un'affermazione comica.
Riguardo alla "metafisica", forse e' proprio ai filosofi che sfugge un particolare piccolo ma decisivo: le teorie scientifiche sono "metafisiche" nel senso letterale della parola, perché esse vengono formulate sulla base di astrazioni (gli esperimenti ideali) e con un linguaggio astratto (quello matematico) che i filosofi sembrano avere qualche problematica ad accettare e assimilare.
Eretiko is offline  
Vecchio 22-09-2013, 21.40.24   #6
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@ Eretiko
Hai ragione per quel che riguarda il termine "nazional popolare"; un termine infelice che ho usato per
definire colui che pensa in maniera superficiale, e che si fa condizionare dai "si dice" comuni.
Ne avrei dovuto usare un'altro, e soprattutto perchè quel riferimento alla nazione non c'entra un fico.
Sulla "metafisica" invece rimango molto perplesso dal tuo (oltremodo sintetico) ragionamento.
L'etimologia del termine è chiara: "dopo" la fisica, cioè "al di là", "oltre" di essa. Il significato che
la filosofia dà, storicamente, al termine è quello di "scienza prima", ovvero di scienza che ha come proprio
principio quel principio che condiziona la validità di tutti gli altri principi. La metafisica è, ovvero, la
scienza degli enti considerati nelle loro relazioni più generali.
Il significato del termine "metafisica" è così comunemente conosciuto, in filosofia, che ho ritenuto non
necessaria una sua specificazione.
Non vedo, comunque, la decisività di cui parli a proposito delle teorie scientifiche formulate sulla base di
astrazioni (se tu fossi così cortese da spiegarmi in cosa consiste...)
ciao
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Vecchio 22-09-2013, 21.44.35   #7
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Originalmente inviato da Eretiko
Innanzitutto non si capisce cosa intendi quando dici che riguardo alla scienza si pensa in modo "nazional-popolare", e detto riguardo a uno dei paesi piu' anti-scientifici (Italia) sembra quasi un'affermazione comica.
Riguardo alla "metafisica", forse e' proprio ai filosofi che sfugge un particolare piccolo ma decisivo: le teorie scientifiche sono "metafisiche" nel senso letterale della parola, perché esse vengono formulate sulla base di astrazioni (gli esperimenti ideali) e con un linguaggio astratto (quello matematico) che i filosofi sembrano avere qualche problematica ad accettare e assimilare.

L’ obiezione non è rivolta a me, ma mi viene spontaneo di rispondere che non è affatto comico rilevare come anche in Italia (ma gli USA con i loro potentissimi e numerosi fanatici antidarwinani non sono da meno dell’ Italia, quanto ad “antiscientificità”) esiste un diffuso scientismo “nazionalpopolare”, cioè una credenza acritica in tutto ciò che gli scienziati affermano (anche parlando di cose non scientifiche); scientismo acritico accompagnato da vari altri tipi di irrazionalismo e superstizioni, anche peggiori secondo me (ma ciò non fa affatto della fede acritica in tutto ciò che affermano gli scienziati un atteggiamento razionalistico).

Secondo me è una delle tante forme di irrazionalismo coltivate dal potere per conservarsi e conservare gli iniquissimi privilegi che difende; forme di irrazionalismo coltivate in parte in modo diversificato presso le varie componenti più o meno istruite della società (dagli immigrati che conoscono poco o male la nostra lingua -pur essendo magari coltissimi; oppure ignorantissimi-, ai semianalfabeti autoctoni, agli ultras del calcio chiacchierato, ai lettori di Repubblica e Corriere, a quelli di Libero e Giornale, a quelli del Sole 24 ore, ecc.), in parte indiscriminatamente presso le stesse persone (non sono pochi quelli che credono per fede all’ esistenza dei buchi neri perché l’ ha detto Hawking e contemporaneamente -e secondo me alquanto coerentemente nella loro credulità acritica- negli oroscopi e nei miracoli di Padre Pio, e anche nel fatto che prima o poi si inventeranno tecniche -immaginarie- in grado di salvarci dagli enormi danni ambientali provocati dalle tecniche -reali- odierne).


P.S.: A quanto obiettato da Oxdeadbeef a me, poiché richiede maggiore impegno da parte mia, mi riservo di rispondere nei prossimi giorni.

Ultima modifica di sgiombo : 23-09-2013 alle ore 08.10.15.
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Vecchio 23-09-2013, 00.40.01   #8
Eretiko
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Originalmente inviato da 0xdeadbeef
...Non vedo, comunque, la decisività di cui parli a proposito delle teorie scientifiche formulate sulla base di
astrazioni (se tu fossi così cortese da spiegarmi in cosa consiste...)
ciao

Una teoria si basa su un modello ideale, che e' un'astrazione piu' o meno aderente alla realta'. Su questo modello si costruisce la teoria con un linguaggio astratto come quello matematico e basandosi su esperimenti mentali (o ideali).
Questo e', o dovrebbe essere, appunto "decisivo" a far comprendere che in sostanza una teoria scientifica si basa su una "metafisica" (letteralmente, in base anche alla definizione che hai dato).
A riprova di cio' basta riflettere su due delle piu' imponenti e rivoluzionarie teorie fisiche della storia: la meccanica di Newton e la relativita' di Einstein, entrambe formulate senza praticamente far ricorso ad esperimenti reali (Newton fece sicuramente l'esperimento sul pendolo per determinare la differenza tra massa inerziale e massa gravitazionale, mentre Einstein credo che non abbia mai messo piede in un laboratorio).
Eretiko is offline  
Vecchio 23-09-2013, 13.36.44   #9
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@ Eretiko
Ora, non sono in grado di entrare nello specifico per quel che riguarda la scienza, ma mi sembrerebbe proprio
che Einstein, quando è arrivato alla formula dell'energia, non ha avuto bisogno di considerare la realtà o
l'irrealtà di un principio "primo". Egli, cioè, ha avuto bisogno di considerare il solo principio dell'energia,
senza considerare le relazioni che questa ha con tutti gli altri enti (ha forse considerato, oltre all'energia,
alla massa ed alla velocità, un ente come il "nomos" - o enti siffatti?).
Egli ha certamente "astratto", matematicamente, dalla realtà empirica; ma non ha certamente fatto della
"metafisica", almeno se ci atteniamo al significato "storico" di questo termine.
ciao
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Vecchio 23-09-2013, 14.41.37   #10
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@ Sgiombo
Sugli USA vorrei dire qualche parola che chiarifichi un pò meglio quanto dicevo nella precedente risposta.
Innanzitutto, sgombriamo il campo da quella "tuttologia" cui siamo abituati, per cui un americano è sempre
un americano (ho un'amica di New York che, anni fa, mi disse che i newyorkesi sono molto più in sintonia
con gli europei che con gli abitanti del Texas, o dell'Alabama). Gli USA sono un paese "grande" (oltre che
un grande paese), per cui certe generalizzazioni risultano davvero fuori luogo.
Anni orsono studiai piuttosto approfonditamente il "fenomeno neocon"; un fenomeno che, rigurgiti "obamiani"
a parte, rappresenta davvero significativamente quella che è la "pancia" dell'America.
Trovo estremamente interessante la posizione che i neocon hanno nei confronti della scienza. Essi non distinguono,
come invece fece il medioevo inglese (G.D'Ockam), fra la religione e la scienza. Essi dicono esplicitamente
che la scienza ha torto quando afferma qualcosa di contrastante con la religione. La "pancia dell'America"
non distingue fra "ratio" e "fides"; per essa la religione non è certamente quell'"absurdum" che fu per certa
Patristica latina (e che ritroviamo nel francescanesimo di Oxford e Cambridge): per essa "ratio" e "fides"
coincidono.
Tutto ciò vuol dire che la pancia dell'America, quando affermala Verità della tradizione, non la intende come "possibilmente"
contraria alla Verità scientifica. Inutile dire che, in tale forma-mentis, il "dubbio" è espunto
in radice, e la certezza trionfa incontrastata.
In tale "sostrato" culturale, emerge ad un certo punto (dal dopoguerra in poi) la filosofia, prima, e poi
la vera e propria politica neocon. Consci dell'insostenibilità teorica di tali posizioni, i filosofi
formatisi all'Università di Berkeley si rivolgono al pensiero di Leo Strauss allo scopo di dare una solida
legittimazione filosofica alle loro tesi (o, più presumibilmente, avviene il contrario, cioè che questi
filosofi "straussiani" si rivolgono alle teorie conservatrici allo scopo di procurarsi una solida base politica).
Ma che diceva Leo Strauss di così tanto interessante per loro? Strauss, ebreo, fu un allievo di Heidegger, che pone
alla base di tutta la sua impalcatura filosofica questa osservazione: "se anche Heidegger ha aderito al nazismo,
allora la modernità è radicalmente malata" (non che avesse tutti i torti...).
Questa osservazione porta Strauss ad elaborare la teoria della "doppia verità" (che ha radice in Avicenna):
una verità è per il popolo, una è per i sapienti.
La verità per il popolo è Dio, sono i valori morali, è la tradizione. Quella per i sapienti (che poi è null'altro
che la "vera" verità...) è la volontà di potenza, è il lupo che mangia la pecora. Ed essa è solo per i
sapienti, per gli "oltreuomini" di nietzschiana memoria, perchè essi sono i soli che sanno portarne il
tremendo peso esistenziale.
Insomma: la bugia è filosoficamente legittimata. E di bugie, soprattutto durante la presidenza di G.W.Bush (il
periodo in cui i neocon hanno goduto di maggior spolvero), ne abbiamo sentite tante...
Tanto ti dovevo
ciao
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