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Conosci te stesso

di Domenico Caruso - Ottobre 2011

 

Diogene di Sinope (413-324 a.C.), fondatore e maggiore rappresentante del sapere cinico (dall'aggettivo kynikos, derivante da kyon - cane), sotto un'ostentata eccentricità impernia il suo sistema riguardante il principio della virtù. Egli individua i modelli di vita nel comportamento degli animali, dei mendicanti, nonché dei bambini che - per la prima volta nel mondo ellenico - sono esempio di natura non corrotta dalla società. Il filosofo greco è noto per alcuni famosi aneddoti, come quello della lanterna con la quale girava in pieno giorno affermando che gli servisse per cercare l'uomo.

Alessandro il Grande (356-323 a.C.), incontrandolo, gli chiede di esprimere un desiderio e, per tutta risposta, il cinico lo prega di spostarsi perché la sua ombra gli impedisce di godersi il sole, rivelando così il rifiuto del potere e della ricchezza. Si tramanda, infatti, che Diogene vivesse in una botte e che, sempre in disprezzo della comodità, avesse gettata via dalla bisaccia la sua ciotola di legno alla vista di un fanciullo che beveva nel cavo delle mani.

A prescindere dai presupposti coi quali il filosofo intraprende il rifiuto delle convenzioni e dei valori tradizionali, l'esortazione conosci te stesso (gnothi seautòn) che Giovenale (55-60/127 d.C.) dice metaforicamente discesa dal cielo, «e dal cielo seguita a venire, indicando infine che solo conoscendo se stesso l'uomo è veramente uomo, a somiglianza di dio che ha in sé, nel più profondo che è l'altissimo di lui stesso» (1) vuol dire conoscere ed accettare i propri limiti valorizzando le proprie capacità. Il motto riportato sul tempio dell'Oracolo di Delfi riassume l'insegnamento di Socrate (469-399 a.C.), essendo la verità dentro di noi; l'intera frase, «Uomo, conosci te stesso, e conoscerai l'universo e gli Dei» sta a significare che occorre liberarsi dai pregiudizi e dai condizionamenti culturali per realizzare se stessi.

L'esoterismo, almeno quello delle origini, pone alla sua base un principio di costante creazione. Tale continuo divenire costituisce pure un progressivo incremento di Realtà che si attua mediante una presa di coscienza del sé (autocoscienza). Considerando il metodo esoterico sotto l'aspetto dell'uomo, questi rimane sempre al centro dell'universo. Troviamo, quindi, il principio alla base del pitagorismo: gnothi seautòn (greco), Nosce te ipsum (latino). Molti filosofi, fino al tedesco Immanuel Kant (1724-1804), hanno espresso l'importanza dell'autocoscienza prima di scoprire le verità assolute. Con il Cristianesimo la verità deve servire alla libertà: «Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8, 32). Per il beato Karol Wojtyla, «essere veramente liberi significa essere un uomo di retta coscienza, essere responsabile, essere un uomo per gli altri». (Dalla lettera apostolica Dilecti Amici, indirizzata ai giovani il 31 marzo 1985).

Dante si serve dell'appassionata parola di Ulisse, che sprona i compagni all'audace impresa di attraversare l'ignoto, per indicare il fine dell'uomo:

 

«Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e conoscenza» (Inf. XXVI, 118-119).

 

Anche nelle filosofie religiose di origine indiana le virtù fondamentali costituiscono i pilastri delle società civilizzate.

Nella Cultura Vedica sono quattro i principi del Dharma che ogni individuo dovrebbe seguire: la misericordia, la pulizia, l'austerità e la veridicità. Il significato è ben chiaro: per armonizzare la propria vita sulla Terra sono indispensabili l'amore e la compassione verso tutte le creature viventi; la pulizia del cuore e della mente, oltre quella esterna; l'esempio di moderazione, equilibrio e buon senso; la conoscenza della Verità, che rende liberi. Svolgendo una delle qualità si vedranno apparire tutte le altre nel nostro operare. Non dimentichiamo che «la meta della vita umana è sviluppare amore per Dio, purificare il cuore e creare un ambiente di pace, saggezza e fratellanza» (Srila Atulananda Acarya).

«Ogni essere vivente aspira a una maggiore pienezza, che è la fonte di ogni desiderio. Ed è proprio il desiderio - con il suo contrario simmetrico, il timore - il grande motore di ogni attività». (2)

Il gesuita indiano Anthony de Mello (1931-1987) racconta di una donna in coma che ebbe la sensazione di trovarsi al cospetto di Dio per il gran Giudizio.

Attendeva trepidante il suo turno allorquando una voce, dopo essersi accertata che voleva entrare in Paradiso, le chiese ripetutamente chi fosse. La donna, con una certa fermezza, di volta in volta, si affrettò a dire il nome, la condizione sociale (moglie del sindaco) e familiare (madre), la professione (maestra), l'opera benefica svolta (aiuto ai poveri).

Nulla di tutto questo interessava Lassù e, non avendo superato l'esame, fu rinviata sulla Terra. Appena guarita, la signora si ricordò della visione ed intraprese una nuova vita di saggezza e illuminazione.

Tutti riteniamo di conoscerci e tiriamo avanti alla men peggio senza considerare che la vita è dentro di noi e non fuori.

Per comprendere la nostra identità dobbiamo favorire l'emergere di sentimenti positivi. Un uccello non ha bisogno di prendere lezioni per volare o costruire il nido, ma noi con la nostra immaginazione creativa dobbiamo imparare a vivere.

Socrate afferma che «l'uomo è la sua anima».

Leonardo Sciascia ne Il giorno della civetta, per bocca del padrino del paese don Mariano, dà una definizione esemplare della nostra società: «Io ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà. Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, ché mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini. E invece no, scende ancora più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi. E ancora più in giù: i piglianculo, che vanno diventando un esercito. E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere con le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre». Le dottrine etiche del passato vengono definite eudemonistiche (dal greco eudaimonìa, felicità), poiché fin dalla sua comparsa l'uomo presenta delle necessità dal cui appagamento derivano gioia e benessere. Il segreto della felicità, quindi, consiste nel raggiungere uno stato interiore di pace senza  bisogno di altri desideri.

Scienziati e pensatori si sono sempre imposti, con scarso risultato, di fornire una risposta soddisfacente al problema. Le idee scaturite possono essere di carattere filosofico o religioso.

Epicuro (341-271 a.C.) insegna nell'agorà dell'antica Atene che la sorgente della felicità è il piacere.

Il drammaturgo Lucio Anneo Seneca (4 a.C.-65 d.C.) vive in coerenza degli ideali professati. Difronte ai dilemmi insolubili della morale, si rifugia nei valori stoici del distacco. Per il filosofo romano la vera felicità è nella virtù: «In virtute posita est vera felicitas». (De vita beata, 16, 1).

Marco Aurelio (121-180 d.C.), imperatore saggio e illuminato ma con l'anima anche di despota, attinge una concezione del mondo come perenne divenire. Per lui la felicità non è occasionale, ma dev'essere coltivata e sostenuta fino a giungere alla vittoria. Il filosofo afferma che l'arroganza nasce dalla presunzione di essere immortali.

Nella storia dell'umanità la felicità è vissuta, pure, alla luce di un credo.

La presenza di una realtà assoluta dentro di noi è la verità dell'induismo, la più antica religione: siamo come un granello di sale che viene sciolto in un'immensa quantità d'acqua (l'universo). L'etica fondamentale indù prevede: il distacco dalle cose (ascesi), la verità, la purezza interiore, l'autodisciplina, la  nonviolenza, la carità e la compassione per gli uomini. Il liberarsi da ogni desiderio e da ogni azione impedisce la reincarnazione.

L'insegnamento di Budda è basato sull'osservazione diretta del mondo.

Il principe Siddharta durante le sue prime uscite, nell'incontrare un vecchio, un malato, un povero e un morto apprende che la vita è afflizione. Le tre caratteristiche dell'esistenza sono il dolore, l'impermanenza (mutamento, divenire) e la convinzione dell'Io. Tutto è contraddistinto da frustrazione e sofferenza connaturata alle cose; la nostra mente è fatta di processi ed eventi temporanei; non esiste l'unitarietà  né la personale immortalità dell'io.

Con la meditazione si pone fine all'angoscia.

Ogni uomo dell'Islam, in linea di massima, deve osservare i cinque pilastri su cui poggia la religione: testimonianza di fede (affermazione dell'esistenza di Dio Uno e Unico nella missione profetica di Maometto); preghiera canonica da effettuare cinque volte al giorno, in precisi momenti; elemosina devoluta volontariamente a persone bisognose; digiuno dal sorgere al tramonto del sole, durante il mese lunare di Ramadan; pellegrinaggio canonico alla Mecca e dintorni nel mese lunare di Dhu al-Hijja.

Tra il IV e il V secolo, con il Cristianesimo, la felicità comincia a riguardare la vita futura. Per San Tommaso d'Aquino (1225-1274) è il fine ultimo della vita umana e non consiste nei beni terreni ma nella visione di Dio, raggiungibile solo in paradiso. Non si esaurisce qui l'importante problema e, per motivi di spazio (tralasciando anche l'insuperabile esempio di Gesù), termino con un documento eccezionale, il Libro di Giobbe, che affronta l'inquietante domanda: perché il male e il dolore? Satana, seminatore di zizzanie, insinua che il pio e timorato di Dio è virtuoso in quanto ricco. Il Signore accetta la sfida e mette a dura prova la fedeltà di Giobbe, il quale non ritiene di meritarsi la punizione inflitta.

Per quanto straziato dalla perdita dei beni e delle persone più care, non impreca né bestemmia, ma accetta il volere supremo:

 

«Nudo sono uscito dal ventre
di mia madre
e nudo vi farò ritorno!
Il Signore ha dato e il Signore ha tolto.
Sia benedetto il nome del Signore» (Gb 1, 21).

 

Superata la prima prova dell'anima, l'attende quella della carne. Ma le piaghe del corpo non piegano il giusto. Così Dio premia la fedeltà di Giobbe,  raddoppiando quanto aveva perduto e donando la gioia di altri quattordici figli e tre figlie che gli renderanno felici altri 140 anni di vita sulla Terra.

La riflessione sulla dimensione spirituale dell'anima e sull'eccezionale esempio di alcuni personaggi contribuisce - senz'altro - a far conoscere se stessi per vivere in armonia con l'universo.

 

Domenico Caruso
Pubblicato sul mensile "La Piana" di Palmi-RC - Anno X, n.9 - Settembre 2011

 

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NOTE
1) Dall'introduzione a Conosci te stesso? - Scuola del Cerchio Firenze 77 - Ediz. Mediterranee, Roma - 1990.

2) Universo della parapsicologia e dell'esoterismo - Esoterismo - Vol. I - Trento Procaccianti Ed., MI - 1980.


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