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Vecchio 21-04-2006, 13.51.56   #31
turaz
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comprendere il "tutto" significa sapere trovare i punti "unitari" attraverso la "separazione" iniziale (per la conoscenza)...senza fermarsi ad essa...ma andando "oltre" (trascendendo l'apparente dualità)
tutto E'.
non solo la spiritualità non solo la scienza.
Fusione

ciao
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Vecchio 22-04-2006, 00.11.16   #32
nexus6
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L'assemblaggio.

Chiedo venia, Gyta, ma il mio ultimo post era solo inteso a farti capire l’estrema difficoltà del sentiero che intendi percorrere, tutto qua.

Vedo che non ti tiri indietro dinnanzi agli scogli più ardui e ciò è buona cosa, ottima cosa; visto che ora ho più tempo vediamo un po’ (anch’io sono solito non tirarmi indietro...).

L’idea di base che vorrei perseguire è sempre quella della nostra percezione come essere ‘unitari’, integri, poiché forse i meccanismi che ci fanno percepire in questo modo “regolano” pure il modo in cui conosciamo il resto. Questo mio pensiero ho trovato che fosse aderente con alcuni meccanismi neurocerebrali “assaggiati” da me qua e là e di cui tenterò una breve sintesi (che poi si potrà approfondire), con l’aiuto del libro “Il Sé sinaptico” di LeDoux, che a questo punto consiglierei, pure se non l’ho letto tutto (è un bel mattone che però alleggerisce le tasche...).
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Il cervello “conosce” attraverso molteplici sistemi cerebrali in grado di assimilare e immagazzinare gli input esterni; vi sono sistemi dedicati alle emozioni, sistemi motori, sistemi sensoriali ecc...
A questo punto la domanda che sorge spontanea è appunto: come fanno tutti questi sistemi che svolgono compiti peculiarmente differenti a far sì che l’individuo si percepisca come tale? I vari sistemi apprendono cose differenti eppure non operano come una massa disorganizzata, ma consentono di formare pensieri, emozioni, motivazioni (la cosiddetta “trilogia mentale” ) che siano coerenti e non caotiche.

Vi devono evidentemente essere delle connessioni tra i vari sistemi ed effettivamente vi sono e di varia natura; anzi le connessioni tra i diversi sistemi cerebrali sono fondamentali, in quanto se avvenissero delle disconnessioni si andrebbe incontro a patologie (epilessia, schizofrenia ecc...). La commissurotomia che viene citata nel libro, ovvero (mi pare) la divisione chirurgica dei due emisferi tramite la recisione del corpo calloso (mi pare 2) , provoca delle patologie peculiari e straordinariamente “curiose” (ma qui è meglio non dilungarsi).

Vi è, dunque, un assemblaggio fondamentale tra i diversi output provenienti dai vari sistemi neurali: il prerequisito necessario è quello della plasticità cerebrale ovvero la capacità di riorganizzare le connessioni sinaptiche da parte dell’attività indotta dall’ambiente; importante è la prima fase della vita (l’infanzia). I geni sono anch’essi molto rilevanti, ma le connessioni sinaptiche si “perfezionano” sempre attraverso le esperienze della vita.

Come avviene tale assemblaggio?

Sistemi neurali differenti saranno coinvolti nella codifica di uno stesso “evento”; ognuno apprende e immagazzina aspetti di quella che poi verrà percepita come un’unica esperienza, cioè processa informazioni qualitativamente differenti: i suoni, le immagini, gli odori vengono processati da differenti sistemi neurali che codificheranno risposte differenti, ma lavorando essenzialmente in parallelo faranno sì che le codifiche si sovrapporranno, così da formare un’esperienza condivisa e coerente.

Un meccanismo che coordina questo lavoro in parallelo è la “sincronicità” tra sistemi neurali che comunicano tra loro; quest’ultima avviene tramite le diramazioni dei neuroni. In effetti nessun sistema è isolato. Il lavoro di base viene svolto dagli scambi sinaptici, perciò parlare di sincronicità vuol dire parlare di attività di “scarica” simultanea ovvero nel medesimo istante. Riassumendo, l’idea è che la plasticità in parallelo delle diverse aree cerebrali, che concorrono a quell’assemblaggio, lavorino in sincronismo proprio a livello fisiologico: il processo di base è appunto quello della comunicazione (scarica) tra un neurone e l’altro, mediato dai neurotrasmettitori presenti tra le sinapsi (che sono gli spazi tra i neuroni ovvero più precisamente tra gli assoni del neurone comunicante e i dendriti di quello ricevente l’impulso elettrico). Questa capacità di coordinazione tra le diverse regioni cerebrali richiede comunicazioni a lungo raggio nel cervello.

Tale elaborazione in parallelo è favorita proprio dall’azione di certi tipi di neurotrasmettitori chiamati “modulatori”, tra cui dopamina e serotonina tanto per citare quelli più conosciuti; le cellule che producono queste molecole sono distribuite, tramite i loro assoni, in tutto il cervello e questo fa capire come quando queste cellule vengono attivate, molte aree cerebrali ne risultino influenzate. Questi sistemi modulatori sono attivi nel corso di esperienze significative e sono in grado di facilitare in modo selettivo la trasmissione sinaptica, processando attivamente le informazioni che coinvolgono sistemi neurali distribuiti e facilitando così la plasticità sinaptica in tali circuiti che lavorano in parallelo. Riassumendo, l’azione a lungo raggio dei modulatori incrementa la probabilità che durante eventi importanti, sebbene sistemi differenti processino informazioni differenti, l’apprendimento e la memoria in questi sistemi si svolga in modo coordinato ovvero in parallelo, facilitando così il fatto che l’esperienza percepita sia “unica” seppur memorizzata simultaneamente in circuiti differenti.

Altro meccanismo, oltre al sincronismo ed ai modulatori chimici, che concorre all’assemblaggio è quello delle cosiddette “zone di convergenza”, nelle quali le differenti informazioni, provenienti dai circuiti che hanno fatto il loro parziale lavoro, vengono integrate; c’è da dire che questa convergenza si verifica prima nei sistemi e poi tra i sistemi ovvero le informazioni codificate dai vari circuiti subiscono già un processo di integrazione degli output dei vari sottosistemi che compongono i differenti sistemi neurali. Poi questi afferiscono nelle zone di convergenza. Tra le principali zone individuate dai neuroscienziati vi sono la corteccia parietale posteriore ed alcune aree della corteccia prefrontale. L’ippocampo integrerebbe addirittura i differenti output provenienti dalla varie zone di convergenza; questa neurofisiologia ci sta dicendo in parte quello che andiamo cercando: rappresentazioni sensoriali assolutamente indipendenti vengono sintetizzate, “unificate”, cito paro paro, in rappresentazioni mnestetiche che trascendono i singoli sistemi implicati nell’elaborazione iniziale. Pertanto, laddove differenti sistemi sono in grado di formare memorie autonome di aspetti isolati di un’esperienza, le memorie create all’interno di, o mediante una zona di convergenza sono poliedriche: comprendono informazioni estrapolate da diversi sistemi. Tali memorie riflettono l’esperienza complessiva dell’organismo, più che piccole parti o frammenti di un’esperienza registrata da altri sistemi. Tuttavia, poiché le piccole parti e i frammenti rappresentano le materie prime, c’è una sorta di unità esperienziale tra la memoria instaurata da una zona di convergenza e quella stabilita per mezzo delle sue connessioni inferiori.

Dunque le varie memorie sono estremamente coordinate e vengono integrate in queste zone di convergenza che forniscono, dunque, informazioni codificate efficaci, coerenti ed accessibili alle funzioni cognitive superiori (coscienza, pensieri, ecc...).

In ultimo, si tratta di capire che non solo vi è questo processo dal basso verso l’alto, ma è presente pure il meccanismo opposto che viene chiamato “causalità discendente”; i pensieri, le memorie che sono il risultato di innumerevoli processi convergenti, di sintesi, provvedono essi stessi ad “influenzare” il substrato cerebrale, attraverso la plasticità sinaptica, come un meccanismo di retroazione o feedback. L’attività cerebrale che costituisce ciò che è necessario per un pensiero dovrebbe perciò influenzare l’attività in altri sistemi implicati nella percezione, nel movimento ecc... e, dunque, costituire un mezzo attraverso il quale viene coordinata la plasticità in parallelo nei sistemi neurali (cito). Qui vi sarebbe molto altro da dire.
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Dunque, questo assemblaggio mi pare una operazione naturale di “sintesi neurofisiologica” che provvede a formare la nostra percezione complessa dell’unità interna, del Sé, attraverso la codifica e la convergenza di innumerevoli sensazioni sensoriali; tale percezione, tuttavia, ha un potere causale proprio sui singoli sistemi cerebrali che contribuiscono a crearla e perciò essa potrebbe essere fondamentale per tutta la nostra attività “conoscitiva”; tale tesi è affine a quella che ho esposto in uno dei post precedenti, in modo più “filosofico”.

Citazione:
Maxim scrive:
La scienza studia solo il lato morto delle cose. (nexus perdonami)
Non ti perdono ; ho capito ciò che intendi dire, ma questa frase suona comunque male... non trovi?


Ultima modifica di nexus6 : 22-04-2006 alle ore 00.21.37.
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Vecchio 22-04-2006, 01.42.30   #33
Weyl
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Sincronicità

L'attività elettrofisiologica del cervello si "sincronizza" in due sole condizioni: i ritmi theta del sonno ("treni" di onde lente, omogeneamente diffuse su tutto lo scalp, i quali accompagnano l'addormentamento) e le crisi comiziali a tipo "grande male".
Al contrario, il recupero di una condizione di "attenzione spontanea", nella veglia, coincide con una "desincronizzazione" dei ritmi elettroencefalografici.

Tuttavia, l'intuizione è corretta.
Ai tempi in cui studiavo il fenomeno, avevo elaborato una teoria matematica la quale riconduceva la linearità dell'esperienza cosciente (desincronizzata) ad un modello frattale in cui le "durate" si riproducevano, per gruppi neuronali compositi e progressivamente più "estensivi" alla linearità temporale.
Le attività proprie dei "gruppi", in effetti, la travalicavano, rendendo spiegabili anche i dati degli esperimenti di Libet.
L'applicazione della costante di Feigenbaum, come esponente caotico, al modello frattale delle attività complessive del tessuto neurale, apparentemente "linearizzava" i dati raccoglibili dei potenziali evocati cognitivi con quelli elettrofisiologici delle derivazioni standard di un qualsiasi tracciato.
Risultava persino possibile predire che, nella schizofrenia, tale metasincronia non poteva avvenire a causa di un eccesso di "strutture" in opera (e non di un "difetto" come supposto da ogni percorso di ricerca in atto).
Nella demenza, al contrario, il fenomeno, appiattendosi, avrebbe dovuto causare una "percezione" ipercontratta del tempo di durata delle percezioni consapevoli, rendendo impossibile un adeguamento agli standards testistici, ma non la "coscienza" in sè.
Infine, il "disaccoppiamento" delle funzioni mnestiche (date solo dal potere complessivo dei "gruppi" neuronali in opera) rispetto al coefficiente di linearità, comportava, secondo il modello, l'impossibilità di un insight se non laddove i "gruppi" preservavano una sufficiente complessità: ossia in un "presente iperesteso" e incompatibile con le attese sociali.
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Vecchio 22-04-2006, 16.44.27   #34
nexus6
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Red face tesi, antitesi, sintesi...?

Citazione:
Nexus, che poi dovrei essere io, ha scritto:
L’idea di base che vorrei perseguire è sempre quella della nostra percezione come essere ‘unitari’, integri, poiché forse i meccanismi che ci fanno percepire in questo modo “regolano” pure il modo in cui conosciamo il resto.
...
In ultimo, si tratta di capire che non solo vi è questo processo dal basso verso l’alto, ma è presente pure il meccanismo opposto che viene chiamato “causalità discendente”; i pensieri, le memorie che sono il risultato di innumerevoli processi convergenti, di sintesi, provvedono essi stessi ad “influenzare” il substrato cerebrale, attraverso la plasticità sinaptica, come un meccanismo di retroazione o feedback. L’attività cerebrale che costituisce ciò che è necessario per un pensiero dovrebbe perciò influenzare l’attività in altri sistemi implicati nella percezione, nel movimento ecc... e, dunque, costituire un mezzo attraverso il quale viene coordinata la plasticità in parallelo nei sistemi neurali (cito). Qui vi sarebbe molto altro da dire.
Ed infatti dico qualcos’altro, confortato dalla professionale analisi di Weyl (che inviterei ad intervenire maggiormente in questo tipo di discussioni, soprattutto se scova delle sciocchezze... ).

La spinta propulsiva verso la sintesi comporta l’intervento importante di meccanismi inconsci, neurofisiologici. Però noi stessi tramite i pensieri, fusioni complesse dell’attività di numerosi gruppi neurali che lavorano in sincronia ed in parallelo, possiamo “accedere” consciamente a tali gruppi (causalità discendente), per esempio controllando, nei limiti del possibile, reazioni emotive, bisogni, movimenti istintivi, ecc...; ciò è fondamentale poiché stiamo dicendo che il pensiero e perciò la mente sono in grado di agire e modificare, attraverso la plasticità sinaptica, la parte biologica necessaria a renderci ciò che siamo o meglio come ci percepiamo.

Ma il modo nel quale ci percepiamo, consciamente e inconsciamente, è anche presupposto basilare per come accediamo alla “realtà”; l’anelito “scontato”, il desiderio mistico, oggetto iniziale di tale discussione sembra essere un riflesso naturale di meccanismi interni, differenti, ma che “tendono” fisiologicamente verso la sintesi, unificando il caos percettivo che altrimenti ci renderebbe ingovernabili, come un veliero in balia delle onde e senza una rotta predeterminata.

Questi meccanismi, dunque, li applichiamo, e ci sembra naturale e scontato farlo, alla “realtà”. Quando vediamo un fiore, quest’ultimo è appunto una singola entità o meglio viene percepito come tale, nonostante attivi in noi molteplici circuiti neurali differenti (visivi, olfattivi, tattili ecc...) che però lavorando in sincronia ed in parallelo, ci donano l’immagine unitaria del fiore, pur se le diverse memorie percettive sono depositarie di particolari aspetti della sintesi percettiva. Il “fiore in sé” è una cosa che non ci è data di conoscere direttamente, ma ce lo figuriamo così, ovvero come un ente, che pur producendoci sensazioni differenti, è appunto un singolo evento del nostro orizzonte percettivo; ci convinciamo che sia così, non potrebbe essere altrimenti (ecco la necessità).

Consciamente ed inconsciamente, tentiamo questa operazione con tutto ciò che ci capita a tiro, poiché la sintesi e la semplicità sembrano essere meccanismi estremamente convenienti in natura[1] e per questo avevo accennato all’utilità, secondo me, della prospettiva evoluzionistica che potrebbe fornire efficaci spunti per questa discussione. “Efficaci spunti”... e non “paletti”... come spero che venga considerato tutto ciò che ho detto fino adesso .

Che poi tali tentativi di visione unitaria trovino un effettivo riscontro nella “realtà” [2], riferendomi in particolare alla Scienza, è un altro aspetto che dovrebbe far riflettere ed è strettamente legato, poiché subordinato in qualche modo[3], al metodo tendente al “riduzionismo” ovvero che ricerca possibili sintesi unificanti dietro all’apparente caos naturale; basta per un attimo pensare alla mitica ricerca della TOE (Theory Of Everything), che è passata per magnifiche[4] sintesi come l’unificazione dell’elettromagnetismo, l’unificazione della forza elettromagnetica con la nucleare debole, l’unificazione (auspicata) di tutte le forze, la teoria delle stringhe, ecc... ecc...

La ricerca della sintesi ha guidato e guida gli uomini nelle indagini della “natura” a livello scientifico e “mistico”, tant’è che alcune teorie che stanno ancora avanti agli esperimenti sembrano presentare aspetti dell’una e dell’altra categoria.

Dopo la tesi (proiezione dell’unità interna all’esterno), l’antitesi (riferimenti [2] e [3], cioè il problema, di cui non ho molto parlato, della proiezione dell’esterno sull’unità interna), propongo una sintesi impegnativa che guarda a se stessa: la “sintesi unificante” è, come abbiamo visto, efficace, opportuna, utile, dunque è “reale”[5] e non una nostra semplice esigenza di riflessione o un nostro sterile vagheggiamento.



[1] = significativo è il fatto che noi stessi percepiamo la bellezza laddove maggiormente sembrano esplicarsi sintesi, semplicità, unità.
[2] = ovvero siano molto efficaci nel rappresentarla.
[3] = chi/che cosa è subordinato a chi/a che cosa? Qui si apre un precipizio di cui non riesco a scorgere le forme, ma ne avverto la vertigine...; è questo ciò che intendevo con circolo vizioso...
[4] = in quanto “belle” .
[5] = in quanto riscontrabile empiricamente a molti livelli e perciò in qualche modo condivisibile, tenendo sempre a mente la nota [3].
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Vecchio 23-04-2006, 03.12.19   #35
Weyl
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Riconduzione all'unità

Il modo naive di intendere l'unitarietà dei processi mentali coincide con il concetto, vulgata specie, di "Io".
A tale lettura bruta non si sottrae l'intera riflessione psicoanalitica, la quale adotta gli strumenti della "tribù" allo scopo di determinarne la genesi: compito inattuabile, ma nel percorso del quale essa rese possibile la definizione precisa del termine linguistico, inteso come referente specifico della ricerca neurofisiologica.
Nè vi si sottrae l'analisi e la riflessione filosofica, la quale pervenne, con Kant, alla locuzione di "unità sintetica dell'appercezione (sensibile)" come ente supposto a riferimento del quale si sarebbe potuto sviluppare, quasi intento creato eppure "funzione", lo schematismo dell'intelletto puro.

In esso Kant giunse a sviluppi formali e composizioni teoriche le quali, in particolare nella prima stesura della Critica (1781) non sono soltanto ardite, ma tremendamente geniali.
Sfortunatamente, la versione definitiva ne fu in gran parte edulcorata (1787), probabilmente a causa del carattere dell'uomo Kant, assai prudente ed eccessivamente preoccupato di qualsivoglia considerazione che non fosse sufficientemente supportata da una adeguata riflessione e da un intero edificio il quale, sistematicamente ed architettonicamente, ne ricevesse "slancio" e vi riconoscesse "appoggio".

In quali direzioni procede, oggi, la ricerca?
Una direzione risulta evidente: l'io, in quanto unità dei processi psichici, è inteso come "aspetto" (e non "funzione"!) particolare della attività proprie della coscienza.
Vi prego di acquisire questo dato linguistico con molta attenzione: l'"unità" delle funzioni psichiche come aspetto particolare delle attività di coscienza è cosa infinitamente diversa dal principio naive, per il quale la coscienza "culmina" nella sintesi psichica.

Lo studio del deterioramento cognitivo ci porta a distinguere con molta evidenza tra "attività procedurali" e "attività dichiarative" della coscienza.
Queste ultime sono, sostanzialmente, proprie della specie umana: si caratterizzano per tutte quelle "abilità" di cui il soggetto può dare, in qualsiasi modo, ridondanze cognitive.
Le prime, invece, sono comuni a molti mammiferi superiori e, in parte minore, ad altri vertebrati: consistono in apprendimenti, anche molto complessi, la cui esecuzione può essere perfezionata e adeguata ad adattamenti ambientali, ma in modo tale da non poter essere descritta più adeguatamente se non nell'esecuzione stessa.
Per capirci: il labirinto dei topolini oppure i giochi PS2 dei ragazzini.

Fino a pochi anni fa la malattia di Alzheimer si caratterizzava proprio per l'evidente danno delle funzioni dichiarative, memoria e cognizione intellettuale.
Oggi, sorprendentemente, accade di poter rilevare l'occorrere del seguente fenomeno: alcune terapie, in casi selezionati e lievi, consentono la conservazione ed il potenziamento di queste (ossia le funzioni più specifiche e complesse).
In questi casi si osserva, con sconforto, ma anche con allibita sorpresa, il drammatico decadere delle funzioni procedurali, mostrando quanto più complesso debba essere, in realtà, il panorama delle attività di coscienza, il quale, purtroppo, sfugge a tutti i modelli concettuali per ora proposti, in ogni ambito: filosofico, psicodinamico, neurofisiologico, fisico e, ovviamente, "culturale".
Si tratta di situazioni che cadono sotto l'osservazione clinica da non più di due anni, dato che prima del 2004 non si disponeva di trattamenti efficaci per periodi superiori ai sei-dodici mesi.
Tale lasso di tempo era insufficiente a riconoscere "differenze" tra le due componenti funzionali nel decorso della malattia.
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Vecchio 23-04-2006, 06.45.09   #36
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Messaggio originale inviato da nexus6
..il mio ultimo post era solo inteso a farti capire l’estrema difficoltà del sentiero che intendi percorrere..

Si, comprendo..
Ma al posto di "difficoltà" gradirei un termine più "scientifico" tipo.. "complessità" !!!
(E questo naturalmente lo devo alla mia conformazione mentale.. dove "difficile" viene interpretato osticamente..!)


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Messaggio originale inviato da maxim
La scienza studia solo il lato morto delle cose. (nexus perdonami)

Oltre, la spiegazione dei vari perché sconfina per forza di cose nel campo spirituale in quanto scoprire la causa prima dell’universo…cioè quell’unità…non è raggiungibile attraverso la scienza…aggiungerei anche attraverso il linguaggio. (Gyta perdonami)

La ricerca di questa benedetta unità deve essere praticata solo ed esclusivamente in campo spirituale. Il pensiero astratto ci da una buona mano.

Riguardo alla tua affermazione che "la scienza studia solo le cose morte" "scusa" lo dovresti chiedere pure a me!! Non solo questa frase come scrive Nexus "suona" male, ma è completamente errata!
Come d'altronde lo è l'ipotesi che il linguaggio non possa (come da me sostenuto) arrivare ad unificare
in un quadro unitario i vari percorsi!! Cosa peraltro che già avviene tranquillamente da sempre! La nostra comunicazione affonda le sue radici proprio sulla capacità empatica che l'uomo ha di riconoscere sé e le cose
attraverso le immagini-sintesi proprie del linguaggio..!
Riguardo al fine unitario come unica possibilità e prerogativa spirituale frego le parole a Nexus: "La ricerca della sintesi ha guidato e guida gli uomini nelle indagini della “natura” a livello scientifico e “mistico”, tant’è che alcune teorie che stanno ancora avanti agli esperimenti sembrano presentare aspetti dell’una e dell’altra categoria." ed a Jack: "è la Scienza ad aver operato le più grandi sintesi del pensiero.
penso a Newton.. etc.."


Adesso che ho sintetizzato per benino in che casino sono andata a mettermi..
non chiederò scusa a nessuno se le complessità del discorso esulano dalla mia conoscenza teorica obbligandomi al confronto più approfondito d'ogni mia teoria (dedotta dall'osservazione diretta della mia esperienza con quest'altre!) Ben venga.. ! L'ambizione alla sintesi non ha mai fermato la pluralità dei colori delle esperienze anzi ne ha fatto motivo di ricchezze..

Riguardo alla "prospettiva evoluzionistica come spunto utile" al fine della nostra ricerca,
ben venga.. Eppure non comprendo come il modello evoluzionistico possa come "risposta" all'ambiente dirci molto sul perché della "sintesi", se non come una sorta di "elezione" naturale a ciò che risulti essere più "conveniente" (conveniente> rispetto ad una sorta di non dispersione energetica..!) dove la spinta più "semplice" è di massima destinata a prevalere rispetto alle altre.. (spero di non essere stata troppo semplicistica! "Semplice" > come la più conforme/indicata a rispondere alle esigenze od invece quella capace di vivere più a lungo, di perpetuarsi nel tempo -pur essendo magari sostanzialmente "risposta" 'stupida' ma 'conveniente' ???! )


Sintetizzando.. Il processo di base sembra appunto essere quello della comunicazione coordinata a tutti i livelli;
coordinazione che nelle percezioni concorre ad una visione delle esperienze come unitarie.

Caro, Weyl, perché ho questa difficoltà a seguire il tuo pensiero..?
Le cose che dici dovrebbero stimolare in me movimento ed invece
accade come una specie di torpidio mentale..
Come se ciò che dici portasse in sé un'apparenza vitale
in una sintesi statica.. boh.. sarà il tuo modo di scrivere dalle forme un po' rigide..

Comunque sottolineo due punti:
L' "io" come aspetto particolare della coscienza e non come funzione di fine (se ho ben compreso)
e la difficile comprensione (all'esame dell' Alzheimer) secondo cui pur restando attive le attività mnemoniche e concettuali, scemano quelle più vicine alle attività più direttamente vitali.. (anche qui se ho ben dedotto..!)



Gyta



..
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Vecchio 23-04-2006, 12.52.46   #37
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Re: Riconduzione all'unità

Citazione:
Messaggio originale inviato da Weyl
In quali direzioni procede, oggi, la ricerca?
Una direzione risulta evidente: l'io, in quanto unità dei processi psichici, è inteso come "aspetto" (e non "funzione"!) particolare della attività proprie della coscienza.
Vi prego di acquisire questo dato linguistico con molta attenzione: l'"unità" delle funzioni psichiche come aspetto particolare delle attività di coscienza è cosa infinitamente diversa dal principio naive, per il quale la coscienza "culmina" nella sintesi psichica.
...
Fino a pochi anni fa la malattia di Alzheimer si caratterizzava proprio per l'evidente danno delle funzioni dichiarative, memoria e cognizione intellettuale.
Oggi, sorprendentemente, accade di poter rilevare l'occorrere del seguente fenomeno: alcune terapie, in casi selezionati e lievi, consentono la conservazione ed il potenziamento di queste (ossia le funzioni più specifiche e complesse).
In questi casi si osserva, con sconforto, ma anche con allibita sorpresa, il drammatico decadere delle funzioni procedurali, mostrando quanto più complesso debba essere, in realtà, il panorama delle attività di coscienza, il quale, purtroppo, sfugge a tutti i modelli concettuali per ora proposti, in ogni ambito: filosofico, psicodinamico, neurofisiologico, fisico e, ovviamente, "culturale".
Si tratta di situazioni che cadono sotto l'osservazione clinica da non più di due anni, dato che prima del 2004 non si disponeva di trattamenti efficaci per periodi superiori ai sei-dodici mesi.
Tale lasso di tempo era insufficiente a riconoscere "differenze" tra le due componenti funzionali nel decorso della malattia.
Grazie per le importanti precisazioni ed informazioni! Non c'è dubbio che sia proprio un bel problemone quello della "coscienza" ed ecco spiegate, forse, alcune letture un pò naive, che si potrebbero considerare dei "disperati" tentativi di sintesi i quali non tengono conto di tutte le sfaccettature del problema. Non è semplice tenerne conto.

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Messaggio originale inviato da gyta
Si, comprendo..
Ma al posto di "difficoltà" gradirei un termine più "scientifico" tipo.. "complessità" !!!
(E questo naturalmente lo devo alla mia conformazione mentale.. dove "difficile" viene interpretato osticamente..!)
Diciamo "caos" che può essere sia scientifico e sia sinomino di "enorme casino"...

Citazione:
Messaggio originale inviato da gyta
Riguardo alla "prospettiva evoluzionistica come spunto utile" al fine della nostra ricerca, ben venga.. Eppure non comprendo come il modello evoluzionistico possa come "risposta" all'ambiente dirci molto sul perché della "sintesi", se non come una sorta di "elezione" naturale a ciò che risulti essere più "conveniente" (conveniente> rispetto ad una sorta di non dispersione energetica..!) dove la spinta più "semplice" è di massima destinata a prevalere rispetto alle altre.. (spero di non essere stata troppo semplicistica! "Semplice" > come la più conforme/indicata a rispondere alle esigenze od invece quella capace di vivere più a lungo, di perpetuarsi nel tempo -pur essendo magari sostanzialmente "risposta" 'stupida' ma 'conveniente' ???! )
"Conveniente"... hai detto bene; è questo quello che intendevo dire nel mio ultimo post, cioè efficace, utile. Quel particolare aspetto della coscienza, dunque, considerarlo dal punto di vista della selezione naturale, dell'adattamento ai cambiamenti ambientali e dunque dell'utilità intrinseca alla specie umana, che possiede una differente evoluzione dell'attività cosciente; sono solo timide considerazioni .

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Vecchio 23-04-2006, 15.15.49   #38
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Messaggio originale inviato da nexus6
Diciamo "caos" che può essere sia scientifico e sia sinomino di "enorme casino"...

Adoro le "parole-contenitore"!

Nexus.. il disfattista!
Io opto sempre per "complessità"
anche se caos---->(inteso come) casino,
rispecchia di gran lunga meglio
la situazione in cui mio malgrado mi vengo a trovare in questa discussione!!


Abbi fede*!! In fondo il caos fu grande ispiratore..!



Gyta

*..fiducia nelle potenzialità dell'umana ragione !
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