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Vecchio 08-03-2014, 14.51.39   #31
gyta
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Data registrazione: 02-02-2003
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Riferimento: il senso de "il lavoro rende liberi"

Citazione:
Colui che ha sganciato la bomba atomica, ha semplicemente detto eseguivo ordini. Ma nessuno di noi dice nulla. Lui non sapeva.
Lui si sentiva onesto esattamente come il soldato che ubbidiva agli ordini dell'ufficiale nazista.
E' questo il punto! Perchè lui non sapeva di essere disonensto? La risposta che in questo secolo si sta provando a dare, è perchè lui non aveva eseguito un lavoro intellettuale.

Da qui (e non solo) la frase che sempre più spesso (spero) si sentirà dire:" il lavoro è solo intellettuale."

Riassumendo chi decide se essere onesto o meno? chi decide che quell'uomo che subisce una tortura è ancora un uomo capace di onestà.

Siccome vedo che ci sono credenti in questo forum, perchè gesù si sente abbandonato dal padre, mentre torturato?
Non era egli forse sicuro della sua onestà?
Ci sono dei messaggi incommensurabili nella tradizione cattolica, intuizioni radicali sulla verità dell'uomo.

Ma spesso vengono dimenticate...e allora il sacrificio dell'innocente forse non è una cosa così facile, così indolore...è una questione metafisica che deve fare conto della fisica biologica, vedasi le tecniche di manipolazione mentale dei terroristi afgani.(vedasi i film della Bigelow per intenderci).

E' per questo che accettare il martirio per me rimane una barbarie intellettuale.
Il punto che sollevi non è da poco..
E francamente capisco solo ora cosa intendevi esprimere precedentemente..
Ma allora a questo punto la risposta è in queste tue stesse parole:
Citazione:
Il tema del lavoro è centrale, ma fin quando parliamo di autosussistenza a me vien da ridere.
Possiamo ancora parlare di sussistenza in un mondo dove l'80% del lavoro è terziario??
Un mondo dove sono le banche e la finanza a decidere?
erchè non parliamo invece del fatto che il lavoro è quasi una istanza di normalità statale, e cioè chi non lavora è considerato come un reietto e anzi no, io direi come un malato.
perchè il fatto di non lavorare deve essere per forza sinonimo di incapacità di stare al mondo.

Francamente di reale e di critico questo mondo non ha nulla
Purtroppo la propria identità l'uomo l'ha persa già nel 900, di quale onestà si sta parlando dunque? Riferita a quale uomo?

Non sto dicendo che la tensione all'onestà deve, dunque, venire meno, la speranza fa parte dell'uomo, ma del fatto che quella tensione se non tiene conto dell'aberrazione del concetto di lavoro, risulterà compromessa alla radice della sua costituzione come idea.

Come se ne esce??
Come, se non lottando per un diritto all’interezza?
Un interezza però che non potrà che essere conquistata
coi denti da chi ancora un’identità sente di possederla..
Non è facile una risposta.. Forse resta solo quella speranza
e l’energia dell’indignazione.. di chi è ancora capace di indignarsi..
Come posso consegnare una risposta degna?
Tutto.. troppo da cambiare dalle fondamenta..
e troppo sonno.. troppa nebbia a disperdere le tracce di una coscienza
che comunque ci appartiene..
Il mio sorriso di un tempo di molto è scemato..
quando pensavo che per cambiare il mondo
sarebbe bastato di cambiare me, la mia coscienza..
spalleggiata da altre coscienze dalle medesime mire..
difficile non confondersi.. difficile mantenere lo sguardo lucido..
quando il confine fra la dignità, la coscienza di sé e l’impotenza è labile..
quando senti il patto sociale sbriciolato in disperse solitudini..
e la stanchezza corrode persino il senso stesso di dignità e interezza..
Avrei dovuto restare in silenzio.. spaventata da una risposta che non riesco più
con tutta me stessa a sostenere..
Forse questa indignazione, questa rabbia potrà essere l’unica risposta
ad un’energia logorata da un silenzio politico troppo grave..
Forse allora una coscienza autentica potrà emergere
dalla cenere di una distruzione andata ormai troppo oltre..
da una disperazione impossibilitata ad un certo punto
a restare nei confini di classe..
gyta is offline  
Vecchio 08-03-2014, 17.09.18   #32
sgiombo
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Data registrazione: 26-11-2008
Messaggi: 1,234
Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?

Sgiombo:
Obietto solo alle affermazioni che più disapprovo (questa discussione non mi ha quasi per nulla coinvolto (mi sono imbattuto quasi per caso nelle brevi affermazioni di CVC che ho trovato assolutamente condivisibili, sentendo il bisogno di esprimare la mia approvazione).



Green&grey pocket:
L'effettiva cura degli psicofarmaci non esiste, essi sono solo forme lenitive.
Forme che appunto colpiscono solo il sintomo.

Sgiombo:
Sono d' accordo.
Ma penso che le cure psicologiche, e soprattutto quelle psicoanalitiche, non curino nemmeno i sintomi (non sono nemmeno cure sintomatiche, né semplici palliativi; cercando di sollecitare al massimo la mia generosità le potrei forse considerare, nei casi meno peggiori, dei placebo).



Green&grey pocket:
Quando si parla dell'importanza del giorno della memoria, non è perchè abbiamo prese le parti del popolo ebraico, ma perchè quell'evento storico è avvenuto quando nessuno poteva aspettarsi sarebbe avvenuto.

Sgiombo:
Trovo il cosiddetto "giorno della memoria" un' iniziativa vergognosamente razzista, che considera una (pretesa) razza, quella "ebrea" come "più uguale delle altre" non meno barbaramente perseguitate dai Nazisti e non solo, nel XX° secolo e non solo (pretendere che un razzismo sia del tutto diverso e peggiore di ogni altro razzismo é essere razzisti).



Green&grey pocket:
Purtroppo la propria identità l'uomo l'ha persa già nel 900, di quale onestà si sta parlando dunque? Riferita a quale uomo?

Sgiombo:
Per quel che mi riguarda, per esempio (fra i molti altri possibili) agli Arabi che hanno eroicamente combattuto (con i martiri Saddam e Gheddafi, fra gli altri, ai quali va tutto il mio rispetto e la mia ammirazione) e combattono la barbarie imperialistica occidentale, ai Venezuelani che combattono la loro rivoluzione bolivariana, a tutti coloro che nel mondo cercano di fare qualcosa perché gli iniqui, disumani e umanicidi assetti sociali dominanti vengano superati per tempo, così da salvare la nostra specie dall' autoestinzione.
sgiombo is offline  
Vecchio 08-03-2014, 22.21.12   #33
and1972rea
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Messaggi: 781
Riferimento: il senso de "il lavoro rende liberi"

Citazione:
Originalmente inviato da green&grey pocket
E' ovviamente una mia considerazione personale: ma la piega che ha preso questo thread la trovo una cosa assai grave.



Di tutte le posizioni assai discutibile questa è la più grave...mi sembra una negazione di cose che se sono esistite, hanno avuto una causa, e infatti hanno una spiegazione.(dalla Arendt a Anders fino alla loro ripresa oggi)
Far finta che non esistano, bollandolo come eretiche e quindi sostanzialmente non da leggere, impedisce un sano confronto con esse.
Rimando al mio post sugli effetti della ideologia (vedi caso Mel Gibson).

Ricordo ,sommessamente ,che il valore della testimonianza di qualunque imputato in un processo storico o giuridico che debba condurre ad una verita' storica o processuale, e' perfettamente superflua; pensare di ricomporre la verita' dell'Olocausto sulla scorta delle parole proferite da coloro che di quell'orrore furono sommamente colpevoli, sarebbe un voler dar credito alla buona fede di chi dimostro' tutto fuorche' la buona fede; detto questo , ribadisco che , a parer mio, l'etica cristiana e puritana del lavoro inteso come strumento di sacrificio attraverso cui guadagnarsi la benevolenza divina , la stima e la gratitudine del prossimo nulla c'entra con l'intento vessatorio e persecutorio organizzato nei campi di lavoro nazisti nei confronti di esseri umani non considerati mai come tali in quei tremendi contesti ( riguardo a Dachau , serbatoio di Auschwitz, consiglierei la lettura di esperienze veramente vissute , questo per rendersi conto del senso sprezzante, tutt'altro che cristiano, che i Nazisti davano al concetto di lavoro, io lessi quelle di Fridrich Volgger...)
and1972rea is offline  
Vecchio 09-03-2014, 11.44.03   #34
webmaster
Ivo Nardi
 
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Data registrazione: 10-01-2002
Messaggi: 957
Exclamation Riferimento: il senso de "il lavoro rende liberi"

Vi invito a tornare al tema della discussione il senso de "il lavoro rende liberi".
Non accetteremo altri post fuori tema, grazie.
webmaster is offline  
Vecchio 09-03-2014, 13.13.46   #35
maral
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Riferimento: il senso de "il lavoro rende liberi"

Tento di ricondurre la discussione al tema per evitare che si disperda in polemiche che possono anche essere di stimolo per altre argomentazioni specifiche, ma che qui stanno rischiando di degenerare in pure contrapposizioni di principio.
Allora il punto centrale di questa discussione è richiamato da queste 2 domande inizialmente da me introdotte:
Vorrei proporvi se volete una riflessione filosofica sul senso del lavoro e della libertà e della schiavitù a esso connessi: quale lavoro rende liberi e da cosa?
E se il lavoro viene sempre più a mancare ci ritroveremo domani più liberi o più schiavi di prima? Qual è il senso del lavorare?

Il lavoro, a mio avviso, è una manifestazione essenziale dell'essere umano in quanto tale, è espressione proprio come attività lavorativa della sua integrità esistenziale più profonda in quanto è capacità di fare e di sentirsi apprezzato per questo fare in cui l'uomo trova di che sostenersi indipendentemente e di riconoscersi. Anche il lavoro più alienante lo è, pur esprimendo una contraddizione fondamentale e del tutto angosciosa, perché nel lavoro alienante la mia capacità di fare è alienata da uno scopo che mi esorbita completamente, in esso io divento mezzo per altro, anche se questo altro mi gratifica con uno stipendio che mi permette di vivere continuando a lavorare per ciò in cui mi alieno.
In quanto manifestazione essenziale dell'essere umano progettare una società senza lavoro, come attualmente qualcuno prospetta, è a mio avviso assurdo quanto progettare una società tecnologica in cui il lavoro si misura solo in base alla sua funzionalità per altro (magari il profitto, aumentare il prodotto interno lordo o incrementare l'efficienza della macchina produttiva).
Questo non toglie che il lavoro sia stato e sia continuamente sentito dal potere come strumento di imposizione della schiavitù che assume il senso di una rieducazione sociale (come in tutti i campi di lavoro di tutte le epoche e di tutti i regimi) e di conversione a un meccanismo di potenza che illudendo di gratificare l'io individuale in realtà lo annienta in quanto lo riduce sistematicamente a mezzo per se stessa (si vive per lavorare).
Il lavoro si trova cioè oggi più che mai in bilico: esso rende a mio avviso effettivamente liberi, ma può certo rendere effettivamente schiavi (a volte anche senza accorgercene, a volte schiavi volontari che volontariamente accettano la propria dolorosa costrizione) e qui sta tutta la problematicità della questione che si traduce nell'interrogarsi sul come essa troverà sviluppo nel mondo contemporaneo e nel mondo futuro.
In sostanza se il lavoro rende liberi e in quanto tale è indispensabile per godere della propria libera e incondizionabile esistenza, come si può evitare che questo slogan diventi ancora una volta solo espressione di un enorme ipocrisia più o meno consapevole affissa all'ingresso di un campo di rieducazione economica e sociale in cui a mio parere rischia sempre di più di trasformarsi il mondo intero?
Un saluto
maral is offline  
Vecchio 10-03-2014, 02.26.11   #36
gyta
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Riferimento: il senso de "il lavoro rende liberi"

Citazione:
Il lavoro, a mio avviso, è una manifestazione essenziale dell'essere umano in quanto tale,
è espressione proprio come attività lavorativa della sua integrità esistenziale più profonda
in quanto è capacità di fare e di sentirsi apprezzato per questo fare in cui l'uomo trova di che sostenersi indipendentemente e di riconoscersi.

Anche il lavoro più alienante lo è, pur esprimendo una contraddizione fondamentale e del tutto angosciosa, perché nel lavoro alienante la mia capacità di fare è alienata da uno scopo che mi esorbita completamente, in esso io divento mezzo per altro, anche se questo altro mi gratifica con uno stipendio che mi permette di vivere continuando a lavorare per ciò in cui mi alieno.

Questo non toglie che il lavoro sia stato e sia continuamente sentito dal potere come strumento […]
di conversione a un meccanismo di potenza che illudendo di gratificare l'io individuale in realtà lo annienta in quanto lo riduce sistematicamente a mezzo per se stessa (si vive per lavorare).

Un lavoro tradotto in una modalità o finalità capace di alienare l’uomo a se stesso, capace di rendere l’uomo estraneo a se stesso, non è espressione di alcun riconoscimento tantomeno di una integrità esistenziale.
Sostenere il contrario significa a mio avviso tentare di non voler prendere coscienza
che finalità e modalità non siano fondamentalmente la medesima questione,
significa non avvertire l’alta tossicità di questa discriminazione.
Ho un sentire chiaro di fronte alla questione che mi porta ad affermare che
l’unica possibilità di coniugare un’autentica libertà al mondo del lavoro
sia quella di una maturazione profonda in seno alla cultura sociale e quindi politica.
Maturità culturale sociale e politica che radica su di una diretta personale profonda coscienza
intorno al significato di dignità umana. Qui il discorso si fa complesso, nel senso di articolato
che consta di molteplici chiarezze intorno al pensiero ed al sentire umano.
Di fronte questa complessità l’unica strada di luce possibile è quella profonda analitica.
Il sentimento di estraneità e separazione, differente dalla capacità del discriminare,
la risposta emotiva che la mente mette in atto nel tentativo di preservare se stessa,
annulla gradualmente la diretta coscienza di sé e del proprio sentire,
non viene ad assumere un compromesso con il senso di realtà
ma ne stravolge completamente il significato.
L’uomo “ad una sola dimensione” insomma
dove tra la presunta “oggettivazione” della realtà e l’individuo
non v’è fondamentalmente alcuna differenza, alcuna mediazione:
l’irrazionalità pura s’insinua come caposaldo della razionalità stessa.
Forse allora ho sbagliato nel mio precedente intervento a dichiarare che
dalle ceneri di una distruzione “andata troppo oltre” verrà il sorgere
di una coscienza autentica.. Forse non c’è un “oltre”..
Forse l’unico “oltre” non può che essere un autentico vomito individuale
una riappropriazione di quella razionalità autentica che sfocia come rifiuto
ad un senso dell’esistenza venduto come inderogabile, quella voce della disperazione
individuale che deve sfociare in una conversione autentica (o nella morte).
gyta is offline  
Vecchio 10-03-2014, 13.29.26   #37
paul11
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Riferimento: il senso de "il lavoro rende liberi"

Citazione:
Originalmente inviato da maral
....
Vorrei proporvi se volete una riflessione filosofica sul senso del lavoro e della libertà e della schiavitù a esso connessi: quale lavoro rende liberi e da cosa?
E se il lavoro viene sempre più a mancare ci ritroveremo domani più liberi o più schiavi di prima? Qual è il senso del lavorare?

....

Il lavoro è una necessità da sempre se vogliamo continuamente vivere.
Noi umani lo abbiamo fatto diventare un valore economico collegato al soggetto l’uomo.
Così che non è il lavoro ad essere soggetto al mercato della domanda e dell’offerta, ma è l’uomo in condizione di lavorare che presta la sua opera in cambio di denaro per poter vivere. La conseguenza è che senza la voro quell’uomo rischia di non avere un reddito.
Da ciò il lavoro è divenuto un obbligo per molti, peri privilegiati forse una scelta, e tanto più è obbligo e tanto più è facile che diventi alienazione.

Il tecnicismo e la modernità hanno continuamente separato l’uomo (essere) dai suoi predicati (le sue proprietà). Oggi l’uomo è cittadino per lo stato di diritto, è negoziazione nel contratto di lavoro, è diritto di famiglia nel ruolo del coniuge o del genitore, è diritto del malato quando ha problemi di salute, ecc.
E allora accade che il signor X quando lavora deve dimenticare i problemi familiari e di salute, quando è a casa in famiglia deve dimenticare lo stress del lavoro, ecc. Dell’”unità” del signor X non gli importa nessuno, ognuno nel contesto in cui si trova nel momento, desidera il meglio dai suoi “pezzi”.
Noi siamo e viviamo in un contesto che non ha una unità organica, ma siamo “pezzi” funzionali ad una organizzazione sociale ed economica, ed è chiaro che questo porta ad una “schizofrenia” umana.
In un ambiente del genere il sogno è vivere senza lavorare, per fare del proprio tempo ciò che ci piace egoisticamente.
La vita sta diventando una schiavitù ,nati per essere durante un percorso formativo che inizia dalla scuola(ma direi dalla famiglia) funzionali e allenati ai meccanismi sociali ed economici: non c’è scampo.

Non dovrebbe essere così, perchè il lavoro è una autogratificazione quando socialmente ci sentiamo utili agli altri e se corrisponde ad un proprio talento personale.
paul11 is offline  
Vecchio 10-03-2014, 22.38.54   #38
maral
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Riferimento: il senso de "il lavoro rende liberi"

Dunque secondo voi il lavoro è una schiavitù di cui occorre al più presto liberarsi (magari affidandolo alle macchine) oppure un mezzo di cui riappropriarsi per potersi sentire autonomamente realizzati?
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Vecchio 10-03-2014, 23.06.38   #39
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Riferimento: il senso de "il lavoro rende liberi"

Citazione:
Originalmente inviato da maral
Dunque secondo voi il lavoro è una schiavitù di cui occorre al più presto liberarsi (magari affidandolo alle macchine) oppure un mezzo di cui riappropriarsi per potersi sentire autonomamente realizzati?

se vogliamo intendere il lavoro come trasformazione del mondo, io lo immagino come dice assai bene paul, in una dimensione comunitaria, nel mio specifico mi piace quella cosmogonica ateniese, dove la felicità e non la libertà del singolo era intesa nel complesso rapporto "conosci te stesso per poter star meglio con gli altri", fulcro di tutta la filosofia focaultiana, con il problema tutto da pensare all'interno della polis, e cioè l'eterogeneo del fuori delle mura, che si cristallizza nello stato di diritto d'eccezione, che garantisce un eccessivo immobilismo, mai dimentichi però del problema della guerra così feroce (e perciò lontanto dal mio sentire) nel pensiero intramoenia-extramoenia eppur tanto presente che per la maggior parte parliamo sempre di utopie.
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Vecchio 11-03-2014, 04.57.48   #40
acquario69
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Riferimento: il senso de "il lavoro rende liberi"

Citazione:
Originalmente inviato da maral
Dunque secondo voi il lavoro è una schiavitù di cui occorre al più presto liberarsi (magari affidandolo alle macchine) oppure un mezzo di cui riappropriarsi per potersi sentire autonomamente realizzati?

forse un possibile scenario potrebbe essere questo;
il lavoro (per come si e' trasformato fino ai nostri giorni e per come lo intendiamo noi oggi) finirà per scomparire del tutto e il sistema basato su questo colassero' definitivamente…al suo posto verra il "lavoro" inteso pero come utilità al bene comune e non individuale...gia oggi penso si stia intravedendo un percorso del genere vedi per esempio,sistemi locali di produzione autogestita,scambi solidali,co-housing,l'invenzione di una moneta solidale,che viene scambiata solo attraverso il servizio che fai,utile per la comunità..
acquario69 is offline  

 



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