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La riflessione

La Riflessione   Indice

 

…e in principio fu il verbo

di Gianni Maria Serughetti

- Settembre 2019

  1. Introduzione - Quadro Storico - Considerazioni - Conclusione
  2. Origine della parola
  3. Anatomia del linguaggio
  4. Linguaggio e genetica
  5. Linguaggio e cervello

Anatomia del linguaggio

 

Cosa distingue l’uomo dagli animali? La dimensione e la complessità del cervello, la stazione eretta, oppure quell’insieme di interazioni sociali individuali che chiamiamo cultura?
Se anche non è possibile individuare una risposta univoca a questa domanda, è innegabile che la capacità riprodurre il linguaggio articolato sia una delle caratteristiche più distintive del comportamento umano.
Abbiamo già detto che la posizione della laringe influisce drasticamente sulle modalità di respirazione, deglutizione e fonazione di un dato animale e come nella razza umana vi è una correlazione fra evoluzione del linguaggio, del cervello e dell’apparato faringolaringeo.
Il primo dato “fondamentale”, in quanto presente in tutti i mammiferi, a tutti gli stadi dello sviluppo, e’ che la laringe e’ situata nella parte alta del collo fra la prima e la terza vertebra cervicale, questo permette all’animale di poter respirare e di far passare liquidi e semisolidi contemporaneamente, ma comporta anche la riduzione della faringe ad una piccola porzione sopralaringea, limitandone la capacità di modificare i suoni iniziali, o fondamentali, prodotti dalle corde vocali nella laringe. Ne consegue che la maggioranza dei mammiferi è costretta a modulare i suoni laringei alterando la forma della cavità orale e la posizione delle labbra.
Pur riuscendo, in alcuni casi, a riprodurre qualcuno dei suoni del linguaggio umano, gli animali sono quindi anatomicamente incapaci di produrre l’intera gamma di suoni di cui si compone il linguaggio articolato completo.
Studi comparati hanno dimostrato che le vie respiratorie superiori di neonati e bambini respirano, deglutiscono e vocalizzano in modo analogo a quello delle scimmie. Per quanto riguarda le vie respiratorie superiori, potremmo tranquillamente affermare che i piccoli della nostra specie condividono l’anatomia funzionale di questi animali.
Fino ai 18-24 mesi di età la posizione della faringe infantile resta alta, come quella degli altri mammiferi. A un certo punto del secondo anno, tuttavia, la laringe comincia a scendere, alterando drasticamente il modo in cui il bambino respira, inghiotte e produce suoni. Esattamente come e quando ciò avvenga resta un mistero, ma sembra che diverse patologie (non ultima la sindrome della morte neonatale improvvisa) possano essere connesse a cambiamenti respiratori che, a loro volta, dipendono da modifiche evolutive dell’anatomia e del controllo neurale delle vie respiratorie superiori.
Anche se lo sviluppo di tale apparato resta per molti versi poco chiaro, il suo risultato innegabile è che la laringe dell’uomo adulto si situa molto più in basso che negli altri mammiferi, e precisamente fra la quarta e la quinta vertebra cervicale. Da questa posizione, l’epiglottide non può più raggiungere il palato molle e quindi la laringe non può bloccare il retro della cavità nasale, separando il canale respiratorio da quello digerente. Dopo i primi anni di vita, l’apparato digerente e l’apparato respiratorio si intersecano sopra la laringe, con le complicazioni che tutti conosciamo.
Può succedere, infatti, che il cibo masticato, o bolo, finisca accidentalmente all’entrata della laringe, bloccando l’accesso dell’aria e causando il soffocamento. Gli esseri umani adulti, inoltre, non possono respirare e bere contemporaneamente, senza soffocare.
Di recente è stato studiato un altro parametro evolutivo che segue di pari passo le modifiche della laringe e della faringe, tale parametro viene chiamato “Linea della base cranica” che ne misura il grado di “flessione”. Gli studi hanno confermato l’esistenza di due fondamentali configurazioni cranio/laringe. La prima, in cui la base cranica è abbastanza piatta e la laringe è ubicata nella parte alta del collo, è comune a tutti i mammiferi esaminati, ad eccezione dei soli adulti umani. La seconda, in cui la base del cranio è notevolmente arcuata, o flessa, e la laringe occupa la parte inferiore del collo, si riscontra unicamente negli esseri umani a partire dal secondo anno di età circa.
Il rapporto fra la base del cranio e laringe, osservato nei mammiferi esistenti, ci ha fornito lo strumento necessario a ricostruire il tratto respiratorio superiore nella specie fossili. Così si è potuto stabilire come gli Australopitechi avevano una base cranica non flessa, molto simile alle scimmie attuali. Nell’uomo Erectus e Abilis già cominciano a vedere una configurazione flessa della base cranica (1.6 milioni 300-400 mila anni fa) e una scatola cranica più grande.
Una completa flessione, paragonabile a quella riscontrabile nell’uomo moderno, si ha con l’Homo Sapiens (300-400 mila anni fa). È a questo punto che compare un apparato fonatorio moderno in grado di produrre un linguaggio articolato.
Nasce così la lingua cioè “un sistema uditivo di simboli”, affermava un autorevole linguista e antropologo della prima metà del secolo, Edward Sapir. Simboli arbitrari, fonemi, suoni che hanno rapporto con gli oggetti che nominano solo grazie a una convenzione sociale, a un accordo tra i membri dello stesso gruppo. Non è un oggetto di natura: è una creazione dell’uomo, della società umana.
Ma anche se “artificiale” ogni lingua, anche la più primitiva, costituisce nel suo complesso un organismo unitario, fortemente autocorrelato e – come abbiamo visto - capace di ricoprire non solo l’intero mondo oggettuale che colpisce i nostri sensi, ma anche relazioni più complesse tra esseri e cose.
“Dobbiamo accettare l’idea, continua lo stesso Sapir, “che la lingua sia un’eredità enormemente antica della specie umana, siano o no tutte le attuali forme di linguaggio la derivazione storica di una singola forma originaria”. E ancora: “E’ dubbio che alcun’altra risorsa, si tratti dell’arte di accendere il fuoco o di lavorare la pietra, possa attribuirsi a un’età più remota (di quella a cui si può far risalire la nascita del linguaggio). Io propendo a credere che la lingua precedette anche gli sviluppi più elementari della cultura materiale e che anzi questi sviluppi non furono veramente possibili fino a che lo strumento dell’espressione dotata di significato, cioè la lingua, non prese forma”.
Ma se la lingua precede, o almeno accompagna, lo sviluppo della cultura materiale - che è poi il processo di distacco dal mondo animale e la modifica intenzionale del proprio ambiente – da dove nasce materialmente la “capacità linguistica” della nostra specie?
Gli studi anatomici e funzionali e le neuroscienze attuali hanno chiarito che nel nostro cervello esistono “centri” del linguaggio, aree corticali preposte alla funzione linguistica, prevalentemente collocate nell’emisfero cerebrale sinistro, le cui lesioni o ablazioni comportano la perdite parziale o totale della parola: l’area di Broca, situata lateralmente ai lobi frontali e quella di Wernicke, nel lobo temporale, collegate tra loro da un fascio di fibre nervose (il cosiddetto “fascicolo arcuato”).
Secondo i modelli elaborati dalla neurolinguistica, nell’area di Wernicke, che sarebbe preposta all’attività semantica, nasce la struttura della frase. Questa viene poi trasmessa tramite il fascicolo arcuato all’area di Broca, responsabile della sua organizzazione e di qui partono gli ordini alla corteccia motoria che presiede ai meccanismi di fonazione. Le lesioni dell’area di Broca provocano un uso inceppato e distorto delle parole (in compenso il soggetto è in grado di cantare correttamente), mentre quelle nell’area di Wernicke comportano la formazione di discorsi formalmente corretti ma privi di senso. Ma le capacità linguistiche cerebrali sono probabilmente più vaste e diffuse: “Un insieme di aree corticali, ogni giorno più ricco, è chiamato in causa nella comprensione e produzione del linguaggio”, afferma il neuroscienziato francese Jean-Pierre Changeux, e aggiunge: “Una parte consistente della superficie cerebrale propria dell’uomo è consacrata alla comunicazione sociale”, che ha appunto il suo epicentro nel linguaggio. La capacità linguistica è quindi una delle prodigiose capacità della neocorteccia, quella formazione il cui volume ci differenzia profondamente non solo dagli altri mammiferi, ma anche dai primati più vicini a noi, come lo scimpanzé. Dagli australopitechi agli ominidi e poi all’Homo sapiens, le dimensioni dell’encefalo sono passate (secondo i dati raccolti misurando struttura e capacità dei crani fossili rinvenuti) dai 400/450 centimetri cubici ai 1.200 /1.400 attuali (e il Neandertal ne aveva addirittura tra 1.550 e i 1690: ma forse a una massa encefalica così considerevole non corrispondeva un equivalente sviluppo della neocorteccia). La crescita della neocorteccia accompagna e ritmica quindi lo sviluppo della cultura, l’uscita dall’animalità.
“La confezione di un utensile di forma definita” rivela lo stesso Changeux, “richiede una rappresentazione mentale di esso e l’elaborazione dei muscoli della mano e delle manipolazioni da compiere. (…)
Nell’uomo la superficie (corticale) occupata dalla rappresentazione dei muscoli della mano e da quelli della laringe e della bocca (gli organi cioè del linguaggio) diviene smisuratamente grande”. È una specializzazione in parte genetica, frutto cioè di mutazioni casuali, e in parte adattativi – imposta dalle leggi Darwiniane della selezione del più adatto – che rende “naturale” nell’individuo umano la produzione del linguaggio. E probabilmente, secondo molti ricercatori, questo sviluppo abnorme della base cerebrale del linguaggio potrebbe essere attribuito alla neotenia, alla conservazione cioè da parte degli esseri umani di caratteristiche infantili, e al prolungamento del periodo di sviluppo dell’encefalo molto dopo la nascita: il peso della massa encefalica aumenta di almeno cinque volte dalla nascita all’età adulta. La maggior parte delle reti di connessione sinaptiche nelle quali si attua l’attività neuronica si forma durante questo periodo (specialmente nei primi anni di vita). E ciò consente un progressivo modellamento dei tessuti cerebrali da parte dell’ambiente: che è fondamentalmente appunto un ambiente linguistico. L’uomo quindi è, in primo luogo, “linguaggio”, anche se alcuni sostengono che esiste un pensiero “prelinguistico”, che si formula cioè nelle nostre menti senza ricorso alle parole e alla lingua, e portano a supporto della tesi le indiscutibili attività mentali dei sordomuti dalla nascita. “Si può pensare senza adoperare neppure mentalmente delle parole fonetiche”, scriveva anni fa il linguista Giorgio Fano. Lo sviluppo del pensiero non richiederebbe l’uso di parole “parlate” ma, aggiunge lo stesso Fano, “è comunque indispensabile l’uso dei segni espressivi. Mentre procede l’uso del pensiero logico e dai concetti più semplici si passa a quelli più complessi, i significati convenuti dei segni devono venire rispettati”.
Più esplicitamente, Howard Gardner collega direttamente intelligenza e competenza linguistica; e Sapir a sua volta sostiene che pensiero e linguaggio sono due facce dello stesso processo psichico, ipotizzando che l’impressione che molti hanno di poter pensare o addirittura ragionare senza la lingua sia un’illusione. “Può essere”, scrive, “che il pensiero sia un’area naturale separata dall’area artificiale del linguaggio, tuttavia il linguaggio sembra essere l’unica via a noi nota che conduca a questo dominio del pensiero”. Anche ammettendo quindi la possibilità dell’esistenza di forme di pensiero “preverbali” individuali, la loro organizzazione e trasmissione è indissolubilmente connessa alla parola: e questa esercita senza dubbio una retroazione sul pensiero stesso, lo stimola, lo produce. Il linguaggio crea perciò pensiero, e rappresenta la base materiale per quella “intelligenza collettiva” che è la cultura, intesa non solo come deposito del “saper fare” collettivo, ma anche e forse principalmente come immagine e interpretazione del mondo. Non è quindi casuale che nelle prime culture il rapporto tra gli oggetti nominati nel linguaggio e la parola sia stato capovolto, e questa ultima abbia assunto un valore magico, legislativo, in ultima analisi creativo del mondo stesso e quindi la sua produzione sia rimbalzata dal mondo terreno degli uomini agli empirei delle divinità.

 

2) Origine della parola - 4) Linguaggio e genetica

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